BRESCIA (A. T., 24-25-26)
È per importanza demografica ed economica la seconda città della Lombardia.
È situata a 45°32′ lat. N. e 10°13′ long. E. tra l'Oglio e il Chiese, allo sbocco in pianura della Val Trompia (Mella), a 149 m. sul mare, dove questa s'incontra con l'importante strada pedemontana che segue le ultime pendici delle Prealpi e unisce Verona con Bergamo. Posta com'è al limite dell'alta Pianura Padana, la città partecipa della vita economica delle valli alpine (Camonica e Giudicarie; industria forestale e pastorizia) e della pianura (agricoltura e allevamento del bestiame) ed è il punto di scambio e di trasformazione di molti prodotti, per la sua posizione assai favorevole al traffico e al sorgere e svilupparsi dell'industria.
La città si stende ai piedi del colle Cidneo (m. 210 sul mare, occupato ora dal Castello, "falco d'Italia", sede del museo di Storia Naturale e del Risorgimento, un tempo fortezza), che si eleva a nord ed è continuato verso est da una ridente collina, ultima propaggine delle Prealpi Bresciane, denominata i Ronchi, occupata da ville con giardini e vigneti. La città, di forma quadrangolare (con tracce evidenti d'un antico castro romano), è orientata da ovest a est, ed era chiusa da bastioni interrotti da 5 porte (San Nazaro, Sant'Alessandro, Tor Lunga, Pile, San Giovanni); ma le mura sono state in gran parte abbattute e la città si è sviluppata fuori di queste, specie verso ovest; si vede però ancora bene dalla pianta che dalle porte partivano le vie, ampie e rettilinee, che conducono al centro della città, il quale è costituito dalla Piazza del Duomo. Il Mella scorre a 2 km. ad O.; la città è invece attraversata dal fiumicello Garza e da un suo piccolo affluente. L'acqua potabile è fornita principalmente dall'acquedotto di Mompiano, che alimenta anche molte fontane pubbliche.
Il clima di Brescia, in confronto a quello delle altre città della Pianura Padana, è meno continentale e meno umido. Durante l'interno i giorni nebbiosi non superano di regola la dozzina. La media temperatura annua è di 13° 4, quella di gennaio di 1° 6, la media di luglio di 23° 8; i massimi estremi assoluti finora osservati sono - 11° 2 e 37°1. Le precipitazioni annue ammontano in media a 994 mm., distribuiti in 113 giorni; i giorni con neve sono in media 6,3 ogni anno. Venti prevalenti sono quelli di NE. e SE.
La favorevole posizione di Brescia si è anche avvantaggiata per la costruzione di molte rapide comunicazioni. Fanno capo a Brescia (la stazione ferroviaria principale è a SO. della città) le linee ferroviarie per Bergamo e Lecco, per Cremona, per Iseo-Pisogne-Edolo, per Monterotondo e Iseo, per Piadena e Parma, per Treviglio e Milano, per Verona e Venezia. Vi sono linee tramviarie elettriche per Gardone Val Trompia e Tavernole, per Gussago, per Bagnolo Mella e Ostiano, per S. Eufemia della Fonte, per Soncino, per la Stocchetta, per Tormini, Salò, Toscolano e Gargnano, per Vestone e Idro; tramvie a vapore per Castiglione delle Stiviere e Mantova. Con Milano, Brescia è congiunta anche da un'autostrada.
Il comune contava 55.341 ab. nel 1871, 60.230 nel 1881, 70.614 nel 1901, 83.338 nel 1911, 100.168 nel 1921, 107.972 al 31 dicembre 1927 e 118.093 alla fine dell'anno successivo. Con l'aggregazione dei 5 comuni di Fiumicello Urago, Mompiano, San Bartolomeo, Sant'Alessandro, San Nazzaro Mella, avvenuta nel giugno 1880, la superficie era di 74,46 kmq., aumentata a 90,71 kmq. per l'aggregazione dei comuni di Caionvico e Sant'Eufemia. Per quanto riguarda il centro si hanno questi dati: 38.906 ab. nel 1871; 43.354 nel 1881; 48.077 nel 1901; 55.605 nel 1911; 66.667 nel 1921.
L'incremento del comune si è accentuato negli ultimi anni per la forte immigrazione:
Nel 1921 su 1000 ab. 489 erano nati nel comune stesso, 296 in altri comuni della provincia, 140 in altre provincie della Lombardia, 65 in altri compartimenti, 10 all'estero.
Il censimento industriale e commerciale del marzo 1927 ha contato nel comune 1752 esercizî industriali con 23.862 addetti (il 17, 1% degli abitanti dell'intera provincia) e 2833 esercizî commerciali con 8022 addetti. Prevalgono le industrie metallurgiche, meccaniche (specie armi da caccia) e il calzificio.
Bibl.: Descriz. gen. della popolaz. della città e prov. di B. comprese le valli e Salodiano, e per ordine di F. Grimani, capitanio e podestà, Brescia 1764; A. Valentini, Le mura di B., Brescia 1892; A.E. Aresi e L. Dodi, Il piano regolatore ecc. di B., Bergamo 1917; L'Economia bresciana, Brescia 1927-28.
Storia. - La città antica. - Il nome classico di Brescia è Brixia il nome Brexia compare all'epoca dei Longobardi. Non si ha sicura notizia che siano avvenute nella città di Brescia scoperte dell'età neolitica e del bronzo, le quali invece abbondano nella provincia. Gli scrittori antichi, ad eccezione di Strabone che l'assegna ai Galli Insubri, la dicono città dei Galli Cenomani e da essi fondata quando passarono le Alpi. Fu la città più importante dei Cenomani. Catullo (67, 34), non sappiamo con quale fondamento storico, la chiama: Brixia Veronae mater. I Cenomani conclusero spontaneamente con Roma un trattato di alleanza (Polyb., II, 23; 24; 32; Liv., XXI, 25, 14), al quale tennero fede anche durante la guerra annibalica. Brescia così divenne il più importante punto d'appoggio della potenza romana nella Gallia Transpadana. Stabilitasi la potenza romana in quella regione, essa perdette della sua importanza, specialmenle in confronto di Verona. Plinio (III, 19, 130) la dice colonia con Cremona, nel territorio dei Cenomani, e nelle lapidi essa è chiamata Colonia Civica Augusta Brixia. Dal titolo di Augusta si deduce che divenne colonia dopo che ad Ottaviano venne dato il titolo. di Augusto. Si ignora invece la ragione per cui le fu attribuito l'appellativo di civica. Venne iscritta alla tribù Fabia. La città che nei primi tempi doveva essere sul colle che sorge a nord, il Cidneo, si estese poi nel piano, e fin dai primi tempi dell'impero ebbe un notevole sviluppo. Augusto e Tiberio vi condussero l'acqua dalla sorgente di S. Apollonio. I rapporti commerciali di Brescia si estendevano oltre il suo territorio fino ai laghi d'Iseo e di Garda. Nel 452 la città fu presa e saccheggiata da Attila.
