BRESCIA
(lat. Brixia; Brisia, Bressa nei docc. medievali)
Città della Lombardia, capoluogo di prov. e diocesi vescovile, situata tra i fiumi Oglio e Chiese allo sbocco della val Trompia.Di origine ligure, B. divenne capoluogo dei Galli Cenomani nel sec. 4° a.C.; fedele alleata di Roma nella guerra gallica (225 a.C.), poi alleata degli Insubri (200 a.C.), nel 196 tornò a essere di nuovo unita a Roma e divenne municipium civium romanorum nel 42 avanti Cristo. In epoca imperiale la città godette di un periodo di grande floridezza economica e sociale (Plinio il Giovane, Ep., I, 14, 1-4), testimoniata da importanti resti archeologici. Durante la tetrarchia sono documentati a B. culti di divinità orientali (Mitra, Iside, Serapide), nonché la presenza di una sinagoga; per tempo compaiono anche le prime cellule cristiane, che la tradizione vuole legate al martirio dei ss. Faustino e Giovita, poi protettori della città, secondo il fantasioso Martirologio Geronimiano (della fine sec. 8°, ma forse con elementi del 6°) morti sotto Adriano (117-138 d.C.). Con il sec. 4°, mentre Milano, nuova capitale, assume sempre maggiore importanza, ha inizio la decadenza di Brescia. La collocazione sulla importante via Milano-Verona-Aquileia (particolarmente curata dagli imperatori nei secc. 4°-5°, come attestano i numerosi miliari) e l'estensione e ricchezza del territorio dovettero peraltro permettere a B. una rapida ripresa, malgrado i duri colpi che le vennero inflitti dal saccheggio degli Unni di Attila (452) e dalla peste (462). Con l'arrivo degli Ostrogoti di Odoacre (476) le fonti storiche tacciono fino alla rovinosa guerra goto-bizantina.Interessante la prima traccia di un'istituzione monastica: un diploma di Ludovico II (sec. 9°) ricorda il "Monasterium Honorii costructum in honorem Sanctissimae Genitricis Dei Mariae et Sanctorum Martyrum Cosmae et Damiani", che è dubbio se sia da identificare con quello di una carta del 17 settembre 759 che nomina un "Guideris rectore Monasterii Sanctae Genitricis Dei Mariae situm intra civitate Brixiana" (per alcuni quest'ultimo è da collegare al monastero poi di S. Salvatore). Sicura è invece da ritenere l'identificazione dell'istituto con quello menzionato in una carta del 10 novembre 882 ("Monasterium Sanctorum Martyrum Cosmae et Damiani fundatum infra civitate Brix") e nella carta del 1136 ("Ecclesia Sanctae Mariae quae edificata est prope monasterium Cosmae et Damiani"), monastero demolito dal vescovo Berardo Maggi (bolla di Bonifacio VIII del 17 aprile 1298) e ricostruito altrove per ampliare la piazza davanti al broletto. Ora, il monasterium Honorii, fondato appunto dal vescovo Onorio (592-598), si ritiene sia questo; mentre una semplice ipotesi - basata sulla sua sepoltura e sui collegamenti liturgici fra il culto dei santi titolari e quello del vescovo - è quella dell'istituzione da parte di Onorio di un collegio di monaci o di chierici nella chiesa di S. Faustino Maggiore con la traslazione dei due martiri. Altrettanto controverso è il problema dell'ubicazione della prima cattedrale: nella prima metà del sec. 5° esistevano a S-O della città romana le due cattedrali affiancate di S. Pietro de Dom e di S. Maria Maggiore e il battistero di S. Giovanni Battista, posto di fronte; le ipotesi fatte sulla cattedrale fra i secc. 4° e 5° (S. Andrea, per la sepoltura dei vescovi Filastrio, m. nel 357, e forse Ursicino, 330-347; S. Faustino ad Sanguinem) sono prive di basi sicure; pertanto è valida la tesi che le prime cattedrali fossero già ubicate dove sono tuttora.Mentre il breve dominio goto ha lasciato nella città solo tracce nel dialetto e nella toponomastica, con i Longobardi (569) B. divenne sede di ducato. Secondo Paolo Diacono "Brexiana denique civitas magnam semper nobilium Langobardorum multitudinem habuit" (Hist. Lang., V, 36); questo trova conferma nella presenza di numerose necropoli trovate nel territorio (Milanello, Leno, Visano, Calvisano, Flero, San Zeno) e nei dintorni della città, con materiali databili dalla fine del 6° ai primi decenni dell'8° secolo. Il numero e l'ampiezza delle necropoli nella 'bassa' bresciana fanno ipotizzare stanziamenti militari verso i confini con Mantova e Cremona, centri ancora bizantini. B. godette del particolare favore degli ultimi re longobardi Desiderio e Adelchi e della regina Ansa, di nobile famiglia bresciana. Le fondazioni del monastero benedettino femminile di S. Salvatore in città (753), di quello maschile di S. Benedetto a Leno (758), voluti da Desiderio, e di quello di S. Salvatore a Sirmione, voluto da Ansa, sono gli avvenimenti più importanti, anche perché i documenti rimasti si riferiscono a questi cenobi riccamente elargiti e perché essi conservano ancora parte delle antiche strutture architettoniche. Nel sec. 8° si conclude la capillare diffusione del cristianesimo nelle valli e si stabilizza il territorio della diocesi che, seguendo gli ordinamenti amministrativi tardoromani, si estendeva dal Sommolago (Riva del Garda e Arco), oggi in diocesi di Trento, a Castiglione e Acquanegra (oggi in diocesi di Mantova), ma lasciando la Valtenesi e i territori di Desenzano e Lonato sotto Verona; a O il confine era segnato dall'Oglio e dal lago d'Iseo e comprendeva tutta la Valcamonica.Con i Carolingi (774) B. passa sotto il governo dei conti: il primo documentato è il conte Suppone (817-822), la cui famiglia avrebbe retto la città fino al 10° secolo. Con Carlo Magno e poi con Lotario e Ludovico II (sepolto nell'875 a B.) assunse grande importanza anche politica ed economica il regio monastero di S. Salvatore (poi S. Giulia), che fu particolarmente protetto dall'imperatrice Angilperga; è di allora (847) la notizia che presso il monastero ci fosse un palatium regium Brixiae. Altrettanto favorito dagli imperatori fu il monastero di Leno; di iniziativa vescovile (Anfrido, Ramperto) fu invece il monastero benedettino di S. Faustino in città, particolarmente collegato con quello di Reichenau. I Supponidi nelle guerre per il regno d'Italia furono fedeli al loro parente Berengario I, che sconfisse Guido da Spoleto presso B. (888). Dopo il saccheggio degli Ungari (904), da un lato assunse sempre più importanza in campo civile la figura del vescovo-conte (di spicco il vescovo Ardingo, 901-922, cancelliere imperiale), dall'altro vennero rafforzate le difese del contado con la costruzione di mura, castelli e torri.Con l'affermazione degli Ottoni, si ha la prima notizia di un'aggregazione di cittadini bresciani nel 945 (conventus civium); sempre più forte divenne la potenza dei feudatari soprattutto ecclesiastici (vescovi, monasteri). Nei secoli seguenti si ebbero i primi stanziamenti cluniacensi (Provaglio, Rodengo, Capodiponte) e vallombrosani (Arimanno fondò l'abbazia dei Ss. Gervaso e Protaso nel 1110) e si diffuse il movimento dei patarini che a B. trovò sbocco nella figura di Arnaldo, il frate riformatore allontanato dalla città dal vescovo Manfredo (1135-1139). Rovinosi furono i terremoti (1051, 1117, 1122) e l'incendio del 1096, che portarono alla ricostruzione delle cattedrali.Con l'inizio del sec. 12° si ebbe l'affermazione del comune (la