DORIA, Brancaleone
Figlio di Brancaleone e di una concubina, Giacomina, nacque nel 1337, probabilmente in Sardegna. Nel 1350 il padre, insieme coi fratello Manfredi, si accordò col re Pietro IV d'Aragona, per cedergli i suoi diritti su Alghero, ottenendo in cambio il riconoscimento dei feudi di Monteleone e Chiaramonti, con le curatorie di Nurcara, Caputabbas, Bisarcio ed Anglona.
Un altro fratello del padre, Matteo, fu in quegli anni l'anima della rivolta doriana contro l'occupazione aragonese dell'isola. Alleatosi con Mariano [IV], giudice di Arborea, egli si oppose con efficacia alla spedizione guidata dallo stesso re Pietro, fu invitato a partecipare al primo Parlamento sardo (tenutosi a Cagliari nel 1355) e venne compreso nella pace di Sanluri tra l'Aragona e Mariano (11 luglio 1355). Matteo, però, non mantenne fede agli accordi, si impadroni di Casteldoria e costrinse le forze catalane sulla difensiva.
Morto Matteo prima del marzo 1357 ed essendo in precedenza scomparso anche Brancaleone (anteriormente al 1355), fu il D. a raccogliere materialmente e politicamente l'eredità della famiglia. Tuttavia la sua nascita illegittima gli consigliò, per il momento, un atteggiamento di disponibilità ad intese con gli Aragonesi; già nel marzo 1357 egli si accordò con Bernardo de Cruilles, governatore del Logudoro in nome di re Pietro, che, in cambio della fedeltà, riconobbe a lui ed alla sorella Violante il diritto di accedere all'eredità di Matteo, proponendo altresì per entrambi intese matrimoniali. Quest'ultima iniziativa aveva lo scopo sia di impedire una possibile unione tra la stessa Violante ed Ugo, figlio di Mariano [IV], sia di togliere a Genova, tradizionale alleata dei Doria, ogni possibile appiglio per continuare la sua ingerenza negli affari del Logudoro. Due anni dopo (maggio 1359) il D. vide nuovamente riconosciuta la sua legittimità dalla Corona aragonese ed ottenne in feudo i castelli di Monteleone, Chiaramonti e Castelgenovese (ma non Casteldoria, occupato dagli Aragonesi nel 1357). Questi accordi trasformarono il D. nel più fido alleato di re Pietro nell'isola, rompendo un lungo periodo di comunione di interessi tra la famiglia Doria e la casa d'Arborea. Per rafforzare i legami col potente feudatario sardo, nel 1361 Pietro chiese ufficialmente al D. un plenipotenziario, allo scopo di trattare il suo matrimonio con una fanciulla catalana, scelta a corte e che venne indicata in Bianca, figlia di Pietro de Melany e nipote di Bernardo de Cabrera. Il D. accettò la proposta che, tuttavia, dovette poi essere abbandonata, forse dopo la caduta in disgrazia del Cabrera (decapitato il 26 luglio 1364).
In seguito il D. intavolò trattative matrimoniali per sposare Eleonora, figlia di Giovanni d'Arborea, che Mariano, suo fratello, aveva fatto incarcerare fin dal 1352. Temendo che il D. si trasformasse in un potente e pericoloso antagonista al trono, Mariano si oppose al progetto, trovando questa volta un alleato nel re aragonese, che non voleva inimicarsi il giudice in un momento di gravi difficoltà per il suo regno, alle prese col pericolo castigliano. Del resto Mariano aveva maturato il progetto di un attacco a fondo contro l'occupante aragonese e non esitò ' pertanto, ad assalire il D., considerato il punto più vulnerabile nello schieramento nemico. Divampata la ribellione in tutta l'isola, il D. preferì in un primo tempo passare dalla parte del giudice arborense (1367), contribuendo ad allargare il fronte delle operazioni contro gli Aragonesi fino alle porte di Sassari e di Alghero; in seguito, tuttavia, ritornò all'obbedienza regia e riuscì a fermare la dilagante avanzata delle truppe arborensi.
Nel marzo 1369 partecipò alla difesa di Osilo, attaccata da Mariano; nell'aprile, si adoperò perché Sassari restasse in mano catalana. Costretto Pietro a rinunciare all'invio di rinforzi nell'isola per il persistente pericolo castigliano, il D. finì coll'assumersi il compito di difendere i possessi aragonesi dagli attacchi arborensi, riuscendo nel 1370 a sconfiggere il nemico. Non molto tempo dopo si giunse ad una tregua tra il D. e Mariano; anche se le ostilità tra i due continuarono sino al 1374 (quando il D. fu ancora impegnato nel difendere Alghero dagli assalti del giudice), è probabile che proprio in questi anni sia maturato il progetto di matrimonio tra il D. ed Eleonora, figlia di Mariano. In un primo tempo, tra il 1364 ed il 1365, la prescelta dovette essere, come si è detto, la figlia di Giovanni d'Arborea; circa dieci anni dopo si arrivò all'unione con la prìmogenita del giudice, che, all'epoca del suo matrimonio, doveva essere in età matura (la sorella minore Beatrice si era già sposata da quindici anni). L'unione diede vita alla famiglia Doria-Bas, che si estinse nel 1407 con Mariano [V].