Bibl.: Corp. Inscr. Lat., V seg.; De Ruggiero, Diz. Epigrafico, Roma 1895, I, p. 1044; Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, col. 884 seg.; Nissen, ital. Landesk., II, Berlino 1882-1902, p. 196; Ugole, Brescia, Bergamo 1909, p. 13 sgg.
L'età medievale e moderna. - Sotto i Longobardi Brescia divenne sede di un ducato, e, secondo Paolo Diacono, sede di molte famiglie nobili. Desiderio la dotò di pregevoli monumenti come il monastero di San Salvatore. Del periodo dai Carolingi agli Ottoni non ci restano che poche notizie confuse, giacché nessuna fede si può prestare alla supposta cronaca di Rodolfo Notaio e a quella di Ardicio, fatture entrambe dell'abate Biemmi. Nel secolo successivo gli uomini liberi (in parte valvassori immigrati) avevano già acquistato tale forza, che il vescovo Olderico faceva nel 1038 a vantaggio di essi cessione dei privilegi cedutigli dall'imperatore Corrado II sopra il Cidneo, le rocche di Montedegno e di Castenedolo, sulle porte della città e l'ambito esterno delle mura per cinque miglia, nonché sopra i fiumi Mella ed Oglio con le loro rive fino alle sorgenti. Era questo un primo passo verso la libertà municipale, la quale tuttavia non fu del tutto raggiunta se non nei primi anni del secolo XII, tra il 1120 e 1127; ché soltanto in un documento del 1127 i rappresentanti cittadini sono chiamati col nome di consoli.
Il sorgere del comune non tolse però ogni potere al vescovo, al quale si manteneva fedele la maggior parte dei militi rurali, con l'aiuto dei quali egli cercava di ricuperare il potere perduto. Di qui le guerre civili, che si acuirono intrecciandosi con quelle tra i fautori di Anacleto II (v.) e d'Innocenzo II e assumendo così carattere anche religioso. In mezzo ad esse comparve Arnaldo (v.); per ordine del papa egli fu espulso, ma Brescia non tornò tranquilla.
Per la difesa delle sue libertà partecipò attivamente alle due leghe lombarde e sostenne impavida gli assalti degli eserciti imperiali, specialmente quello al tempo di Federico II, mentre nelle lotte civili fra guelfi e ghibellini, trasformantisi in altre minuscole fazioni, e in quelle coi comuni vicini di Cremona e di Bergamo, si stempravano le energie cittadine e si venivano preparando le signorie di Ezzelino da Romano, del Pelavicino e di Buoso da Doara, e dopo la caduta di Manfredi, quella di Carlo d'Angiò, che fu causa di maggiori sciagure perché si risollevarono con maggiore fra le fazioni d'ogni nome, e quindi gli esilî, i saccheggi e l'alternarsi dei vincitori al governo municipale.
Per porre freno a tanta anarchia il Gran Consiglio deliberò di affidare il governo cittadino a Bernardo Maggi, che come vescovo si era attirato la stima generale e che certamente govemó con saggezza e con energia, sebbene mirasse a rendere ereditario il governo nella sua famiglia; onde il rinascere delle lotte tra il fratello di lui e successore Matteo e l'emulo Tebaldo Brusato, le quali diedero pretesto al memorabile assedio di Enrico VII, sostenuto anch'esso, come i precedenti, con grande gagliardia.
Brescia passò poi successivamente, per colpa delle stesse fazioni familiari, dalla signoria degli Scaligeri a quelle dei Visconti, di Pandolfo Malatesta e di nuovo dei Visconti (Filippo Maria), finché, ribellatasi anche a costui, si adagiò sotto il dominio più mite di Venezia, alla quale si mantenne fedele fino al 1797. Per essa fu assediata da Niccolò Piccinino, costretto a ritirarsi nonostante i feroci assalti alla misera città colpita dalla peste; per essa vide devastato il suo territorio durante le ripetute guerre con il ducato di Milano nel sec. XV, ed espiò col terribile saccheggio di Gian Gastone di Foix nel 1512 il suo ritorno all'obbedienza, da cui l'avidità d'una parte dei nobili l'aveva tolta per darla in signoria a Luigi XII. Ne ebbe in compenso ampî privilegi, sotto l'egida dei quali godette per tre secoli di larga autonomia amministrativa, che le consentì di provvedere ai molteplici bisogni della vita cittadina. Rappresentavano la dominante i due rettori, scelti tra i patrizi veneziani, ma la città si governava coi suoi Consigli, il Generale, quello degli Anziani e quello della Banca. Ma la nobiltà bresciana volle fare anch'essa la sua serrata, riducendo assai il numero dei cittadini che potevano partecipare ai varí Consigli e ridusse nelle mani di pochi le magistrature; il che provocò una prima ribellione della borghesia nel 1644 e, alla vigilia quasi della caduta del governo veneziano nel 1792, quella d'una parte della stessa nobiltà. Dal canto suo Venezia, con i frequenti sussidî straordinarî chiesti per la guerra contro i Turchi, con la sua politica protezionistica venne man mano essiccando le fonti della ricchezza pubblica e privata; rovinò le principali industrie della lana, della seta, del ferro, del corame, e provocò l'esodo di molti artigiani, mentre la nobiltà incosciente, a imitazione di quella lombarda, viveva in miserabili gare di prepotenza e di fasto.
