CASTIGLIONI, Branda
Di nobile e potente famiglia, nacque da Giacobino il Grasso nella prima metà del XV secolo. Egli compì molto presumibilmente studi giuridici e nel 1468, ascritto al Collegio dei giurisperiti di Milano, fu nominato avvocato fiscale nell'amministrazione sforzesca. Due anni più tardi fu uno dei deputati a giurare fedeltà al primogenito del duca Galeazzo Maria Sforza, Gian Galeazzo, nato l'anno precedente. Lo si trova quindi annoverato fra i camerieri ducali in una lista del 1474, riportata da Cicco Simonetta.
Morto tragicamente Galeazzo Maria Sforza (26 dic. 1476), si presentò alla reggente Bona di Savoia la necessità di sedare i disordini scoppiati in Parma. In questa città, scontenta dell'amministrazione del defunto duca, quattro fazioni, che facevano capo ad altrettante famiglie, si affrontavano con le armi. Dopo alcuni tumulti, che il potere centrale era riuscito ad arginare, nella città fu inviato ai primi di luglio del 1477 il C. con il compito di provvedere al risarcimento di quei membri della famiglia dei Rossi di San Secondo, che avevano subito danni dalle altre tre "squadre". Arrivato a Parma, il C. emanò severissimi ordini, perché fossero restituiti i beni saccheggiati. I bandi furono ignorati. I testimoni, pur sollecitati dai danneggiati a riferire ciò di cui erano a conoscenza, non ammisero di sapere alcunché e anzi alcuni facinorosi, appartenenti alle altre tre "squadre",uccisero il notaio di quella dei Rossi e minacciarono di morte il C., che aveva la qualifica di "esecutor ducale sopra i beni saccomanati". Rimasto nella città e avendo sostituito dal 22 agosto al 9 settembre il nuovo governatore, Iacopo Bonarelli, il C. si rese conto della sua impotenza di porre in esecuzione il suo mandato: pertanto si limitò ad espletare un'indagine sommaria ed a compilare una lista dei presunti saccheggiatori, che consegnò al governatore, quando questi tornò, con 600 provisionati, nella città. Ritornato a Milano, continuò ad occuparsi della questione e per incarico della duchessa fece un nuovo elenco, più ponderato, dei colpevoli e lo trasmise il 30 novembre alla reggente, che provvide ad emanare le condanne.
Nello stesso anno e in quello successivo egli fu uno dei dottori della Fabbrica del duomo, divenendone nel 1479 uno dei Dodici di provvisione. Sempre nel 1479 compì la sua prima missione diplomatica. Dopo la smagliante vittoria ottenuta a Giornico il 28 dicembre dell'anno precedente, gli Svizzeri non avevano sfruttato il successo e si erano affidati, per giungere ad un accordo con i Milanesi, all'arbitrato di Luigi XI. Il C., dopo essersi abboccato con il sovrano francese, si recò a Lucerna presso le Leghe svizzere, che addivennero, grazie soprattutto alla determinante opera dell'inviato francese, alla fine di marzo a una tregua, poi trasformata il 29 settembre nella pace, la cui ratifica avvenne il 5 marzo dell'anno dopo.
Nel 1481, mentre a Milano tutti i poteri andavano rapidamente passando nelle mani di Lodovico il Moro, richiamato dall'esilio dalla duchessa Bona, il C. lasciava la carica di avvocato fiscale "ex promotione ad maiorem dignitatem", come diceva il diploma di nomina di Benedetto Castiglioni, che lo sostituì, e diveniva membro del Consiglio di giustizia. Nello stesso anno il C. era a Roma, ove già da circa dodici mesi operava un'ambasceria milanese, di cui faceva parte l'omonimo e parente del C., vescovo di Como. Da Roma infatti inviava a Milano il 16 novembre una lettera, con la quale dava notizia di un sedicente ambasciatore giunto al papa dal leggendario prete Gianni.
Successivamente il C. parve specializzarsi negli affari napoletani, poiché per parecchi anni rappresentò il Moro nella capitale aragonese. Si trovava a Napoli nel 1482, mentre era in atto la guerra di Ferrara, iniziata ai primi di maggio, quando fu uno dei testimoni dell'atto di omaggio a re Ferdinando della città di Benevento, avvenuto a Napoli il 20 agosto; vi si trovava ancora nel novembre, allorché stava per essere promulgata la pace fra il papa e la lega (12 dicembre). Era di nuovo nel Regno nella primavera del 1485, quando, avvenuta la pace di Bagnolo (7 ag. 1484) e salito al soglio pontificio Innocenzo VIII (29 agosto), si profilavano nuovi turbamenti alla pace in Italia. Nel giugno egli inviò al Moro una relazione sulla cattura di Pietro Lalle Camponeschi e successivamente sugli ulteriori sviluppi della vicenda, che, come si sa, fu uno dei primi atti di ostilità fra l'autorità regia ed i baroni ad essa ribelli. Nel 1487, quando ormai si era conclusa la guerra fra il papa e Ferdinando I e questi era riuscito a schiacciare la rivolta dei baroni, il C. era ancora a Napoli, da dove riferiva a Milano la riluttanza degli Aragona a pagare qualsivoglia tributo al pontefice.
