Brevetti per invenzioni industriali
Nuovi settori della tecnica e sistema brevettuale
L’esigenza di tutela sistematica dell’innovazione tecnologica si manifesta a partire dalla tarda età comunale e viene sin da allora soddisfatta attraverso il riconoscimento di un diritto esclusivo in capo a chi realizzi risultati innovativi. La funzione di quelle che allora venivano definite literae patentes consiste nell’attribuire un vantaggio in termini di immunità dalla concorrenza a chi innovi nel campo delle attività industriali, nel presupposto, naturalmente, che la costituzione economica riconosca la libertà di concorrenza.
Il sistema giuridico di tutela dell’innovazione è stato sin dalle origini fortemente condizionato dall’oggetto della tutela; poiché il settore della meccanica ha per lungo tempo dominato l’attività di ricerca, è con la mente rivolta a tale contesto tecnologico che il sistema brevettuale è stato pensato e strutturato. A partire, però, già dalla metà del Novecento la domanda di protezione di risultati innovativi comincia a provenire anche da altri settori della ricerca tecnologica e segnatamente da quello della chimica. Le istanze di tutela provenienti dalle innovazioni nel settore della chimica hanno posto il sistema brevettuale di fronte a molteplici problemi interpretativi, trattandosi di adattare regole pensate prevalentemente per la meccanica a un settore radicalmente diverso. Le domande di brevetto relative a formule chimiche spingono l’interprete a considerare entro una prospettiva nuova la funzione stessa dell’istituto del brevetto, i limiti e i freni all’innovazione che questo può recare, la necessità di ridefinirne l’oggetto della tutela. A molti dei problemi giuridici sollevati in quel contesto la giurisprudenza ha offerto una soluzione, trovando un punto di equilibrio tra i contrapposti interessi di coloro che conducono la ricerca di base e coloro che intendono fruire dei risultati di tale ricerca.
I problemi, le soluzioni, nonché gli interrogativi posti all’epoca dell’irrompere della ricerca nel campo della chimica costituiscono l’antecedente culturale, seppure ovviamente con talune differenze, degli interrogativi che ora coinvolgono, e sempre più coinvolgeranno, il sistema brevettuale del 21° sec.: gli interrogativi vengono, ancora una volta, da aree di ricerca nuove, per le quali si cerca, o è già prevista dall’ordinamento, la tutela nello strumento brevettuale.
I nuovi settori di ricerca tecnologica destinati a sollecitare la riflessione degli interpreti del nuovo secolo sono quello delle innovazioni biotecnologiche e quello delle innovazioni informatiche. Questi due settori di evoluzione tecnologica condividono un’affinità decisiva in punto di modalità di progressione della ricerca che legittima interrogativi e – almeno in parte – soluzioni comuni; si tratta, infatti, di settori nei quali la ricerca consiste nell’individuazione e nella risoluzione di piccoli problemi nascosti in un ‘oceano’ di codici, (Maurer, Rai, Sali 2004). In entrambi i casi, infatti, la ricerca di soluzioni innovative procede attraverso un’attività di selezione di informazioni tra le moltissime a disposizione dei ricercatori, e tale attività, sul piano dei risultati, produce innovazione solo incrementale.
Nel trattare, allora, dell’istituto brevettuale nella prospettiva futura si privilegerà una lettura che miri a considerare se e come le modalità di progressione della ricerca di soluzioni innovative, e conseguentemente le istanze di brevettabilità provenienti soprattutto da questi due nuovi settori, incideranno, e per alcuni versi stanno già incidendo, sulle regole in materia di brevetti e sulla loro interpretazione.
Funzione del brevetto
Prima di considerare se e in quale misura la brevettabilità dei risultati frutto di ricerca nei nuovi settori si rifletta sull’interpretazione delle regole, chiedendone per molti aspetti un generale ripensamento, è opportuno un cenno alle funzioni dell’istituto del brevetto e alle modalità attraverso cui si realizzano gli obiettivi che esso persegue. Infatti, la scelta di brevettare determinati trovati mette in discussione non solo l’interpretazione delle singole regole, ma anche la funzione stessa del brevetto e le modalità attraverso le quali l’ordinamento riesce a realizzare gli obiettivi di interesse generale a esso sottesi.