Si comprende quindi come il diffondersi delle dottrine filosofiche del sec. XVIII, l'eco della rivoluzione d'oltr'Alpi, la presenza delle armi francesi, l'esempio di Milano e di Bergamo inducessero anche Brescia a sottrarsi, dopo 371 anni di devozione, alla signoria veneta e a proclamare la repubblica (17 marzo 1797).
Durò questa pochi mesi, ma furono mesi di così fervida vita di opere e di pensieri, che certamente rappresentano un periodo di profondo, radicale mutamento della vita cittadina di Brescia, la quale si preparava così a divenire uno dei centri più importanti nell'epica lotta del nostro Risorgimento. La città fece parte della Cisalpina, e ne seguì le sorti e la trasformazione nel Regno d'Italia, e con questo cadde sotto il dominio austriaco.
A Brescia erano troppo vivi i ricordi dell'epoca napoleonica, perché non si sentisse il fremito della ribellione; questa si manifestò nei modi più diversi: con la cospirazione militare del 1814; con l'istituzione delle scuole di mutuo insegnamento e dei sordomuti per opera di Giacinto Mompiani, scuole ben presto soppresse; col fare dell'Ateneo un vero focolare di cultura e d'italianità, invano osteggiato dalla polizia; con le società segrete e la cospirazione del '21 che provocarono il famoso processo dei bresciani, in cui brillarono di luce fulgidissima lo stesso Mompiani, il dott. Bazza, il colonnello Ventura, il conte Luigi Lechi e Silvio Moretti; e più tardi, nel '33, con la cospirazione mazziniana, di cui fu anima Gabriele Rosa, mandato ad espiare la sua colpa allo Spielberg, e finalmente con la rivolta del '48, appena giunse la nuova di quella di Milano.
Scoppiata, pochi giorni dopo, la guerra, da Brescia partì per opera del Mompiani la domanda al Governo provvisorio di Milano, di indire i comizî per l'immediata annessione al Piemonte. Ricaduta dopo la battaglia di Custoza sotto il giogo austriaco, alle sevizie rispose con le memorande dieci giornate del '49 (v. sotto).
Per altri dieci anni l'Austria l'ebbe in suo potere, ma sdegnosa di ogni vile piaggeria, essa serbò viva la fede nella liberazione della patria, per la quale si immolò ancora una vittima gloriosa, l'anima purissima di Tito Speri. Pochi anni dopo entravano dalla Porta di Milano, nella città ormai libera dallo straniero, Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Napoleone III, e B. si univa al Piemonte.
Bibl.: Odorici, Storie bresciane, voll. 13, Brescia 1853-65; Bettoni-Cazzago, Storia di Brescia, Brescia 1909; A. Zanelli, Brescia sotto la signoria di Filippo Maria Visconti, in Rivista storica italiana, 1892; id., Delle condizioni interne di Brescia dal 1426 al 1644, Brescia 1898; id., La devozione di Brescia a Venezia e il principio della sua decadenza economica nel secolo XVI, in Archivio storico lombardo, 1912; U. Da Como, La repubblica bresciana del 1767, Bologna 1926; I cospiratori brsciani del 1821 nel primo centenario dei loro processi, pubblicazione miscellanea a cura dell'Ateneo di Brescia, Brescia 1924; A. Ugoletti, Brescia nella rivoluzione del 1848-49, Bologna 1899.
Le Dieci giornate. - Il 12 marzo 1849 Carlo Alberto denunziava l'armistizio concluso con il Radetzky il 9 agosto 1848; il 16 abbandonava Brescia la guarnigione austriaca, rimanendone soli 500 nel Castello. Ma lo stesso giorno l'imperiale regia delegazione provinciale intimava alla città di pagare le ultime 200.000 lire, residuo di una multa di 520.000 che il maresciallo Haynau aveva inflitto alla città il 4 gennaio di quell'anno. La richiesta trovava la popolazione già eccitata dalle notizie sulla ripresa della guerra e dall'ardore patriottico; essa accresceva pertanto pericolosamente il fermento, che finì con l'esplodere di fronte alle insistenze dell'autorità militare. Il 23 marzo la rivolta è aperta: insegne austriache, convogli di vettovaglie sono catturati; funzionarî austriaci vengono tratti prigionieri. Dal Castello, ben munito di artiglieria, si spara a cannonate sulla città, fino a tarda notte. Il 29 il bombardamento continua; ma in città, dove si è costituito un comitato di pubblica difesa, capeggiato dall'ing. Luigi Contratti e dal dott. Carlo Cassola, e dov'è stata istituita la guardia nazionale, il movimento prosegue. Il giorno dopo, a sera, entrano in città bande d'insorti. E il 26, contro il Nugent che marcia su Brescia da Mantova, con 1000 uomini, soccorrono insorti al comando di Tito Speri, e lo attaccano a Sant'Eufemia. Il Nugent sospende le ostilità per trattare; ma i Bresciani rispondono "guerra, guerra...". La lotta è ripresa; il Nugent previene gl'insorti e il 27 attacca la città, bombardata ad un tempo dal Castello. Ma l'assalto è respinto.
La resistenza della città contro le forze austriache, che ingrossano a mano a mano di numero, è eroica. Circolano le voci più varie sugli eventi del Piemonte dopo Novara; vengono anche diffuse false notizie di vittorie italiane. Ma da Bergamo il Camozzi avverte di non poter inviare soccorsi; e invece il 30 notte arriva il maresciallo Haynau, che il 31 dal Castello intima la resa alla città. S'iniziano trattative, ma gl'insorti più decisi rifiutano ogni compromesso. Alle 2 pomeridiane cominciano il bombardamento e l'attacco generale. Massacri, incendî, crudeltà estreme si susseguono sino a notte alta: ché, sebbene oppressi dal numero, i difensori non cedono. A mezzanotte soltanto, il consiglio civico vota la resa immediata: ma parte dei combattenti continua la lotta, mentre giungono col generale Appel nuovi battaglioni nemici. Solo alle 41/2 pomeridiane del 1° aprile le ostilità cessano.
