BOSNIA (in serbocroato Bosna, dal fiume omonimo che l'attraversa; A. T., 77-78)
Regione nord-occidentale della Penisola Balcanica, alla destra della Sava; fa parte della Iugoslavia, di cui costituiva, insieme con l'Erzegovina alla quale era unita amministrativamente, la provincia più estesa, se non la più popolosa (51 mila kmq. e 1.890.000 ab.). Secondo la nuova suddivisione, in vigore dall'ottobre 1929, la Bosnia non costituisce più una regione amministrativa, ma è stata distribuita nei banati di Vrbas, del Littorale, della Drina, della Zeta.
Sebbene sia nettamente separata dalla Dalmazia, dalla Croazia, dalla Schiavonia e dalla Serbia per mezzo delle Alpi Dinariche ad occidente e dei corsi dell'Una, della Sava, e della Drina rispettivamente a NO., N. ed E., non possiamo dirla una regione a sé stante, perché i monti che ne coprono quasi tutta la superficie si prolungano verso sud nelle catene dell'Erzegovina e della Serbia non si distinguono per caratteri proprî nel sistema dinarico. Perciò la Bosnia è parte della regione dinarica. Non la distingue dal rimanente della regione dinarica la sua stessa montuosità: la maggior parte della superficie supera i 500 metri in media, e solo una stretta striscia all'estremità settentrionale, lungo la Sava, si mantiene a meno di 200 metri. Le forme del suolo vanno lentamente e irregolarmente digradando, in linea di massima, dalle Alpi Dinariche verso il NE., verso la Sava, e si trovano molte cime superanti i 1000 metri, non poche si elevano al disopra dei 1500 e più d'una raggiunge od oltrepassa i 2000.
Dal punto di vista geologico, la Bosnia è costituita da terreni assai diversi, sebbene prevalgano quelli dell'era mesozoica. In molta parte della regione affiora l'imbasamento triassico (medio e superiore), da cui emerge, poco ad occidente di Sarajevo, a guisa di isola, una serie di alte vette le cui rocce rimontano al Carbonico superiore e appaiono disturbate da un ampio espandimento trachitico. A NO. di Saraievo, lungo il corso superiore della Bosna e nelle vallate dei fiumi che in questo tratto del suo corso affluiscono, sino ad una certa altitudine si conserva ancora oggi un ampio mantello di terreni miocenici. Da un lato e dall'altro dell'imbasamento triassico appaiono a giorno rocce giurassiche e cretaciche: e mentre queste ultime largamente si sviluppano verso SO., lungo le Dinariche e la costa dalmata; verso N., invece, le rocce mesozoiche sono ricoperte da una coltre assai estesa di flysch eocenico, che a sua volta verso la Sava è ricoperto da sedimenti pliocenici e quaternarî ed è disturbato qua e là da continui espandimenti di rocce ofiolitiche.
In complesso, possiamo grossolanamente distinguere una Bosnia sud-occidentale, costituita di rocce mesozoiche, dove le forme del suolo raggiungono maggiori altitudini ed appaiono più aspre e selvagge, da una Bosnia nord-orientale, dove le rocce mesozoiche sono ricoperte dal flysch eocenico e dai sedimenti pliocenici e quaternarî. nella quale le altitudini si vanno lentamente abbassando verso il corso della Sava, e le forme del suolo sono più dolci e le valli più aperte.
Oltre alla varietà geologica dei terreni, vengono ad accidentare le forme del suolo della regione tutta una serie di fenomeni carsici, che la caratterizzano.
I calcari fessurati, che costituiscono la roccia predominante, specialmente nel mezzogiorno del paese, non hanno permesso ai fiumi di allargare le loro valli, che, per lo più, s'incassano nei calcari a guisa di canons, e si perdono nelle vaste piattaforme carsiche. Verso il N., dove le forme del suolo sono rese più dolci dall'ampio mantello del flysch eocenico, e da sedimenti anche più recenti, e la pendenza generale del rilievo favoriva il formarsi di corsi d'acqua più importanti, i fiumi maggiori, quali l'Una, il Vrbas, la Bosna e la Drina, i quali scendono verso la Sava con corsi più o meno paralleli fra loro, hanno potuto nel tratto inferiore del loro cammino ampliare le valli, ed aprire, almeno in senso longitudinale, l'interno del paese verso la vallata della Sava. Ma i boschi, che fittamente rivestono il declivio dei monti, il restringersi anche delle valli principali di mano in mano che si procede verso l'interno, e la scarsezza delle vie trasversali, conservano al paese il suo carattere impervio, anche in questa parte del territorio dove il rilievo si abbassa e le forme si raddolciscono.
