BOTTONE (Botton), Ugo Vincenzo Giacomo, conte di Castellamonte
Nacque a Rivarolo Canavese il 1º apr. 1754 da Ascanio e da Eleonora Palma, in una famiglia che aveva dato al Piemonte elevati burocrati. Laureatosi giovanissimo in giurisprudenza nell'aprile 1771, volle subito provarsi in un'opera giuridica di vasto impegno, il Saggio sopra la politica e la legislazione romana del conte B. di C., s.l.1772, che, anonimo, vide probabilmente la luce a Firenze, fuori dai confini del regno per evitare al suo autore i rigori della censura di Carlo Emanuele III.
L'opera veniva a collocarsi sulle orme di quelle del Muratori, del Beccaria, del Verri e di C. A. Pilati nella polemica giusnaturalistica contro i diritti storici imperanti, a favore di una codificazione che si fondasse sui principî del diritto naturale; ma nuova era l'ampiezza sistematica con cui il B. passava in critica rassegna tutti gli istituti romani, ispirandosi a un moderno concetto di giustizia e di benessere, e originale soprattutto appariva la sua vigorosa condanna del testamento romano che, sotto la specie della sostituzione fidecommissaria, era stato l'istituto generatore della nobiltà ereditaria. A differenza del Montesquieu, persuaso che l'essenza dello Stato monarchico ancora consistesse nel ceto dei nobili, il B. risolveva nel "merito" il criterio distintivo della nobiltà, grazie al quale si sarebbero potuti ricostituire i "canali intermedi del potere", voluti dal Montesquieu, non già fondandoli "in un ceto ozioso et apparente", ma nella classe dei ministri e dei magistrati, depositari delle leggi.
Notevole fu la risonanza che ebbe il Saggio nella società colta, non solo italiana, che scorgeva in esso l'influenza del pensiero del Beccaria. In effetti merito fondamentale del B., che al Beccaria si era in realtà rivolto per averne consigli e aiuti, era stato quello di arricchire i dati della timida tradizione illuministica piemontese con alcuni dei motivi fondamentali della cultura europea, da lui conosciuta e assimilata soprattutto attraverso i circoli illuminati lombardi.
La raggiunta affermazione del B. nella società colta del tempo (il Lessing, venuto a Torino nel 1775, lo annovera tra i cittadini più "dotti") gli aprì le vie della carriera amministrativa. Nominato nel 1775 da Vittorio Amedeo III sostituto sovrannumerario nell'ufficio del suo procuratore generale, nel 1782 senatore in Savoia e nel 1788 intendente generale in Sardegna, il B. si distinse per diligenza ed equità. Intendente generale di Savoia, tra il 1790 e il 1792, fu impegnato nella dura fatica per l'affrancamento delle comunità dai diritti feudali ed enfiteutici, previsto da una legge sabauda di non facile applicazione, poiché le comunità, oppresse dall'onere del riscatto, si rifiutavano di richiederlo. Comunque l'esperienza politica savoiarda, che gli faceva constatare l'inadeguatezza delle vecchie strutture politico-amministrative nel dare soluzione moderna ai problemi che la Rivoluzione aveva portato violentemente ad attualità, favorì la crisi politica del Bottone. Investito l'11 sett. 1793 dell'alto incarico di consigliere delle Finanze e contadore generale delle milizie e genti di guerra, ne fu congedato il 20 maggio 1795 senza apparenti ragioni o perché sospetto, secondo alcuni, di essere partigiano delle idee novatrici.
Dopo tre anni di inattività politica il B. divenne membro del governo provvisorio, costituitosi a Torino nel dicembre 1798 sotto l'occupazione francese. Nella nuova carica le sue inclinazioni politiche meglio si precisano: i più radicali atteggiamenti contro nobili e clero sono da lui condivisi, ma la sua volontà eversiva si arresta dinanzi al pericolo di scatenare le forze popolari o incoraggiare nuove aspettative rivoluzionarie.
Così, di fronte alla necessità di ristabilire le finanze oppresse e di arrestare la svalutazione della moneta, obiettivo che non si sarebbe mai raggiunto con la sottoscrizione volontaria dei beni nazionali, il B. propone nella seduta dell'11 genn. 1799 di obbligare gli aristocratici e gli opulenti a comprarne per 14 milioni di lire, quanti risultano dall'espropriazione dei beni appartenenti al clero; ma già nella tornata del 23 gennaio, contro il parere dell'ala più intransigente guidata dal Cerise, il B. sollecita il governo a reprimere i disordini commessi da talune municipalità, le quali avevano invaso le proprietà dei feudatari. Il rovesciamento del vecchio regime doveva avvenire per forza di leggi e non disordinatamente per iniziativa popolare.
