Botanica
sommario: 1. Introduzione. 2. La botanica e la rivoluzione genetica. a) Il sofisticato parassitismo di Agrobacterium tumefaciens. b) Il trasposone della McClintock. c) Arabidopsis e il Progetto Genoma. d) Lo sviluppo dei fiori. e) L'ingegneria genetica e i raccolti del futuro. □ Bibliografia.
1. Introduzione
I due decenni dal 1975 al 1995 hanno visto la nascita, la crescita e gli effetti di una pacifica rivoluzione nella biologia molecolare e nella genetica. Questa rivoluzione, determinata dal fatto di essere riusciti a manipolare l'acido desossiribonucleico (DNA), il portatore dell'informazione genetica, iniziò con la scoperta degli enzimi (endo-desossiribonucleasi di restrizione) che tagliano la catena del DNA in corrispondenza di certe sequenze di nucleotidi (i monomeri che costituiscono la catena): da allora un rapido susseguirsi di nuove scoperte ha continuato a potenziare la capacità di studiare in dettaglio il materiale genetico. L'individuazione di enzimi (DNA-ligasi) che saldano un frammento di DNA all'altro e di elementi di DNA (plasmidi) capaci di replicarsi autonomamente in Batteri e lieviti ha permesso di produrre catene ibride di DNA e di mantenerle come plasmidi in questi organismi: per esempio, il DNA di una pianta può essere frammentato e ogni pezzo saldato a un plasmide. Questi elementi ibridi costituiscono una collezione (genoteca) che rappresenta il DNA totale della pianta: essi si mantengono illimitatamente in Batteri da cui poi possono essere isolati e studiati in forma pura (clonata). Altre invenzioni fondamentali sono state l'elettroforesi del DNA in gel di agarosio; il trasferimento da gel a membrana del DNA così separato e la seguente ibridizzazione con una sonda di DNA radioattivo (Southern blot, dal nome del ricercatore E. M. Southern che ha ideato il metodo); il facile sequenziamento del DNA per rivelare la particolare sequenza dei quattro nucleotidi (A, T, C, G); la sintesi in vitro del DNA; la reazione di polimerizzazione a catena (Polymerase Chain Reaction o PCR); la ‛trasformazione', cioè l'introduzione di DNA esogeno in organismi complessi come le piante.
La capacità di isolare, decifrare e manipolare il materiale genetico ha reso possibili approcci prima impensabili: attraverso lo studio dei geni siamo ora in grado di capire le funzioni cellulari responsabili delle caratteristiche di ogni organismo. Dalla sequenza del DNA in un gene si può decifrare la sequenza amminoacidica della proteina da esso codificata e inoltre, modificando in provetta la prima sequenza, si può cambiare la sequenza della proteina. Il DNA così modificato può quindi essere introdotto (‛trasformazione') in una pianta, dove la sua funzione biologica si manifesta a livello dell'organismo. Questi potenti metodi sono stati impiegati nella botanica con risultati estremamente soddisfacenti, alcuni dei quali saranno descritti in questo articolo. Fra gli esempi più pertinenti sono stati scelti quelli che hanno avuto il massimo impatto, non solo sullo studio della botanica, ma anche sulle scienze in generale e sul futuro dell'umanità.
La stabile introduzione di frammenti di DNA nelle piante è una tecnologia di grande importanza sia per studi di base che per il miglioramento genetico. Il primo sistema di trasformazione sviluppato per le piante si basò sulla sorprendente scoperta che un patogeno batterico (Agrobacterium) riesce a parassitare le piante introducendovi alcuni suoi geni: questa scoperta spiegò un fenomeno osservato già nella prima metà del secolo, e cioè che Agrobacterium alterava in maniera permanente le cellule vegetali; tuttavia, la natura di questa alterazione e il meccanismo che ne era responsabile furono chiariti solo quando si riuscì a manipolare il DNA. Un'altra scoperta rimasta largamente ignorata e incompresa per decine di anni fu quella dei trasposoni, elementi di DNA capaci di movimento autonomo da un sito cromosomico all'altro. Attraverso studi genetici basati su semplici osservazioni di cariossidi ottenute da incroci fra varie linee di mais, la geniale studiosa statunitense Barbara McClintock comprese che certi segmenti di materiale genetico erano capaci di inserirsi nei cromosomi del mais e poi di fuoriuscirne. Tuttavia, in un'era in cui la struttura del materiale genetico era ancora un mistero, tale scoperta fu accolta con incredulità e incomprensione. Fu solo negli anni settanta e ottanta che la capacità di clonare e sequenziare il DNA permise la riscoperta di questi elementi mobili e di valutare con l'ammirazione e il rispetto che meritava il brillante lavoro della McClintock.
La capacità di catalogare e caratterizzare il materiale genetico permette ora di raggiungere un ambizioso obiettivo: il sequenziamento e la conseguente decodificazione dell'intero genoma (l'insieme di tutta l'informazione genica) di un organismo. La scelta del genoma vegetale da decodificare per primo è caduta non su una pianta coltivata, ma su di una umile malerba, Arabidopsis, che per coincidenza possiede le qualità più desiderabili in un organismo modello: attraverso il suo studio ci si propone di catalogare tutti i geni necessari in ogni pianta. Un esempio di come questa conoscenza possa venire acquisita e applicata è dato dallo studio dei geni necessari per lo sviluppo dei fiori, cioè per la transizione da stadio vegetativo a stadio floreale, e per la formazione di sepali, petali, stami e carpelli. Infine, la capacità di introdurre in una pianta materiale genetico ottenuto da un qualsiasi organismo e modificato in provetta apre le porte alla produzione di varietà di piante coltivate in cui nuove e utili proprietà siano state introdotte con le tecniche dell'ingegneria genetica.