concio è documentata nel 1120, i consoli nel 1127, il primo palazzo comunale nel 1187, la zecca nel 1188) sul territorio comprendente le tre valli, le riviere del Garda e del Sevino e la pianura tra l'Oglio e un confine fra Chiese e Mincio. Profondi mutamenti si verificarono in città con l'ampliamento delle mura (1186-1187), per l'incendio del quartiere di S. Agata (1188) e in seguito all'apparizione delle prime domus dell'Ordine degli Umiliati, che svolsero un importante ruolo religioso ed economico. Organi dell'amministrazione comunale erano, con il podestà (nel 1209 si ha un abate), il consiglio minore, quello degli Anziani e il consiglio di Credenza.Il sec. 13° fu assai turbolento per le lotte tra la fazione popolare (Societas Sancti Faustini) e quella feudale (Societas militum Brixiae) e per quelle tra guelfi e ghibellini. Le vicende tumultuose non impedirono un'intensa attività edilizia e urbanistica e il tentativo di dare sistemazione agli Statuti (1254) e alla compilazione del Liber Potheris o Registrum Communis Brixiae, raccolta dei principali documenti comprovanti i diritti del comune. Con la seconda metà del Duecento si riaccesero le lotte interne, mentre gli Umiliati estesero la loro influenza nel campo ospedaliero (Consorzio di S. Spirito). Nel 1298 venne eletto rettore della città il vescovo Berardo Maggi, che riaffermò l'autorità sulle proprietà e feudi vescovili e promosse, tra l'altro, anche un'intensa attività edilizia; alla sua morte (1308) ripresero peraltro le lotte intestine e nel 1311 la città fu saccheggiata dalle truppe di Arrigo VII. Nel 1312 la popolazione venne gravemente colpita dalla peste. Dopo la pace di Gussago (1313) fra guelfi e ghibellini, di breve durata, le sorti della città subirono alterne vicende sino al 1332-1337, quando B. passò in possesso dapprima degli Scaligeri e quindi di Azzone Visconti (1337). A seguito dell'occupazione di quest'ultimo, B. venne inserita nella signoria milanese.Alla morte di Giangaleazzo (1403) ripresero le rivalità tra guelfi e ghibellini e Pandolfo Malatesta, capitano dei Visconti, alleatosi con i guelfi, occupò B. e la ottenne con Bergamo in signoria fino al 1420, quando il Carmagnola, a capo delle truppe viscontee, lo sconfisse a Montichiari. Il ritorno dei Visconti durò fino al 1426 quando, per l'esosità fiscale di Filippo Maria, a seguito della congiura di Gussago, i Bresciani si ribellarono (17 marzo 1426) e si offrirono liberamente alla repubblica di Venezia, che incorporò B. e il suo territorio: il dominio veneto durò fino al 1797.Per tutto il Medioevo fino a oggi il reticolo dei cardi e dei decumani entro la cinta augustea si è mantenuto nelle sue linee essenziali, condizionando anche l'assetto urbano delle zone dei due ampliamenti medievali, soprattutto del secondo. Si può ritenere che la frantumazione e la tortuosità dei percorsi se da un lato hanno alterato la simmetria romana, dall'altro hanno conferito una maggiore uniformità, tale da nascondere la diversità di orientamento urbano, fra il settore orientale e quello occidentale della città di epoca classica, che i recenti scavi stanno mettendo in luce. Maggiori irregolarità e disordinato andamento corrispondono invece all'area pertinente all'appendice tardoantica o altomedievale e in parte al settore del primo ampliamento comunale; ma se di quest'ultimo sussistono ancora tracce integre, lo sconvolgimento della prima è stato totale con la creazione delle tre piazze fra il Rinascimento e l'epoca fascista (piazza Loggia, piazza Mercato e piazza della Vittoria). Gli scavi del 1930-1931 e del 1971 hanno indicato la presenza di muri di cinta, di muri di contenimento con contrafforti, di torri con basamenti costituiti da lapidi romane e di un quadriportico (horreum), detto poi Granarolo. È questa la zona in cui, dai documenti dei secc. 12°-13° e dai cronisti dei secc. 15°-16°, si desume fosse ubicata la Curia Ducis longobarda: il centro del potere politico si affiancava quindi a quello religioso, costituito dalle due cattedrali e dal battistero, con lo spostamento a O del centro rispetto a quello dell'impianto romano (foro). Il quartiere di S. Agata, dove era la Curia Ducis, venne devastato da un incendio nel 1184; fuori dal percorso delle mura - che era ancora quello romano - si erano sviluppati i borghi e in modo particolare nella zona occidentale, favoriti dai corsi d'acqua (Bova, Garza, Celato), dalla presenza di uno degli acquedotti documentati nel sec. 8° e dall'esistenza delle chiese di S. Faustino con il suo monastero e di S. Giovanni. Nei borghi di S. Faustino e di S. Giovanni avevano trovato alloggio artigiani e commercianti con relative botteghe e fondaci. Si ignora l'ampiezza della demolizione delle mura ordinata da Federico I e se siano state più vaste verso O; forse tutti questi motivi portarono nel 1186-1187 all'ampliamento di B. proprio nella parte occidentale, lasciando integro il tracciato romano verso E e verso S, tuttavia con l'apertura di porta Nuova, e naturalmente verso N, per la presenza della collina del Castello già fortificata. Dalla zona di porta Paganora - non si sa se aperta o chiusa - le mura proseguivano a N dell'od. corso Palestro, con la porta Nuova di S. Agata (per Crema e Lodi), rigiravano a E dell'od. contrada della Pace con la porta di Campibassi e la porta Vecchia di S. Giovanni (strada per Bergamo e Milano), risalivano lungo via Battaglie, interrotte da porta Vecchia dell'Albera (incrocio con contrada del Carmine), poco oltre piegavano a E e, superata la porta del Ponticello (dal manufatto sul Garza che percorreva l'od. via S. Faustino), giungevano alla porta Gallia (in contrada S. Chiara) per salire ancora al Castello, lasciando fuori dalla cerchia il monastero di S. Faustino. È questa la cinta di mura che si oppose all'assedio di Federico II, anche se forse erano già iniziati nel 1236 i lavori per il secondo ampliamento che durarono fino al 1254. Con questo le mura scendevano dal Castello per l'od. via Brigida Avogadro fino a porta S. Andrea, che perse d'importanza o fu chiusa, perché le mura si spingevano lungo l'od. via Boifava fino all'od. zona di Rebuffone, dove era la porta di S. Matteo per Verona; da qui, dopo aver formato un saliente triangolare, ritornavano a O allineandosi verso S alle vie Spalti, S. Marco e Vittorio Emanuele, con le porte Cremona o di S. Alessandro (oggi sbocco di corso Cavour), Torzani (imbocco di via Gramsci), S. Nazaro (imbocco di corso Martiri della Libertà); indi si svolgevano a N seguendo via dei Mille e via Calatafimi, con la porta nuova di Campibassi (incrocio con via Cairoli), porta S. Giovanni (imbocco di corso Garibaldi), porta Nuova dell'Albera (incrocio con contrada del Carmine); raggiunta l'od. via Leonardo da Vinci piegavano per via Silvio Pellico e via Pile fino a raggiungere il Castello, con la porta di S. Eustachio (incrocio con via Marsala) e porta Pile (via S. Faustino). In quell'occasione venne deviato anche il torrente Garza, che fu usato come fossato che cingeva parte del lato nord, del lato ovest e di quello sud delle mura. In stretto collegamento con queste si realizzò, sotto la direzione