La stessa sua partecipazione alla delegazione governativa incaricata, sulla fine di febbraio, di recare al Direttorio di Parigi la decisione del Piemonte di unirsi alla Francia non deve essere vista come una manifestazione di estremismo repubblicano; infatti a quella decisione - dettata da economica opportunità - era contraria proprio l'ala estrema e unitaria del movimento giacobino. Già presidente a Torino della Camera dei conti, e poi nel 1801 del Tribunale di appello, il B. fu chiamato nel 1806 a Parigi quale consigliere della Corte di cassazione, incarico che continuò a tenere anche dopo la Restaurazione, grazie alla nomina a vita connessa con la carica e alla naturalizzazione francese, da lui ottenuta il 3 febbr. 1815. Autore di un testo giuridico-divulgativo della legislazione francese in Italia (Nozioni elementari sulle ipoteche,ossia traduzione libera del nuovo codice ipotecario francese, Torino 1802), il B. vide presto accrescersi la sua fama di giureconsulto che gli procurò le onorificenze di commendatore della Legion d'onore e di cavaliere dell'Impero (agosto 1808). Infine fu invitato dall'antico convenzionale e membro del Direttorio Philippe Antoine Merlin a redigere alcune voci per il suo monumentale Répertoire universel et raisonné de Jurisprudence. Particolarmente estesa ed importante fu quella sul Piemonte, scritta prima del 1814.
Molti degli antichi spiriti anticlericali e repubblicani, che avevano infiammato l'ardore innovatore del B. sotto il regno sabaudo e la prima repubblica, vi apparivano ora invecchiati e scoloriti. Il B., seguendo l'involuzione comune ad altri rivoluzionari del triennio giacobino, sottovalutava in quella voce l'invadenza dell'Inquisizione sotto il "bello e memorabile regno di Carlo Emanuele III", che pure aveva visto, oltre all'imprigionamento del Giannone, anche l'allontanamento dall'insegnamento universitario di diritto canonico dell'abate Francesco Antonio Chionio che nel 1754 si era pericolosamente addentrato nella trattazione delle questioni giurisdizionalistiche. Il B. elogiava anche la discrezione dei tribunali vescovili sotto l'antico regime e attribuiva il merito dell'abolizione dei diritti feudali assai più all'ultimo re Carlo Emanuele IV - che, nella speranza di consolidare il trono vacillante, ad essa si era indotto con tutte le contraddizioni e i limiti di un provvedimento destinato a non trovare valida applicazione - che al governo provvisorio, portato in Piemonte dalla Rivoluzione e che aveva decretato un'abolizione generale e "senza indennizzazione". Il B. giustificava soltanto la decisione del 1799, cui egli stesso aveva concorso, di unire il Piemonte alla Francia, come dettata dalla necessità di sottrarre il paese alla lacerazione dei partiti, che avevano reso "se non impossibile almeno difficilissimo lo stabilimento di una repubblica indipendente".
Il B. morì a Parigi il 13 marzo 1828.
Fonti eBibl.: Archivio di Stato di Torino, Lettere particolari, B, cart. n. 114, 1782 in 1788; n. 115, 1790 in 1792; Milano, Bibl. Ambrosiana, Beccaria B. 231, Lettere diverse a C. Beccaria;A. Bertolotti, Passeggiate nel Canavese, V, Ivrea 1872, pp. 390-94; N. Bianchi, Storia della monarchia piemontese, III, Torino 1879, pp. 3, 39, 60, 67, 80, 97, 105, 432; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, II, Torino 1881, p. 261; D. Carutti, Storia della corte di Savoia, II, Torino 1892, p. 365; A. Manno, Il patriziato subalpino, II, Firenze 1906, p. 399; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1925, pp. 189 s.; G. Natali, Il Settecento, Milano 1936, pp. 285, 349, 975; M. Giorda, La storia civile-religiosa ed econom. di Castellamonte Canavese, Ivrea 1953, pp. 292, 298; C. Ghisalberti, Il diritto romano nel pensiero di un illuminista piemontese, in Arch. giuridico "Filippo Serafini", CLIII (1957), pp. 81-139; G. Vaccarino, U. V. B. di Castellamonte, in Boll. storico-bibliografico subalpino, LXII (1965), pp. 161-202.