Chiusa a occidente e a mezzogiorno alle benefiche influenze del Mediterraneo per opera della catena dinarica e dei monti dell'Erzegovina e del Montenegro; relativamente aperta ai venti dei quadranti settentrionali; e per la sua stessa altitudine media, la Bosnia partecipa del clima dell'Europa centro-orientale, con inverni piuttosto lunghi e rigidi, ed estati più o meno brevi e abbastanza calde. A Sarajevo (43° 52′ di latitudine), nel dicembre, nel gennaio e nel febbraio la media mensile di temperatura si mantiene al di sotto dello zero, e per sei mesi all'anno le medie mensili non raggiungono i 10° centigradi; l'estrema assoluta tocca i −27°. Anche la media del mese più caldo si mantiene a Sarajevo notevolmente inferiore che alla stessa latitudine sulla costa adriatica, superandosi di qualche decimo solo i 19° nella media del luglio; toccandosi appena questa temperatura nell'agosto. Le precipitazioni, che a Sarajevo superano gli 800 mm., sono piuttosto egualmente distribuite durante tutto l'anno, con massimi nel marzo, nel giugno e soprattutto nell'ottobre.
Ma la grande varietà di altitudini e la caratteristica struttura del paese, che è in genere a bacini più o meno chiusi ed assai diversamente esposti, determinano anche grandi differenze climatiche da un luogo all'altro.
L'irregolarità e l'asprezza delle forme del suolo nel mezzogiorno del paese; la povertà dei terreni mesozoici che vi predominano; la rigidezza e la lunghezza dell'inverno, dànno ragione della povertà delle colture che caratterizza tutta la parte meridionale della Bosnia; ivi i coltivi si restringono nel più o meno ampio fondo delle doline e dei polje, dove si è raccolta la terra rossa che proviene dal disfacimento delle rocce superficiali, sulle conoidi di deiezione dei fiumi, su qualche terrazza meglio esposta, ecc. Ma è per lo più la foresta, che, più o meno densa, ricopre le falde dei monti e si spinge sino a una certa altezza, dove lascia posto alla vegetazione erbacea, a cui segue quella alpina.
Secondo vecchi calcoli del governo austriaco, la Bosnia occuperebbe il terzo posto in Europa per ricchezza di selve: una metà circa della sua superficie territoriale sarebbe coperta di boschi, che si estenderebbero, quindi, su oltre due milioni e mezzo di ettari. Un milione e mezzo sarebbe dovuto ai boschi di alto fusto, mentre il rimanente per la più parte sarebbe coperto da quelli di basso fusto, e, per non grande estensione, dal cespugliato. Verso il settentrione, dove prevalgono i terreni più recenti e l'altitudine è minore, abbonda la quercia; e, poiché i corsi di acqua si prestano alla fluitazione, i boschi sono anche più sfruttabili. Verso il mezzogiorno, invece, per la maggiore altitudine e la più antica natura del suolo, predominano le conifere; e il trasporto del legname presenta assai maggiori difficoltà.
Fra le colture prevalgono i cereali: il mais, che, data la continentalità del clima, a piogge estive, riesce abbastanza bene dovunque trovi calori sufficienti e costituisce la base dell'alimentazione degli abitanti; il frumento invernengo, al quale si riservano i terreni migliori; i cereali minori, che più si adattano alla lunghezza e rigidezza degl'inverni e alla povertà dei suoli.
Le colture cerealicole sono più sviluppate nel settentrione della regione, dove raggiungono anche una superficie tutt'altro che trascurabile i frutteti, costituiti, soprattutto, di susini, ciliegi, peri, meli, cotogni, ecc.; nel mezzogiorno, invece, prevalgono gli albicocchi, i fichi, i mandorli, i peschi.
Fra tutti questi alberi, poi, è il susino che ha di gran lunga la maggiore importanza nell'economia regionale. Si vuole che si producano, in media, oltre un milione di quintali di susine all'anno, sebbene dai tecnici si lamenti la mancanza di ogni cura dell'albero da parte degli agricoltori. Le susine dànno luogo ad una vera e propria industria per la confezione dell'acquavite (slivovica) e delle marmellate, come per la seccagione, che, in generale, è fatta dai produttori stessi. La coltura del susino è specialmente diffusa lungo la Sava: nella Posavina e nella bassa valle del Vrbas, specialmente nei dintorni di Banialuka; ma è anche sviluppata nell'interno, specialmente intorno ai villaggi e ai centri più importanti, perché l'acquavite di susina sostituisce il prodotto della vite, poco coltivata per l'insufficienza delle temperature estive.