Le condizioni della resa comprendevano la salvezza della vita e degli averi per gl'insorti; ma il 4 aprile venivano fucilati, nel Castello, l'abate Andrea Gabetti - innocente - e Giovanni Bertua, Pietro Venturini, Cesare Tedeschi, Pietro Baronio, tratti in arresto armati. Gravissime le varie multe imposte dal Haynau alla città e provincia: Brescia era così caduta, ma gloriosamente.
Bibl.: A. Ugoletti, Brescia nella rivoluzione del 1848-49, Bologna 1899, e, a pp. 71-79 e 161, la bibliografia fino al 1899. Nel cinquantenario si ebbero pubblicazioni commemorative, oltre alle ristampe di: Cesare Correnti, I dieci giorni della insurezione di Brescia, con aggiunta di documenti. Poi: Bartsch, Haynau und der Aufstand in Brescia 1849, nach offiziellen Acten, in Mittheilungen des k. u. k. Kriegs-Archivs. III. Folge, II (1903), pp. 291-367; e T. Speri, Le X Giornate, con nota proemiale e documenti inediti, a cura di P. Guerrini, Brescia 1924. Sullo Speri pubblicò documenti inediti F. Salata, nel Corriere della Sera, aprile 1927. Anche di altri è cenno in: Brescia, Rassegna mensile illustrata, Le dieci giornate, marzo 1929.
Arte. - I monumenti. - L'aspetto della città romana, che, specialmente nell'età imperiale, fu ricca di una civiltà provinciale raffinata, come provano i materiali archeologici di ogni genere venuti in luce fin qui, traspare negli avanzi monumentali di alcuni edificî. Un'intera arcata del Foro indica tuttora quello che era il centro della vita cittadina; la piazza era chiusa a nord dal tempio a tre celle, dedicato alla triade capitolina, e a sud dalla Curia. Gli scavi hanno anche messo in luce nel fianco orientale della Curia resti di un'altra grandiosa costruzione di cui non è stato accertato l'uso.
Il tempio, che l'epigrafe dedicatoria a Vespasiano, riferisce al 72 d. C., sarebbe stato eretto da questo imperatore per riconoscenza dell'aiuto prestatogli dai Bresciani a Bedriaco; esso sorge sopra uno stereobate di circa 3 m. d'altezza, innalzato sopra un edificio antico, che, in un ambulacro sotterraneo, serba tracce dei pavimenti a mosaico e degli affreschi. Per ricavare le celle, fu fatto un largo scavo nei fianchi del colle; il pronao, sulla fronte di quaranta metri, ebbe sedici colonne. Nell'interno è oggi sistemato un museo. Domina il ricco e vario materiale di epigrafi, di sculture in marmo e in bronzo, di vetri, di ceramiche, ecc. la grande statua in bronzo d'una Vittoria alata intenta a scrivere su uno scudo, che ripete forme di esemplari greci prassitelici, adattamento di un notissimo tipo di Afrodite alla rappresentazione della Nike, compiuto da artisti dell'età di Vespasiano. Della Curia rimangono alcuni resti della facciata, già adorna di 14 pilastri corinzî, messi in luce fino alla base, circa sei metri sotto l'attuale livello stradale. Sulla sinistra del tempio si conservano tuttora grandiosi avanzi del teatro che si sviluppava col dosso della cavea appoggiato alle falde del Cidneo. Varî scavi indicarono il luogo dove sorsero un grande anfiteatro, i templi della Fortuna, della Fede (il culto della quale ispirava, durante il Rinascimento, la dedica del palazzo per le rappresentanze cittadine: Fidelis Brixia fidei et iustitiae consecravit), di Ercole, del Sole, di Diana, di Giulio Cesare, ecc. Anche fu possibile giungere al riconoscimento della cinta muraria che comprendeva l'arx, sulla sommità del Cidneo, nella quale si aprivano cinque porte.
Soltanto i resti della chiesa di San Salvatore (ora parte del museo chiamato dell'età cristiana) e alcuni punti del chiostro (adibito a caserma) serbano esempio dei monumenti sorti nel tempo dei Longobardi. Di ben maggiore importanza sono gli edifici eretti durante l'età comunale. Nella piazza, in cui già la regina Teodolinda aveva fondato un battistero, sorsero la Rotonda o Duomo Vecchio, costruzione a pianta centrale, romanica, del sec. X-XI. e il palazzo del Broletto. Costruito in diversi tempi (secoli XII-XVII) ha le parti più antiche d'una severa nitidezza, specialmente nelle quadrifore del cortile. Avanzi romani entrarono nella costruzione dell'oratorio di Santa Maria in Solario, a due corpi di fabbrica sovrapposti. Nel Rinascimento, sotto la vecchia città muraria che divideva la cittadella dalle fortificazioni esterne, fu creata la nuova piazza detta della Loggia, dalla denominazione che ebbe il palazzo per le riunioni del consiglio cittadino. Fu iniziato questo bellissimo edificio nel 1492; il piano terreno reca segni di forza bramantesca, quello superiore fu eseguito su dati sansoviniani (1554), modificati su parere di G. Alessi, del Palladio e di G.A. Rusconi. Una folla di scultori lavorò alle decorazioni: le teste inscritte nei medaglioni furono eseguite da Gaspare di Milano e da Antonio della Porta.
Nel 1575 un incendio distrusse la copertura del tetto arcuato, e la vòlta della grande sala che Tiziano aveva decorato di pitture. Nel 1769 l'arch. Luigi Vanvitelli ricavò, in una parte del piano superiore, una sala ottagonale, che non fu mai portata a termine, ed elevò un grazioso attico di marmo, demolito nel 1914 per ripristinare la presunta copertura antica. Lungo il fianco destro della piazza si stendono i palazzetti del Monte Vecchio di Pietà, iniziati su disegno dell'architetto A. Zurlengo nel 1484, collegati da una loggetta elegante, e quello del Monte Nuovo, eretto sul finire del Cinquecento ripetendo le linee esterne degli altri due. Delicate grazie del Rinascimento si ritrovano nelle chiese di S. Maria del Carmine (iniziata nel 1438, finita intorno al 1491), del S. Corpo di Cristo (della metà del sec. XV), di S. Maria delle Grazie, architettata dal gerolimino L. Barcella nel 1522, in parte della chiesa di S. Francesco, dalla facciata e dalla struttura del. sec. XIII, che ha l'abside, altari e cappelle eseguiti su disegno dello Zurlengo, e in particolar modo nella chiesa dei Miracoli, iniziata nel 1488, ornata sulla fronte da finissimi intagli ricavati nel marmo di Botticino, che si ritengono di Gian Gaspare Pedoni.
