ANDALÒ, Brancaleone
Di celebre e potente famiglia bolognese, che aveva dato podestà ai maggiori comuni d'Italia (Genova, Firenze, Ferrara, Treviso, Lucca, Modena, Siena), godeva di tale riputazione nella sua città, che quando un'ambasceria di Romani andò a Bologna a chiedere un magistrato che li reggesse con titolo e potere di senatore, il Maggior consiglio propose Brancaleone degli Andalò. Egli accettò, pur esigendo ostaggi, e per tre anni assolse il suo ufficio con giustizia e rigore. Ristabilì l'ordine, mostrandosi severo contro chiunque lo violasse; costrinse il papa Innocenzo IV a riconoscere i diritti del popolo; portò lo sgomento in tutti coloro che erano soliti spadroneggiare in Roma. Nel 1255, al compiersi del triennio, il popolo lo riconfermò; ma i nobili insorsero, imprigionarono Brancaleone e nominarono senatore, in sua vece, Manuello Maggi bresciano. I Bolognesi allora tennero in più sicura custodia gli ostaggi del comune di Roma; anzi li affidarono alla moglie di Brancaleone, Galeana Savioli. Solo nel 1256 Brancaleone, liberato a onerose condizioni, poté ritornare alla città sua. Ma il popolo romano, presto stancatosi del Maggi, insorse violentemente nel 1257, lo massacrò e richiamò Brancaleohe, che contro nobili e ribelli usò anche maggiore rigore di prima. Nel 1258, quando tutta la città e le terre attorno erano in suo potere, Brancaleone morì improvvisamente: alcuni sospettarono di veleno. I Romani gli resero grandi onori e ne raccolsero il cuore in un'urna di porfido che innalzarono su un'eminente colonna. A continuarne l'opera, chiamarono lo zio di lui, Castellano Andalò.
Bibl.: V. Lazzari, Dissertazione intorno la prigionia di Brancaleone d'Andalò, Bologna 1873; L. V. Savioli, Ann. bologn., III, i, p. 258 seg.; G. Milanesi, Del tumulto successo in Roma nel 1256 e della prigionia di B. d'A., in Giornale stor. arch., I, p. 188 segg.