La tutela dell’innovazione tecnologica, così come quella a essa coeva del diritto d’autore, viene realizzata attraverso il riconoscimento di un diritto che esclude qualsiasi terzo dal copiare, riprodurre, sfruttare economicamente il risultato protetto; tale diritto è esercitabile erga omnes. Grazie al diritto esclusivo l’innovatore o il suo dante causa viene a godere di un periodo, più o meno lungo a seconda dei casi, di immunità dalla concorrenza.
Il riconoscimento del diritto esclusivo su un risultato innovativo si considera in termini funzionali quale premio per l’inventore; dal riconoscimento di tale premio dovrebbe derivare, ma sul punto il dibattito è tuttora molto vivace, lo stimolo a innovare e successivamente a brevettare.
Sul piano delle considerazioni di politica del diritto si ritiene che in questo effetto di stimolo all’innovazione consista la portata procompetitiva del brevetto. Il dibattito più recente in tema di concorrenza tra imprese ha, infatti, evidenziato che un contesto concorrenziale dinamico è quello in cui gli operatori si contendono un determinato mercato migliorando, innovando, perfezionando i prodotti o servizi offerti (Libertini 2005); l’innovazione è, in questa prospettiva, strumento per combattere le cosiddette rendite di posizione e realizzare un mercato in cui la maggior efficienza consista nella differenziazione dell’offerta (con tutte le ricadute sia in termini di prezzi sia in termini di qualità dei prodotti e servizi che questa comporta); quando l’innovazione è non banale e risponde a determinati requisiti previsti dalla legge, essa merita una tutela che consiste proprio nella sottrazione al gioco della concorrenza per un periodo limitato di tempo.
Il vantaggio competitivo garantito dal brevetto, però, è riconosciuto a condizione che l’inventore si impegni a rendere pubblica la descrizione del proprio ‘trovato’. Il sistema brevettuale realizza in tal modo una sorta di scambio tra l’inventore e la collettività: l’inventore ottiene il brevetto che gli garantisce un periodo di immunità dalla concorrenza, la collettività acquisisce la conoscenza del nuovo trovato.
Naturalmente, il beneficio economico derivante dal brevetto ha una durata temporalmente limitata e in ciò il diritto esclusivo e assoluto riconosciuto al suo titolare si differenzia nettamente, soprattutto funzionalmente, dal diritto di proprietà, al quale pure è stato spesso assimilato.
Cenni sulla disciplina brevettuale
La costituzione del diritto esclusivo in materia di innovazioni tecnologiche avviene attraverso un atto amministrativo che prende il nome di brevetto (art. 53 Codice della proprietà industriale). Affinché un’invenzione possa accedere al brevetto è necessario che questa abbia determinati requisiti, i quali permettono di selezionare e premiare con il riconoscimento del diritto esclusivo non tutte le invenzioni ma solo quelle che siano nuove, originali, lecite e atte ad avere un’applicazione industriale. Sono espressamente escluse dall’area della brevettabilità le scoperte, le teorie scientifiche, i metodi matematici, i piani, i principi e i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciale, i programmi per elaboratore e le presentazioni di informazioni considerati in quanto tali (art. 45, 3° co., Codice della proprietà industriale).
Il diritto a ottenere il brevetto spetta all’inventore, il quale, oltre al diritto di carattere economico a ottenere il titolo brevettuale, ha anche il diritto morale a essere riconosciuto autore dell’invenzione. Nei casi in cui l’invenzione sia realizzata nell’ambito di un rapporto di lavoro, la legge stabilisce che il diritto a ottenere il brevetto spetti al datore di lavoro, salvo alcuni accorgimenti per compensare il lavoratore inventore. La ratio di questa attribuzione al datore di lavoro del diritto a ottenere il brevetto è da rinvenirsi nel costo e nel rischio che questi sopporta per rendere possibile l’invenzione. Il brevetto è suscettibile di circolazione, anche se molto scarne sono le disposizioni che disciplinano modalità e forme del trasferimento.
