BOSONE di Toscana
Figlio secondogenito di Teobaldo, conte di Vienne e Arles, e di Berta, nacque dopo l'880-881, poiché a questi anni è possibile far risalire la nascita del fratello maggiore Ugo.
La sua famiglia, una delle più eminenti della nobiltà carolingia, più volte era intervenuta nelle vicende italiane. Il nonno paterno Hucbert de Saint-Maurice era fratello di Teutberga, moglie di Lotario II, e del conte Bosone attivo in Italia nella seconda metà del sec. IX; il padre Teobaldo, cugino del re Bosone, era uno dei maggiori potenti nel regno di Provenza; la madre Berta era figlia di Lotario II, re di Lorena, e della sua concubina Waldrada. Alla morte di Teobaldo, Berta si risposò con il marchese di Toscana Adalberto.
Alla morte del padre Teobaldo, Ugo e B. gli successero nei diritti esercitati nel territorio di Vienne. In seguito, poi, all'accecamento dell'imperatore Ludovico, avvenuto a Verona nel 905, Ugo divenne conte di Arles e raggiunse nel regno di Provenza un potere quasi regale, mentre B. ottenne la contea di Avignone.
Già in questo periodo, la carriera di B. è legata a quella del fratello maggiore. Lo seguì nella prima spedizione in Italia (probabilmente nel 907: Hlawitschka, p. 82) che ebbe esito sfortunato. Nel 926 Ugo, divenuto re d'Italia, affidò al fratello minore il governo della Provenza. Cinque anni più tardi si fece da lui raggiungere in Italia.
B. appare qui per la prima volta il 17 ott. 931 quando interviene presso il re a favore della Chiesa di Aquileia; non ha ancora il titolo di marchese e non c'è nessun indizio di un legame fra B. e la Toscana. Del titolo marchionale B. si fregia per la prima volta il 1º luglio 932, quando accoglie a Lucca il re e interviene per una donazione di questo a favore della chiesa cittadina di S. Martino.
La discesa di B. in Italia deve essere messa in relazione con due fatti decisivi per il governo di Ugo: l'associazione del giovane Lotario al trono, nel 931, e la lotta contro i potenti marchesi del regno. Riuscito ad assicurare la continuità della propria dinastia, il re si ritenne abbastanza forte da combattere la potenza dei marchesi che nei loro domini esercitavano un governo quasi autonomo, al fine di trasfomarli in funzionari da lui diretti e controllati. Il primo a subire questa prova di forza fu il marchese Lamberto di Toscana, figlio del marchese Adalberto e, per sua madre Berta, fratellastro di Ugo.
Secondo il racconto di Liutprando, in Italia correva voce che Berta non avesse avuto figli da Adalberto e che per garantirgli la successione aveva simulato il parto e presentato come suoi i figli di altri. Ugo proibì a Lamberto di dichiararsi suo fratello. Lamberto sollecitò allora un duello giudiziario e lo vinse: però Ugo, istigato da B., il quale aspirava a ottenere il marchesato, fece arrestare Lamberto, che venne accecato in carcere. La voce della mancata maternità di Berta sarebbe stata diffusa dallo stesso Ugo allo scopo di sposare senza biasimo Marozia, vedova dell'altro figlio di Berta e di Adalberto, Guido. Ma Liutprando dice chiaramente che queste sono sue personali congetture. In realtà sembra che Ugo sollevasse dubbi sulla legittimità del solo Lamberto e non di Guido e di Ermengarda, che riconosceva come suo fratello e sua sorella. L'azione contro Lamberto rientra perciò nella politica da lui perseguita volta a privare i marchesi di Toscana di quella posizione di tipo vicereale che erano riusciti a raggiungere nella seconda metà del sec. IX. A quanto sembra, Ugo non voleva all'inizio cacciare Lamberto, ma tendeva soltanto a ottenere che questi riconoscesse il proprio potere derivantegli non da diritto ereditario, bensì da concessione regia. La lotta scoppiò allorché Lamberto si rifiutò.
Del governo di B. in Toscana abbiamo scarse notizie: conosciamo alcuni suoi interventi presso il re a favore delle Chiese di Lucca e di Arezzo, e i suoi messi compaiono fino al 17 sett. 936, quando sono inviati a controllare le permute di beni compiute dalla Chiesa lucchese. Dopo questa data, e nel corso dello stesso anno, B. perse il marchesato. Approfittando di una spedizione armata verso Roma, Ugo lo depose e affidò la Toscana al figlio naturale Uberto.
Il motivo della sua eliminazione dalla scena politica è spiegato da Liutprando, secondo il quale B., istigato dalla moglie Willa, avrebbe complottato contro il re. Ugo, informato in tempo, catturò il fratello, gli confiscò i beni e inviò Willa in Borgogna. Si può supporre che B. non rispondesse alle aspettative di Ugo per quanto riguarda il governo del marchesato, che dovette continuare a costituire, anche sotto di lui, un organismo relativamente autonomo. Inoltre, una minaccia contro Ugo e la sua dinastia poteva risultare dal matrimonio di Willa, figlia di B., con Berengario d'Ivrea: per la politica di Ugo, un'alleanza di B. col più potente dei grandi italiani avrebbe segnato il fallimento (tuttavia nel 936 le relazioni tra Ugo e Berengario sembrano mantenersi ancora buone).
Dopo la perdita del marchesato mancano notizie sicure su B., e si ignora l'anno della sua morte. Probabilmente è lui quell'"inclitus comes Boso" che intorno al 940 donò beni nel territorio di Vienne al monastero di St.-Barnard-de-Romans, dato che in quel territorio Ugo aveva possessi e che proprio Ugo aveva restaurato e guidato il monastero stesso.
Dalla moglie Willa, ritenuta da alcuni, ma senza prove sufficienti, la sorella di Rodolfo (II) re di Borgogna e d'Italia, B. ebbe quattro figlie: Richilda, Gisla, Willa e Berta. Willa sposò Berengario d'Ivrea. Berta fu data in moglie prima a Bosone fratello di Rodolfo re di Francia e poi, alla morte di questo, a Raimondo marchese di Settimania e duca di Aquitania. Con l'aiuto di Raimondo e Berta re Ugo sperava nel 947 di piegare ancora una volta il marchese Berengario; e a Berta Ugo lasciò in eredità il suo tesoro. Delle due altre figlie di B. si conosce soltanto il nome.
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