BOSSI (Bossi-Urbani)
Celebre famiglia di organari italiani di origine svizzera. Il capostipite Antonio, nato a Mendrisio (Canton Ticino) presumibilmente nel primo quarto del sec. XVI, rimasto orfano di padre, apprese l'arte organaria in un convento di religiosi e cominciò a fabbricare organi verso il 1550.
La fama della sua perizia si diffuse rapidamente e si affermò ancor più con il figlio Gabriele, che fu così valente da "venire a grido" (Giani) oltre i confini della sua patria.
Nel 1635 Gabriele, dopo aver aperto il suo laboratorio per la fabbricazione degli organi in Bergamo, a Borgo Canale, ebbe l'incarico di costruire l'organo della chiesa di S. Salvatore a Venezia, per il quale strumento, secondo il Giani, vennero scritti sonetti in sua lode. Nel 1688 aggiustò i mantici e accordò i famosi organi del duomo di Como, costruiti dal gesuita olandese W. Hermans nel 1650. Attivo ancora a Bergamo fu Giuseppe Antonio, figlio di Gabriele, autore dell'organo del duomo di Bergamo, notevole "per la forza e il timbro delle voci come pure per la bontà del materiale" (Traini, 1958), e di un lavoro eseguito nel 1718 agli organi del duomo di Como, mentre suo figlio AngeloI fu costretto a provvedersi di un nuovo domicilio a Milano (con deposito degli oggetti spettanti all'arte sua) per attendere a tutte le commissioni che gli venivano affidate. Di Angelo I si ricordano diversi strumenti collocati nelle chiese dei paesi del Bergamasco, a Cologno, a Calcinate, a Leffe, a Gorlasco, ecc.
I figli di Angelo I, Giuseppe e Francesco, vissuti nella seconda metà del sec. XVIII, continuarono la loro attività a Bergamo, avendo aperto ciascuno una propria fabbrica nella stessa casa di Borgo Canale. A Giuseppe si devono l'organo enarmonico (cioè, con tutti i quarti di tono) per il conservatorio delle malmaritate di Milano (1780), commissionatogli dal duca Gian Galeazzo Serbelloni, l'organo della basilica di S. Maria Maggiore di Bergamo e altri notevoli lavori.
Sembra che, oltre alla sua precipua attività di organaro, Giuseppe s'interessasse anche della vita civile del suo paese, poiché nel 1798 appoggiava L. Mascheroni nei suoi progetti di riforma generale della pubblica istruzione per la Repubblica cisalpina.
Francesco restaurò e ampliò nel 1781 l'organo della chiesa di Tagliuno. Figli di Francesco furono Giovanni, nato a Bergamo nel 1780 e morto improvvisamente a Padernello (Brescia) nel 1821 durante la collocazione di un nuovo organo, e Angelo II, nato a Bergamo il 19 luglio 1793 (ricordato in un discreto sonetto scritto dall'amico E. Roccataglia nel 1841 come "celebre fabbricatore d'organi") e morto dopo il 1843. L'attività dellafamiglia continuò poi con Carlo, figlio di Giuseppe, nato a Bergamo circa il 1765. Carlo lavorò dapprima a Parma, a Piacenza, in Piemonte e in Svizzera (a Lugano nel 1795 e a Bellinzona nel 1809), in Romagna, a Bergamo e infine a Lodi, dove si trasferì nel 1816. Gli organi più significativi da lui costruiti furono quelli del santuario di Monte Berico (1803), della chiesa di S. Agnese in Lodi (1824), dei cappuccini di Casalpusterlengo (1825) e della collegiata reale di Monticelli d'Ongina nel Piacentino, che fu inaugurato il 10 genn. 1830 dal famoso organista padre Davide da Bergamo. Fra le diverse particolarità di questo strumento, esemplare dell'organo italiano dell'epoca, venivano notati, infatti, nell'almanacco bergamasco Notizie patrie del 1831 (citato dal Traini, 1958), "certi meccanismi" che lo distinguevano "dalli altri organi d'Italia, per esempio un bellissimo feu volant che imita perfettamente una scarica di moschetteria. Vi sono inclusi tutti gli strumenti che si vogliono usare". Ancora nel 1832 lo stesso almanacco elogiava un grandioso organo costruito da Carlo, insieme con suo figlio Felice, per la collegiata di Aosta, lavoro che per le favorevoli accoglienze e i consensi ricevuti nel Regno sardo avrebbe determinato, in seguito, lo sviluppo di un'attività importantissima in Piemonte. Non meno notevole, inoltre, fu la sua opera di rinnovamento dell'organo di S. Pellegrino, nel 1786, e di restauro - secondo il Salamina - degli organi del duomo di Lodi.