Il sistema brevettuale, a differenza del diritto d’autore, prevede un sistema di licenze obbligatorie atte a favorire sia l’innovazione derivata sia quella interdipendente (cioè relativa a un altro titolo di proprietà industriale, come, per es., può verificarsi nel caso di un’invenzione biotecnologica applicata a una varietà vegetale protetta). In questo suo essere dotato di uno strumento che obbliga il titolare del brevetto a concedere licenza qualora il trovato protetto sia necessario per realizzare un’invenzione dipendente, si è individuata la maggior propensione del sistema brevettuale a stimolare l’innovazione (Ghidini 2001), mentre, benché la tesi sia criticabile, nell’assenza proprio delle licenze obbligatorie si individua il tratto ‘a-mercantile’ dell’altro sistema a tutela dell’innovazione, il diritto d’autore.
Delimitazione tematica
Descritta in estrema sintesi la funzione del brevetto come stimolo all’innovazione, e tratteggiati schematicamente i profili più rilevanti della disciplina brevettuale, l’indagine volgerà a considerare come l’evoluzione della tecnica e della ricerca abbiano inciso e siano destinate a incidere su alcuni dei segmenti di disciplina sopra accennati, e precisamente: a) sulle questioni in tema di oggetto della tutela e segnatamente sulla distinzione tra scoperta e invenzione; b) sulle questioni in tema di requisiti di brevettabilità; c) sulle questioni in punto di titolarità del risultato brevettabile; d) sulle questioni in punto di appartenenza del materiale dal quale discende il trovato brevettabile; e) sulle questioni in punto di ambito di estensione della privativa e limiti alla medesima; f) sulle questioni in punto di tecniche di tutela.
Oggetto della tutela e ambito di estensione del diritto esclusivo
Per quanto riguarda il tema relativo all’oggetto della tutela, esso costituisce uno dei tratti della disciplina maggiormente coinvolti dall’accesso al sistema brevettuale dei risultati derivanti dai nuovi settori di ricerca. Come accennato, la prima significativa necessità di rilettura di alcune regole in tema di oggetto della protezione si è avuta all’epoca dell’intensificarsi delle invenzioni nel campo della chimica.
Il dato culturale nuovo che emerge con le invenzioni realizzate nel campo della chimica attiene alla delimitazione dell’area del brevettabile. Nel campo tradizionale delle invenzioni della meccanica l’oggetto del brevetto viene individuato, per utilizzare il gergo della consolidata quanto generica tradizione brevettuale, nella ‘soluzione di un problema tecnico’. Il problema tecnico da risolvere è nella maggior parte dei casi identificabile con chiarezza sin dalle fasi iniziali dell’attività di ricerca e spesso si pone già da tempo all’attenzione dei ricercatori del settore; a tale problema viene data una soluzione, anch’essa identificabile con un grado molto elevato di certezza, ossia di univocità funzionale del risultato. Queste ‘certezze’, sia quanto al problema da risolvere sia quanto alla soluzione trovata, hanno fatto sì che per lungo tempo l’ambito di tutela riconosciuto dal diritto esclusivo coincidesse, pressoché univocamente, con la nuova soluzione. L’incremento della ricerca chimica e la successiva realizzazione di risultati innovativi, per i quali si chiedeva l’accesso al brevetto, hanno mostrato un elemento nuovo con il quale gli interpreti si sono dovuti confrontare: l’incertezza sul problema da risolvere. I ricercatori si trovavano, infatti, di fronte a nuove formule chimiche, soprattutto formule cosiddette generali, rispetto alle quali, però, era a loro stessi ancora del tutto sconosciuto il possibile uso industriale, la possibile ricaduta applicativa del trovato. A fronte di tale incertezza sul rapporto tra nuova formula chimica e sue possibili applicazioni si poneva, tuttavia, con insistenza la richiesta degli ambienti dediti alla ricerca di base per la brevettabilità delle nuove formule. Questa incertezza sulle possibili applicazioni del nuovo trovato era del tutto sconosciuta al sistema delle invenzioni pensato per la meccanica e sollecitava interrogativi radicali. Come accennato, infatti, sia i sistemi nazionali sia le grandi convenzioni internazionali escludono dalla brevettabilità le scoperte, le teorie