dell'umiliato Alberico da Gambara, ingegnere e architetto comunale, un grandioso piano regolatore che prevedeva la demolizione almeno parziale delle mura precedenti inutilizzate, il riempimento delle vecchie fosse, la vendita delle relative aree a privati, la creazione di un reticolo di strade con la messa in opera di termini, con misure esattamente indicate (m. 8,55 di larghezza), secondo andamenti rettilinei e con incroci tali da formare ampi isolati, che riprendevano e continuavano quelli del nucleo romano. Infine, le mura erano dotate di strade di circonvallazione interna ed esterna rispetto al terraglio e alla fossa, con slarghi in corrispondenza delle porte, mentre la città era divisa nell'interno in quadre. La lungimiranza e maturità di questo piano sono comprovate dal fatto che le due strade di circonvallazione costituiscono ancora oggi il Ring del centro storico, sopportando un intensissimo traffico, e che le mura non vennero più ampliate fino alla loro demolizione (fine sec. 19°-inizi 20°). Il saliente di Rebuffone fu attuato per proteggere la fonte che dava acqua alla parte orientale e per riparare la collina del Castello, da quella parte più dolce e ancora collegata alle colline dei Ronchi. La costruzione di porta Pile (1254) concluse questa grandiosa trasformazione del volto urbano di B. cui fecero poi seguito, nel sec. 14° e all'inizio del 15°, quelle di carattere prettamente militare dovute agli Scaligeri e ai Visconti.Le difese avevano come perno il Castello posto sulla sommità della collina: di un castro maiori e di un'arce si ha memoria nel 1039 e nel sec. 13° e di quell'epoca rimangono la torre Mirabella circolare e altri resti di murature. Nel sec. 14° si ebbero imponenti lavori di rafforzamento difensivo che si estesero poi anche verso la città. Le notizie relative alle fortificazioni del sec. 14° sono piuttosto confuse, ma l'uso del termine 'cittadella' fa pensare a un restauro della cinta romana e di parte di quella medievale con riapertura delle porte e ricostruzione delle torri (porta Bruciata e porta Paganora, ancora sussistenti nelle strutture romanico-gotiche); del 1343 è la costruzione del mastio del Castello, dovuto a Bernabò e al vescovo Giovanni Visconti.Dopo la fondazione delle prime chiese extra moenia e l'incerta collocazione della prima chiesa cattedrale (sec. 4°-5°), è sicuro che dal sec. 5° la cattedrale era entro le mura, dov'è tuttora, localizzata nelle due basiliche di S. Maria Maggiore e di S. Pietro de Dom, con a fronte il battistero di S. Giovanni, sui lati ovest e sud le case dei canonici e su quello est l'episcopio (prime notizie del 991; nel 1078 detto palatium S. Martini dalla cappella annessa), parzialmente demolito da Filippo Maria Visconti per fare posto alle mura della Cittadella Nuova e ricostruito più a E (in via Gabriele Rosa resta parte della facciata medievale). S. Pietro de Dom ebbe restauri e cripta (1025); S. Maria Maggiore fu dotata nell'838 di cripta e poi ricostruita nel sec. 11° a pianta centrale; il battistero fu restaurato nel 1254; il primo e l'ultimo edificio furono demoliti nel 17°secolo. Di altre chiese poste sulle pendici della collina del Castello (S. Desiderio, S. Giovanni Evangelista, S. Eufemia) rimane ricordo in un documento del 761; di S. Giorgio e di S. Pietro in Oliveto le ricostruzioni romaniche hanno salvato frammenti scultorei (per la seconda, anche murari). Fuori dalle mura, ma indice di un consistente nucleo di edifici, è ricordato nell'889 S. Zenone de Arcu, vicinissimo all'area della Curia Ducis. Con il sec. 10°, nell'ambito delle mura, si ricordano Ss. Ippolito e Cassiano, S. Clemente, S. Cecilia loco Calcaria (dalla calchera di materiale romano) cui si aggiunsero S. Siro, S. Brigida, S. Agostino, S. Faustino in Carcere, S. Zeno al Foro, Ss. Simone e Giuda, S. Urbano, S. Michele; alcune chiese, sempre di modeste dimensioni e in gran parte dipendenti dal Capitolo della cattedrale, sono ricordate nell'elenco delle dedicazioni del 1153-1154. Con i secc. 12° e 13° sono documentate le chiese extra moenia, con i relativi collegi di canonici, di Ss. Nazaro e Celso (1101), S. Alessandro (1130), S. Giovanni Evangelista (1109), S. Lorenzo; nella città murata si ha invece S. Maria Calchera (1143).Le prime fondazioni degli Ordini religiosi sono benedettine: i monasteri femminili di S. Maria e dei Ss. Cosma e Damiano e di S. Salvatore (753), quello maschile di S. Faustino Maggiore (sec. 9°), la chiesa di S. Benedetto (958-962) dipendente dal monastero di Leno, quello suburbano maschile di S. Eufemia della Fonte, dovuto al vescovo Landolfo II (1038), quello vallombrosano pure extra moenia dei Ss. Gervaso e Protaso (1112). Nel 1112 compaiono in S. Pietro in Oliveto gli Agostiniani. Con il secondo ampliamento delle mura (sec. l3°) ampi spazi inedificati vennero occupati dai nuovi Ordini religiosi: molteplici le domus degli Umiliati (1224, quella di Quinzano a S. Luca; prima del 1245, quella di Contignaga a S. Bartolomeo, quella di S. Marco de Medio o di Gambara e quella di S. Maria Maddalena nei pressi di S. Lorenzo; 1295, quella di S. Maria di Palazzolo alle Grazie; successivamente quella degli Orzi presso i Ss. Taddeo e Giuda, quella di Erbusco ai Ss. Giacomo e Filippo e quella di Pontevico a S. Paolo). Contemporaneo fu l'insediamento nelle aree libere entro la seconda cinta, dopo breve permanenza altrove, dei Domenicani (1234-1255), dei Francescani (1254-1265), del nuovo monastero di Benedettine dei Ss. Cosma e Damiano, traslocato da Berardo Maggi nel 1298 a causa dell'ampliamento del broletto; dallo stesso vescovo furono chiamati gli Eremitani a S. Barnaba (1296) e nel medesimo anno i Canonici regolari di Santa Croce di Mortara entrarono in S. Faustino ad Sanguinem, ricostruito e reintitolato a s. Afra (oggi S. Angela). Nel 1306 o 1312 le Domenicane costruirono il convento di S. Caterina e del 1345 fu l'inizio del convento dei Carmelitani. Gli unici monasteri nuovi nell'ambito delle più antiche mura furono quelli dei Ss. Felice e Fortunato per la sostituzione dei frati Gaudenti con le monache benedettine di Manerbio e quello di S. Chiara, pure di Benedettine (1255), sostituite nel 1308 dalle monache dei Minori conventuali.A stento si intuisce l'ubicazione della Curia Ducis di epoca longobarda. Gli unici edifici del potere civile nel Medioevo sono quelli relativi ai palazzi comunali: il "palatium vetus communis Brixiae", documentato nel 1187 (ma già nel 1183 è ricordata la "Laubia lignorum Comunis Brixiae"), sorto sull'area del brolo dei canonici posto fra S. Pietro de Dom e il battistero; dopo la costruzione del nuovo palazzo divenne abitazione del Podestà fino all'epoca viscontea e poi fu demolito; il palazzo era unito alla concio su cui prospettavano anche i portici arengi costruiti nel 1198. Forse pertinente a questo palazzo era la torre del Pégol (del mercato) o del Popolo, oggi invece inglobata fra le varie ali del broletto. Il "palatium novum comunis Brixiae" o palazzo broletto fu eretto, a N di S. Pietro de Dom, sull'area di case e terreni dei Poncarali, dei Lavellongo, dei Carzia, del monastero dei Ss. Cosma e Damiano e di