L'8 novembre di quell'anno, tornato a Milano, il C. fu nominato membro del Consiglio segreto. Quando il 14 apr. 1488 fu assassinato Girolamo Riario a Forlì, il Moro inviò il C. con istruzioni del 13 maggio presso Caterina Sforza, per assisterla in quel drammatico periodo, mentre ella, assediata nel castello, teneva testa ai rivoltosi. Il 5 giugno, avvenuta con il sostegno delle armi milanesi il 30 aprile la proclamazione a signore di Ottaviano Riario, il C. era ancora a Forlì, da dove inviò particolari sull'uccisione di Galeotto Manfredi, perpetrata il 31 maggio a Faenza. Intanto a Genova, dopo l'acquisto di Sarzana da parte di Lorenzo de' Medici, era avvenuta un'ennesima sollevazione, diretta contro Paolo Fregoso. L'offerta della città al Moro da parte di questo aveva dapprima provocato ulteriori reazioni, ma in un secondo tempo i Genovesi si erano convinti dell'opportunità di sottomettersi a Milano. Lodovico il Moro inviò nella città ligure il C., insieme con Corradolo Stanga. Essi avevano il compito di riportare la tranquillità nella città e di presiedere al passaggio dei poteri ad Agostino Adorno, il cui insediamento avvenne. conformemente alla volontà del Moro, nell'agosto del 1488.
Alla fine del medesimo anno il C. fece parte della compagnia, che, guidata da Ermes Sforza, si recò a prelevare a Napoli Isabella d'Aragona, sposa di Gian Galeazzo, nominalmente duca di Milano. Egli presenziò anche alla ratifica dei patti nuziali, avvenuta a Milano il 5 febbraio dell'anno successivo. Il giorno prima il legato pontificio Iacopo Gherardi lo aveva raccomandato, per interessamento di Lodovico il Moro, al papa per l'ottenimento di un beneficio, definendolo "vir modestus et nomini vestro veliementer deditus". Quasi a conferma di queste sue qualità lo Sforza lo inviò nell'aprile dello stesso anno a Firenze, dove aveva l'incarico di sollecitare il Magnifico ad adoperarsi per indurre, d'intesa con gli altri potentati italiani, il re di Napoli a rispettare gli impegni assunti nei riguardi del pontefice. Nel settembre 1489 il C. era ancora nella città toscana. Ve lo ritroviamo nel gennaio del 1491, quando il giorno 26 scriveva al Moro, comunicando di aver partecipato a Lorenzo de' Medici ed alle autorità fiorentine, ricevendone rallegramenti ed auguri, le duplici nozze avvenute a Milano fra Lodovico il Moro e Beatrice d'Este e fra Anna Sforza ed Alfonso d'Este.
Un anno dopo circa il C. fu inviato di nuovo a Genova cm il compito di indurla a rinnovare la tregua con i Fiorentini. La missione presentava qualche difficoltà, perché i rapporti fra le due repubbliche erano tesi e non infrequenti gli scontri armati nel territorio del Magra. Riuscì comunque a far sì che fosse firmata una tregua di sei mesi. Morto il 21 ott. 1494 Gian Galeazzo Sforza, fu uno dei quattro consiglieri ducali che dopo le esequie il Moro inviò a porgere le sue condoglianze alla vedova del nipote e a trasmetterle l'invito, non accolto, di raggiungere Milano.
Il 24 dic. 1496 il C., che aveva ricevuto dal duca il feudo di Pessano, divenne maestro delle Entrate straordinarie. Morì nel 1499.
Aveva sposato Dorotea Cusani, da cui aveva avuto Giovanni Giacomo, Filippo e Girolamo.
Girolamo si laureò in utroque iure nell'università di Pavia, ove divenne lettore delle Istituzioni per l'anno 1496. Due anni più tardi fu ammesso a far parte del Collegio dei giurisperiti di Milano. Dopo la conquista del ducato da parte di Luigi XII entrò a far parte dell'amministrazione regia, divenendo procuratore del fisco e tesoriere. Quando lo Stato di Milano fu sottratto alla dominazione francese e ne fu fatto duca Massimiliano Sforza, Girolamo, che era stato un attivo collaboratore dei Francesi, si trovò avvantaggiato dall'avere un fratello, Giovanni Giacomo, arcivescovo di Bari, che si era mantenuto fedele senza tentennamenti alla causa degli Sforza. Per il nuovo duca Girolamo svolse nel 1512 una missione diplomatica presso Giulio II.
Dopo essere stato coadiutore della Cancelleria sforzesca per circa tre anni, divenne cancelliere ducale il 13 luglio 1515,pochi mesi prima della battaglia di Marignano (13 settembre), che avrebbe avuto come conseguenza l'abbandono del ducato di Milano da parte di Massimiliano Sforza. Prima dell'ingresso nella città di Francesco I (11 ottobre), fu inviato con altri rappresentanti del popolo a fare atto di dedizione al sovrano francese ed in quell'occasione pronunciò un'orazione. Il re lo chiamò a far parte del Senato di Milano ed in complesso i suoi rapporti con i governanti transalpini furono improntati a sincera simpatia; il che lo mise però in una difficile situazione nel 1521, quando lo Stato di Milano fu restituito a Francesco II Sforza. Subì la confisca dei beni e cercò allora di emigrare a Pisa, scrivendo, senza poter ottenere ciò che desiderava, al suo illustre parente Baldassarre, perché si adoperasse per farlo chiamare ad insegnare diritto nell'università di quella città. Quando nel 1526 la città di Milano fu sottratta a Francesco II dagli Imperiali, Girolamo, che da Massimiliano I d'Asburgo era stato creato cavaliere aurato, fu nominato da Carlo V presidente del Senato.
Morì nel 1528, prima che lo Sforza fosse reintegrato nel ducato.
Aveva sposato Guida Francesca Castiglioni, da cui aveva avuto Giangiacomo, Francesco Abondio, Branda, Lucrezia e Dorotea.
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