2. La botanica e la rivoluzione genetica
a) Il sofisticato parassitismo di Agrobacterium tumefaciens
Fra le malattie parassitarie delle piante, il tumore batterico possiede caratteristiche fisiologiche e genetiche uniche. Esso rappresenta il culmine dell'evoluzione di un sofisticato agente patogeno, il batterio Agrobacterium tumefaciens, il quale non soltanto colonizza i tessuti della pianta ospite, ma riesce anche a invadere e modificare il genoma dell'ospite con un frammento del suo DNA. L'espressione dei geni introdotti dal parassita nelle cellule della pianta induce la divisione cellulare e la crescita senza controllo di tessuti tumorali nei quali il parassita batterico può prosperare. Il parassitismo di Agrobacterium, quindi, si basa su una vera colonizzazione genetica della pianta che si attua attraverso il trasferimento di DNA fra organismi estremamente differenti (v. Hooykaas e Schilperoort, 1992; v. Zambryski e altri, 1989).
Agrobacterium è un batterio gram-negativo comune nei terreni agricoli, dove può sopravvivere saprofiticamente. Il suo genoma consiste di due componenti: il cromosoma, nel quale risiede la maggioranza dei geni (circa 4.000), e il plasmide Ti (dall'inglese Tumor inducing), nel quale si trovano alcune dozzine di geni necessari o utili per l'azione parassitica. Quando Agrobacterium si trova in prossimità di una pianta ferita da agenti fisici o biotici, esso percepisce attraverso chemocettori la presenza di zuccheri e sostanze fenoliche che emanano dalla ferita, attraverso la quale penetra nei tessuti vegetali. Mentre nel caso di ogni altro parassita batterico l'infezione procede attraverso la crescita del patogeno nei tessuti dell'ospite (v. Long e Staskawicz, 1993), nel caso di Agrobacterium i chemocettori inducono un processo di trasformazione in cui un segmento del plasmide Ti viene trasferito nel nucleo delle cellule della pianta, con un meccanismo in parte analogo alla coniugazione batterica (v. Lessl e Lanka, 1994). La porzione del plasmide Ti trasferita nella pianta, il T-DNA o DNA tumorale, possiede geni di tipo eucariotico, incapaci di espressione nei Batteri ma competenti a esprimersi nelle cellule vegetali, ove svolgono due funzioni: la produzione degli ormoni vegetali citochinina e acido indolacetico, e quella di ‛opine' (coniugati amminoacidici a funzione nutritiva). Le cellule vegetali trasformate dal T-DNA sono indotte a proliferare dagli ormoni e formano il tumore o galla, una massa di cellule senza organizzazione. Gli Agrobatteri prosperano negli spazi intercellulari del tumore in quanto le cellule tumorali producono opine che vengono utilizzate dal batterio come sostanze nutritive. Le opine, inoltre, sono degradabili soltanto attraverso l'azione di enzimi codificati dal plasmide Ti e pertanto non sono utilizzabili da altri batteri. Quindi il processo di trasformazione ha come risultato la formazione di una nicchia specializzata, il tumore, all'interno della quale il parassita può riprodursi evitando la dura competizione per la sopravvivenza nel terreno.
La comprensione degli eventi molecolari che si concludono con la trasformazione ha contribuito al progresso delle conoscenze in vari campi. Due acquisizioni appaiono di particolare importanza: la prima ha rilevante interesse evoluzionistico, in quanto è risultato che il processo di trasformazione è la conseguenza di un processo di coniugazione, cioè della trasmissione di DNA da una cellula batterica a una cellula vegetale attraverso un ponte citoplasmatico; la seconda è di interesse biotecnologico, poiché ha consentito di mettere a punto un sistema che permette la modificazione genetica delle piante.
b) Il trasposone della McClintock
Studi genetici effettuati sul mais hanno portato a scoperte di grande importanza non solo in campo vegetale, ma anche animale e medico. La scoperta più brillante è stata quella dei trasposoni, segmenti di DNA capaci di muoversi da un sito cromosomico all'altro, che furono caratterizzati geneticamente a cominciare dal 1940 da Barbara McClintock (v. genetica). Si sa ora che i trasposoni non sono una peculiarità dei genomi vegetali, ma esistono in tutti i tipi di organismi, dai Batteri, ai Miceti, agli animali, e sono importanti sotto vari aspetti. In riconoscimento del valore universale di questa scoperta, la McClintock ottenne il premio Nobel nel 1983 (v. Flavell e altri, 1994; v. Haring e altri, 1991).