altri, fra il 1223 e il 1284. Bonaventura medico e Giovanni della Porta curarono la costruzione di due ali (palatium maius e palatium minus); nel 1284 Berardo Maggi fece completare il portico dell'ala che chiudeva a E la corte interna cui si accedeva per cinque porte; nell'angolo sud-est era la scala che portava alle sale del piano nobile, affrescate. Con i Visconti vennero eseguiti lavori di ampliamento nella zona a N, si coprirono i portici del lato orientale con volte a costoloni, si edificò uno scalone che fiancheggiando S. Pietro de Dom portava nel grande salone, scavalcando la strada pubblica. Radicali trasformazioni nella parte nord, intorno alla seconda corte, si ebbero con Pandolfo Malatesta (1414-1419), che ne fece la sede ducale: rimangono le facciate esterne con decorazione in cotto, un portico ogivale, la chiesa di S. Agostino, inserita nel palazzo ma a esso non pertinente, con ricca fronte in cotto.La torre della Pallata, posta a guardia dell'antica porta di S. Giovanni, quando questa stava per essere sostituita dalla nuova, è anteriore al 1253, data incisa su un concio della muratura; in età più recente fu sede della cassa comunale.Le prime indicazioni del castello (loco castello) sono forse del 1041; scarse sono le strutture del sec. 13° oggi conservate (la più importante è la cilindrica torre Mirabella). Nel 1345 si eresse, a opera di Bernabò e Giovanni Visconti, il mastio visconteo, di semplici forme architettoniche e circondato dalla cinta muraria parzialmente riconoscibile nell'attuale forma trapezoidale, con torri circolari o quadrangolari.Dei due acquedotti romani, uno di Mompiano, l'altro della val Trompia, si conservò il primo, poi riattato in epoca tardoantica, ricordato nel 761 (curriculo); numerosi gli avanzi alla base delle pendici nord e ovest del colle del Castello che, dopo aver alimentato l'impianto termale in casa Cavadini (via Gasparo da Salò), portava l'acqua girando poi sul lato sud, fino al monastero di S. Giulia, con derivazioni che rifornivano quasi tutta B.; vi era poi un condotto secondario che dalla fonte di Rebuffone giungeva nella zona sud-est della città. Una preziosa descrizione in dialetto del 1339 illustra percorso e derivazioni dell'acquedotto.Dai documenti si ricavano notizie sui ponti (anche marmorei) sul Garza, sulle fontane, sul porto del Naviglio (1071) poi detto di S. Matteo, ma più nulla rimane, anche se è da segnalare il ritrovamento (1959) della banchina del porto fluviale in via Mantova, per la quale furono riadoperate lapidi e resti di un recinto funerario romano.Del 1146 è la menzione del mercatum broli; nel 1173 si costruisce il mercato nuovo, opera di grande portata urbanistica, che determinò l'apertura di una vasta piazza rettangolare, in base a un preciso piano regolatore, ove confluivano almeno sei strade o vicoli, nella parte nordorientale della città antica. Tale ubicazione si è detta decentrata, ma il collegamento diretto e la vicinanza con le colline dei Ronchi, con il porto fluviale, con una delle porte, con il condotto d'acqua proveniente da Rebuffone sono elementi di grande rilievo per questo mercato, il quale avrebbe dovuto sostituire gli altri della città, che tuttavia rimasero: nel 1186 si ha il mercatum Fori (già foro romano), mentre i mercati del Castello, del Ponticello, dell'Arco Vecchio sono ricordati verso la fine del l3° secolo.Il documento del 761, che cita il luogo ubi dicitur Pareveret presso porta Milano, ricorda la stazione della posta dei cavalli; nei documenti del sec. 14° si ha notizia della domus mercantiae.Numerosi gli ospedali, gli ospizi, gli xenodochii: nell'877 la badessa Gilda istituì quello di S. Remigio, dipendente dal vicino monastero di S. Giulia; del sec. 12° è quello dei Poveri, presso S. Alessandro; nel sec. 13° sono documentati quelli di S. Giovanni de Foris, del monastero di S. Faustino Maggiore, dei Ss. Simone e Giuda; i lebbrosi avevano l'ospedale presso S. Matteo, affidato agli Umiliati; ve ne erano anche a S. Francesco (ospedale di S. Maria della Pecora), nell'od. corso Garibaldi (ospedale della Mercanzia), oltre a quello in mansio Templi, affidato ai Templari, presso S. Maria della Mansione. Nel 1305 gli Umiliati di S. Luca assunsero la gestione del Consorzio di Santo Spirito de Dom; del 1335 è l'ospedale di S. Maria della Misericordia (via dei Mille), del 1344 è quello di S. Cristoforo (contrada del Carmine), del 1375 quello di S. Antonio di Vienne. La maggior parte di questi ospedali e ospizi venne conglobata nel Consorzio di Santo Spirito (1420) per un unico ospedale che venne fondato solo nel 1447 sull'area fra S. Luca e S. Lorenzo, già degli Umiliati, con il nome di ospedale Maggiore.Gli scavi dal 1978 a oggi nell'area sud-est della città stanno rivelando strutture murarie dei secc. 4°-5° di notevole consistenza e ricchezza, spesso fondate su edifici più antichi; incendi, rovine e distruzioni alterarono profondamente l'aspetto cittadino nel primo periodo longobardo; edifici religiosi a volte sostituiscono quelle modeste costruzioni nel 7° e 8° secolo. Forte è la ripresa edilizia in epoca romanica (secc. 11°-12°) con l'uso della pietra (medolo) in ben compaginate murature e con il riutilizzo di frammenti romani; con il tardo sec. 12° e il 13° compare il cotto per le ghiere d'arco o di finestra e per motivi decorativi: tale uso si sviluppò ancor più nel sec. 14° e nella prima metà del seguente. Con il sec. 13° avanzato compaiono i primi segni di forme gotiche (archi acuti, archi trilobati, volte a costoloni), che tuttavia non diminuiscono la severità e la semplicità dell'aspetto ancora romanico delle costruzioni, visibili soprattutto nella Cittadella Vecchia. Numerosi i resti di torri private, poi mozzate da Ezzelino, a grossi conci bugnati in medolo, con poche aperture.Le necropoli romane - in uso fino all'età tardoantica e in epoca longobarda - sono documentate nelle zone suburbane fuori porta Torrelunga, a lato della strada per Verona e Mantova, e fuori porta S. Faustino ad Sanguinem, ai lati della strada per Cremona (area del vecchio manicomio provinciale; area del liceo classico Arnaldo, in uso nei secc. 3°-5°; cimitero di S. Latino intorno a S. Faustino ad Sanguinem, dove secondo la tradizione furono sepolti i due martiri cristiani Faustino e Giovita). Tombe isolate o a gruppi di età longobarda sono state scavate in periferia (S. Eustachio, S. Bartolomeo, via Luciano Manara) e nel monastero di S. Giulia.Riguardo alle strutture architettoniche dei monumenti dei secc. 4°-6° sono da ricordare le due piccole aule parallele (m. 410,05; m. 77,25), assegnabili al sec. 4°-5°, trovate nel 1953-1954 sotto la chiesa di S. Faustino ad Sanguinem (poi S. Afra, od. S. Angela), con resti di affreschi a finte incrostazioni e pavimento a ipocausto in cotto: per alcuni esse sono pertinenti alla prima chiesa dei Ss. Faustino e Giovita ad Sanguinem, consacrata dal vescovo Faustino (347), per altri sarebbero strutture residenziali (non inconsuete in età imperiale in aree cimiteriali) data la mancanza di elementi di carattere liturgico. Dell'edificio termale non ancora identificato in planimetria, in via Gasparo da