Boualem Sansal. Difensore della cultura mediterranea
Scrittore pacato e appassionato al tempo stesso, denuncia nei suoi libri la perdita di ogni speranza di democrazia per l’Algeria. E intreccia una dolorosa autobiografia con la storia della sua patria.
Boualem Sansal sa dire cose durissime con voce pacata. Non ha l’aria di un rivoluzionario, eppure i suoi libri sono resoconti incendiari della società algerina, una critica spietata della violenza e dell’ottusità del potere e, soprattutto, dell’ascesa dell’islamismo dopo il 1991, anno in cui vengono annullate le elezioni che vedono il FIS (Front Islamique du Salut) in testa e scoppia la guerra civile.
Sansal ha cominciato a scrivere tardi, a cinquant’anni, come se la sua vita e quella del suo paese fossero in una tale simbiosi che c’era bisogno del distacco che solo il tempo sa dare per capirsi e capire la storia dell’Algeria. La decisione di scrivere viene presa dopo l’uccisione, nel 1992, del neoeletto presidente della Repubblica, Mohamed Boudiaf, a opera di un ufficiale della guardia presidenziale dopo solo sei mesi di presidenza.
Secondo Sansal, la morte di Boudiaf, eroe della rivoluzione, esiliato per 28 anni a causa delle sue idee progressiste e richiamato in piena crisi a salvare il paese, rappresenta la fine delle speranze di un’Algeria moderna e democratica.
Il suo esordio letterario, con Gallimard, nel 1999, Le serment des barbares, è ricompensato da numerosi premi tra i quali il Prix du Premier Roman e il Prix Tropiques. Nel 2008 esce, ancora per Gallimard, Le village de l’Allemand, tradotto anche in italiano (Il villaggio del tedesco, Einaudi, 2009), censurato nel suo paese per il sottile parallelo che Sansal lascia intravedere tra nazismo e islamismo. Il suo romanzo più completo, Rue Darwin (Gallimard, 2011) è una quasi-autobiografia scritta dopo la morte di sua madre, una storia personale che si intreccia con la storia algerina, da colonia francese a dittatura rivoluzionaria sotto la guida del Fronte di liberazione nazionale, alla guerra civile strisciante che dal 1991 strazia il paese per dieci anni.
Nato nel 1949, Sansal scopre a otto anni che la donna che l’ha allevato non è la vera madre e che sua madre vive a Belcourt, in rue Darwin, non lontano da dove nacque Albert Camus, con un nuovo uomo e molti altri figli. E forse anche suo padre non era il suo vero padre, figlio illegittimo di Djéda, ricchissima padrona di bordelli in tutta l’Algeria e amica del maresciallo Philippe Pétain.
La morte violenta del padre rivela al bambino Boualem un’identità che non conosceva. Al telefono, da Algeri, lo scrittore racconta la sua storia, le morti e le guerre, come se fosse la storia del suo paese ferito: «Un paese senza né padre né madre», un paese che uccide il padre con la rivoluzione, e piomba in una crisi di identità senza rimedio. Privo di una lingua madre (la classe colta algerina era completamente francofona), di una cultura madre dove rifugiarsi, il paese diventa orfano per sempre, preda dell’ideologia, dell’intolleranza e dell’ignoranza. Dopo la rivoluzione, l’Algeria, secondo Sansal, cade nel vuoto, nell’incapacità cronica di costruirsi un avvenire. Eppure Sansal, ingegnere, cosmopolita, educato ai gusti occidentali, alto funzionario prima di essere licenziato a causa dei suoi scritti, l’Algeria non l’ha mai lasciata. Così come non lasciò mai quella madre dall’identità oscura, al capezzale della quale si apre il suo romanzo autobiografico.
Sansal resiste al capezzale del suo paese morente, testimone vigile e critico del sogno spezzato del Mediterraneo occidentale.
Vincitore nel 2011 del Premio per la Pace dell’Associazione dei librai tedeschi, attribuitogli per la sua critica aperta al regime algerino, Sansal si aggiudica il Prix du Roman Arabe nel 2012. Ma la cerimonia di attribuzione del premio, prevista il 6 giugno a Parigi all’Istituto del Mondo Arabo, viene annullata dopo la sua partecipazione in maggio a un festival letterario in Israele.
L’assemblea degli ambasciatori arabi, garante del premio, rifiuta di dare a Sansal il compenso di 15.000 euro legato al premio. Dopo le proteste di molti membri della giuria internazionale del premio, tra cui Tahar Ben Jelloun, il premio gli viene ri-attribuito in ottobre, con una cerimonia all’Assemblée nationale a Parigi, grazie al contributo di un anonimo mecenate svizzero che decide di sponsorizzare il premio al posto degli arabi.
Sansal giudica la scelta degli ambasciatori arabi «inaccettabile» e rivendica il suo gesto come atto politico: «Le grandi cose si fanno con i piccoli gesti».
Tra le pagine più memorabili del libro Rue Darwin vi è una descrizione della mobilitazione algerina in sostegno della guerra del Kippur del 1973, quando una coalizione di paesi arabi attaccò di sorpresa Israele per ritrovarsi sconfitta e umiliata poche settimane dopo.
Sansal considera Israele, come la Palestina, un paese fratello, nel senso di una fratellanza mediterranea che ha come modello culturale l’Occidente e non l’Oriente. L’islamizzazione di parte dei paesi mediterranei è per Sansal la fine di un progetto di una cultura mediterranea unita, laica e progressista. La primavera araba, secondo Sansal, è ancora lontana. Bisogna prima sbarazzarsi della tentazione islamista per poter tornare a sognare rivoluzioni.
Il premio del Romanzo arabo
Il Prix du Roman Arabe è stato fondato nel 2008 con lo scopo di premiare le opere di alto valore letterario che consolidino un dialogo interculturale tra il mondo arabo e la Francia.
Posto sotto l’egida del Conseil des ambassadeurs arabes en France e con il patrocinio dell’Institut du Monde Arabe, il premio assegnato ammonta alla cifra di 15.000 euro.
A vincerlo, dal 2008 in poi, sono stati, nell’ordine:
■ Elias Khoury per Comme si elle dormait tradotto da Rania Samara (2008).
■ Gamal Ghitany per Les Poussières de l’effacement tradotto da Khaled Osman (2009).
■ Rachid Boudjedra per Les figuiers de Barbarie e Mahi Binebine per Les étoiles de Sidi Moumen (2010).
■ Hanan El Cheikh per Toute une histoire, tradotto da Stéphanie Dujols (2011)
■ Boualem Sansal con Rue Darwin (2012).