L'esempio del mais verrà qui usato per descrivere le caratteristiche dei trasposoni. Nel genoma del mais si trovano vari tipi di trasposoni, di lunghezza variabile fra 1.000 e 10.000 paia di basi, e quindi in grado di codificare una o al massimo alcune funzioni geniche. All'estremità di ogni trasposone si trovano sequenze gemelle orientate in direzioni opposte, chiamate ‛ripetizioni terminali invertite'. I trasposoni sono raggruppabili in famiglie in base alla sequenza del DNA, che differisce completamente da una famiglia all'altra, mentre è uguale, almeno in parte, nei membri di una stessa famiglia. La famiglia di trasposoni scoperta originariamente dalla McClintock si chiama Ac/Ds. Il trasposone Ac, definito da una specifica sequenza di circa 5.000 nucleotidi, è presente in un numero di copie per genoma variabile da una a tre, a seconda della varietà di mais. In ogni varietà di mais è presente inoltre una classe di elementi derivati chiamati Ds. Questi sono ben più numerosi degli elementi Ac, dai quali, pur avendo in comune le ripetizioni invertite, si differenziano in quanto contengono DNA di svariata sequenza e lunghezza fra le ripetizioni. La presenza in tutti i membri della famiglia Ac/Ds delle stesse ripetizioni invertite è importante dal punto di vista funzionale. Mentre sia Ac che Ds sono potenzialmente capaci di movimento da un sito all'altro, Ds si muove solamente se l'elemento Ac è presente nello stesso nucleo. L'analisi molecolare ha consentito di individuare la causa di questa dipendenza, dovuta alla presenza in Ac di un gene codificante un enzima - chiamato trasposasi - che agendo specificamente sulle ripetizioni invertite catalizza sia l'escissione dal cromosoma che l'inserzione in un cromosoma degli elementi Ac e Ds. Pertanto, Ac codifica una proteina che mobilizza non solo Ac stesso, ma anche Ds, che è inerte e incapace di muoversi senza la trasposasi (v. Kunze e altri, 1987).
I trasposoni causano mutazioni: l'escissione di Ac e Ds e la loro conseguente inserzione in un nuovo sito può determinare, rispettivamente, attivazione e inattivazione di geni localizzati in questi siti e, in certi casi, rottura del cromosoma. Se questi geni sono necessari per certi caratteri, attivazione e inattivazione si rendono manifeste al livello fenotipico (apparenza visiva). Questi effetti furono osservati dalla McClintock, la quale, basandosi solamente sui fenotipi (cambi di colore) delle cariossidi (semi) e sull'osservazione microscopica di rotture cromosomiche, dedusse la natura genetica degli elementi che li causavano. Un esempio di tali effetti viene qui usato per illustrare questo fenomeno. Un gene del mais chiamato R controlla la sintesi di pigmenti rossi (antociani) nell'epidermide della cariosside: se R è attivo la cariosside produce gli antociani ed è rossa, se R è inattivato la cariosside è gialla. In una certa varietà di mais la trasposizione di un elemento Ds causò l'inattivazione di R (cioè la sua mutazione) in r. La presenza di Ac permette l'escissione di Ds e la contemporanea riattivazione del gene R, che avviene a caso in rare cellule durante lo sviluppo della cariosside. La cellula in cui in seguito alla trasposizione di Ds viene riattivato R produce, attraverso una serie di divisioni, un gruppo di cellule figlie capaci di sintetizzare antociani, che formano una macchia rossa sullo sfondo giallo costituito dalle cellule che non formano antociani. Il risultato è quindi una varietà di mais con cariossidi gialle a macchie rosse. Nel caso di perdita di Ac nelle generazioni seguenti, la mutazione di R diventa stabile e il mais produce soltanto cariossidi completamente gialle. Se Ac è introdotto attraverso un incrocio con un'altra varietà, la progenie, contenente Ac e Ds, produce di nuovo cariossidi gialle a macchie rosse.
Anche se la McClintock ignorava quale fosse la base molecolare del fenomeno descritto sopra, le era tuttavia chiaro il suo significato: il materiale genetico del mais conteneva elementi capaci di trasferirsi da un sito all'altro e di inattivare reversibilmente i geni della pianta. Tali elementi, cioè, potevano passare da uno stato attivo a uno inattivo e viceversa. L'importanza di questa scoperta fu capita solo a cominciare dagli anni settanta, quando in batteri patogeni per l'uomo furono scoperti trasposoni che portano geni per la resistenza agli antibiotici. In seguito furono scoperti trasposoni in tutti gli organismi e il loro contributo all'evoluzione di ogni genoma divenne chiaro: non solo essi sono causa di mutazioni, ma si possono moltiplicare all'interno di un genoma fino a a costituire più del 10% del DNA di un organismo (v. Flavell e altri, 1994). Va sottolineata l'importanza della trasposizione dal punto di vista medico, in quanto permette la rapida diffusione della resistenza agli antibiotici fra batteri patogeni; inoltre, la capacità di trasposizione è essenziale al ciclo biologico di certi virus come l'HIV, il virus responsabile dell'AIDS.
c) Arabidopsis e il Progetto Genoma
È stato messo a punto un progetto internazionale per studiare sia il genoma umano sia quello di organismi modello (v. genoma), che permettono approcci sperimentali impensabili su esseri umani e che rispecchiano la varietà biologica presente nell'ambiente terrestre; tra questi i più affermati e studiati sono il batterio Escherichia coli, il lievito Saccharomyces cerevisiae, il nematode Caenorhabditis elegans, il moscerino Drosophila melanogaster, e il topo, Mus musculus. Il modello vegetale è una crocifera selvatica, Arabidopsis thaliana, originaria dell'Eurasia e del Nordafrica ma ormai presente in tutto il mondo.