Carlo morì a Bergamo il 5 apr. 1836, lasciando un'impronta tipica della sua lavorazione artistica, famosa per la "dolcezza dei Ripieni, dei Flauti e delle Voci Umane" (Giani), tanto che il Salamina, ricordando quella della famiglia di organari lodigiani Cavalli (attiva dalla prima metà del sec. XIX), poteva scrivere che essa risentiva "della limpidezza dei Bossi di Bergamo". I suoi quattro figli, Felice, Pellegrino, Girolamo (nati a Bergamo verso la fine del sec. XVIII) e Adeodato (nato a Bergamo nel 1805), continuarono tutti l'arte organaria, in un primo tempo con unica sede a Bergamo, acquistandosi una fama e una risonanza sempre più rilevanti e meritate, ove si consideri, inoltre, che nella stessa città operava già dal sec. XVIII la ugualmente celebre famiglia di organari Serassi (cui non andava, tuttavia, da parte dell'almanacco Notizie patrie del 1831, "la preferenza degli encomi"). In seguito, l'attività dei fratelli B. si distinse in due zone diverse: Felice, che aveva già collaborato con il padre alla costruzione dell'organo della collegiata d'Aosta, iniziava, infatti, nel 1841 a collocare organi in preferenza nella zona piemontese e infine nel 1850 trasferiva il suo domicilio a Torino, dove aveva aperto un nuovo laboratorio con deposito (poi stabiliva anche una succursale a Vercelli), mentre i fratelli più giovani proseguivano ad occuparsi degli organi della zona lombarda (Bergamo e Lodi).
Di questi fratelli, il più dotato d'ingegno e d'interesse per l'arte organaria, alla quale fin da giovanetto si dedicò, apportandovi notevoli progressi, fu Adeodato. Egli aggiunse al cognome Bossi quello di Urbani, per distinguere la propria ditta da quella del fratello Felice, con il quale, tuttavia, mantenne cordialissimi rapporti anche professionali. Fra i suoi numerosi lavori di particolare valore si ricordano: il grandioso organo di San Colombano al Lambro, inaugurato il 21 nov. 1842 dall'organista G. Vanelli e pochi mesi dopo (6 febbr. 1843) suonato dal padre Davide da Bergamo, che in merito a questo strumento riferiva al Giani (con lettera da Piacenza, 26 apr. 1843) che esso aveva due tastiere, quattordici mantici, centosette registri e "4.463 canne, diverse di materia e di grandezza: dalla minima di 4 once [circa 12 cm] alla massima di 12 braccia milanesi [circa 7 m]"; l'organo della basilica di S. Domenico a Bologna (1850), di cui ancora al presente è stata elogiata, nel ripieno, la disposizione originale e intelligente dei ritornelli e considerato singolare anche il ripieno al pedale di 8 file, dalla collocazione analoga a quella caratteristica della tradizione germanica nelle "torri di pedale" in facciata, dotato di una "terza"; l'organo della chiesa delle Stimmate di S. Francesco a Roma, inaugurato nel 1855 da G. Capocci e premiato con medaglia d'oro dalla Confraternita delle stimmate di s. Francesco, citato come bell'esempio di positivo tergale (attualmente in via di restauro suggerito dalla commissione di tutela per gli organi antichi e oggetto di un'importante relazione inedita del maestro G. Agostini) e l'organo del santuario della Madonna del Sasso in Locarno (1867), più tardi (1882) ampliato e rinnovato dallo stesso Adeodato.
Quest'organo, rimasto in efficienza fino al 1923, fu sostituito nel 1961 dal più grande strumento del Canton Ticino, a trasmissione elettrica con combinazioni fisse e aggiustabili, sotto la direzione di Luigi Balbiani, opera compiuta nel 1765 della ditta Balbiani Vegezzi Bossi di Milano.