Non è trascurabile la coltura di alcune piante industriali, come il tabacco, che però viene generalmente importato in Bosnia dall'Erzegovina, la barbabietola da zucchero, ecc.
Le precipitazioni distribuite durante tutto l'anno e la montuosità della regione hanno permesso un grande sviluppo dell'allevamento, soprattutto di quello bovino e ovino, a cui tengon dietro per importanza il bestiame suino e quello da cortile.
Se nella regione bosniaca prevalgono i terreni mesozoici, non mancano, come si è visto, quelli delle ere più antiche e qua e là sono a giorno filoni ed espandimenti di rocce eruttive: non sorprende, quindi, di trovare nella Bosnia una grande varietà di minerali, metallici o non metallici, fra i quali non vengono esclusi neppure i metalli preziosi. La tradizione, confermata da diversi indizî, vuole che minerale aurifero esista nelle montagne alla sinistra della Drina, intorno a Zvornik; tracce d'oro si trovano nella sabbia di alcuni fiumi, come il Vrbas, la Bosna, la Drina. Non mancano l'argento, il piombo, l'antimonio, il manganese, e specialmente il rame, mentre presso Vareš si hanno giacimenti di cromo.
Di gran lunga la maggiore ricchezza mineraria della regione è rappresentata dai giacimenti di carbone e di ferro. Naturalmente, per il prevalere delle rocce secondarie e terziarie, anzi che carbon fossile vero e proprio è la lignite che abbonda in questa regione e che si trova un po' disseminata dovunque. Si calcola che siano 7 i bacini lignitiferi maggiori e 20 quelli minori. Purtroppo, la qualità della lignite è scadente, perché troppo ricca di zolfo; ma si può calcolare, nel dopo guerra, secondo il geologo Wray, su una produzione media annua che non resta molto al di sotto del milione di tonnellate.
La Bosnia è assai ricca di minerali di ferro, costituiti principalmente da sideriti. Sono anche da ricordare i giacimenti salini.
In un paese aspro e montuoso, di difficile accesso e perciò povero di vie naturali ed artificiali, dove la popolazione, di diverse confessioni, ha dovuto vivere per secoli e secoli in continua guerra per difendere la propria indipendenza oppure ha dovuto soggiacere al dominio turco, in un paese non lontano da regioni più ricche e assai più progredite industrialmente, le industrie non trovano certo terreno favorevole per svilupparsi. Nella Bosnia le industrie hanno infatti poca importanza, poggiano sulle ricchezze naturali della regione e consistono soprattutto nell'estrazione del carbone e del ferro, nel taglio e nella prima lavorazione del legname, nella fabbricazione della carta, nella molitura del grano e del granturco, nella lavorazione del cuoio, nell'estrazione dell'acquavite di susine, in una tradizionale lavorazione della lana e della seta. È ancora diffusa in alcune valli una primitiva lavorazione del minerale di ferro fatta con piccole fornaci, i majdan, per la fabbricazione di chiodi e utensili varî.
Particolarmente diffuse sono le industrie che assoggettano il legname a una prima o a ulteriori lavorazioni, e numerose sono le seghe e pialle meccaniche, le fabbriche di cellulosa, di carta, doghe da botti, ecc. Questa del legname è certamente l'industria più importante della Bosnia, perché occupa circa trentamila operai.
E il legname, grezzo o squadrato, costituisce il più importante oggetto di esportazione all'estero; accanto ad esso si esportano pure per cifre non trascurabili le susine secche, il bestiame vivo, le uova, ecc. Ma sia il commercio estero, sia quello interno trovano un grave ostacolo al loro sviluppo nella scarsezza delle comunicazioni.
Sebbene migliori che in qualche altra provincia del regno iugoslavo, sono per lo più in cattivo stato le vie di comunicazione in tutta la parte montuosa della Bosnia, vale a dire nella maggior parte della regione; difettano le vie di allacciamento dall'una all'altra valle. Scarseggiano anche le ferrovie, di cui solo un centinaio di chilometri circa, sul tratto Dobrljin-Banialuka, è a scartamento normale, mentre l'altro migliaio di chilometri circa delle strade ferrate statali è a scartamento ridotto, e gli altri 800 chilometri circa di ferrovie private industriali sono di sistema simile al Decauville. In linea di massima, la regione è chiusa verso il mare dai Velebiti e dalle Alpi Dinariche, che digradano moderatamente verso l'interno, ma si ergono con pendio assai ripido sulla costa adriatica, rendendo difficile il transito ai porti. Solo una linea ferroviaria, attraverso le valli dell'Una, della Sana e della Cherca, mette in comunicazione il NO. minerario e boschivo della Bosnia coi porti di Sebenico e di Spalato; e un'altra linea, che attraversa le valli della Bosna e della Narenta, e che si allacciata alla prima mediante una lunga ed erta ferrovia trasversale, collega con Ragusa e con le Bocche di Cattaro tutto l'interno della regione.