La scelta di questa pianta è basata sul fatto che, pur non avendo alcun valore commerciale, essa presenta numerosi e notevoli vantaggi dal punto di vista sperimentale (v. Somerville e Meyerowitz, 1994). In primo luogo, il suo genoma - il più piccolo del mondo vegetale - è composto da circa 120 milioni di coppie di basi, mentre quelli del pomodoro e del frumento, ad esempio, sono composti, rispettivamente, da circa 1.000 milioni e 10.000 milioni di coppie di basi. Le piccole dimensioni del genoma di Arabidopsis dipendono non tanto dal ridotto numero dei suoi geni, ma dall'assenza di DNA che non codifica geni e che è presumibilmente superfluo; è così possibile studiare in forma condensata le caratteristiche e i geni presenti in ogni pianta attraverso il rapido mappaggio fisico del genoma e il clonaggio dei geni. In secondo luogo, il rapido ciclo vitale di Arabidopsis, che impiega circa sei settimane dalla germinazione alla produzione di seme, rappresenta un grande vantaggio in esperimenti basati su ripetuti incroci. In terzo luogo, date le piccole dimensioni della pianta, essa necessita di poco spazio per la crescita, tanto che in una piastra di Petri di nove centimetri di diametro possono crescere più di mille semenzali, facilitando la selezione di rari mutanti resistenti a vari composti chimici o di varianti nella risposta a stimoli ambientali. In quarto luogo, il fatto che Arabidopsis sia una autoimpollinante estremamente prolifica semplifica la manutenzione di ceppi omogenei (una sola pianta può produrre più di diecimila semi). In quinto luogo, la facilità con cui Arabidopsis è trasformata da Agrobacterium tumefaciens permette una rapida introduzione di geni. L'insieme di questi vantaggi ha consentito di ottenere rapidi progressi nello studio di tale pianta (v. Somerville e Meyerowitz, 1994), come è dimostrato dal crescente numero di articoli scientifici dedicati all'argomento: 672 nel 1994, contro i 19 del 1985. Nel 1990 fu varato il Progetto di Ricerca Coordinato Multinazionale del Genoma di Arabidopsis thaliana, il quale coordina le ricerche effettuate in laboratori di tutto il mondo con l'obiettivo di stimolare gli studi in questo campo fornendo anche le necessarie infrastrutture. Parte di questa infrastruttura è un sistema di informatica con banche dati accessibili al pubblico attraverso Internet (‟http://nasc.nott.ac.uk").
Il genoma di Arabidopsis è organizzato in cinque paia di cromosomi, per ognuno dei quali esiste una dettagliata mappa genetica. In una mappa genetica i siti marcati o da mutazioni (marcature visibili) o dall'isolamento del DNA del sito (marcature molecolari) sono localizzati facendo riferimento a distanze genetiche, ossia derivate dalla misurazione dell'indice di ricombinazione meiotica. La ricombinazione meiotica è il risultato di scambi (crossing over) fra i membri di un coppia cromosomica: la probabilità di uno scambio fra due siti dello stesso cromosoma cresce proporzionalmente alla loro distanza. Le distanze genetiche (basate su ricombinazione) sono correlate a quelle fisiche (basate sull'unità del nucleotide), ma tale correlazione varia da una zona cromosomica all'altra. Pertanto la mappa genetica, anche se indispensabile per lo studio dei geni, non consente un facile clonaggio dei geni stessi, perché non rivela la distanza precisa in basi nucleotidiche da una marcatura all'altra. A tale fine è necessario disporre di una mappa fisica, cioè basata sull'accurata misura della distanza fisica del DNA fra marcature molecolari, costruita usando genoteche di vettori appositi in cui sono clonati i frammenti (da 50.000 a 500.000 coppie di basi) di ogni cromosoma; trovando i frammenti adiacenti e misurandoli accuratamente si può costruire la mappa fisica di interi cromosomi. Si prevede che questa mappa, già in stadio avanzato, sarà completata entro il 1998. Per fare un esempio, l'isolamento di una mutazione a carico di un gene che controlla la desaturazione degli acidi grassi (importante per la qualità degli oli alimentari) ha permesso di clonare tale gene. Grazie al mappaggio genetico è stato possibile stabilire che il gene in questione si trovava fra due siti cromosomici identificati da marcature molecolari; il loro confronto con i frammenti cromosomici delle genoteche ha reso possibile costruire una mappa fisica. Basandosi sulla posizione di tali siti nella mappa fisica è stato possibile individuare il frammento cromosomico che contiene il gene in questione tra quelli conservati nelle genoteche; a questo punto è stato relativamente semplice identificarlo e sequenziarlo (v. Arondel e altri, 1992). Entro l'anno 2004 si prevede di arrivare a conoscere la sequenza del DNA dell'intero genoma di Arabidopsis, il cui numero di geni è stimato fra 10.000 e 15.000, e quindi la sequenza dell'intero genoma. In quel momento, per la prima volta nella storia, il ‛progetto' o piano di costruzione di una pianta sarà interamente accessibile al genere umano. Tale comprensione renderà allora possibile anche la manipolazione di ogni caratteristica degli organismi che forniscono il cibo e le fibre necessari alla nostra sopravvivenza.
d) Lo sviluppo dei fiori
L'avvento di nuove tecnologie di genetica molecolare ha determinato un notevole progresso nello studio dello sviluppo delle piante. Si definisce come sviluppo quel processo attraverso il quale lo zigote prodotto dalla fusione del gamete spermatico con il gamete ovarico genera i differenti stadi e organi della pianta attraverso una serie di divisioni cellulari. Tale processo coinvolge pertanto la crescita (dovuta a divisione ed espansione delle cellule), il differenziamento (la specializzazione di cellule) e la morfogenesi (la formazione di organi e strutture; v. Steeves e Sussex, 19892). Durante lo sviluppo la pianta assume forme che sono caratteristiche per ogni stadio: lo zigote forma dapprima un embrione, l'embrione germina formando il semenzale, il quale si evolve passando da uno stadio giovanile a uno stadio adulto e quindi a uno stadio di fioritura (v. Sussex, 1989). Illustreremo adesso i successi ottenuti nella comprensione dello sviluppo floreale.