Salò, rimane l'elegante mosaico policromo con iscrizioni (sec. 5°) e resti di condutture dell'acqua. Le recenti campagne di scavo in piazza Tebaldo Brusato, via Mario e via Musei hanno posto in luce fondamenta di edifici civili di rilevante importanza (secc. 5°-6°), poi distrutti da incendi; quelle del 1881 e del 1975 hanno restituito parte della basilica di S. Maria Maggiore, la cattedrale iemale, a una navata (m. 3314), di cui non si conosce il presbiterio, con lesene all'esterno, riscaldamento a parete, pavimento a mosaici policromi con motivi decorativi, simbolici e iscrizioni del sec. 5°; pavimenti a mosaici adornano locali adiacenti a S e a N che hanno sostituito un edificio più antico a carattere termale con pavimento a ipocausto (secc. 3°-4°); la struttura paleocristiana ha fatto poi posto all'od. Rotonda o Duomo Vecchio (tardo sec. 11°). La basilica a fianco di S. Pietro de Dom, a tre navate con colonne romane di spoglio, aveva pure pavimento musivo e doveva essere contemporanea, ma fu demolita nel 1604. A fronte di questa era il battistero di S. Giovanni, di cui rimangono avanzi nei sotterranei di una casa, che permettono di rilevarne la pianta, esternamente quadrata e internamente ottagonale (con colonne dai capitelli corinzi romani a sostegno della cupola): su ogni lato interno si aprono nicchie alternativamente rettangolari e semicircolari (come per es. nei battisteri di Riva San Vitale, Novara, Albenga). L'edificio del sec. 5° fu demolito nel 1625-1627. Le più recenti ricerche sulla sommità del colle del Castello fanno concludere che della chiesa di S. Stefano in arce, forse di fondazione del sec. 6°, rimarrebbe il c.d. martyrium rettangolare con abside semicircolare, poi trasformato in cripta per la chiesa dell'11° e 12° secolo.Fra gli apparati decorativi dei secc. 4°-6°, perduti i capitelli delle colonne del battistero (dubbi quelli corinzi nel Magyar Nemzeti Múz. di Budapest), perduti i capitelli (ma non alcune colonne provenienti da edifici classici) di S. Pietro de Dom, sono rimaste colonne e capitelli della cripta del Duomo Vecchio oltre a quelle di S. Salvatore con il tipo del capitello corinzio classico alternato a quello con l'acanto spinoso e a quello a paniere con decorazione a trapano, di tipologia bizantina. Per i mosaici pavimentali, di buona gamma cromatica, quello dell'edificio termale di via Gasparo da Salò e quello di S. Maria Maggiore (parte in situ, parte al Civ. Mus. Cristiano) alternano motivi decorativi geometrici a raffigurazioni simboliche come i dodici agnelli in un prato fiorito che alludono agli apostoli.Fra gli oggetti artistici risalenti a quest'epoca va ricordata in primo luogo la lipsanoteca d'avorio, capolavoro della toreutica tardoantica o paleocristiana per complessità, scioltezza, eleganza ritmica delle scene, nelle quali si alternano soggetti dell'Antico e del Nuovo Testamento, che, secondo la tesi oggi più accreditata, potrebbe essere produzione di officine milanesi del 360-370 ca. (Civ. Mus. Cristiano); la provenienza del cofanetto dal monastero di S. Giulia indica la sua presenza molto antica a B., ma senza basi è l'ipotesi che abbia contenuto le reliquie portate da s. Gaudenzio in città. Sono inoltre da menzionare: una valva del dittico dei Lampadii, sempre nel Civ. Mus. Cristiano, della fine del sec. 4°- inizi 5°; il c.d. dittico Queriniano (sec. 5°), dono del cardinale Angelo Maria Querini (1755) alla Bibl. Civ. Queriniana; un pettine in avorio con Vittoria su un lato, e Geni in volo con corona sull'altro, del sec. 5°-6°, dal Capitolium; il dittico di Boezio (487), sempre al Civ. Mus. Cristiano, forse produzione dell'Italia settentrionale, riadoperato prima per il servizio dei morti con miniature del sec. 7° e poi per le preghiere dei vivi (secc. 9°-10°), di incerta provenienza (forse un tempo nel monastero di S. Giulia; Baitelli, 1657).Per quanto riguarda le sculture, del sec. 4° sono due frammenti di sarcofago conservati al Civ. Mus. Cristiano, uno in pietra locale, di ignota provenienza (forse dal monastero di S. Giulia) e di arte provinciale, con sulla fronte, a colonne e archi alternati a timpani triangolari, la scena della Traditio legis e sui lati Daniele nella fossa dei leoni e Giobbe che mostra la gamba piagata; l'altro da S. Faustino ad Sanguinem in onice africano, con scene su due ordini (leggibili il Passaggio del mar Rosso, la Risurrezione di Lazzaro, forse l'Incredulità di Tommaso), buon lavoro del 370-380 dell'Italia settentrionale, forse milanese. Inoltre sono da ricordare un busto di togato (dagli scavi di via Mario), della seconda metà del sec. 3°- inizi 4°; un rilievo con Giona sotto la cucurbita (da S. Giulia), di fattura larga e sommaria (sec. 6°).Circa le strutture architettoniche dei secc. 7°-10°, le recenti campagne di scavo hanno meglio chiarito i problemi connessi al più importante monumento di B. dell'età longobarda, il monastero di S. Salvatore (poi di S. Giulia), fondato dal re Desiderio nel 753 su area del demanio regio avuta da Astolfo e occupata da edifici di vario tipo. La prima chiesa di S. Salvatore, di cui rimangono le fondamenta, aveva una pianta a T per la presenza di due corpi affiancati all'unica navata, e tre absidi a ferro di cavallo, secondo uno schema diffuso nel 7° e nell'8° secolo. Sulla sua area sorse poi una chiesa a tre navate con colonne e un'abside che esternamente presenta un motivo di arcate cieche su lesene, di tipo ancora ravennate: questa sarebbe quella costruita da Desiderio, cui fu aggiunta la cripta per collocarvi il corpo di s. Giulia e le reliquie ricevute dal papa (con cunicolo d'accesso, divisa da pilastrini in scomparti). Dell'antico monastero si è messa in luce una parte del prospetto interno nel cortile di S-O con portico composto da arcate su lesene a pianterreno e sopra da un motivo di loggia a trifore separate dalle lesene del piano inferiore, che salgono creando un motivo ritmico. Nella chiesa di S. Pietro in Oliveto, fondata dal vescovo Ansoaldo (761-774), sono visibili tratti di una parete con grandi finestre (m. 4,90 di apertura) dalle ghiere in cotto visibili nel sottotetto. Scavi recenti hanno messo in luce le fondazioni della chiesa di S. Benedetto, dipendente dal monastero di Leno, eretta fra il 958 ed il 962 con tre absidi semicircolari (più ampia la centrale), unica navata e atrio sul davanti.La scultura di questo periodo è costituita soprattutto da quella decorativo-architettonica proveniente per la maggior parte dalla cattedrale (cripta) e dal monastero di S. Salvatore (Civ. Mus. Cristiano); ricca la serie di capitelli (corinzi, a foglie grasse, a lingua di bue, di tipo cubico con foglie grasse, caulicoli e nel mezzo, a volte, la croce dal rilievo appiattito), di colonnine istoriate con viticci e tralci d'uva o intrecci, di pilastri, plutei, transenne con intrecci e croci gemmate: tutti frammenti dell'8° e 9° secolo. Di particolare eleganza due lastre (una frammentaria), forse parapetti di ambone, con pavone fra girali di vite, di forte ispirazione bizantina, ma anche con intrecci di tipo nordico. Del sec. 9° è la decorazione in stucco dei sottarchi e delle ghiere di