Sul finire del Cinquecento la città assunse un aspetto diverso da quello poligonale conferitole dalle muraglie fiancheggiate da torri (delle quali è rimasta quella poderosa detta "La Pallata") per la costruzione d'una nuova cinta, imposta dalle necessità difensive rivelatesi dopo l'assalto di Gastone di Foix, la quale richiese un nuovo ordinamemo della città per radunare la popolazione di alcuni suburbî: ebbero così un assetto definitivo il Castello e la città estesa su un'area più vasta. I lavori furono per gran parte compiuti con la guida dell'ingegnere Agostino Castelli (1480-1550 circa).
Nei secoli XVII e XVIII la città si arricchì di numerose fabbriche, delle quali le più importanti furono il Duomo nuovo, sull'area dell'antico San Peder de Dom: ne fu dato il modello da G.B. Lantana (1580-1627) nel 1603, e se ne continuò la costruzione fino ai primi decennî del secolo scorso, quando venne compiuta la cupola su disegno dell'arch. L. Cagnola, e numerosi palazzi signorili, dovuti, in gran parte, all'abate A. Marchetti (1724-1791). Gaspare Turbini (1728-1786), insieme con molte altre costruzioni, diede il palazzo Guaineri, ornato da un elegantissimo prospetto nel cortile. Rodolfo Vantini (1791-1856) presentò nel 1821 il progetto per il camposanto, riuscito, per chiarezza architettonica, uno dei più belli d'Italia. La città moderna abbattute quasi del tutto le cinte murarie, si estese senza dar vita a nessun nuovo edificio di qualche importanza. Presentemente, abbattuti alcuni quartieri del centro, con la guida dell'architetto Marcello Piacentini, si stanno erigendo nuovi grandiosi edifici.
La pittura. - Gli esempî della pittura fiorita a Brescia prima del Cinquecento sono scarsissimi. Si possono ricordare i resti della decorazione pittorica che ornava la nave maggiore della chiesa di San Salvatore e che si può riferire al sec. VIII, qualche frammento nella parte più alta del salone del Broletto, in una absidiola dell'ex chiesa di San Zanino, nella cripta del Duomo Vecchio, dalla quale furono tolte alcune pitture, che si conservano nella Pinacoteca Tosio e Martinengo. Un polittico, oggi nella R. Pinacoteca di Torino, firmato e datato dal 1458, al quale è possibile riferire un dipinto con S. Giorgio che uccide il drago nella Pinacoteca bresciana, dimostra con la figura di Paolo da Calino un progresso che trova conferma negli affreschi della seconda metà del Quattrocento rimasti in San Francesco, al Carmine, nel S. Corpo di Cristo, in S. Salvatore. Giovanni Pietro da Cemmo, seguace di Vincenzo Foppa (che operò tra il 1479 e il 1511 e del quale si conserva a Brescia, nella Pinacoteca, lo stendardo processionale della Chiesa di Orzinuovi), è autore di alcuni affreschi nella Biblioteca dell'ex convento di San Barnaba. Vincenzo Civerchio da Crema (1470-1544) sparse per le chiese bresciane le prove della sua prima attività quasi del tutto foppesca. E foppesco è pure un altro pittore di Brescia: Floriano Ferramola (1478-1528). Prova dell'attività bresciana di Gerolamo Savoldo (1480 circa-1550 circa) è in un dipinto con l'Adorazione dei pastori, passato dalla chiesa di S. Barnaba alla Pinacoteca. A Gerolamo Romani, detto il Romanino (1485 circa-1559), ad Alessandro Bonvicino, detto il Moretto (1498 circa-1554), è dovuta la decorazione della cappella del Sacramento in S. Giovanni Evangelista, iniziata nel 1521. Similmente altre chiese bresciane conservano numerosi esempi della loro attività: S. Francesco, il Duomo Vecchio, Santa Maria Calchera, Ss. Nazaro e Celso, S. Clemente. Anche la Pinacoteca contiene molti dipinti del Romanino e del Moretto. Di quest'ultimo vi si può seguire la produzione in tutti i suoi essenziali svolgimenti. Dei discepoli del Romanino meglio emersero Calisto Piazza di Lodi (1490 circa-1560) e Lattanzio Gambara (1530-1573). Il primo lasciò una grandiosa Visitazione in Santa Maria Calchera (1525), il secondo, con il quale si chiuse la pittura cinquecentesca a Brescia, ha lasciato prove del suo agilissimo pennello nelle chiese di S. Maria in Silva, di S. Faustino Maggiore, all'esterno di case della città e in alcuni interni. Con il grande ritrattista bergamasco G.B. Moroni (1522 circa-1578), discesero dal Moretto alcuni minori, come Luca Mombello (1520-1570), Agostino Galeazzi (1523-1570 circa), Pietro Marone (1548-1570). Nel Seicento e nel Settecento Brescia non ebbe pittori di grande nome, anche se qualche merito si può attribuire a Faustino Bocchi (1659-1722), autore di divertenti bambocciate, a Giorgio (1585-1755) e Faustino (1695-1765) Duranti, pittori di fiori e d'animali, a Giacomo Ceruti (circa 1710-1768), al ritrattista Ludovico Gallina (1752-1787), a Santo Cattaneo (1739-1819), pittore di quadri sacri. Nello scorso secolo diedero nobili opere Angelo Inganni (1807-1880), Modesto Faustini (1839-1891), e Francesco Filippini (1851-1895).