Lo sviluppo dei fiori rappresenta un fenomeno affascinante le cui fasi, ben conosciute dal punto di vista della morfologia, erano fino a poco tempo fa un mistero dal punto di vista molecolare. Ogni parte della pianta è formata direttamente o indirettamente dal meristema apicale, una struttura a cupola consistente di cellule indifferenziate e capaci di divisione. Nel corso della crescita vegetativa, il meristema produce il fusto, le foglie e i meristemi ascellari, i quali producono fusti secondari (gemme e germogli). A un certo momento, in molti casi in corrispondenza con l'aumento delle ore di luce, la pianta cambia il programma di crescita inducendo la formazione di fiori, invece che di germogli (v. Sussex, 1989). Quali meccanismi molecolari sono necessari per innescare il processo di formazione del meristema floreale? A priori si può ipotizzare che l'instaurazione del programma floreale sia controllata da proteine regolative. Ma come si può riuscire a identificare queste proteine? La genetica fornisce un potente approccio allo studio di questi problemi.
Per facilitare la comprensione dei metodi usati e dei risultati ottenuti, spiegheremo brevemente il principio dell'analisi ‛a mutazione'. Ogni processo cellulare è mediato dalle funzioni e dall'interazione di specifiche proteine, ciascuna codificata da un gene differente. L'indagine genetica identifica geni (e quindi proteine) necessari per la formazione di una certa caratteristica attraverso l'induzione di alterazioni e inattivazioni dei geni stessi (mutazioni) e l'osservazione del risultato fenotipico (manifestazione visibile). Dopo aver sottoposto una popolazione di piante a trattamento mutagenico - chimico, radioattivo (v. Redei e Koncz, 1992) o biologico (con trasposoni o con T-DNA; v. Coupland, 1992; v. Feldmann, 1991) - vengono individuati e isolati i mutanti che determinano cambiamenti nel processo oggetto di studio. Nel corso di un'indagine genetica sulla formazione del meristema floreale sono state isolate le mutazioni che determinavano, rispettivamente, assenza e formazione precoce o tardiva dei fiori. Le mutazioni che determinano tali fenotipi possono interessare lo stesso gene oppure geni differenti che partecipano allo stesso processo. Per identificare il numero di geni coinvolti, le mutazioni vengono divise in gruppi di complementazione: quando due mutanti ottenuti indipendentemente vengono incrociati e riproducono il tipo selvaggio, le due mutazioni appartengono a due gruppi di complementazione differenti, cioè interessano due geni differenti; quando invece due mutanti producono progenie dello stesso tipo mutante, le due mutazioni appartengono allo stesso gruppo di complementazione, cioè interessano lo stesso gene. Nel caso dell'induzione floreale, furono isolate mutazioni in vari geni, ciascuno definito da un gruppo di complementazione. Quindi il processo di analisi genetica studia dapprima il numero di geni coinvolti, e poi la funzione di ogni gene attraverso indagini molecolari e il suo clonaggio.
Un esempio è dato dal gene LEAFY (‛fronzuto'). L'esistenza di questo gene fu scoperta attraverso l'isolamento di una classe di mutanti (appartenenti allo stesso gruppo di complementazione) che al posto di fiori producono germogli (v. Weigel e altri, 1992). Siccome nei mutanti leafy (in cui il gene LEAFY è inattivato da mutazione) non si forma il meristema floreale, si può concludere che il gene LEAFY è necessario per la conversione del meristema vegetativo in meristema floreale. Il gene LEAFY è stato clonato e si è dimostrato che esso si esprime quando il meristema vegetativo si converte in floreale. Cosa succede se tale gene viene espresso precocemente? La logica risposta sarebbe quella di una precoce induzione floreale. Ciò è stato in effetti verificato nel pioppo, in cui la precoce espressione di LEAFY indotta attraverso tecniche di ingegneria genetica causa la fioritura del semenzale in meno di un anno, invece dei quattro o cinque necessari in condizioni normali. Tale applicazione, che permetterà il rapido miglioramento genetico di questa importante specie arborea, costituisce un esempio di come studi di base diano spesso risultati pratici inaspettati.
Dopo la conversione del meristema vegetativo in floreale, quest'ultimo produce gli organi del fiore. L'analisi genetica è stata usata per capire come il meristema floreale conferisca la giusta identità agli organi che esso forma sequenzialmente in quattro cerchi. Nella pianta modello Arabidopsis thaliana il primo cerchio consiste di quattro sepali, il secondo di quattro petali, il terzo di sei stami, e il quarto e ultimo cerchio di due carpelli (v. Bowman, 1994). Sepali, petali, stami e carpelli sono considerati forme specializzate di foglie, ognuna delle quali svolge una funzione subordinata alla riproduzione sessuale: i sepali proteggono il bocciolo, i petali hanno una funzione attrattiva per gli impollinatori (anche se in specie autofecondanti come Arabidopsis tale funzione non è necessaria), gli stami formano il polline, mentre i carpelli formano gli ovuli. Nel processo della fecondazione, grani di polline germinano sulla superficie stigmatica dei carpelli e penetrano negli ovuli dove fertilizzano la cellula uovo.