Una notevole importanza hanno pure le vie acquee, soprattutto per la fluitazione o per il trasporto del legname eseguito mediante zattere.
La Bosnia, che come si è detto conta insieme con l'Erzegovina poco meno di due milioni di abitanti, è abitata da Slavi meridionali, dai Bosniaci. Di religione, essi sono per oltre un terzo greco-ortodossi, per meno di un terzo musulmani, e quanto ai rimanenti, la maggior parte è composta di cattolici romani; inoltre si riscontrano piccoli nuclei di ebrei, ecc.
La popolazione ha una densità assai bassa, appena 37 abitanti per kmq., ed è in grandissima maggioranza rurale.
Fra i maggiori centri solo Sarajevo supera i 50 mila ab.
Bibl.: Landesregierung für Bosnien u. Hercegovina, in Die Landwirtschaft in B. u. H., Vienna 1899; J. Cvijić, Morphologische und glaciale Studien aus Bosnien, der Hercegovina u. Montenegro, I: Das Hochgebirge u. die Cañonthäler, Vienna 1900; II: Die Kartstpoljen, Vienna 1901; E. Richter, Beiträge zur Landeskunde Bosniens u. der Herz., in Wissenschaftliche Mitt. aus B. u. der H., X (1907); J. Cvijić, L'annexion de la Bosnie et la question serbe, Parigi 1909; F. Katzer, Die Eisenerzlagerstätten Bosniens u. Herz., Vienna 1910; G. Gravier, La question agraire en Bosnie-Herz., in Questions Diplomat. et Colon., XXXII, 1 dicembre 1911; F. Katzer, Die fossilen Kohlen Bosniens u. d. Herz., I, Vienna 1918; II, Sarajevo 1921, pubbl. statali; id., Geologie Bosniens u. d. Herz., I, Sarajevo 1924; H. Maier, Die deutschen Siedlungen in Bosnien, Stoccarda 1924; oltre alle fonti statistiche, per le quali v. la voce iugoslavia.
Storia.
1. L'antichità. - Già nella lontana epoca neolitica la Bosnia era abitata. Le tracce degli abitati neolitici vi sono numerose ed importantissime: fra tutte le località, ove si trovarono non solo tracce ma intere fabbriche di oggetti neolitici, merita il primo posto Butmir, la cui ceramica, con ornamentazione a spirale, non è uguagliata da alcun'altra ornamentazione neolitica. Vi si sono trovate anche numerose statuette, verosimilmente idoli. Accanto a Butmir, Donji Klakar e Novi Šeher sono le più cospicue fra le località prettamente neolitiche. L'odierna capitale della Bosnia-Erzegovina, Sarajevo, coi suoi dintorni (Sobunar, Zlatište, Debelo Brdo), fu abitata dall'uomo nell'epoca neolitica, in quella del bronzo e in tutte le posteriori, che lasciarono le loro numerose tracce. Le località di Varvara e Čungar appartengono allo stesso tipo misto; le palafitte di Ripač sull'Una e Donja Dolina (vicino a Gradiška) sulla Sava hanno dato ricchissimi trovamenti delle ehoche del bronzo e di Hallstatt. Non si sono invece scoperte località che appartengano puramente e semplicemente all'epoca del bronzo.
Per i suoi trovamenti neolitici la Bosnia ha dunque un posto cospicuo nella civiltà neolitica europea; ma assai più ancora essa emerge nell'epoca di Hallstatt, quando nella sua parte centrale, all'ovest di Sarajevo, si svolse sull'altipiano di Glasinac una forte civiltà, che si allargò sulle zone adiacenti fino all'Adriatico. Sul Glasinac vi sono più di 5000 tumuli, pieni di armi, utensili, ceramica, ornamenti, ecc., spesso di bellissime forme. All'epoca di Hallstatt appartiene anche la necropoli di Sanski Most, sulla Sana, confluente dell'Una, che è indipendente nelle sue forme da quella di Glasinac. La necropoli di Jezerine (vicino a Bihać) esisteva sia nell'epoca di Hallstatt, sia in quella di La Tène, mentre quella di Ribići (Bihać) è di quest'ultima epoca.