La scultura e le arti minori. - Sculture decorarono nel 1254 la porta a nord della città, e capitelli scolpiti nel sec. XII e nel XIII ornarono la cripta di S. Salvatore e le quadrifore del Broletto; non per questo sembra che sia mai esistita una vera e propria tradizione locale. Nel 1308 un maestro campionese eseguì la tomba del vescovo Berardo Maggi in Duomo Vecchio. Nel Cinquecento, numerosi scultori lavorarono alla decorazione dei maggiori monumenti provenendo da varie parti. Nel Seicento e nel Settecento le famiglie dei Carra e dei Calegari diffusero una vastissima serie di opere. La fioritura delle arti minori fu copiosissima: maestri di tarsia, tra i quali Filippo Morari da Soresina, Benedetto e G.B. Virchi, nella prima metà del Cinquecento lasciarono saggi notevoli nella chiesa di S. Francesco; incisori come Giov. Maria e Giov. Antonio da Brescia e Bartolomeo Olmo; fabbricanti d'armi come Serafino da Brescia; gli orafi Giov. Francesco e Girolamo dalle Croci, autori dei più preziosi lavori d 'oreficeria delle chiese bresciane; gli Antegnati, fabbricatori d'organi; anonimi fabbri, fonditori di bronzi e di campane, miniatori, legatori di libri: una serie di opere delle quali è tuttavia possibile trovare ricche testimonianze.
Altre opere d'arte. - Le chiese bresciane hanno ancora qualche insigne opera di maestri veneziani: nella chiesa dei Ss. Nazaro e Celso un polittico con l'Annunciazione, il Redentore e Santi, opera firmata e datata (1522) di Tiziano; a S. Afra si conservano una Resurrezione del Tintoretto, il Martirio di S. Afra di Paolo Veronese, la Comunione di S. Apollonio di Francesco da Ponte; a S. Alessandro una Annunciazione di Jacopo Bellini, a S. Faustino Maggiore grandi affreschi, allusivi ai Santi protettori della città, di G.B. Tiepolo; a S. Silvestro, nella frazione di Folzano, la pala dell'altare maggiore reca il Battesimo di Costantino di G.B. Tiepolo. I quattro musei contengono, come quello dell'età romana, testimonianze della storia e dell'arte locale. Il museo dell'età cristiana con le raccolte di vetri, di ceramiche eugubine, pesaresi, faentine e di Castel Durante, di bronzi, di sculture e d'oggetti d'ogni genere, possiede una grande croce stazionale del sec. IX, decorata di gemme incise e di vetri, uno dei quali ritrae, su foglia d'oro graffita, tre personaggi ed è firmato da Bonnerio ceramista, e raccoglie numerosi avorî. I più famosi sono la cassettina del sec. IV detta la "Lipsanoteca", ornata da scene della vita di Cristo e delle storie bibliche, e dalle figure, inscritte in medaglioni, del Cristo e degli Apostoli; il cosiddetto dittico amatorio Queriniano, costituito da due scomparti d'una cassettina nuziale del sec. IV; il dittico di Boezio, console nel 487; una valva del dittico dei Lampadî (365). La pinacoteca Tosio e Martinengo ha un frammento del dipinto che Raffaello eseguì per la chiesa di Sant'Agostino a Città di Castello (1498), un Redentore pure di Raffaello, un'Adorazione dei pastori del Lotto, un ritratto di Enrico III di Francesco Clouet, disegni di Raffaello, di Giovanni Bellini, del Tiepolo, ecc. Il museo del Risorgimento aduna copiosi i ricordi della città. (V. tavv. CLXV a CLXXIV).
Bibl.: Nella ricca letteratura sulla storia e sull'arte bresciana, di cui si hanno saggi nel vol. XII dell'Elenco degli edificii monumentali a cura del Ministero della Pubblica istruzione (1917), e negli Atti del X Congresso Internazionale di storia dell'arte in Roma, 1922, pp. 512-521, sono scarse le opere fondamentali. Per la storia della città possono tuttora valere le opere di F. Odorici, Storie bresciane, ecc., voll. 11, Brescia 1854-1865, e Storie brsciane compendiate, Brescia 1882. Sulle antichità preistoriche e romane si vedano: L. Pigorini, in Nuova Antologia, XXX (1875), p. 525; Museo bresciano illustrato, 1838; F. Odorici, Brescia Romana, 1851; H. Dütschke, Antike Bildwerke in Oberitalien, IV, Lipsia 1880; F. Poulsen, porträtstudien in norditalienischen Provinz-Museen, Copenaghen 1928; F. Walters, Bausteine, n. 1453; Inscr. Gr., 2302-2304, e Lat., V, 4197-4852; 8882-8888; in Suppl., Pais, 676-690 e 1267-1293. Sui monumenti e sulle opere d'arte, oltre a quanto è detto nella Storia dell'arte del Venturi e in quella del Toesca, v. B. Zamboni, Memorie intorno alle pubbliche fabbriche di Brescia, Brescia 1778; F. Odorici, Antichità cristiane di Brescia, I, Brescia 1845; II, Brescia 1858; A. G. Meyer, Oberitalienische Frührenaissance, Berlino 1900; e le varie guide di G. A. Averoldi, Le scelte pitture di B. additate al forestiere, Brescia 1700; G. B. Carboni, Le pitture e scolture di B., Brescia 1760; P. Brognoli, Nuova guida per la città di B., Brescia 1826; A. Sala, Pitture ed altri oggetti di belle arti di Brescia, Brescia 1834; F. Odorici, Guida di Brescia, Brescia 1882; L. Fè d'Ostiani, Storia, tradizione ed arte nelle vie di Brescia, 1895-1905, fasc. 10°; A. Ugoletti, Brescia, Bergamo 1909 e 1920. Sugli artisti e sulle loro opere: S. Fenaroli, Dizionario degli artisti bresciani, 1877; I. A. Crowe e G. B. Cavalcaselle, History of Painting in North Italy, II, Londra 1871, pp. 362-437; F. Nicoli Cristiani, Memorie di Lattanzio Gambara e de' pittori bresciani, Brescia 1807; C. J. Ffoulkes e R. Maiocchi, V. Foppa, Londra 1909; P. Molmenti, Il Moretto da Brescia, Firenze 1898; P. Da Ponte, L'opera del Moretto, Brescia 1898; G. Nicodemi, La tomba di Berardo Maggi, in Dedalo, IV (1923-24), pp. 147-55; id., G. Romanino, Brescia 1925; id., I Calegari, Brescia 1924; E. Berti Toesca, La "Pietà" del Carmine di Brescia, in Dedalo, IX (1928-29), pp. 193-205. Cfr. infine i Commentarii dell'Ateneo bresciano di scienze, lettere ed arti, dal 1808 segg.; e le riviste L'Illustrazione bresciana (1902-1911), Brixia (1914-1919), Brixia Sacra (1910-1925).