S. Salvatore II, che riprendono per la tecnica e i motivi decorativi (girali, intrecci, foglie a palmette) gli stucchi di S. Maria in Valle di Cividale, ma con maggior pesantezza e senso materico.Per quanto riguarda la pittura, notevolissime le due miniature che adornano l'interno del dittico di Boezio con la Risurrezione di Lazzaro e i busti di S. Gregorio Magno, S. Girolamo e S. Agostino, della fine del sec. 7°, fortemente influenzate dalla monumentalità e vivacità dell'arte paleocristiana o tardo classica. Al sec. 9° piuttosto avanzato spetta la decorazione pittorica dell'interno di S. Salvatore II e della cripta, purtroppo ridotta a lacerti: sulla navata centrale sono due registri di riquadri rettangolari bordati di porpora e di bianco argenteo con motivi decorativi, che contenevano scene della Vita di Cristo e scene della Vita delle martiri Pistis, Elpis, Agape, secondo le tradizione sepolte nella basilica, di fattura realistica e drammatica; concludeva in alto un motivo in prospettiva con festoni, uccelletti, di gusto ancora classicheggiante. Nei pennacchi erano clipei con busti di santi e sante; sulle pareti delle navate laterali motivi a meandro e scene di vario genere fra cui una derivata dall'Apocalisse. La Fuga in Egitto, di cui rimane la sinopia, deriva da quella celebre in S. Maria di Castelseprio. Due miniature di scuola ottoniana con gli evangelisti Luca e Marco sono su uno dei lati della croce di Desiderio (Civ. Mus. Cristiano).Notevole la serie di crocette auree impresse a stampo, ora con intrecci, ora con teste umane, ora lisce, ora con motivi zoomorfi, del tardo sec. 7° e dell'8°, provenienti dalle necropoli del territorio e della città (Civ. Mus. Cristiano). Importante pezzo di oreficeria del sec. 8°-9° è la croce del re Desiderio, che la tradizione vuole donata al monastero di S. Giulia dal suo fondatore, dalla tipica forma delle grandi croci gemmate dei secc. 5°-6°, con incastonati su ambo le facce dei bracci cammei romani ed ellenistici, in parte rimessi nel 12° e 13° secolo. Di particolare rilevanza è il vetro dorato inserito con tre busti di scuola ellenistica, firmato Boynneri kerami; nel disco al centro di un lato è la figura (rovinata) del Padre Eterno seduto in trono, di forte rilievo; opera tarda (sec. 16°) è il Crocifisso sull'altro lato.B., dal punto di vista dell'architettura romanica, non offre peculiarità tali da costituire un centro con proprie caratteristiche; non è tuttavia priva di monumenti assai originali. L'abside dell'ex chiesa del monastero benedettino di S. Eufemia della Fonte (1108), nella forma semicircolare, nella muratura piuttosto andante, nelle lesene e nell'ampia finestra centrale, conserva i caratteri antichi. La chiesa di S. Zanino (S. Giovanni Evangelista), a due navate con absidi semicircolari (una sormontata dal campanile) e con presbiteri dotati di volta a crociera, è del sec. 11°; l'abside centrale con bella muratura in medolo, spartita da lesene e con coronamento ad archetti pensili e dentellature, presenta, così come i resti della navatella nord con absidiola della chiesa di S. Pietro in Oliveto (1102), forme tipiche del Romanico lombardo. Alcuni elementi di tale corredo (muratura e motivi decorativi) sono nell'importante Duomo Vecchio o Rotonda (tardo sec. 11°), che ha sostituito S. Maria Maggiore paleocristiana; si tratta di un edificio a pianta centrale con deambulatorio e ampio tamburo con cupola, tipologia che è abbastanza rara per una cattedrale. Evidente è il ricordo del Santo Sepolcro e delle basiliche dedicate alla Vergine del Vicino Oriente, con forme passate poi nel mondo occidentale con l'architettura carolingio-ottoniana; elementi ottoniani si ritrovano nella severità grandiosa e spoglia dell'architettura, nella tipologia dei pilastri, nella forma delle finestre, nella presenza di una torre che ricorda il Westwerk. S. Maria della Consolazione, Ss. Faustino e Giovita, S. Benedetto, S. Zeno al Foro, S. Zenone de Arcu conservano resti notevoli (murature ben compaginate, frammenti di absidi come quelle poligonali in cotto di S. Zeno, finestre con modanature). Notevole la trasformazione in cripta a oratorio di quella più antica del Duomo Vecchio, con volte a crociera su cinque e poi tre navatelle; di poco successivo (sec. 12°) è l'ampliamento della cripta di S. Salvatore con colonne dai ricchi capitelli scolpiti. Altro monumento anomalo è il sacello di S. Maria in Solario, pertinente al monastero di S. Giulia, esternamente conformato quasi a torre con tiburio poligonale e loggetta cieca, internamente a due piani: il superiore a oratorio con tre absidi e vano quadrato con cupola, l'inferiore per il tesoro del monastero con quattro volte a crociera (tardo sec. 12°). Alla stessa epoca risale il piccolo oratorio di S. Faustino in Riposo, a pianta centrale con cupola conica a pan di zucchero e cella con bifore pure a terminazione conica, con evidenti richiami a oratori dell'Alto Adige e del Tirolo. A cavallo dei secc. 12° e 13° sono S. Giacomo al Mella, la chiesetta di S. Marco, con muratura ben compaginata in conci di pietra, con decorazioni di archetti, di fregi in cotto, con lesene e monofore nelle absidi semicircolari.Scarsissima e di non grande interesse è la scultura in epoca romanica. La serie più notevole è costituita dai capitelli dell'ampliamento della cripta di S. Salvatore e di quelli del broletto, di cui rimangono pochi resti originari. Articolato e vivace nella resa realistica delle figurazioni è in quest'ultimo caso il capitello con alcuni mesi dell'anno (lato sud), che riprende lo schema del capitello di analogo soggetto del duomo di Cremona: queste sculture sono state collegate alla presenza a B., verso la metà del sec. 12°, di un ramo della famiglia degli Antelami. Di modellato semplificato sono, sempre nel broletto, i frammenti decorativi delle mensole della loggia delle Grida. Collegamenti stilistici e compositivi possono essere attuati fra i resti della decorazione in stucco nella parte più antica della cripta di S. Salvatore e quelli di S. Pietro al Monte di Civate o del ciborio di S. Ambrogio a Milano. I frammenti di cariatidi, pertinenti alla distrutta scala scoperta nel cortile del broletto (Civ. Mus. Cristiano), del sec. 13° inoltrato, sono invece più legati alle forme semplificate campionesi di area veronese. Pochi altri frammenti scultorei del sec. 13°, in marmo e in stucco, si conservano nel Civ. Mus. Cristiano, alcuni ancora ispirati a schemi bizantineggianti; di rilievo le due belle teste leonine in bronzo (sec. 13°) provenienti dal broletto.Pure assai limitati sono i resti pittorici di questo periodo: qualche frammento proviene dal monastero di S. Salvatore (sec. 11°); assai guasta la decorazione di un'abside laterale della cripta del Duomo Vecchio (Cristo entro mandorla fra due santi vescovi collocati in un prato), del sec. 11° e di fattura sciolta e rapida. Nel sec. 12° sono da collocare, per il prevalente bizantinismo, gli affreschi oggi staccati, anch'essi di fattura sommaria, che decoravano all'esterno l'ingresso laterale sud di S. Salvatore; frammenti di affreschi sono anche in S. Zanino e in S. Zenone de