Altri organi apprezzati furono quelli della chiesa di Ospedaletto (1857), di S. Maria del Sole a Lodi e del sobborgo lodigiano S. Bernardo (già opera del padre, Carlo), di Zerlasco, di Vidarto, della cattedrale e di S. Maria Maggiore a Bergamo (1857), il cui rinnovamento realizzò i desideri e i voti di G. S. Mayr, delle parrocchiali di Stezzano, di Verdello, di Leffe, di Calusco, di Romano e molti altri strumenti collocati a Reggio Emilia, a Piacenza, a Cremona, a Cortemaggiore, all'Aquila e persino a Smirne e a Pera. Pregio di tutti i suoi strumenti era la forza dei ripieni, la gradita modulazione delle voci e la solidità dei meccanismi (Locatelli), che testimoniavano la perizia del costruttore e la genialità dell'inventore.
Adeodato, infatti, ideò un perfezionamento nel sistema dei mantici, da lui chiamato "eolomotore" - premiato nel 1855 con medaglia d'argento dell'imperiale regio Istituto di scienze, lettere ed arti di Venezia e di Milano -, mediante il quale si otteneva quella forza uguale e costante di aria in modo da far risultare l'armonia omogenea e regolarmente intensa. Nel 1881 fu pure premiata all'esposizione di Milano un'altra sua invenzione, la "controbilancia", per vincere la resistenza del tasto alla impulsione delle dita dell'organista (una seconda piccola valvola, cioè, che, aprendosi prima, controbilanciava la pressione esercitata dalla colonna d'aria sulla valvola maggiore) e nel 1888 ottenne un diploma di benemerenza a Bologna. Nel 1887, benché fosse già in età molto avanzata, non esitò a cimentarsi in lavori di una certa arditezza e applicò per primo in Italia l'elettricità nella trasmissione meccanica del famoso doppio organo serassiano di S. Alessandro in Colonna a Bergamo, da lui restaurato e aggiornato in tutta la strumentazione. Per le sue autentiche doti di artista fu stimato e dai musicisti coevi G. S. Mayr, A. Ponchielli, A. Nini e A. Cagnoni. Morì a Bergamo l'8 giugno 1891, lasciando incompiuti gli organi di Spirano e del seminario vescovile di Bergamo.
Degno continuatore della sua fabbrica fu il nipote Luigi Balicco (nato a Ponte Nossa l'8 genn. 1833). Luigi, allievo del nonno e suo collaboratore nella fabbrica a Borgo Canale, rimase attivo nella zona lombarda fino al primo decennio del '900: in una cartolina pubblicitaria, forse stampata nel 1911, si rendeva noto che la ditta continuava con lo stesso nome e che organi "recentemente" costruiti erano quelli di Sorisole, del seminario vescovile di Bergamo, di Zogno, di Brembilla e di Ponte Nossa, mentre restauri, sempre di recente, erano stati apportati a quelli di S. Alessandro in Colonna e di S. Maria Maggiore a Bergamo, di Zanica e di Treviolo. Altri organi di Luigi sarebbero quelli di Ponte San Pietro, di Sedrina, di Mornico, di Bonate Sopra, ecc. Dopo la morte di Luigi, avvenuta il 15 agosto del 1911 a Ponte Nossa, dove egli stava collocando il nuovo organo parrocchiale, la tradizione organaria dei Bossi s'era concentrata con i discendenti di Felice e con risultati brillantissimi nel Piemonte, nella fabbrica di Torino. Felice, dopo i già citati esordi in collaborazione con suo padre Carlo nel 1832, s'era affermato, infatti, in Piemonte con una buona produzione e sosteneva ottimamente sul piano artistico la competizione dei Serassi. Fra i suoi lavori più importanti vengono ricordati gli organi della chiesa di S. Maria Maggiore a Vercelli (1841), della Madonna degli Angeli a Torino (1842), della parrocchia del Ponte a Garessio (1844?) e a Torino quelli della chiesa della Visitazione (missioni 1845), dei conventi delle Orfane (1852), delle suore sacramentine (1853) e dello Spirito Santo (1856, in coro). Nel 1842 aveva anche restaurato e ampliato egregiamente l'organo del duomo di Bergamo costruito dall'avo Giuseppe Antonio. Dal suo matrimonio con la vedova Angela Lorenzi Vegezzi Felice non aveva avuto figli, ma aveva adottato quello della moglie, Giacomo Vegezzi (nato a Bergamo nel 1825), che "fu il migliore organaro in Piemonte negli anni precedenti la riforma" (Moretti). Giacomo contribuì grandemente alla fama secolare della casa Bossi, arricchendo numerose chiese e conventi torinesi di magnifici strumenti, di cui i più celebrati rimangono quelli della chiesa di S. Dalmazzo (1864), di S. Agostino (1870) e del convento di S. Anna (1880). La sua personalità emerse, però, dai tre organi della chiesa metropolitana di Torino: il maggiore, collocato nella cappella del SS. Sacramento di fronte alla tribuna reale, a due tastiere e 54 registri (costruito nel 1874-75) e i due minori, in coro, con 15 registri e nella cappella della S. Sindone, con 13 registri (1880 e 1881, quest'ultimo con la collaborazione del giovanissimo figlio Carlo). Giacomo morì a Torino nel 1883.