Musica. - Nel campo musicale Brescia vanta un grande passato. Alla scuola veneta diede fervore di vita e proseliti insigni. Ma anche in altre regioni - da Milano a Roma, e anche all'estero - s'illustrarono molto i musicisti nativi della città e del suo contado. Già nella seconda metà del sec. XV Antonio Tedesco era stato compositore e musico (sonatore) esimio presso la Corte del duca Galeazzo Maria Visconti in Milano. Alfonso Caprioli nel 1504, pubblicava in Venezia canti, frottole, strambotti e sonetti in stile libero, contro il formalismo dei fiamminghi. Oltre ai teorici Fra Illuminato Aiguino e Fr. Bonaventura da Brescia che pubblicarono diverse opere importanti, il sec. XVI, nella città lombarda, annovera Giovanni Contino che, maestro al Duomo, ebbe alla propria scuola Luca Marenzio. Intanto si trovarono a Brescia organisti quali Girolamo Parabosco da Piacenza, Claudio Merulo da Correggio e Florenzio Maschera bresciano, mentre il concittadino Giulio Cesare Martinengo era successivamente maestro di cappella a Verona, e, a Venezia, predecessore di Claudio Monteverdi.
La famiglia Antegnati vi fondava un'officina organaria (1486-1613) che divenne celebre in Lombardia, nell'Emilia e nel Veneto. Nel medesimo tempo sorgeva la scuola di liuteria che da Jean Kerlino, Gian Giacomo Corna e Pellegrino Micheli arriva a Gaspare Bertolotti (v. gaspare da salò). Valerio e Luigi Dorici bresciani, nella seconda metà del sec. XVI, furono stampatori di musica in Roma, e Vincenzo Sabbio, col Tebaldino, in Brescia.
Fra Giovanni Ghizzolo, minore conventuale, inizia la serie dei compositori bresciani del '600; dopo di lui vanno ricordati Santino Girelli, che lasciò traccia di sé quale compositore di musica sacra e madrigalesca a 5 e ad 8 voci; Valerio Bona, monaco francescano, che fu maestro alle cattedrali di Vercelli e di Mondovì; G.B. Tonnolini da Salò, organista, a Bergamo prima, poi a Brescia; P. Antonio Mortaro, min. conv., organista, e Francesco Turini, figlio di Gregorio. Poi, nella seconda metà del secolo: G. B. Quaglia da Salò, organista alle cattedrali di Bergamo e di Brescia; i fratelli Giulio e Luigi Taglietti, compositori di musica da camera per archi e cembalo; Carlo Pallavicino salodiano, Carlo Pollaroli (1653-1722: v.), allievo di quest'ultimo, che fra melodrammi, oratorî e cantate, dettò ben sessantaquattro opere; Orazio Pollaroli, maestro alla cattedrale di Brescia.
Oltre ai compositori e agli organisti, non mancarono tra i Bresciani gli esecutori e i virtuosi. Basti ricordare Serafino Terzi, che fu al servizio del duca di Mantova e che in compagnia di Claudio Monteverdi intraprese un viaggio in Esztergom, e il violinista compositore G. B. Fontana. Intanto a Brescia continuava a fiorire la scuola liutistica. La illustrarono: Giovanni Paolo e il figlio suo Pietro Maggini, Jacopo Lanfranchini e G. B. Roggeri bolognese col figlio Pietro Giacomo bresciano.
Nel sec. XVIII Brescia non poté continuare nella prosperosa vita musicale dei secoli precedenti, forse per la vicinanza e la preponderanza di Venezia. I pochi artisti eletti che essa contava emigrarono, vi rimasero i più modesti. Si ricordi tuttavia che negli anni 1738-39, quale Camerlengo della repubblica veneta, si trovò a Brescia Benedetto Marcello (v.).
Le tre istituzioni che in Brescia tennero accesa nel sec. XIX la fiaccola dell'arte, furono: il Teatro Grande, il Civico istituto filarmonico e la Società dei concerti. Fin dal 1668 gli Accademici Erranti ebbero dai maggiorenti della città il consenso di aprire un teatro per la rappresentazione di melodrammi. L'attuale, che ha sostituito il primo venne eretto su disegno dell'arch. Canonica e inaugurato nel 1811 con Il sacrificio di Ifigenia di Simone Mayr. Il Civico istituto filarmonico fu fondato nel 1864 per lascito del cittadino Antonio Venturi da cui prese nome. Il comune di Brescia nel 1872 e nel 1891 diede all'istituto sempre maggiore sviluppo. La Società dei concerti, costituitasi nel 1869 per iniziativa di Antonio Bazzini, ha grande importanza per essere stata una delle prime del genere in Italia e tra le più attive.
Istituti di cultura. - Brescia ha vive tradizioni di studî. Tra i suoi istituti di cultura ricordiamo l'Ateneo e la Biblioteca civica. L'Ateneo di scienze, lettere ed arti, fu fondato nel 1802 come Liceo o Accademia del Dipartimento del Mella, in successione delle Accademie cessate con la caduta del governo veneto e assunse il nome odierno nel 1811. Pubblica i suoi Commentari; il volume del 1902 commemora "Il primo secolo dell'Ateneo".
La Biblioteca civica queriniana, istituita dal card. A. M. Querini (o Quirini: 1680-1756) nel 1743 e ceduta alla città nel 1747, possiede ora circa 200.000 volumi e 1900 mss., tra cui ricchissime collezioni d'incunaboli e di codici. Cimelî specialmente preziosi sono, tra gli altri, un evangelario purpureo del sec. VI, un evangelario preceduto dalle concordanze Eusebiane, ornato di miniature, dello stile di Reichenau, del sec. X, codici danteschi e il codice di Seneca dei secoli IX-X. Per quest'ultimo (v. L. A. Senecae Epist. moralium libri, ed. A. Beltrami, 1916-17).