scientifiche, i metodi matematici e così via. L’esclusione è argomentabile più che invocando una sfuggente, quanto conoscitivamente inutile, distinzione di carattere ontologico tra scoperta e invenzione, in base al fatto che in tali casi manca una ricaduta applicativa delle conoscenze sviluppate, manca quella applicabilità industriale che giustifica il riconoscimento del brevetto. Non solo, ammettere la brevettabilità di conoscenze prive di una precisa e puntuale ricaduta materiale pone limiti troppo stringenti alla ricerca applicata, precludendo la brevettabilità delle molteplici soluzioni discendenti da conoscenze ‘considerate in quanto tali’. Inoltre, tra le ragioni per cui si escludono dalla brevettabilità le scoperte scientifiche vi è anche quella per cui si sostiene che rispetto a una scoperta manca quell’insegnamento personale e creativo che costituisce l’apporto dell’inventore alla collettività; nel caso della scoperta lo scienziato si ‘limita’ a sollevare un velo, portando alla luce conoscenze in precedenza ignote, non ricavandone, tuttavia, un insegnamento che si presenti come replicabile con costanza di risultato; diversamente, affinché un’innovazione sia brevettabile e quindi trovi una ragion d’essere quel premio in cui consiste l’esclusiva brevettuale, è necessario che l’inventore abbia impresso un contributo personale al nuovo trovato, indicando come realizzare un determinato risultato applicativo. Trasponendo la distinzione tra scoperta e invenzione in termini linguistici anziché ontologici (Spada 2004, p. 6), la scoperta è atto linguistico descrittivo, mentre l’invenzione è atto linguistico (e in tal modo può certamente leggersi la descrizione dell’invenzione) di carattere precettivo, attraverso il quale sono dettate regole, indicate procedure, passaggi logici e pratici necessari a realizzare un risultato ben definito nel quale consiste il contributo dell’inventore alla collettività.
La giurisprudenza è giunta alla conclusione di escludere la brevettabilità delle formule chimiche generali, qualora esse manchino dell’indicazione di una possibile ricaduta applicativa o impiego del trovato. La brevettabilità è, invece, ammessa quando almeno una funzione, una possibile applicazione venga individuata e rivendicata come oggetto di brevetto. Tale interpretazione permette di brevettare la formula nella quale almeno un utilizzo sia individuato, con ciò premiando l’innovatore, ma allo stesso tempo lascia in pubblico dominio tutte le altre possibili applicazioni della medesima formula per usi e funzioni diversi da quella brevettata.
Il rapporto tra oggetto della tutela e ambito di estensione del diritto esclusivo viene ridefinito in base non al nuovo trovato in sé, come accadeva per le invenzioni della meccanica, ma in base all’uso che di tale trovato può farsi. L’oggetto della tutela non sarà, allora, il trovato in quanto tale, la formula generale, ascrivibile piuttosto al novero delle scoperte, ma solo la formula in quella precisa funzione individuata, decritta e rivendicata dall’inventore, restando libere tutte le altre possibili applicazioni e utilizzazioni. In sintesi, il portato culturale delle innovazioni della chimica rispetto al sistema brevettuale consiste nel passaggio da un contesto di univocità applicativa – derivante dall’appartenenza del trovato alla dinamica della tecnica, rispetto alla quale solo raramente (cosiddette invenzioni di traslazione) si davano usi alternativi – a un contesto in cui il medesimo trovato è suscettibile di molteplici funzioni e di differenti ricadute applicative.
Sul piano dell’oggetto della tutela questo passaggio dalla certezza e univocità della funzione del trovato meccanico alla incertezza e molteplicità di soluzioni possibili delle formule chimiche ha segnato ancora più nettamente il principio fondamentale del sistema brevettuale, secondo il quale il premio dell’inventore, consistente nell’esclusiva, deve essere commisurato e proporzionato al contributo in termini di progresso tecnologico che il trovato apporta alla collettività: limitare al solo uso descritto e rivendicato la portata del brevetto e non estendere l’esclusiva alla formula generale costituisce soluzione coerente a tale principio (Di Cataldo 2004, p. 115).