Dei suoi sette figli (quattro, Felicita, Isabella, Carlo e Luisa avuti dalle prime nozze con Angela Olioli e tre, Annibale, Silvina e Francesco, dalle seconde nozze con Annetta Vittino nel 1865), soltanto Carlo e Francesco continuarono l'arte organaria. Francesco (nato a Torino nel 1870 e morto a Centallo nel 1943), "artefice coscienzioso, pieno di decoro professionale e organaro di razza", secondo il giudizio del Sizia (citato dal Moretti), dopo essere stato per lunghi anni direttore del laboratorio-canne di metallo alla fabbrica di Torino del fratello maggiore Carlo, si trasferiva poi a Centallo (Cuneo), avendo raccolto l'eredità dello zio materno Francesco Vittino ed essendo così diventato dal 1908 successore della fabbrica d'organi che colà i Vittino (famiglia, piemontese assai stimata) avevano avviata dal 1824. Sotto la direzione del figlio di Francesco, Carlo Vegezzi-B. junior, la fabbrica di Centallo continua attualmente la propria attività, mantenendo alta e onorata la tradizione dei Vittino-Vegezzi-Bossi.
Ma la figura più geniale della famiglia e senz'altro la più eminente di tutta l'arte organaria italiana negli ultimi decenni dell'Ottocento e i primi del secolo successivo, durante il movimento della prima riforma ceciliana, fu il cav. Carlo Vegezzi-B., figlio terzogenito di Giacomo. Questo "poeta dell'organo e il Cavaillé-Coll italiano" (Bontempelli) nacque a Torino l'11 febbr. 1858. Rimasto orfano molto giovane, dovette, come egli stesso ebbe a dichiarare, "fare tutto da sé". Nel 1884, appena venticinquenne, s'affermò all'Esposizione nazionale di Torino con il grande organo a tre tastiere e 100 registri (d'allora) per la chiesa di S. Massimo. Sebbene fossero presenti all'Esposizione torinese altri strumenti stimati (fra i quali uno a due tastiere dei Vittino di Centallo e uno a tre tastiere dei fratelli Collino), l'organo costruito da Carlo fu premiato con medaglia d'oro e gli valse la commissione di altri lavori. Il 2 maggio 1886 egli assumeva la direzione della fabbrica paterna di Torino; nel maggio 1888 rilevava la fabbrica dei fratelli Collino in Torino e nel volgere di pochi anni imprimeva un nuovo grandioso sviluppo all'arte degli avi. Nel 1890 l'inaugurazione a Genova dell'organo a tre tastiere, trasmissione elettrica e 60 registri reali, costruito e intonato "con criteri rivoluzionari, ma convincenti" (Moretti) dall'inglese G. W. Trice per la chiesa dell'Immacolata, fu un avvenimento di singolare importanza per Carlo, cui rivelò l'esigenza, in lui già latente, di sintesi - prima che formale concettuale - fra il nuovo mondo d'arte organaria e l'antico. A tal proposito, egli si dedicò ad approfondire i problemi della tecnica, elevandoli a valori d'arte, e soprattutto a rivolgere la massima attenzione alla parte fonica dello strumento, sorretto soltanto dal suo intuito e dall'orecchio musicale finissimo, che lo rese intonatore ineguagliabile. Quando, nel marzo 1892, Carlo collocò nella chiesa di Nostra Signora del Carmine a Torino l'organo a tre tastiere, trasmissione meccanico-pneumatica e 39 registri reali, da lui interamente progettato e costruito senza alcuna direzione artistica, l'organaria italiana poté affiancarsi con onore a quella straniera, per modernità di criteri nella parte meccanica e nella fonica, entrambe perfette e ispirate alle più genuina tradizione italiana.