L'arte della Stampa. - A Brescia l'arte della stampa apparve nel 1473, e il primo libro ivi pubblicato contiene le opere di Virgilio, con la data del 21 aprile; gli Statuta Communis Brixiae furono impressi da Tommaso Ferrando il 22 giugno dello stesso anno. Maggiore impulso vi diede Bonino De Boninis di Ragusa, proveniente da Verona. Egli stampò, dal 1480 al 1491, circa quaranta volumi, in gran parte classici latini, e nel maggio 1478 un Dante, il primo con figure incise in legno. Altri tipografi furono Angelo e Giacomo Britannici, Battista Farfengo e Bernardino Misinta, dal 1492 al 1499. Gerson, ben Moses, di Soncino, vi pubblicò dal 1491 al 1494 la Bibbia e altre opere in ebraico.
Bibl.: A. M. Quirini, Specimen variae literaturae quae in urbe Brixia ejusque ditione paulo post typographiae incunabula florebat, Brescia 1739; J. G. Gussago, Memorie storico-critiche sulla tip. bresciana, voll. 2, Brescia 1854; L. Lechi, Della tip. bresciana nel sec. XV, 2ª ed., Brescia 1854; G. Fumagalli, Lexicon Typogr. Italiae, Firenze 1905; R. A. Peddie, Printing at Brescia in the XV century, Londra 1905; L. Donati, Bonino de Boninis stampatore, in Arch. storico per la Dalmazia, 1927-28; U. Da Como, in Brixianam editionem principem librorum de Roma triumphante a Flavio Biondo conscriptorum brevis adnotatio, Bologna 1327; C. Pasero, Le xilografie dei libri Bresciani dal 1483 alla seconda metà del XVI secolo, Brescia 1928.
La provincia di Brescia.
Prima della legge comunale e provinciale del 1859 la provincia aveva una superficie di 3141 kmq. con 237 comuni (297.860 abitanti nel 1801 e 363.879 nel 1857). S'ingrandì in quell'anno di tutta la Val Camonica (circondario di Breno) e di 23 comuni della antica provincia di Mantova (circondario di Castiglione delle Stiviere), ma fu poi nuovamente ridotta nel 1866. Essa si estende ora su 4721,97 kmq. ed è quindi la più vasta, ma anche, se si eccettua quella di Sondrio, la meno popolosa provincia lombarda. Essa confina con le provincie di Sondrio, Bergamo, Cremona, Mantova, Verona, Trento; è bagnata dall'Oglio, dal Mella e dal Chiese, dai laghi d'Iseo, d'Idro e di Garda, e poiché si estende dalla cima dell'Adamello (m. 3554) alla bassa Pianura Padana (m. 36) ha grandi varietà di clima e di rilievo, e una flora che va dal larice d'alta montagna al cedro e al limone delle riviere del Benaco.
La provincia nel 1911 contava 596.887 ab., 652.225 nel 1921 (densità 138 ab. per kmq.) e 724.431 alla fine del 1927 (densità 153 ab.). I comuni da 281 nel 1925 sono scesi a 176 alla fine del 1928. Di essi 9 hanno popolazione da 500 a 1000 ab., 42 da 1000 a 2000, 46 da 2000 a 3000, 38 da 3 a 5000, 33 da 5 a 10.000, 7 da 10 a 15.000; del comune di Brescia abbiamo già detto. Il più alto comune della provincia è Temù (1150 m.), una frazione del quale, Villa d'Allegno, è posta a 1376 metri.
Nella zona di montagna predomina la silvicoltura e quindi l'industria del legname; nella zona collinosa la coltura della vite, e sui laghi di Garda e d'Iseo quelle dell'olivo e degli agrumi; nella parte bassa prevalgono le colture dei cereali e dei foraggi. La produzione media dei cereali è di 700-800 mila quintali, con redditi medî per ha. assai alti (grano, 1927-8: 20,7; 1929: 27, 1 q.). La produzione dei foraggi è in media di 500.000 quintali, quella dei bozzoli di 2 milioni di chilogrammi. Nella parte montuosa domina la piccola proprietà, con tutti i caratteri di azienda famigliare; nella pianura invece la grande proprietà, condotta mediante la mano d'opera di contadini salariati, ossia con carattere industriale.
L'emigrazione è quasi interamente temporanea, diretta specialmente verso la Svizzera, la Francia, la Germania e l'Austria. Nel 1913 si ebbero 10.340 emigranti, di cui 3795 per la Svizzera, 1480 per la Francia, 992 per la Germania, 482 per l'Austria, e poco più di un migliaio per i paesi transoceanici. Nel 1923 l'emigrazione totale fu di 4780 persone, di cui 903 per gli Stati Uniti, Brasile, Argentina, ecc., 3877 per la Francia, il Belgio, ecc., in ordine decrescente dai circondarî di Breno, Brescia, Salò, Verolanuova e Chiari.
L'industria e il commercio nel 1927 occuparono 111.553 addetti con 26.915 esercizî; prevalgono l'industria tessile (20.650 persone occupate), quella del vestiario e abbigliamento (specie calzifici: 14.230 persone), la siderurgica (9812) e la meccanica (8769).
La distribuzione, connessa con la variata struttura geografica, delle forme di attività economica nelle diverse regioni della provincia, l'esistenza di copiose aziende di dimensioni medie, l'urbanesimo non troppo accentuato, non disgiunto dall'intelligente laboriosità degli abitanti, sono i fattori principali dell'odierna floridezza. L'analfabetismo (1871: 33%; 1881: 34%; 1901: 15%; 1911: 9%; 1921: 3%) segna cifre bassissime. V. anche lombardia.
Bibl.: A. Sabatti, Quadro statistico del Dipartimento del Mella, Brescia 1807, p. 52 segg.; 314 segg.; F. Carli, Cenni sulla struttura economica della provincia di Brescia; svolgimento delle attività produttrici nella provincia di Brescia, Relazione statistica 1927-28, Brescia 1929.