Quali sono i meccanismi regolativi che dirigono la morfogenesi dei vari organi floreali? In altre parole, in che modo ogni organo assume l'identità che gli è propria? Nello studio di popolazioni sottoposte all'azione di agenti mutageni furono individuati dei mutanti in cui alcuni degli organi floreali assumono l'identità sbagliata, e ciò fece supporre che l'inattivazione di certi geni alteri l'identità degli organi floreali; lo studio di questi mutanti, chiamati ‛omeotici', ha svelato almeno in parte il mistero della formazione del fiore, dimostrando che l'identità degli organi è controllata dall'interazione di un numero relativamente basso di geni (v. Bowman, 1994; v. Meyerowitz, 1994). Descriveremo come esempio il caso di Arabidopsis, anche se varie scoperte furono fatte su Anthirrinum majus (bocca-di-leone). La perdita di funzionalità da parte dei geni responsabili dell'identità degli organi fa sviluppare organi di tipo diverso. Il mutante apetala 2 forma carpelli nel primo e quarto cerchio, stami nel secondo e terzo cerchio, e quindi risulta nella conversione di sepali e petali in carpelli e stami: il gene APETALA 2 (AP2) è quindi necessario per conferire la giusta identità agli organi del primo e del secondo cerchio. La mutazione pistillata, che produce fiori con sepali e carpelli invece che con petali e stami, dimostra che il gene PISTILLATA (PI) è necessario perché gli organi del secondo e terzo cerchio assumano la giusta identità. La mutazione agamous causa la sostituzione di stami con petali e la continua crescita del meristema floreale che, oltrepassato il terzo cerchio, forma un altro fiore simile al primo: quindi, il gene AGAMOUS (AG) specifica l'identità degli organi nel terzo e quarto cerchio, reprimendo nello stesso tempo la crescita del meristema floreale dopo la formazione del quarto cerchio di organi.
La caratteristica più sorprendente di questi mutanti è che gli organi interessati assumono un'altra identità. Queste conversioni sono spiegate da un modello regolativo, secondo il quale non solo l'azione dei tre geni sarebbe limitata a certi cerchi, ma vi sarebbe interazione tra i geni. AP2 si confina nel primo e secondo cerchio, PI nel secondo e terzo, AG nel terzo e quarto. Quindi un cerchio soggetto all'influsso contemporaneo di AP2 e di PI forma petali, mentre un cerchio soggetto soltanto ad AP2 forma sepali; un cerchio soggetto a PI e ad AG forma stami, mentre un cerchio soggetto ad AG forma carpelli. Si esamini l'effetto della perdita della funzione PI (cioè la mutazione pistillata): il primo e il secondo cerchio sono entrambi sotto l'influsso di AP2 e formano pertanto sepali; il terzo e il quarto cerchio, che sono soggetti ad AG, formano carpelli. I fenotipi delle mutazioni agamous e apetala 2 sono facilmente spiegati se si ipotizza che, in assenza di AG, la funzione AP2 si estenda nel terzo e quarto cerchio, e viceversa per AG in assenza di AP2. Questo modello venne convalidato dallo studio di doppi mutanti in cui, nella stessa pianta, la funzione di due geni è persa: il fiore del doppio mutante agamous e pistillata, in accordo con il modello che prevede la presenza nei quattro cerchi della funzione AP2 e la formazione di sepali, mostra la formazione di sepali in tutti i cerchi. Il doppio mutante apetala 2, pistillata produce carpelli in tutti i cerchi. Il doppio mutante apetala 2, agamous produce organi simili a foglie nel primo e quarto cerchio, nei quali è stato perso l'effetto di AP2 e di AG, rispettivamente; nel secondo e terzo cerchio si trovano invece organi intermedi fra petali e stami. Il triplo mutante apetala 2, pistillata, agamous produce ‛fiori' in cui i quattro cerchi sono occupati da organi simili a foglie.
I geni APETALA 2, PISTILLATA e AGAMOUS sono stati isolati, ed è stata determinata la sequenza del loro DNA, dalla quale è stata poi dedotta la sequenza amminoacidica delle proteine da essi codificate. Paragonando la sequenza di queste proteine a quella delle molte proteine già caratterizzate e disponibili nelle banche dati, si è scoperto che le proteine PISTILLATA e AGAMOUS sono simili a fattori nucleari che regolano l'espressione di altri geni (v. Weigel, 1995; v. Shore e Sharrocks, 1995). Il ruolo di fattore nucleare regolativo è coerente con un modello generale dello sviluppo secondo il quale geni ‛maestri' dirigono squadre di geni ‛servi'. Pertanto questi tre geni floreali, regolando l'espressione di una coorte di geni a essi sottomessi, conferirebbero l'identità agli organi dei vari cerchi.
e) L'ingegneria genetica e i raccolti del futuro
L'ingegneria genetica delle piante si definisce come la possibilità di indurre alterazioni del genoma attraverso l'introduzione di un segmento di DNA ben caratterizzato (v. Comai, 1993; v. Gasser e Fraley, 1992). Questo frammento di DNA può codificare ed esprimere una nuova proteina, oppure alterare il livello di espressione di un gene già esistente. L'ingegneria genetica è basata su tre tecnologie: la trasformazione delle piante, il controllo di espressione dei geni e l'identificazione di geni che permettano di migliorare il valore economico di una coltivazione.