Lo strumento, collaudato e inaugurato da M. E. Bossi, R. Remondi e A. Bersano, rispondeva perfettamente alle nuove esigenze per l'esecuzione di musica sacra antica e moderna. Per ciò, "i nuovi tipi di registri richiedevano nuove forme, nuove misure di canne, ma egli le aveva indovinate per intuito. Adottando il sistema meccanico-pneumatico era riuscito a presentare dispositivi dinamici che allora rappresentavano tutto quanto si poteva desiderare" (Sizia). Il Trice, che in un primo momento accusò Carlo di aver copiato il suo somiere, fu poi costretto a ricredersi dalle dimostrazioni dell'organaro italiano, che soltanto mediante la sua intelligenza e il suo orecchio prodigioso, attento alle esecuzioni dei celebri organisti A. Guilmant e F. Capocci, aveva, per così dire, "esaminato" lo strumento inglese dell'Immacolata.
Quest'opera segnò per Carlo l'avvio a un'attività che si svolse intensissima fino al 1915 (nel 1897 aveva rilevato anche la fabbrica del Trice a Quarto al Mare presso Genova), caratterizzata da grandi, audaci affermazioni artistiche, che, nel contempo, furono testimonianze storiche dell'evoluzione tecnica dell'organo.
Nei suoi mille e più strumenti, collocati nelle principali chiese d'Italia (cinquanta nella sola Roma, a due, a tre e a quattro tastiere), di Francia, della Svizzera, di Spagna, dell'America meridionale e della Terra santa (Palestina), egli passò, infatti, dal sistema di trasmissione meccanico a quello meccanico-pneumatico (adottando la leva pneumatica dell'inglese C. Spackmann Barker, la quale, mediante l'aria compressa, riduceva alquanto le resistenze passive esercitate da tutta la massa di catenacciature, di fili, di tiranti e di molle necessarie alla trasmissione meccanica), dal pneumatico-tubolare (sistema che realizzò in modo eccellente e in difesa del quale scrisse anche qualche articolo vivace apparso nel periodico Musica sacra nel 1903 e nel 1905) al tubolare semplice e da questo all'elettropneumatico, di volta in volta usando diversi e adeguati tipi di somiere.
Egli s'impose, tuttavia, soprattutto per il raggiungimento di un equilibrio fonico personalissimo, sia complessivo dello strumento - "predispo[nendo] incantevoli amalgami ed effetti d'insieme in cui domina solenne il Ripieno..."; "equilibra[ndone] così bene l'intonazione da mascherare misure e pressioni... progressiste, senza troppo uscire di tradizione; intona[ndo] in modo caldo e incomparabile il nuovo registro del Concerto viole" (Moretti) -, sia fra le varie correnti organarie straniere. Fu il primo, inoltre, a usare con misure proprie e come famiglia a sé stante, non arco leggero, ma nell'ambito dei fondi-eco, il gruppo dei registri "eolina" (Balbiani). Nel suo moderno laboratorio alcuni artefici specializzati, scelti come collaboratori, trovarono modo di affinare la loro esperienza tecnica e artistica e divennero a loro volta distinti organari o titolari di fabbriche, come il fratello Francesco, successore della ditta Vittino di Centallo, Francesco Consoli di Locorotondo di Bari e Achille Baldi di Torino.
È interessante notare che tra i collaudatori dei suoi strumenti figuri anche Florens Martella, uno dei migliori, vecchi armonizzatori ed intonatori della casa Cavaillé-Coll di Parigi, come si può rilevare dal Rapport d'Expertise per i grandi organi dell'Hospice de Sainte-Marie l'Assomption de St. Pons (Nizza) il 30 apr. 1889 (Milano, Casa Balbiani-Vegezzi-Bossi).Acquistatosi fama internazionale con ogni tipo di organo (eccellenti furono anche gli strumenti di piccole dimensioni per le chiese di non grande ampiezza, racchiudenti in sé quanto era necessario, per sonorità e meccanismi, all'esecuzione di musica sacra classica e moderna, assai lodati da L. Perosi), ebbe il merito nello stesso tempo d'impedire l'invasione della fabbricazione estera in Italia.