Le relazioni della Bosnia col mondo mediterraneo, che si possono rintracciare già nell'epoca neolitica, sono evidenti nelle epoche del bronzo, di Hallstatt e di La Tène. Il movimento commerciale col mondo greco s'incanala per la via della Narenta, vicino alle cui foci troviamo già nel sec. V a. C. l'emporio di Narona. Anche le relazioni fra la Bosnia e l'Italia nell'epoca di Hallstatt sono manifeste, come provano gli elmi etruschi trovati, uno nelle rovine di Čungar vicino a Cazin, e l'altro a Vrankamen vicino a Krupa, il gran numero di fibbie del tipo detto della Certosa e lo skyphos etrusco di Sanski Most, alcune fibbie a Gorica (Ljubuški), una fibbia a navicella della palafitta di Donja Dolina.
I più antichi abitanti dell'odierna Bosnia ed Erzegovina, secondo i risultati degli studî, furono i Traci. Verso la fine del secondo e il principio del primo millennio a. C. penetrarono nella regione gl'Illiri, che soggiogarono i Traci; finalmente nella prima metà del sec. IV a. C. vi calarono i Celti, i quali soggiogarono una parte degl'Illiri e si allargarono fino all'Adriatico e alla Narenta.
Ma gli Ardiei, tribù illirica, abitante il litorale al nord delle foci della Narenta, riuscirono nel sec. III a. C. a fondare un proprio stato, che si estendeva fino all'Epiro, con la capitale a Risano nelle Bocche di Cattaro. Pirati indomiti, gl'Illiri (v.) furono schiacciati da Roma nel 229 e nel 219; varcato poi l'Adriatico, Roma progredì a poco a poco verso l'interno della penisola balcanica. Già nel 167 i Daorsi (nell'odierna Erzegovina) furono dichiarati soci romani; nel 156 il console C. Marcio Figulo entrava nella Narenta e cominciava la dura guerra coi Dalmati, stanziati dal Cetina fino al Cherca e dall'odierno litorale dalmata oltre le Dinaridi fino a Vrbas, cioè in tutta la parte occidentale dell'odierna Bosnia ed Erzegovina con la capitale a Delminium (probabilmente vicino all'attuale Županjac). La lotta, cominciata nel 156, si prolungò a varie riprese, per 169 anni (v. dalmazia; roma), finché dopo una resistenza disperata Bato, il condottiere dell'ultima insurrezione contro i Romani, si arrese nel 9 d. C. Così finì l'ultima insurrezione.
L'organizzazione romana dei territorî bosniaci diede alla terra pace e tranquillità. Le nuove fortezze presidiate da forti distaccamenti e le strade, che agevolavano le comunicazioni, erano tutela e guardia del nuovo acquisto. L'odierna Bosnia (ed Erzegovina) apparteneva alla provincia romana di "Dalmatia", esclusa la parte al nord di Banjaluka, che invece era compresa nella provincia Pannonia. Salona era la capitale, ma giuridicamente la Bosnia era divisa fra i tre conventi giuridici dalmati: Narona, Salona e Scardona. Domavia (Gradina presso Srebrenica, all'estremo ovest della Bosnia) era il centro amministrativo di tutte le miniere d'argento delle provincie Dalmatia e Pannonia. L'amministrazione, l'esercito, il culto, l'organizzazione sociale, i rapporti economici romanizzarono presto le vallate dei fiumi, mentre nelle parti meno accessibili la romanizzazione procedeva lentamente. Presto sorsero colonie e municipî: nell'odierna Bosnia esisteva una colonia Ris... (oggi Rogatica): una colonia romana, della quale non conosciamo il nome, era vicina all'odierna capitale Sarajevo; Domavium era colonia sotto Treboniano Gallo (251-253). I municipî romani furono Bistue Vetus (Varvara alla sorgente della Rama), Bistue Nova (Zenica), Salvium (Grkovci vicino a Livno) e Domavium ancora sotto Severo. Delle città di Skelani (sulla Drina), Šipova (valle della Pliva), Gradac, Stolac, Delminium, non sappiamo se fossero colonie o municipî. Esistevano poi altri luoghi romani, sorti vicino alle fortificazioni di difesa dei confini (Ad Fines, Ad Turres), ai ponti (Pons Tiluri), alle strade (Bivium) e alle miniere (come Argentaria, Salinae-Tuzla). Moltissimi i monumenti romani, trovati nell'odierna Bosnia (ed Erzegovina); lapidi, statue, monete, gemme, vasellame, ecc., rovine di città, castelli e fortezze (Domavium, Delminium, Mogorjelo, Stolac, ecc.), fòri, templi, mosaici, case, bagni, interi mitrei con bellissimi rilievi (Konjic, Lisičići), che dimostrano quali fossero le condizioni delle terre bosniache all'epoca romana.