Il processo di trasformazione, cioè l'introduzione di DNA esogeno nel genoma di un organismo, si attua nelle piante tramite due metodi (v. Potrykus, 1990). Il primo si basa sulla capacità naturale di Agrobacterium tumefaciens di trasformare le piante attraverso il trasferimento di un segmento di DNA (T-DNA) dal plasmide Ti (v. Hooykaas e Schilperoort, 1992). Tale trasferimento è reso possibile dall'azione di fattori proteici prodotti dal batterio, che tagliano il DNA a livello di particolari sequenze di 25 coppie di basi (borders) presenti alle estremità del T-DNA, separando tale segmento dal resto del plasmide e trasferendolo poi dalla cellula batterica al nucleo della pianta, dove viene inserito in un cromosoma. Poiché i geni contenuti nel T-DNA sono necessari per la formazione di tumori ma non per il trasferimento del DNA, è stato possibile rimuoverli e inserire al loro posto geni utili per selezionare cellule trasformate e per migliorare il valore della pianta. Uno dei geni più utili ottenuti in questo modo è quello per la resistenza alla kanamicina, un antibiotico tossico sia per i Batteri che per le piante, che tuttavia possono sopravvivere in sua presenza se riescono a produrre uno specifico enzima disintossicante. Il plasmide portante il T-DNA modificato con il gene per la resistenza alla kanamicina e predisposto all'inserzione di altri geni viene chiamato ‛vettore binario per trasformazione' e viene usato in ceppi di Agrobacterium in cui sia stato rimosso il T-DNA naturale dal plasmide Ti ; il termine ‛binario' si riferisce al fatto che il vettore è attivo solo in presenza del plasmide Ti. Per ottenere una pianta trasformata si tratta un frammento di pianta (per es. di foglia o di radice) con Agrobacterium contenente un vettore binario e si induce poi la rigenerazione dei tessuti trattati in presenza di kanamicina; ciò è reso possibile dalla capacità delle piante di riformare un individuo completo da un frammento di tessuto in presenza di ormoni auxinici e citochininici. La selezione operata con l'antibiotico fa sì che si rigenerino solo le cellule trasformate e che si ottengano quindi piante che contengono il T-DNA.
Il secondo metodo consiste nell'introduzione di DNA nella pianta attraverso metodi fisici ed è particolarmente adatto per quelle specie, per esempio quelle appartenenti alle Monocotiledoni, in cui l'impiego di Agrobacterium non funziona soddisfacentemente. L'approccio fisico non è semplice, perché la cellula vegetale è protetta da una parete cellulare impermeabile al DNA. Per oltrepassare questa barriera e introdurre il DNA nella cellula sono state messe a punto diverse tecniche, la più originale ed efficiente delle quali è quella denominata biolistics, ideata da John C. Sanford, della Cornell University (v. Christou, 1992); essa impiega una speciale arma a gas compresso con la quale viene sparata contro frammenti di tessuti o contro l'apice di germogli una salva di microproiettili di tungsteno o di oro coperti con il DNA di un plasmide contenente i geni prescelti per la trasformazione; i proiettili penetrano nelle cellule senza danneggiarle, introducendovi il DNA che induce la loro trasformazione. In ogni modo, l'uso di una delle tecniche disponibili ha permesso di sviluppare sistemi di trasformazione praticamente per tutte le specie di importanza agronomica.
L'espressione genica nelle piante, come negli altri Eucarioti, dipende dalla presenza in ogni gene di un promotore e di un terminatore (v. Benfey e Chua, 1989): il promotore è una sequenza di DNA lunga da 100 a 2.000 coppie di basi che, interagendo con l'RNA-polimerasi e con fattori proteici di trascrizione, dà inizio alla trascrizione del gene (produzione di RNA messaggero); il terminatore, invece, segnala la fine della regione da trascrivere. Queste regioni regolative sono ben distinte dalla regione che codifica la proteina e pertanto possono essere trasferite da un gene all'altro attraverso tagli e ricongiunzioni di segmenti di DNA. Nella maggioranza dei casi l'espressione dei geni viene regolata dal promotore; pertanto, si può ottenere l'espressione di una proteina batterica nella cariosside o nella foglia attraverso la fusione di un promotore specializzato per l'espressione nella cariosside o nella foglia con una sequenza codificante tale proteina. È oggi disponibile una grande varietà di promotori: uno tra i più comunemente usati per la sua efficacia (alto livello di trascrizione) in quasi tutti i tessuti vegetali è il promotore del (poli)gene 35S del virus del mosaico del cavolfiore, CaMV35S (v. Benfey e Chua, 1989).
Uno degli obiettivi fondamentali dell'ingegneria genetica è stato, come abbiamo detto, quello di identificare i geni che permettono di migliorare le caratteristiche agronomiche e commerciali delle piante coltivate. Le caratteristiche agronomiche sono quelle che contribuiscono all'ottimizzazione del raccolto e includono: la resistenza a insetti, a patogeni (virali, batterici e fungini), ad avversità climatiche (gelo, siccità, calura), a erbicidi; la tolleranza all'eccessiva salinità del suolo; la capacità di aumentare la produzione; la sterilità maschile per produzione di ibridi. Le caratteristiche commerciali - quelle, cioè, che contribuiscono al valore di un prodotto vegetale dopo la raccolta - includono: una buona conservazione per lunghi periodi, il valore nutritivo, la capacità di attrarre il consumatore, le proprietà chimiche che facilitano lavorazioni alimentari o industriali e la presenza in alta concentrazione di sostanze pregiate. I geni per conferire questi caratteri - di cui illustreremo alcuni esempi - possono derivare da piante, ma anche da animali, Miceti e Batteri.