Arcu. Notevoli per vivacità compositiva e qualità del disegno sono i mosaici pavimentali della chiesa di S. Benedetto (da avvicinare a quelli di Acquanegra).Nel Duomo Vecchio un'apposita cappella conserva il c.d. tesoro delle Sante Croci, documentate dal sec. 13°: il reliquiario della Santa Croce, a forma di croce di Lorena (a doppia traversa) con il termine dei bracci incapsulato da guaine con smalti cloisonnés costantinopolitani (sec. 10°); una stauroteca, in lamina argentea, sbalzata e in parte dorata, su supporto ligneo, con la Crocifissione sul coperchio, all'interno Costantino ed Elena nei paludamenti imperiali, sormontati da due angeli e su bordi e costolature motivi decorativi (lavoro lombardo della seconda metà del sec. 11°); la croce del Campo o dell'Orifiamma (usata per il carroccio e ricordata negli Statuti del sec. 13°), costituita da lamine argentate e dorate, su anima lignea, adorne di cammei classici e di pietre dure, che reca, sul disco centrale, sul recto il Crocifisso e alle estremità i mezzi busti della Vergine e di S. Giovanni, il Sole e la Luna, Adamo; sul verso l'Agnus Dei, opera lombarda della fine del 12° o degli inizi del 13° secolo.La zecca, probabilmente concessa da Federico I (1186), si sviluppò a B. soprattutto fra il 1254 e il 1337 con vari tipi di monete d'argento (S. Apollonio in cattedra, i Ss. Faustino e Giovita, la croce). Da notare la petitio aurificum Brixiae al Consiglio Generale, con cui si chiede uno statuto simile a quelli di Milano o di altre città lombarde o di Venezia; infatti poco dopo il doge inviò quello veneziano.Fra i primi monumenti del Gotico lombardo - per altri del passaggio dal Romanico al Gotico - è il broletto (1223-1254), il cui direttore dei lavori fu Bonaventura Medico con il misuratore Garefa di Portanova. L'edificio è costituito dal successivo giustapporsi, in modo da dar vita a una platea o corte interna di pianta quadrata, di varie parti: a) il palatium novum maius (o ala sud), con bella muratura in pietra, portico terreno e al piano superiore un grande salone affrescato, coperto da un soffitto ligneo e illuminato da file di polifore; b) il palatium novum minus (o ala orientale), lievemente posteriore, con a terreno portici interni e porta di ingresso esterna e al piano superiore, sui due fianchi, due sale affrescate, coperte da soffitti lignei e illuminate da polifore; c) un muro divisorio, a N, dalla chiesa di S. Agostino e da altre proprietà private; d) un portico occidentale interno, su pilastri, sopraelevato da Berardo Maggi nel 1282-1284. Il palatium maius era accostato da un lato alla torre del Pégol (anteriore) e dall'altro alla torre, mozzata, della famiglia Poncarali, inserita nel palazzo; nella corte era una fontana e, nell'angolo sud-est, la scala, sotto il portico che conduceva al piano nobile.Quasi contemporanea (già eretta nel 1253) è la torre della Pallata (alta m. 31; lati m. 10,60), sede della cassa comunale, a conci di botticino a bugnato nella base a scarpata, in medolo nella canna, con le forti lesene angolari aggettate che movimentano i volumi severi in senso gotico (cella campanaria e terminazione in cotto, già tarde), costruita come avamposto della porta di S. Giovanni, ma dopo pochi anni messa in disuso per l'ampliamento delle mura. I resti di torri private dei secc. 11°-12° (Ugoni, Camignoni, Poncarali, Maggi, Palazzi o d'Ercole) le attestano di tipo uguale a quelle pubbliche.Nell'architettura religiosa numerosi edifici, sia pure conservati solo in parte, indicano il passaggio dal Romanico al Gotico: scomparso S. Domenico, il più importante è S. Francesco (1254-1265), con facciata a capanna divisa da lesene in tre scomparti, realizzata in bella muratura in medolo, piccoli oculi a giorno, ampio portale strombato, grande rosone, alte finestre ad arco acuto trilobo e coronamento ad archetti pensili in cotto di forme protogotiche; l'interno è a tre navate con ampi archi lievemente acuti su pilastri cilindrici, presbiterio in origine quadrangolare fiancheggiato da cappelle, forse l'inizio di un transetto poi non attuato, copertura a carena nella navata e travatura a vista nelle navatelle; l'elegante campanile è stato ricostruito dopo l'ultima guerra.Relativamente conservate sono varie testimonianze dell'attività edilizia del vescovo Berardo Maggi: oltre al citato ampliamento del broletto, i rifacimenti di S. Zenone (1292); il monastero dei Ss. Cosma e Damiano (1295); il convento di S. Barnaba (1298).L'architettura trecentesca meglio conservata a B. è il chiostro di S. Francesco, opera di Guglielmo da Frissone di Campione, datata 1393, rettangolare, fra file di robuste colonnette in marmo rosso di Verona, quadrilobate agli angoli e con capitelli a foglie uncinate, collegate da archi sormontati da sopraciglia di forma acuta con ricco motivo di dentelli in cotto. Di datazione incerta, fra i secc. 14° e 15°, sono altri chiostri (S. Faustino ad Sanguinem; Umiliati di S. Luca, poi ospedale Maggiore; S. Barnaba), dove ai portici ad arco acuto appena accennato, su colonne esili con capitelli a foglie uncinate, si sovrappongono logge ad arco inflesso, di influsso veneto.Nel campo dell'architettura civile, oltre al mastio del Castello, eretto, come si è detto, nel 1343, sussistono resti trecenteschi nelle case Offlaga (vicolo S. Clemente) e Maggi, poi Gambara (via Musei, 59).Capitolo a sé costituisce l'attività dovuta a Pandolfo Malatesta per la trasformazione del broletto nel proprio palazzo ducale: l'uso prevalente del mattone, la ricchezza dei motivi decorativi in cotto, la forma degli archi e le modanature sottili delle finestre, nelle parti superstiti del secondo cortile e dell'ex chiesa di S. Agostino, ivi inserita, indicano la presenza di artefici esterni (nel 1408 è documentato l'architetto Federico di Ascoli; per la cappella ducale il milanese Lorenzo Donato e Giovan Battista Ravanelli di Orzinuovi). Ultima realizzazione gotica, dovuta al cremonese Giorgio da Montesolo, è la chiesa del Carmine, iniziata nel 1343 e terminata nel 1432.Scarse sono le testimonianze della scultura comprese tra il 14° e gli inizi del 15° secolo. All'inizio del sec. 14° risalgono due opere importanti: il sarcofago e una statua di Berardo Maggi. Il sarcofago (1308), in marmo rosso di Verona, collocato in Duomo Vecchio, è architettonicamente simile a quello di Ottone Visconti (1295) nel duomo di Milano; la decorazione scultorea, assai pregevole, è peraltro ricollegabile al veronese Bigino d'Enrico per la somiglianza tra la figura del vescovo e quella di S. Gimignano in S. Anastasia. Di poco più tarda (1309-1317) è la statua acefala del vescovo (Civ. Mus. Cristiano) per la fontana-monumento eretta dal nipote Federico Maggi in S. Barnaba, forse dello stesso autore del sarcofago, per il pittoricismo dei paramenti, per la forza plastica e il dinamismo delle cariatidi e degli altri elementi che formano la base. All'area milanese appartiene il mausoleo del vescovo Balduino Lambertini (Duomo Vecchio), del 1349, attribuibile a Bonino da Campione, in marmo di Carrara, con ricchi elementi decorativi derivati da Giovanni di Balduccio e presenti anche in una testa di