Morto nel 1376 Mariano [IV], a lui successe il figlio Ugo, che proseguì la politica di espansione territoriale voluta dal padre. In questi anni il D. preferì non impegnarsi personalmente in una guerra. Natogli il figlio Federico verso il 1376, nel settembre 1382 egli intavolò trattative con Niccolò Guarco, doge di Genova, per concordare il matrimonio tra il bambino e Bianchina, figlia del Guarco, dotata con 4.000 fiorini; il contratto sarebbe diventato valido quando Federico avesse raggiunto l'età per il matrimonio. Ucciso il giudice Ugo con la figha Benedetta il 6 marzo 1383, a succedergli fu chiamato Federico, figlio primogenito del D. e di Eleonora d'Arborea, sorella dell'ucciso. Federico, ancora bambino, non poteva assumere pieni poteri fino ai 18 anni, per cui il governo toccò alla madre che, nonostante il titolo di juighissa, fusolo reggente e sempre affiancata (e forse guidata) dal marito. Eleonora, grazie al suo tempestivo ritorno nell'isola da Genova, dove si trovava al momento dell'uccisione dei fratello, riuscì a riprendere il controllo del Giudicato, ma finì col trovarsi in una difficile situazione politica, in quanto reggente di uno Stato in guerra con l'Aragona, ma moglie di un vassallo fedele di re Pietro. Il D. decise di recarsi a Monzon, dove Pietro presiedeva le Corti, per chiarire la sua posizione e per arrivare ad un accordo. Il 24 giugno 1383 egli rinnovò il suo giuramento di fedeltà, venendo creato conte di Monteleone e barone di Marmilla (terra che apparteneva all'Arborea). L'abile mossa aragonese, cui il D. si prestò forse nella speranza di una pacificazione dell'isola, costrinse Eleonora a cedere alle pressioni degli ambienti arborensi, che volevano la rìpresa delle ostilità contro l'Aragona. Il conflitto scoppiò quando il D. si trovava ancora a Barcellona; benché chiedesse di poter ritornare nell'isola per svolgervi un ruolo di mediatore, venne arrestato e, l'anno seguente, condotto a Cagliari, nella torre di S. Pancrazio, dove fu sottoposto ad un duro trattamento. Iniziò così un lungo periodo di prigionia, perché il D. fu usato dagli Aragonesi come ostaggio, per indurre Eleonora alla pace.
Le trattative furono subito intavolate e si incrociarono con un oscuro episodio: nel gennaio del 1386 il D. tentò la fuga, ma venne catturato. Si sospettò, tuttavia, che tale tentativo fosse stato organizzato da Francesco Squinto (maggiordomo di Eleonora e vicino alla potenza genovese), con l'intenzione di sopprimere il Doria. Le trattative, comunque, continuarono, ma incapparono in altre difficoltà per la morte di Pietro d'Aragona (4 genn. 1387) e per quella di Federico. figlio del D., cui successe un altro figlio del D., Mariano, di circa nove anni. Solo nel 1388 (24 gennaio) si arrivò ad un accordo tra l'Aragona ed Eleonora. La pace, oltre a clausole finanziarie, prevedeva che all'Aragona passasse la roccaforte di Longosardo (presso l'attuale Santa Teresa di Gallura) ed una serie di castellì nel Logudoro e in Gallura.
Il D. tentò in un primo tempo di accreditarsi come mediatore presso Eleonora, ma il macchinoso sistema di garanzie previste dal D. per ottenere la liberazione apparve fin troppo interessato, per cui l'Aragona continuò a trattenere il D. come ostaggio. Raggiunto l'accordo, passarono altri due anni prima che ad esso fosse data attuazione, liberando il D. dalla prigionia (1º genn. 1390). Egli non esitò a riprendere le ostilità, considerando la pace non valida perché estorta con la forza e perché concernente terre che non appartenevano né all'Aragona né all'Arborea, ma da secoli alla sua famiglia.