A cominciare dalla fine del 20° sec. il tema dell’oggetto della tutela si è posto nuovamente e decisamente all’attenzione degli interpreti con l’avvento delle invenzioni biotecnologiche e informatiche, ed è certamente destinato a essere ancora oggetto di riflessione.
Le invenzioni biotecnologiche hanno evidenziato, ancor più rispetto alle invenzioni della chimica, il problema della incertezza del risultato. Nell’attività di ricerca che caratterizza tale settore è frequente l’individuazione, la selezione, la purificazione di materiale genetico, fatti di per sé che richiedono ingenti investimenti sia economici sia intellettuali, salvo poi l’assenza di immediatezza o univocità della funzione che il nuovo gene o il frammento di DNA isolato può assolvere.
Il legislatore comunitario ha in tal caso, probabilmente sulla scorta delle soluzioni maturate rispetto alle innovazioni della chimica, espressamente previsto che sono brevettabili solo quei risultati rispetto ai quali sia individuato e rivendicato almeno un uso, una possibile ricaduta applicativa. Anche in tal caso, allora, l’oggetto della protezione viene delimitato grazie a un’attività di selezione delle informazioni realizzata dall’innovatore, il quale potrà accedere alla tutela brevettuale soltanto individuando un determinato uso; tutte le altre possibili utilizzazioni, derivanti da usi alternativi e differenti delle medesime informazioni, potranno essere, laddove puntualmente e individualmente rivendicate, oggetto di eventuali autonomi brevetti o rimanere in pubblico dominio (cosiddetto purpose-bound protection; Di Cataldo, Arezzo in Brevetti e biotecnologia, 2008, p. 70; Ghidini, Arezzo, De Rasi et al. 2005, p. 85). Questa soluzione permette di evitare pericolose monopolizzazioni di trovati in grado di assolvere non una ma molteplici funzioni (Galli 2002, p. 409).
Sebbene con alcune differenze può affermarsi, ma il punto in questo caso è ancora oggetto di discussioni, mancando un preciso riferimento normativo, che i medesimi problemi e probabilmente le medesime soluzioni si pongono per talune innovazioni nel campo dell’informatica.
A lungo si è, infatti, dibattuto tra due diverse possibilità di tutela per queste innovazioni: quello del diritto d’autore e quello del brevetto (Schiuma 2007). A questo proposito è opportuno un cenno al fatto che certamente oggi il sistema di protezione scelto è quello del diritto d’autore, ma il sistema brevettuale non è del tutto precluso a tali innovazioni, potendo queste esservi ammesse qualora, ancora una volta, non siano considerate ‘in quanto tali’, ma siano funzionali all’assolvimento di almeno un risultato capace di incidere sulla realtà materiale; così nella prassi dell’Ufficio europeo dei brevetti sono stati concessi brevetti relativi a software, o parti di software, per trovati in grado di migliorare il funzionamento di strumenti per la realizzazione di immagini radiologiche (T 26/28), oppure per un programma capace di individuare errori nel funzionamento dei sistemi ABS (EP 771-280). Anche in tal caso, come per le invenzioni biotecnologiche, l’oggetto per il quale si chiede la protezione brevettuale consiste sostanzialmente in informazioni e, pure in tal caso, il principio generale che dovrà guidare l’interprete nel tracciare la linea che demarca l’area della brevettabilità è quello per cui solo le informazioni selezionate in vista dell’ottenimento di un preciso risultato possono accedere al brevetto.
Nei nuovi contesti tecnologici ove più che le componenti meccaniche e fisiche sono le informazioni a giocare un ruolo decisivo, è così la selezione di queste ultime, in vista della realizzazione di una determinata funzione, di una ricaduta applicativa, che permette l’accesso al brevetto e nel contempo delimita l’estensione della privativa.
In termini più generali la nuova sfida per il sistema brevettuale consisterà nel governare le condizioni di accesso alla protezione di quello che è certamente uno dei ‘nuovi beni’ – se non ‘il bene’ antropologicamente fondatore – della società civile del terzo millennio: l’informazione o, forse meglio, il sapere, sia come conoscenza sia come saper fare.