angelo, già in broletto (Civ. Mus. Cristiano). Dell'inizio del Trecento, ancora con qualche ricordo bizantineggiante, sono due rilievi in stucco con Madonna e Bambino (Civ. Mus. Cristiano), mentre ai primi decenni del Quattrocento in area milanese-comasca appartiene un rilievo in terracotta con Madonna e Bambino nella chiesa del Carmine, di caratteristiche forme gotiche internazionali.Fra il 1250 e il 1298 è da collocare lo strato più antico della decorazione pittorica del salone del broletto, con la raffigurazione, storicamente quanto mai significativa, di una teoria di cavalieri ghibellini fatti prigionieri e banditi dalla città. Fortemente legati all'arte bizantina, e in particolare ai mosaicisti di S. Marco a Venezia, sono gli affreschi di soggetto mariano o con simboli degli evangelisti nella volta del presbiterio del Duomo Vecchio, da collocare nel tardo 13° secolo. Ancora una volta forti elementi bizantini di derivazione veneziana, ma anche influssi dei freschisti del battistero di Parma, si trovano nei numerosi affreschi collocabili nel periodo di Berardo Maggi: il secondo strato degli affreschi del broletto, cui appartiene anche la scena della pace fra guelfi e ghibellini, voluta da quel vescovo e collocabile fra il 1298 e il 1311; resti della decorazione del presbiterio di S. Maria Calchera e quelli assai nobili da poco scoperti in S. Zenone e in casa di vicolo Orientale; gli affreschi, di buona qualità, in S. Francesco, parte dei quali è forse attribuibile al maestro Acquistabene, documentato in quegli anni e in rapporto con il vescovo Maggi. Paolo Veneziano è presente in terra bresciana con varie opere in parte autografe, in parte della sua scuola: frammenti del polittico dai Ss. Cosma e Damiano, del 1350-1360, nella Pinacoteca Civ. Tosio-Martinengo; Madonna con il Bambino, ridipinta, in Ss. Nazaro e Celso; polittico nel duomo di Salò; Madonna con il Bambino, del 1343 ca. in S. Andrea a Maderno.Assai precocemente si notano in B. le influenze dell'arte giottesca, sia via Milano sia per i tramiti padovano ed emiliano-riminese: al primo canale sono da riferire il rifacimento del viso del vescovo Maggi nell'affresco 'della pace' in broletto e l'ottima Deposizione in S. Francesco, del secondo quarto del 14° secolo. I maestri riminesi, presenti a Verona, hanno rapporto con la decorazione pittorica della pieve di Manerba, con gli affreschi della volta della cripta del Duomo Vecchio, eseguiti al tempo del vescovo bolognese Lambertini (1343 ca.). A Jacopino di Francesco si ricollega la grande tavola con il Crocifisso in S. Francesco, d'ottima qualità e forza espressiva. Ancora all'area emiliana riporta la drammatica Deposizione proveniente da S. Caterina (Pinacoteca Civ. Tosio-Martinengo).Alla seconda generazione di giotteschi conducono, per la loro monumentalità, alcuni affreschi già all'esterno di S. Salvatore e altri provenienti da S. Faustino (Pinacoteca Civ. Tosio-Martinengo), avvicinabili all'ambito padovano dei seguaci di Altichiero e forse collegabili all'attività dei due bresciani Ottavio Prandino e Testorino, che collaborano con il grande maestro a Padova e nel 1412 sono ancora operosi a Brescia.All'area milanese spettano invece gli affreschi di una cappella in S. Salvatore (1375), per i rapporti con i cicli di Albizzate e Lentate.Mentre in città operavano all'inizio del Quattrocento i tradizionalisti Prandino e Testorino, Pandolfo Malatesta chiamò a B. fra il 1414 e il 1419 Gentile da Fabriano per gli affreschi della sua cappella e per altri lavori in broletto. I tre frammenti recuperati (1984-1985) fanno rimpiangere la distruzione di quest'opera eccezionale, che non ebbe allora larga eco in città e tuttavia esercitò sicura influenza sul cremonese Giovanni Bembo (dal 1430 a B.) e sui figli Bonifacio (che ebbe la cittadinanza bresciana) e Andrea, operoso a lungo a B.; e tramite i Bembo segnò anche gli inizi di Vincenzo Foppa.Fra il 1406 e il 1420 Pandolfo Malatesta fece riprendere l'attività della zecca, con l'emissione di alcune monete in argento di notevole interesse.Il Civ. Mus. Cristiano fu aperto nel 1882 nell'ex chiesa di S. Giulia per raccogliere documenti d'arte dall'età paleocristiana all'Ottocento, con particolare riguardo all'epigrafia, ai materiali lapidei e decorativi e agli oggetti provenienti da scavi, da legati e da acquisti.La Pinacoteca Civ. Tosio-Martinengo, sorta dalla fusione nel 1903 della Coll. Tosio (1832) con la Pinacoteca Martinengo (1884), conserva frammenti di affreschi strappati da edifici demoliti o alterati.La Bibl. Civ. Queriniana fu fondata nel 1747 dal cardinale Angelo Maria Querini, vescovo di B., nell'ala dell'episcopio da lui fatta erigere appositamente e donata alla città (1750) e venne arricchita da ulteriori fondi antichi con le soppressioni monastiche nel 1797. È ricca di preziosi codici: frammenti del III libro dei Testimonia ad Quirinum di s. Cipriano, del sec. 5°, dal Veneto; codice purpureo con i Vangeli del sec. 6° e concordanze di Eusebio, del sec. 9°; omeliario del sec. 8°; codice necrologico liturgico del monastero di S. Giulia, del sec. 9°-10°; Epistole morali di Seneca, del sec. 10°; collezione pseudo-isidoriana, del sec. 10°; frammento del De civitate Dei di s. Agostino, del sec. 11°; numerosi testi sacri dei secc. 11°-13°, spesso miniati, da S. Faustino, da S. Giulia e dalla cattedrale. Notevole è la serie di codici greci miniati dei secc. 10°-12° del fondo Querini. Degne di menzione le miniature del Messale B-I-4 (fine sec. 14°-inizi 15°), con immagini vicine agli affreschi di S. Salvatore (1375 ca.); il De rebus gestis Alexandri Magni (inizi sec. 15°), già della famiglia Palazzi; la miniatura sulla copia del diploma di Desiderio relativo ai mulini di S. Giulia, eseguita nel sec. 15° con influssi bembeschi; un salterio di scuola inglese del 15° secolo.L'Arch. Storico Civ., nato con il comune (sec. 12°) e istituito nel 1880, ha sede presso la Bibl. Civ. Queriniana. Per il periodo più antico sono da ricordare il Liber Potheris Communis Brixiae, gli Statuti civici dei secc. 13°-14° e alcuni estimi. Più ricca è la documentazione a partire dagli inizi del 15° secolo. L'Arch. di Stato, iniziato nel 1661, e il Seminario Vescovile conservano scarsa documentazione per l'epoca medievale; più consistente è quella dell'Arch. del Capitolo del Duomo.
Bibl.:
Fonti inedite. - Statuti di Brescia, 1277ss., Brescia, Arch. Storico Civ., 1044, 1-2, 4; Statuti di Bernabò Visconti, 1355 e 1385, ivi, 1046, 6; 1045, 7; Estimo della Città e territorio di Brescia, 1388, ivi, 434/1; C. Maggi, Chronica de rebus Brixiae, Brescia, Bibl. Civ. Queriniana, C-I-14; id., Historia... de rebus Brixiae incipiens a predicatione Sancti Barnabae... usque ad annum MCCCCLIII, ivi, A-III-10; O. Rossi, Istorie bresciane dalla fondazione della Città fino all'anno 1110 coll'indice delle materie, ivi, C-I-6; G.A. Asterzati, Indice alfabetico-istorico-cronologico perpetuo dell'Archivio dell'Insigne e Reale Monistero Novo di S. Salvatore e di S. Giulia di Brescia della Congregazione Cassinese compilato... l'anno 1721-22 e 1723, ivi, G-I-4.
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