Della sua vasta produzione, vengono qui ricordati solo alcuni dei maggiori e più irnportanti strumenti, come l'organo di S. Maria della Steccata a Parma (a due tastiere, pedaliera di 27 note e 27 registri), inaugurato il 28 luglio 1892 da M. E. Bossi col concorso, per la prima volta, dell'orchestra diretta da G. Gallignani; l'organo della basilica antoniana a Padova (a tre tastiere, pedaliera di 30 note, 54 registri e 4.000 canne), collaudato e inaugurato il 14 e 15 dic. 1895 da F. Capocci, M. E. Bossi e L. Bottazzo; l'organo della sala Costanzi di Roma per i concerti della Società Bach, inaugurato nel 1896 (per questo strumento I. Valetta pubblicò presso l'editore Ricordi di Milano l'opuscolo L'organo della Società Bach, s.d.; alcune canne risuonano ancora nella chiesa di S. Maria di Montesanto, a piazza del Popolo in Roma); l'organo del nuovo santuario del S. Cuore di Maria a Torino (a quattro tastiere, pedaliera di 30 note, 85 registri e 6.000 canne), inaugurato nel luglio 1898da M. E. Bossi, A. Guilmant e C. Eddy, espressamente venuti, il primo da Parigi e il secondo dall'America (quest'organo, suo capolavoro "per il magistero della intonazione e della michelangiolesca architettuta fonica" [Sizia], fu per molti anni il più grandioso d'Italia. Durante la seconda guerra mondiale venne distrutto da un bombardamento aereo); i grandi organi a tre tastiere dell'Istituto dei ciechi a Milano (1901), della cattedrale d'Aosta (1903), della basilica-santuario in Vicoforte Mondovì (1903), della chiesa di S. Agostino in Roma (1904), della chiesa di S. Carlos a Buenos Aires (1905), del santuario della Madonna di Caravaggio (1905), della basilica palatina di Acquaviva delle Fonti (Bari, 1905), di S. Pietro in Vaticano (1907), del liceo musicale G. B. Martini di Bologna (1908: storicamente importante, perché nella ricostruzione effettuata nel 1931 dalla casa Balbiani Vegezzi Bossi di Milano venivano applicate per la prima volta le combinazioni aggiustabili interamente elettriche) e infine il grandioso organo della sala di concerti Augusteum dell'Accademia di S. Cecilia in Roma (a quattro tastiere, 60 registri e 4.000 canne), inaugurato il 9 giugno 1912 da U. Matthey e R. Renzi, col concorso dei violinisti G. Micheli e C. Zuccarini (demolito poi per i lavori d'isolamento del mausoleo d'Augusto nel 1936, lo strumento venne utilizzato per qualche tempo dalla Radio italiana. Durante l'ultima guerra mondiale, sottratto dalle truppe tedesche, fu distrutto da una bomba nella località La Storta, alle porte di Roma).
Un ricordo particolare spetta inoltre agli strumenti da lui restaurati e rinnovati con cura meticolosa ed esemplare abilità nel conservare il tipo originario: si citano, fra tanti, gli organi serassiani di S. Filippo a Torino (1823), rifatto nel 1889, e della cattedrale di S. Donato in Mondovì (1831), rifatto nel 1893;il grande organo del duomo d'Orvieto, rifatto nel 1913 (a tre tastiere, 72 registri e 4.000canne, le cui vicende secolari, dal 1373, sono descritte nell'anonima pubblicazione illustrativa, Orvieto XV agosto MCMXIII. Per il restauro del grande organo in duomo, Orvieto 1913) e quello di S. Maria Maggiore a Bergamo, di Adeodato B. (1857), rinnovato nel 1915, a tre tastiere, trasmissione elettropneumatica, ma privo di modifiche o alterazioni, in special modo "nei Ripieni d'una maestosa potenzialità ritenuta singolarmente pregevole" (Esposito, 1937).