Nel 395 la Bosnia (e l'Erzegovina), che ancora faceva parte della Dalmatia, fu assegnata alla parte occidentale dell'Impero; nel 476 cadde in potere dei Goti, che però la dovettero restituire già verso il 530 all'Impero d'Oriente.
2. Il Medioevo slavo. - Comincia in questo periodo la penetrazione degli Slavi, che lentamente varcavano la Sava e passavano in Bosnia. Al principio del sec. VII la Bosnia è già colonizzata con l'elemento slavo; nel sec. IX la Bosnia è già cristiana. Di formazioni statali slave invece, per il primo periodo, non v'è traccia: i nuovi abitatori vivevano in tribù. Solo nel sec. IX i Croati formano uno stato sull'Adriatico, nell'odierna Dalmazia al nord di Cetina e nelle parti occidentali dell'odierna Croazia, mentre i Serbi si organizzano a vita statale nell'odierno Novi Pazar e Montenegro.
Per comprendere la storia della Bosnia medievale occorre anzitutto tener presente che il concetto geografico-politico dell'odierna Bosnia è molto diverso dal medievale. La Bosnia è nominata espressamente per la prima volta nel 950 da Costantino Porfirogenito, come parte essenziale della Serbia: era solo il territorio attorno al corso superiore del fiume Bosna, cioè il territorio fra la Drina superiore, e i monti Bjelašnica, Ivanplanina, Čvrstnica, Komar e Vlašić, il territorio cioè nel quale sono oggi Sarajevo, Travnik, Rogatica e Višegrad. Tutti gli altri territorî all'est, formavano parte essenziale della Croazia (così Livno, Glamoč, Jajce, Banjaluka), e quelli a ovest, della Serbia (così Tuzla e Zvornik). L'odierna Erzegovina, a sud della Narenta inferiore, era regione serba separata (si chiamava "Humska Zemlia", "Zahumlje"), e così anche tutto il litorale fino alla Bojana, mentre l'interno, attorno ai fiumi Piva, Tara e Lim (Novi Pazar), faceva parte della Serbia.
Dopo il 960 (cioè dopo la morte del principe serbo Časlav) la Bosnia non faceva parte della Serbia, e fu verosimilmente per alcun tempo parte della Croazia; alla fine del sec. XI è di nuovo compresa nello stato serbo del re Bodin, ma dopo la morte di lui (1102) diventa banato indipendente. Come tale essa si unisce verso il 1120 all'Ungheria, e il bano di Bosnia (il primo di cui conosciamo il nome è Borić, verso il 1150-1167) diventa vassallo del re d'Ungheria. Fra il 1167 e il 1180, sotto l'imperatore Manuele Comneno, la Bosnia appartiene all'Impero bizantino; dopo la morte di Manuele, in Bosnia è bano Kulin (1180-1204), che è vassallo del re d'Ungheria. Kulin, sotto il cui governo la regione progredisce, viene denunziato a Roma come appartenente alla setta dei "bogomili" (v.) che allora aveva in Bosnia moltissimi seguaci; ma egli nega di appartenervi. Contro il bano bogomilo Ninoslavo (1232-1250) gli Ungheresi invece conducono una crociata; ed egli, per non perdere il banato, deve dichiararsi contro i bogomili. Dopo la sua morte gli Ungheresi s'impadroniscono della Bosnia e la dividono in più parti.
Il conte croato Paolo di Bribir (Šubić), fautore principale degli Angioini in Ungheria, diviene padrone della Bosnia nel 1298 e la dà al figlio Mladeno: questi a sua volta cede le parti meridionali in amministrazione a Stefano Kotromanić, un discendente di Kulin. In lotta con i conti croati a cui Stefano Kotromanić si unisce, Mladeno cerca rifugio presso il re Carlo d'Ungheria; ma il re lo fa prigioniero e dà il banato di Bosnia a Stefano Kotromanić (1314-1353), al quale succede nel 1354 Tvrtko I (1354-1381). Acquistate alcune parti della Serbia, in dissoluzione dopo la morte dello zar Dušan, Tvrtko approfitta dello spegnersi della dinastia dei Nemanidi di Serbia (1371) per incoronarsi nel 1377 "re dei Serbi, della Bosnia, Primorje, ecc.", e nelle lotte che scoppiano in Ungheria dopo la morte del re Luigi II (1382), comincia a dilatare i confini del suo regno verso l'Adriatico e verso nord. Tutta l'odierna Dalmazia, fuorché Zara e il territorio di Ragusa, diviene sua. Spalato, Traù, Almissa, Sebenico, le isole di Lesina, di Brazza, di Curzola, le Bocche di Cattaro, appartengono a lui, sì che egli aggiunge al titolo precedente quello di "re di Croazia e Dalmazia".