Il D. puntò ad una campagna militare in due fasi, dirigendosi prima verso il Logudoro e la Gallura e poi verso la Sardegna meridionale, per occupare i castelli che Eleonora era stata costretta a cedere per la sua liberazione. Fallito un tentativo di rivolta ad Alghero, il 20 ag. 1391 il D. poté entrare in Sassari ed occupare poi Osilo e Bonvehi; a fine settembre cadevano nelle sue mani anche Sanluri ed Iglesias, per cui il D. riprese il controllo di gran parte dell'isola. Nell'aprile 1392 Giovanni, re d'Aragona, trovandosi in difficoltà, decise di spedire in Sardegna Asbert Sa Tria, discendente di un governatore di Cagliari, per porre Eleonora davanti alle sue responsabilità, dato che erano stati violati i capitoli della pace; si passò, così, all'apertura di un procedimento giudiziario nei confronti del D. e della sua consorte. Sempre in questi anni Eleonora smise di governare di diritto, perché il figlio Mariano era ormai giunto alla maggiore età, che la pace del 1388 aveva abbassato da 18 a 14 anni. Le operazioni militari finirono, però, con l'arenarsi: se l'Arborea poté mantenere la supremazia per terra, giungendo a minacciare la roccaforte di Longosardo, gli Aragonesi continuarono a tenere sotto controllo il mare, interrompendo il piccolo cabotaggio isolano col porto corso di Bonifacio.
Negli anni seguenti, forse sulla fine del 1402, morì Eleonora, durante una delle periodiche epidemie di peste che colpirono l'isola; il D. affiancò, così, il figlio Mariano nel governo. Nel frattempo, continuarono le trattative tra le due potenze nemiche, stremate dalla guerra e dalla peste. Nel maggio del 1404 l'arcivescovo di Cagliari, Antonio, propose al D. un incontro, che avvenne fuori dalle mura di Alghero. Il colloquio ebbe esito positivo, perché il D. accettò di inviare a Barcellona suoi rappresentanti con pieni poteri per trattare col re. Tuttavia, nel luglio, la nave che doveva trasportare gli ambasciatori fu catturata ad Oristano da due galere castigliane; il D. accusò l'Aragona di aver provocato l'incidente e ne approfittò per interrompere le trattative. Nel luglio del 1405 Martino il Vecchio inviò nell'isola il giurisperito Giovanni di Valterra, con l'intenzione di sfruttare i dissidi che stavano opponendo il D. al figlio Mariano, sempre più insofferente nei confronti delle ingerenze paterne nel governo. Questa abile manovra aragonese non ebbe, però, successo, perché il D. (che si era ripreso da un violento attacco di malaria) si appoggiò agli ambienti arborensi favorevoli alla guerra ad oltranza, per mantenere nelle sue mani il potere effettivo.
I successivi confusi avvenimenti videro il D. in un primo tempo costretto a desistere dalle operazioni militari e a rinchiudersi nella rocca di Monteleone; poi, dopo un ennesimo fallimento diplomatico, di nuovo all'offensiva. Nella estate del 1406 egli invase il Cagliaritano e l'Ogliastra, occupò il castello di Quirra, attaccò Longosardo e fece assediare Cagliari. Agli inizi del 1407 morì improvvisamente il giudice Mariano; il D., sospettato di aver ucciso il figlio, fu costretto ad una tregua, che venne ben presto interrotta, perché egli riprese l'attacco a Longosardo con l'aiuto di una piccola flotta genovese. In realtà, la morte di Mariano creò gravissimi problemi al D., escluso dalla successione al trono e costretto ad affrontare la minaccia rappresentata dagli eredi legittimi, i discendenti di Beatrice, sorella di Eleonora d'Arborea. La "Corona de logu de Arborea" offrì lo scettro a Guglielmo III, visconte di Narbona, nipote di Beatrice ed appoggiato dalla potenza francese (che in quegli anni controllava Genova). Venuto perciò a mancare anche l'appoggio genovese, il D. fu costretto ad abbandonare ogni progetto di conquista militare. In un primo tempo egli scelse il male peggiore e si alleò con Guglielmo; l'accordo, tuttavia, durò poco. Agli inizi di dicembre del 1408 il visconte di Narbona sbarcò presso Sassari, deciso a contendere agli Aragonesi il controllo dell'isola. Il D., ormai privo di potere, si rifugiò nella sua rocca di Monteleone. Secondo una versione dei fatti, egli fu invitato da Ugo de Rosanes. rappresentante del re d'Aragona, ad un colloquio a Castelgenovese e qui catturato.
Il D. morì, pertanto, in prigionia, agli inizi del 1409, abbandonato da tutti. Oltre a Federico e a Mariano, ebbe due figli illegittimi, Giannetto (che fu dato in ostaggio all'Aragona, in cambio della liberazione del padre) e Nicolò.
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