BRESSAN (Bresciano, Brixiano, Brixiensis)
Famiglia di costruttori di navi, probabilmente dell'origine che traspare dal cognome. A Venezia Giovanni acquistò fama come "proto delle galere e delle navi", ma si distinse soprattutto per aver recuperato una nave sommersa nelle acque di S. Biagio. Per trattenerlo in Arsenale, il 5 genn. 1471 il Senato gli affidò la costruzione di una galera. Entrò così nel cantiere veneziano la famiglia destinata a dominarvi ininterrottamente per quasi un secolo.
Già nell'anno 1492, infatti, un altro Bressan, Leonardo, operava in Arsenale e una sua barza era stata tanto lodata dal capitano delle navi armate che gli fu ordinato di fabbricarne un'altra delle medesime dimensioni, la quale - varata nel 1497 - fu definita dal Sanuto una delle più belle cose che si fosse mai vista in mare: simile ad un castello, aveva la portata di duemila botti, un equipaggio di quattrocentocinquanta uomini e più di quattrocento bocche da fuoco. Il 22 sett. 1498 Leonardo fu confermato "proto dei marangoni" accanto al riabilitato Niccolò Vitturi, ma nel 1503, durante una lunga malattia, venne sostituito da un "vice proto", che era anch'egli un Bressan, Matteo, figlio di Giovanni.
Matteo lavorava in Arsenale già da due anni come stimatore di legnami e fabbricava buone navi e galere, godendo di un trattamento di favore in considerazione della "miserabil morte" del padre al servizio della Repubblica, avvenuta prima del 4 giugno 1501. La serietà con la quale attendeva al suo ufficio gli valse le antipatie di alcuni dipendenti, i quali nel luglio 1503 attentarono alla sua vita e gli devastarono la casa. Il 3 genn. 1509 Matteo assunse le funzioni di "proto degli alberi", e più tardi partecipò alle campagne militari in Terraferma. Nel luglio 1510 era a Treviso, con cento falegnami; nel novembre 1512 costruì un ponte di barche sull'Adige ad Albaré; il 26 sett. 1513 fu manda o alla difesa di Padova; nell'ottobre 1516, per ordine del Gritti, guidò due fuste a Legnago e quindi - attraverso il Po, per Polesella, e il Mincio - fino al Garda. Apprezzatissima fu la sua abilità di costruttore navale: il 15 apr. 1522 ebbe l'incarico di fabbricare dodici galere e il 25 genn. 1526 un galeone della portata di ottocento botti, destinato alla lotta contro i corsari.
Il Sanuto parla di lui come di "horno nell'arte so excellente et assà operato per Signoria". Il suo galeone servì da modello ai due che vennero costruiti nel 1540, e quando nel 1547se ne dispose la demolizione, il Senato ordinò di prenderne le misure e il disegno perché servissero a chi dovesse fabbricare vascelli di questo tipo.
Morì l'11 apr. 1528 e fu sepolto con grandi onori a S. Francesco della Vigna. Suo figlio Piero, anch'egli falegname in Arsenale, il 13 nov. 1531 fu nominato "appontador dei marangoni" e il 7 luglio 1545 vicestimatore di legnami, dopo aver ceduto nel 1538 l'ufficio al figlio Giovan Matteo (Zanetto), ancora ragazzo. Piero morì prima del 30 luglio 1555;Zanetto il 23sett. 1539 fu iscritto come falegname in Arsenale e figura con tale qualifica anche nel suo testamento del 22agosto del 1573.
Leonardo riprese, dopo la malattia, la sua attività in Arsenale, dove conservò la carica di "proto dei marangoni". per circa quarant'anni. Dal luglio 1522 alla fine del mano 1523 seguì come "ammiraglio" il capitano generale Domenico Trevisan, e durante la spedizione organizzò il recupero di una galera arenatasi presso Sebenico. Insuperabile come costruttore di barze (ne mise in cantiere ancora una nel 1498 ed una nel 1526), ebbe minor fortuna con le galere. Ne fabbricò quindici "grosse" solo nel periodo 1496-1505, ma Giacomo Capello, che ne aveva sperimentate due nel viaggio di Fiandra. scrivendo da Southampton il 4 nov. 1498 lo qualificava rudemente "proto che non sa far galìe". Un'altra galera che egli aveva costruito nel 1538 rimase a lungo a marcire nelle acque dell'Arsenale, rifiutata da tutti i comandanti, dopo aver fatto un solo viaggio.