Ma alla sua morte scoppiano in Bosnia lotte per la successione, che indeboliscono il potere regio. La prepotenza dei varî dinasti, il desiderio del re d'Ungheria Sigismondo di assoggettare di nuovo la Bosnia, i papi che vogliono sradicare i bogomili, sono le cause d'indebolimento del regno. Così questo diviene preda dei Turchi. L'ultimo re di Bosnia, Stefano Tomašević (1461-1463), fatto prigioniero dai Turchi, è ucciso con alcuni suoi magnati. Venti anni dopo, nel 1482, anche l'Erzegovina cade sotto il dominio turco; i tentativi ungheresi di riscossa falliscono. Nel 1480 essi penetrano fino a Sarajevo: ma devono poi ritirarsi; nel 1528 cade Jajce e i Turchi diventano padroni di tutto il territorio a sud della Sava.
3. Il dominio turco. - I nuovi padroni della Bosnia furono salutati con gioia da una grande parte degli abitanti, e cioè dai bogomili, perseguitati prima dai cattolici e dagli Ungheresi. Molti di loro, e primi i capi, abbracciarono tosto la religione musulmana, e mantennero così i loro possessi e l'antica posizione sociale. Ma sugli animi di quelli che rimasero cristiani il nuovo dominio, col nuovo sistema agrario, con le contribuzioni nel sangue e nell'avere, creò un odio inestinguibile; e i cristiani divennero un elemento sempre pronto a insorgere, quando si presentasse l'occasione. Gli stessi vescovi greco-orientali non esitarono a entrare in relazioni con Roma, pur di liberarsi dal giogo turco.
Nel 1697, nella guerra della Lega santa, il principe Eugenio di Savoia giunse fino a Sarajevo, ma poco dopo si ritirò. La pace di Carlovitz (1699) toglieva ai Turchi i territorî dell'odierna Dalmazia e Croazia che fino allora avevano fatto parte della Bosnia, mentre questa vedeva fissati verso la Dalmazia i suoi confini che continuarono a sussistere nei secoli seguenti. L'Una e la Drava diventarono i suoi confini verso la Croazia.
Le relazioni commerciali e politiche fra la Bosnia e Venezia, che nel Medioevo erano state sempre ottime (alcuni re e magnati bosniaci furono fatti cittadini veneti), non si interruppero sotto il dominio turco. Nel sec. XVI i Veneziani, per la via di Spalato, ove eressero un grande scalo con eccellente lazzaretto, passavano in Bosnia con le merci, le vendevano a Sarajevo e in altre piazze; oppure attraverso il territorio bosniaco andavano in altre terre balcaniche, fino a Costantinopoli ed oltre. Per la stessa via tornavano indietro; e vi passavano ugualmente moltissimi negozianti turchi con le loro merci, che venivano imbarcate sulle galere venete a Spalato per passare a Venezia. Questo commercio durò per tutto il sec. XVII e per tutto il XVIII.
Nel sec. XIX i cristiani della Bosnia ed Erzegovina cominciarono a insorgere. La loro posizione miserissima di contadini soggetti al padrone turco, le pesanti imposte nel sangue e nell'avere estorte senza scrupoli, l'esempio della Serbia già libera, tutto fomentava nei loro animi l'odio contro i Turchi. Nel 1852 e nel 1857 insorsero gli Erzegovesi, spronati dal principe di Montenegro Danilo Petrović. La marcia trionfale di Garibaldi nell'Italia meridionale, nel 1860, eccitò in Erzegovina ammirazione per l'eroe italiano e volontà di seguire il suo esempio e liberarsi dal giogo straniero. Nel 1861 insorsero pertanto gli Erzegovesi condotti da Luca Vukalović. Agl'insorti si unirono garibaldini italiani.
