BRANCONI, Giovanni Battista, detto Giovanni Battista da L'Aquila
Di nobile famiglia, nacque all'Aquila nel 1473 da Marino; ancora in giovane età, si trasferì a Roma per apprendervi l'arte dell'orefice. In tale qualità è ricordato come testimone in due atti rogati a Roma il 27 febbraio e il 10 ott. 1498. Fu a bottega dell'orefice di fiducia del cardinale di S. Pietro in Vincoli, Galeotto Della Rovere, nipote di Giulio II, e di questo apprendistato non mancò di giovarsi in una rapida e fortunata carriera di cortigiano. Orefice e buon conoscitore di gioie, seppe introdursi assai presto negli ambienti cardinalizi, servendosi anche dell'aiuto di un cugino, Fabiano Branconi, scrittore apostolico. Tramite le relazioni del suo maestro di bottega, riuscì a entrare al seguito del cardinale Della Rovere, che accompagnò al conclave aperto, dopo la morte di Giulio II, il 4 marzo 1513. Nel corso del conclave si mise in evidenza con i cardinali, manovrando abilmente per favorire l'elezione di Giovanni de' Medici, eletto l'11 marzo. Il nuovo papa, Leone X, non dimenticò i servizi resigli dal B., che chiamò a far parte della sua famiglia più intima, colmandolo di benefici e di onori oltre che della sua particolare fiducia.
Secondo il cronista aquilano Bernardino Cirillo, il munifico pontefice gli concesse "rendite benefiziali e... officii" del valore di cinque o seimila ducati. In effetti, la generosità di Leone X fu assai larga verso il B., che già il 19 marzo 1513, a pochi giorni dalla elezione del papa, ebbe confermata la chiesa parrocchiale di S. Giacomo di Canelio nella diocesi di Padova. Il 17 aprile di quell'anno ebbe ancora la carica di custode del porto del Po fuori le mura di Piacenza con le entrate annesse. Nell'anno successivo il papa intervenne ancora in favore del B., qualificato nel documento (del 20 genn. 1514) come chierico aquilano, cubiculario e famigliare suo, presso, il doge di Venezia per sollecitare la rapida definizione di una controversia con Ercole Campofregoso relativa alla parrocchia di S. Maria di Casale nella diocesi di Padova. Nello stesso 1514 (il 9 settembre) il B. resignò la prepositura della chiesa di Osca in Aragona a Filippo de Urries, riservandosi i due terzi della rendita. Questa posizione patrimoniale già piuttosto considerevole si consolidò e si arricchì ulteriormente col passare degli anni. Nel febbraio del 1517 fu nominato infatti abate commendatario di S. Clemente di Pescara, nell'aprile del 1520 ebbe l'arcipretura di S. Biagio di Amiterno, e il 19 luglio 1521 la badia di S. Maria di Bominaco. In possesso di un patrimonio di tanta consistenza, il B. poté costruire "palazzi in Roma e all'Aquila e non lasciò addietro nessuna sorte di magnificenza e di splendore in ogni atto suo".
Influente consigliere artistico di Leone X, egli entrò in dimestichezza con gli artisti e i letterati che gravitavano sulla corte del papa mediceo. Particolari rapporti di amicizia strinse, con Raffaello, al quale commissionò, per farne un dono al padre (il nome di Marino Branconi appare sulla tavola), il famoso quadro della Visitazione, oggial Prado, a quanto pare per la somma di trecento scudi. Il quadro venne eseguito, a giudizio degli esperti, dall'allievo di Raffaello Perin del Vaga. Ancora Raffaello approntò i disegni per il sontuoso palazzo che il B. si fece costruire in Borgo. Il palazzo, fra i più belli della Roma rinascimentale, fu stuccato nella facciata da un altro allievo di Raffaello, Giovanni da Udine, e portava nel fregio la data del 1520. Fu demolito nel 1660 su ordine del papa Alessandro VII, per permettere la costruzione del colonnato di S. Pietro. La grande considerazione in cui il B. era tenuto da Raffaello è attestata dal testamento di questo (7 apr. 1520), che lo nomina esecutore testamentario con il datario Baldassarre Turrini. Dopo la morte dell'artista i due esecutori testamentari si dimostrarono onesti e avveduti amministratori del suo patrimonio. Vendettero al cardinale Pietro Accolti il palazzo bramantesco di Raffaello e provvidero a saldare onorevolmente i debiti.
Un tipico esponente della corte fastosa di Leone X, il B. passò alla storia per la custodia, affidatagli dal papa, del famoso elefante bianco donato a Leone dal re Emanuele di Portogallo nel 1514. In tale qualità è ricordato ad esempio, non senza la consueta maligna insinuazione sulla fortunata carriera del B. "già orefice, et poi camarier del papa pel mezo de la cognata", nella commedia Lacortigiana dell'Aretino. Malgrado le amorose cure del B., l'elefante morì nel 1516, e l'avvenimento ebbe le immancabili ripercussioni scherzose. Il B. compose un epitaffio latino che fu apposto sotto la riproduzione dell'elefante, dipinta da Raffaello in una torre a fianco dell'ingresso del palazzo vaticano, oggi perduta. Per Roma corse una pasquinata anonima, il Testamento dell'elefante, sapida di velenose insinuazioni sugli esponenti più in vista della corte di Leone X, nella quale il B. era nominato erede universale.
Uomo di stretta fiducia del papa, egli era depositario del suo tesoro, dei preziosi del quale fece l'inventario. Della sua influenza come consigliere artistico resta traccia in una lettera del 15 ott. 1520nella quale Sebastiano del Piombo riferisce a Michelangelo di un colloquio con Leone X relativo agli affreschi commissionatigli per la "sala inferiori" dell'appartamento Borgia. Il papa dichiarò all'artista di volersi attenere ai consigli del B. sul modo di affrescare la stanza. In effetti al B. non venne mai meno la stima del papa, che, a dire di un biografo, intendeva nominarlo addirittura legato di Avignone.
Il B. non sopravvisse molto al suo protettore, che seguì nella tomba ai primi di dicembre del 1522.
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