Probabilmente non gli giovò il confronto coi due più celebrati specialisti del tempo, Francesco Rosso e Vettor Fausto. Di quest'ultimo il 17 sett. 1525avversò apertamente in Collegio il progetto della quinquereme, e sette anni più tardi, in un lungo memoriale, ne criticò un'altra proposta; ma il suo avversario seppe valersi della protezione di Bernardo Navagero e del soccorso delle storie antiche e dei Romani. Il 5 nov. 1534, Motivando il provvedimento con l'età troppo avanzata, che non gli avrebbe consentito di sovrintendere alla messa in cantiere delle ottanta galere preventivate, il Senato affiancò a Leonardo tre "sotto proti", fra i quali era lo stesso Vettor Fausto.Leonardo morì prima del 4 maggio 1540 e gli successe nella carica il figlio Francesco. Anche altri due suoi figli lavorarono in Arsenale nella costruzione di navi: Zanetto, al quale il 15 luglio 1505 venne affidata la fabbrica di una galera perché potesse "farse perfetto maistro", e Ieronimo, che il 20 febbr. 1551 ebbe l'incarico di costruire una galera "sottile" "per far conoscere la valetudine sua". Un altro figlio, del medesimo nome del padre, nel 1510 fu assunto nella cancelleria del Consiglio dei dieci, e ancora un altro - Marco -fubandito dallo Stato per aver ucciso. per questioni di donne, un figlio di Omobono Gritti, patrone dell'Arsenale (1514).
Francesco fu nominato "proto dei marangoni" il 22 sett. 1540. Aveva iniziato la sua carriera in Arsenale nel febbraio 1528, quando - sia per la perizia dirnostrata, sia per i meriti del padre - gli erano stati assegnati due cantieri per la costruzione di tre galere "sottili" e di una "grossa". La "parte" del Senato aveva dovuto però vincere una forte opposizione; nel 1534 fubocciata una sua candidatura a "sotto proto" e nel 1554 Zammaria Spuaza gli fu preferito per la fabbrica di un galeone. Ma dalla metà del secolo furono molte le galere "sottili" fabbricate su suo disegno.
Galere "alla Bressana" o "dei sesto Bressano" furono costruite da Francesco Rosso, Luciano Masarachi, Giovan Antonio Cavarzere. Nel 1550in Arsenale se ne trovavano cinquanta, ridotte poi a sedici nel 1559. Tali vascelli erano di preferenza assegnati a equipaggi di vogatori liberi, apparendo troppo grandi per i condannati, per i quali dovevano esser trasformati "alla catalana".
Francesco morì anteriormente al 27 febbr. 1570. Con lui lavorò in Arsenale un altro Bressan, Marco figlio di Alvise che nel 1550 otteneva un cantiere per far "conosser la valetudine sua" nell'arte di costruir galere.
Francesco fu l'ultimo dei grandi Bressan dell'Arsenale di Venezia. Qualche anno dopo la sua morte un suo allievo, Baldissera Drachio, ne fece l'immaginario protagonista di una Visione, raffigurandolo in un simbolico abito da eremita, sceso in terra per istruire le nuove generazioni nella "cognizione delle ragioni fabricatorie delle galee".
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato Terra, regg. 6, c. 118; 13, c. 55; Senato Mar, regg. 9, c. 77v; 13, c. 9v; 14.s cc. 141 e 196; 15, c. 48; 20, c. 192; 21, cc. 73v e 160; 23, c. 85v; 25, cc. 121v. 122; Senato Mar, filze 5 (29 sett. 1548); 10 (21 dic. 1553); 28 (29 apr. 1563); Provveditori all'Arsenale, b. 1 (Visione del Drachio);regg. 8-10; 133, c. 68; 134, cc. 10v, 50, 52, 78, 106, 246, 274, 351, 360; 135; 136; b. 533 (Ricordi intorno la Casa dell'Arsenale); Archivio Notarile,Testamenti, b. 222 (not. Crivelli), n. 1041; Misc. Codici, n. 373; Venezia, Bibl. Naz. Marciana, Mss. It. IV, 26; M. Sanuto, Diarii, Venezia 1879-1901, I, pp. 607, 1107; II, p. 187; III, pp. 18, 829; X, pp. 649, 662; XI, p. 635; XIV, p. 601; XV, pp. 176, 335, 407; XVII, p. 88; XVIII, pp. 223, 239, 274; XXIII, pp. 10, 36; XXIV, pp. 29 s., 652; XXVII, p. 392; XXVIII, p. 373; XXXIII, pp. 335, 342, 356, 358, 380, 386; XXXIV, p. 58; XXXIX, p. 440; XL, p. 714; XLV, pp. 97 s., 160; XLVI, p. 562; LVI, p. 995; L. Fincati, Le triremi, Roma 1881, pp. 67-79; F. C. Lane, Venetian Ships and Shipbuilders of the Renaissance, Baltimore 1934, Capp. IV, V, XI; Id., Venetian Naval Architectureabout 1550, in The Mariner's Mirror, XX(1934), pp. 24-49; U. Tucci, Architettura navale venez.Misure di vascelli alla metà del Cinquecento, in Boll. dell'Atlante linguistico mediterr., V-VI(1963-64), pp. 277-293.