Con quest'opera di S. Maria Maggiore a Bergamo, che segnò una notevole affermazione della collaborazione tecnica - ancora completamente riservata - con Luigi Balbiani, suo prediletto allievo, Carlo iniziò un'altra fase di attività: scoppiata la prima guerra mondiale, morta la moglie, Cesarina Boetti, preferì trattenersi a Milano insieme con la figlia Alessandra, andata poi sposa a Celestino Balbiani. In seguito, quale titolare e direttore artistico della sezione fonica della casa Balbiani, recò un contributo di esperienza e di magistero che pochi avrebbero potuto vantare al pari di lui e che portò - come scrisse il Tebaldini - "ad una feconda integrazione di forze antiche e di energie nuove". Morì improvvisamente, alla fine di un periodo di vacanza, in Frossasco (presso Pinerolo) il 5 ott. 1927, avendo disposto che la tradizione dei Bossi fosse continuata dai nipoti Alessandro, Cesare e Natale Balbiani, ai quali aveva anche lasciato, manoscritto, un Memoriale sulla intonazione per l'organo italiano.
Nel considerare che cosa rappresenti effettivamente la figura di Carlo Vegezzi B. in Italia nel periodo successivo al declino dei Serassi (1858), ancor prima della sua direzione del settore fonico-artistico nella tradizione dei Balbiani di Milano, si ritiene non conforme all'esattezza dell'indagine storica adottare quei criteri connessi a teorie e movimenti d'ispirazione non italiana che riguardano situazioni storicamente, tecnicamente e anche artisticamente differenti (e ci si limita a citare le teorie di André Marchal in Francia e della Orgelbewegung in Germania). Per questo, alcune note tratte da uno studio inedito di C. Balbiani (Milano, Casa Balbiani Vegezzi Bossi, ms., Il concetto di organo italiano classico e la figura di C. Vegezzi Bossi nell'organaria italiana, 1966) sembrano consentire una valida precisazione. Èun dato di fatto - scrive il Balbiani - che il grado di sviluppo dell'arte organaria è stato molto diverso in Italia da quello che è stato in Francia, in Germania, in Spagna, in Inghilterra; si veda in merito il capitolo delle Conclusioni nel Metodo per Organo di F. Germani (IV, Roma 1952, pp. 192-199).Per valutare l'atteggiamento di alcuni studiosi italiani moderni di organaria, i quali si sono occupati di Carlo Vegezzi Bossi senza porne in luce il merito principale, che sta nella creazione di un tipo di organo classico italiano, si ricorderà che Norbert Dufourc nella sua pubblicazione L'Orgue (Paris 1964), a proposito dell'organo romantico francese (p. 55)ed a proposito dell'organo neo-classico (p. 61), riconosce abbondanti meriti ad Aristide Cavaillé-Coll, dimostrando che non è per nulla oggettivo il sistema di demolire un periodo storico od una tendenza di una determinata epoca per esaltare esclusivamente l'antichità: e con intenzione s'è citato Cavaillé-Coll, perché è il grande costruttore francese dell'Ottocento a cui più spesso si ricorre per un paragone con Carlo Vegezzi Bozzi". Dopo aver fatto riferimento a numerosi autori italiani e stranieri, il Balbiani prosegue: "...si potrebbe continuare con le esemplificazioni e le citazioni non allo scopo di accertare che i nostri organi antichi mancavano di una pedaliera autonoma (in quanto si usava richiamare gli stessi registri della tastiera "in sesta" ed assai limitatamente, salvo l'eccezione dell'organo di S. Giovanni in Laterano a Roma costruito da Luca Blasi per l'Anno Santo 1600), ma per stabilire da quale epoca in avanti possiamo parlare di "organo classico italiano", cioè di uno strumento non mancante di qualche caratteristica essenziale all'applicazione di questo concetto. Sembra infatti - e ci riferiamo ai grandi organari antichi - Antegnati, Serassi, Bossi, Callido - di non essere in contraddizione con la logica né con la storia quando si afferma di non poter attribuire la caratteristica di "organo classico" a quegli strumenti - pur pregevoli per molti altri aspetti - su cui non sia possibile in definitiva eseguire il repertorio di musica per organo degli Autori classici, ivi