Nel 1875 scoppia nell'Erzegovina un'altra insurrezione contro le autorità turche; il moto si diffonde rapidamente anche in Bosnia e incontra molte simpatie in Italia, specialmente nei circoli democratico-repubblicani; nelle principali città si tengono pubbliche adunanze a prò degli insorti e si raccolgono denari per aiutarli. Il governo turco, resosi conto della situazione, mentre la insurrezione era in pieno svolgimento, procede a una riforma dell'amministrazione bosniaca in forza della quale, dal 1° marzo 1876, tutti i capi delle autorità locali vengono mutati, garantita la libertà religiosa a tutte le confessioni, e abolite le decime e le requisizioni.
Ciò non pertanto il governo turco non riesce a pacificare le due provincie. Intanto scoppia la guerra russo-turca del 1877-78, i cui risultati si concretano nella pace di S. Stefano. Ma la posizione acquistata dalla Russia con quella pace provoca l'intervento della diplomazia europea che costringe la Russia ad accettare le disposizioni del congresso di Berlino, dove Andrássy ottiene, col noto art. 25, l'occupazione e l'amministrazione della Bosnia e della Erzegovina da parte dell'Austria-Ungheria, facendosi pure riconoscere il diritto di tenere guarnigioni austro-ungariche nei posti più importanti del sangiaccato di Novi Pazar. L'occupazione della Bosnia e dell'Erzegovina avviene rapida, ma non senza una violenta resistenza da parte degl'indigeni e di bande irregolari. La posizione giuridica delle due provincie viene regolata con la convenzione fra l'Austria-Ungheria e la Turchia, stipulata il 21 aprile 1879, in virtù della quale, riconosciuta l'occupazione, viene esplicitamente dichiarata salva la sovranità del sultano. L'amministrazione viene gestita in nome dell'imperatore d'Austria e re d'Ungheria, per mezzo del ministro comune delle finanze, dal quale dipende l'ufficio per gli affari della B.-E. La suprema autorità provinciale è il governo provinciale, con sede a Sarajevo, competente per l'amministrazione interna, gli affari di culto, finanziarî e di giustizia. Altro organo importante, che coopera con il governo provinciale, è il consiglio provinciale amministrativo, costituito dai dignitarî ecclesiastici di Sarajevo e da 12 rappresentanti della popolazione. Analoghi consigli vengono costituiti anche accanto alle autorità circolari e distrettuali. Nel 1881, con un decreto imperiale (24 ottobre) viene nelle due provincie introdotto il servizio militare, che provoca un'insurrezione presto repressa. Nel 1892 viene introdotto un nuovo codice penale; nel 1893 vengono abolite le prestazioni in natura (roboti).
L'amministrazione austro-ungarica contribuì largamente allo sviluppo delle due provincie, migliorò le condizioni economiche, dando impulso al commercio e alle iniziative industriali, creando in quelle regioni un'importante rete ferroviaria.
Il 7 ottobre 1908, in seguito alla rivoluzione dei Giovani Turchi, Francesco Giuseppe estese i suoi diritti di sovranità sulle provincie occupate, rinunciò però al diritto di tenere guarnigioni nel sangiaccato di Novi Pazar, e nel 1909 garantì alla Turchia un'indennità per i beni dello stato. Entrate così a far parte del complesso austro-ungarico, le due provincie ottennero una propria amministrazione e una dieta a rappresentanza confessionale, che venne inaugurata il 15 giugno 1910.
Ma l'annessione provoca nel paese, e più ancora nella vicina Serbia, una vasta agitazione politica. Gli emissari delle organizzazioni nazionaliste serbe trovano in quelle provincie un campo adatto alla loro attività. Le agitazioni contro l'Austria-Ungheria assumono sempre più pericolosi aspetti; nel 1912 a Sarajevo hanno luogo violente e sanguinose dimostrazioni antimagiare, il 28 giugno 1914 l'erede al trono degli Asburgo, l'arciduca Francesco Ferdinando, viene ucciso a Sarajevo da un gruppo di congiurati serbi. E fu questo il punto di partenza della guerra mondiale. Sfasciatasi la monarchia degli Asburgo, nella pace di Saint-Germain la Bosnia fu assegnata al regno dei Serbi, Croati e Sloveni.
Bibl.: Thalloczy, Geschichte Bosniens und Herzegovinas, Vienna 1901; Patsch, Bosnien und Herzegovina in römischer Zeit, Sarajevo 1911; id., Herzegovina einst und jetzt, Vienna 1922; V. Čorović, Bosna i Hercegovina, Belgrado 1925. Cfr. anche Gr. Novak, Italja prema stvaranju Jugoslavije (L'Italia e la creazione della Jugoslavia), Zagabria 1925.