Il primo prodotto dell'ingegneria genetica delle piante giunto al consumatore è il pomodoro Flavr-Savr (‛salva-sapore'), prodotto da un'industria biotecnologica californiana. I pomodori per insalata vengono raccolti in prevalenza quando sono ancora verdi, prima di aver raggiunto il giusto contenuto di zuccheri e acidi organici necessari a conferir loro il sapore ottimale. Per permettere una migliore conservazione del pomodoro fresco raccolto maturo, gli scienziati hanno rallentato il processo di ‛ammorbidimento' (v. Sheehy e altri, 1988) di cui è responsabile un gruppo di enzimi idrolitici, fra cui la poligalatturonasi, che scinde i polimeri delle pareti cellulari (v. Gray e altri, 1992). Nel pomodoro è stata soppressa l'espressione della poligalatturonasi attraverso la tecnica dell'RNA anti-senso, cioè si è riusciti a ottenere l'espressione di un RNA con sequenza complementare a quella dell'RNA messaggero della poligalatturonasi (v. Mol e altri, 1990). La presenza di un RNA complementare blocca l'espressione del gene relativo, presumibilmente attraverso la formazione di un complesso a doppio filamento fra i due RNA: il risultato fenotipico è che, dopo la raccolta allo stadio rosso-verde, il pomodoro Flavr-Savr dura circa 10 giorni in più del pomodoro normale ed è più resistente alle muffe, così che ne risultano facilitate la conservazione e la distribuzione ai mercati.
Vari tipi di resistenza a parassiti sono stati sviluppati usando l'ingegneria genetica. Il batterio Bacillus thuringiensis produce una tossina proteica attiva contro i Lepidotteri e certi Coleotteri ma innocua per altri animali (v. Hofte e Whiteley, 1989); il gene codificante questa proteina è stato introdotto in varie specie di piante, che hanno così sviluppato resistenza a tali insetti. Inducendo nelle piante l'espressione di certe proteine virali si è ottenuta resistenza a patogeni virali: per esempio, mediante l'espressione della proteina della capsula del virus del mosaico del tabacco (TMV) si è riusciti a proteggere le piante da infezioni dovute a tale virus (v. Fitchen e Beachy, 1993). Questo processo somiglia solo apparentemente alla vaccinazione, in quanto si basa non su risposte immunitarie, ma su interferenze sul ciclo riproduttivo del virus da parte della proteina della capsula. Recentemente sono stati clonati geni di pianta che conferiscono la resistenza a patogeni e si prevede che il loro uso si aggiungerà al già ricco arsenale dell'ingegneria genetica (v. Staskawicz e altri, 1995). Attraverso l'espressione di geni batterici disintossicanti specifici nei riguardi di erbicidi si è ottenuta resistenza a tali sostanze (v. Botterman e Leemans, 1988; v. Mazur, 1989); questi geni permetteranno l'uso di composti chimici efficaci contro molte malerbe e nello stesso tempo dotati di buone caratteristiche ecologiche.
Gli oli vegetali hanno importanza alimentare e industriale e variano in composizione a seconda della pianta di origine. Si è riusciti a identificare gli enzimi responsabili della sintesi di oli specifici e a clonare i rispettivi geni, rendendo così possibile trasferire a specie altamente produttive la capacità di produrre nuovi e pregiati tipi di oli da piante con basso potenziale agronomico (v. Murphy, 1992; v. Somerville, 1993). Nella colza - una delle oleifere principali nei climi temperati che, pur essendo altamente produttiva, è limitata (come tutte le piante) alla produzione di pochi tipi di oli - si è riusciti a trasferire la capacità di produrre l'acido grasso laurico (usato nella produzione di detergenti) che prima era estratto economicamente solo dall'olio di palmisti; a tal fine si è usato il gene codificante la C12-tioesterasi dell'alloro californiano, la cui espressione nella colza ha come risultato la produzione di un olio equivalente a quello di palmisti (v. Voelker e altri, 1992).
Le piante non solo forniscono nutrienti all'uomo, ma sono potenzialmente in grado di produrre economicamente molte sostanze utili come, per esempio, gli anticorpi (v. Hiatt e Ma, 1992). L'uso di piante modificate geneticamente per usi alimentari e farmaceutici ha sollevato la questione dei rischi connessi, che sono stati esaminati criticamente da vari autori (v. Comai, 1993; v. Flavell e altri, 1992), dalla Food and Drug Administration statunitense, che regola la lavorazione di prodotti alimentari e farmaceutici, e dalle stesse industrie (v. Redenbaugh e altri, 1992). La conclusione generale è che quando un nuovo prodotto dell'ingegneria genetica viene esaminato scrupolosamente, come è stato fatto per il pomodoro Flavr-Savr, i rischi per il consumatore sono estremamente bassi. In generale, la risposta dei consumatori all'introduzione di prodotti dell'ingegneria genetica è stata positiva, e si prevede pertanto che questa tecnologia diventerà una componente essenziale del miglioramento genetico delle piante.
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