incluso "naturalmente" J. S. Bach. Si può dire, forse, che solo con l'opera appassionata e geniale di Carlo Vegezzi Bossi l'organo italiano si è liberato dalla tradizionale forma e disposizione antica (qualcuno la chiama "Serassiana", ma potrebbe benissimo chiamarla anche... "Bossiana", se pensiamo a Gabriele, Antonio, Adeodato, Felice, Giacomo od a quel Carlo Bossi cui il già citato almanacco Notizie patrie del 1831 dava "uguale fama e risonanza", ma "la preferenza degli encomi" rispetto alla rinomata fabbrica di organi dei fratelli Serassi). Con instancabile fervore di ricerca e di nuove applicazioni tendenti ad eliminare i difetti ed accrescere le risorse degli strumenti, Carlo Vegezzi Bossi rappresenta il passaggio dalla costruzione dell'organo antico alle esigenze dello strumento completo di proporzioni classiche: i più insigni organisti stranieri trovano finalmente gli organi italiani del Nostro conformi alle loro migliori aspettative. Dalla prevalenza della tastiera unica si passa a costruire normalmente organi dotati di due tastiere a 58/61 note ciascuna con pedaliera di 27/30 pedali: si conserva il carattere fonico del Ripieno anche se - di norma - si tende a raggrupparne le file (come già fatto da Carlo Serassi nel gran Organo della Primaziale di Pisa) e si aumentano i registri di fondo e di colore strumentale per soddisfare le richieste degli organisti. Se esaminiamo la struttura degli organi più piccoli (di cui già venivano proposti dalla fabbrica i progetti completi), possiamo constatare come Carlo Vegezzi Bossi sia stato il primo ad accorgersi che l'organo antico italiano, pur con le sue pregevoli caratteristiche foniche, non poteva esser considerato completo ed elevato ad ideale di "organo classico": per le tendenze di fine '800 inizio del 1900 si vedano i progetti dei grandiosi organi del S. Cuore di Maria in Torino e della Sala di concerti Augusteum in Roma riprodotti nel sopra citato Metodo per Organo del Germani (pp. 27 s.)".
Fonti eBibl.: Oltre alle notizie gentilmente fornite dalla famiglia, v.: P. Giani, L'organo e particolarmente del grandioso org. di S. Colombano e del di lui autore Adeodato B.-Urbani di Bergamo. Memoria, Lodi 1843 (a pp. 41-45, Una famiglia di fabbricatori d'organi); C. Vegezzi B., A proposito dell'organaria, in Gazzetta musicale di Milano, XLIV (1889), p. 398; A. Soffredini, L'inaugurazione solenne dell'organo della "Steccata" in Parma,ibid., XLVII (1892), pp. 510-512; C. A.,Le feste inaugurali del nuovo organo della basilica del Santo in Padova,ibid., L (1895), pp. 860 s.; G. Tebaldini, Organaria (un po' di statistica), ibid., LI (1896), pp. 375 s.; G. T., L'organo della chiesa del S. Cuore di Maria a Torino, in Musica sacra, XXII (1898), pp. 76 s.; G. Locatelli, I Serassi celebri costruttori d'organi in Bergamo, in Boll. della Bibl. civica, parte sp., II (1908), pp. 54 s.; G. Sizia, I grandi maestri dell'intonazione. Carlo Vegezzi B. e Luigi Bernasconi, in Santa Cecilia, XXX (1928), pp. 4-10; E. Bontempelli, Storia dell'arte organaria ed organistica italiana, in M. E. B. Il compositore. L'organista. L'uomo. L'organo in Italia, Milano 1934, pp. 207-209; L. Salamina, Organaria lodigiana, in Arch. storico per la città e i comuni del circondario e della diocesi di Lodi, LIV (1935), pp. 17 s., 32, 186, 190; ibid., LVIII (1939), p. 70; ibid., LIX (1940), pp. 149, 153; A. Esposito, Briciole di storia bergamasca. Organi ed organisti in S. Maria Maggiore, in L'Eco di Bergamo, 21 ott. 1937, p. 3; C. Moretti, L'organo italiano..., Cuneo 1955, passim (v. Indice, p. 323); C. Balbiani, L'evoluzione della tecnica costruttiva nella storia dell'organo, in Sapere, XXII (1956), n. 515-516, pp. 248 s.; C. Traini, Organari bergamaschi, Bergamo 1958, pp. 55-60; A. Esposito, Antologia organistica, Bergamo 1962, pp. 6 s.; C. Traini, Un artistico organo italiano nel famoso santuario della "Madonna del Sasso" in Locarno, in Caecilia, XVI (1963), 61, p. 17; A. Picchi, M. E. B. organista e compositore, Como 1966, p. 108 nota 44.