Evoluzione interpretativa dei requisiti di accesso
L’altro dei segmenti di disciplina sui quali l’accesso alla brevettabilità dei nuovi trovati ha inciso e sarà oggetto di ulteriori evoluzioni interpretative è quello dei requisiti di accesso al brevetto. Si è già accennato al fatto che il brevetto svolge una funzione premiale, ma che naturalmente non tutte le innovazioni meritano il premio dell’immunità dalla concorrenza. Solo le invenzioni che rispondono a determinati requisiti, descritti puntualmente dalla legge, possono accedere alla tutela brevettuale. Tali requisiti sono quelli della novità, originalità e liceità. Naturalmente, non ci si può soffermare su ciascuno di essi per verificare quale sia stato l’impatto in punto di interpretazione determinato dall’accesso alla protezione dei nuovi trovati, ma alcuni cenni alle principali evoluzioni in atto e alle prospettive per il futuro, meritano di essere tratteggiati.
Innanzitutto uno dei requisiti rispetto al quale l’orientamento interpretativo sta subendo modificazioni sensibili è quello della novità. In particolare l’accesso al brevetto delle innovazioni biotecnologiche ha imposto, già in sede di direttiva comunitaria, una precisazione ricca di spunti suggestivi: si è, infatti, affermato, che sono considerate invenzioni brevettabili anche quelle relative a trovati «preesistenti allo stato naturale» (art. 3 della direttiva CE 44/98 e art. 3, lettere a) b), d) del d. legisl. 10 genn. 2006 n. 3 che ha dato attuazione alla direttiva in Italia). Come accennato poc’anzi quest’affermazione conferma la vicinanza di questi trovati più all’ambito della scoperta o della rivelazione che non a quello dell’invenzione. Anche per tali trovati, tuttavia, la novità dovrà essere valutata tenendo conto dell’accessibilità al pubblico delle conoscenze per cui si chiede il brevetto (Ricolfi 2003, p. 29). Il fatto che un trovato, per es. una proteina, preesista alla stato naturale e sia ricavabile per estrazione non esclude, infatti, che un’identica proteina possa essere realizzata attraverso procedimenti biotecnologici che permettono di produrne grandi quantitativi con un grado di purezza molto elevato; rispetto a tale trovato il requisito della novità sarà integrato proprio dalla diversità del metodo utilizzato per la produzione di una sostanza che tuttavia è identica ad altra preesistente. In realtà in tali casi, come già accaduto nel settore della chimica, è il metodo attraverso il quale si ottiene un determinato risultato a essere oggetto di valutazione in termini di novità, non il risultato in sé. In questa maggiore attenzione al processo con cui si realizza un determinato risultato si coglie un tratto importante della disciplina delle invenzioni biotecnologiche che delimita la privativa a esse relativa. Se, infatti, è il metodo con cui si realizza un certo risultato a dovere integrare il requisito della novità, ciò significa che il brevetto non si estende al risultato in sé comunque ottenuto, il quale, come accennato, potrebbe preesistere alla stato naturale o essere identico ad altro realizzato con metodo diverso; la privativa viene a essere limitata al trovato che sia realizzato con il metodo descritto e di conseguenza tollera l’esistenza di uno o più brevetti relativi a trovati identici, per es. la medesima proteina, ottenuta, però, con un metodo diverso e in precedenza non accessibile al pubblico (Di Cataldo 2003).
Profili evolutivi interessanti si rintracciano, poi, anche rispetto al requisito dell’originalità. Sin dagli albori del sistema brevettuale questo requisito ha costituito il filtro per permettere una valutazione qualitativa dei trovati che possono accedere al brevetto. Soltanto quei trovati che non siano evidenti per un tecnico medio del settore implicano quel salto innovativo che giustifica il premio dell’esclusiva brevettuale. Si tratta, allora, di valutare se, alla luce dello stato della tecnica, il trovato costituisca o meno il risultato di un’evoluzione di routine, prevedibile tenendo conto delle conoscenze di un esperto del ramo oppure, come è stato anche affermato, di verificare se l’innovazione costituisca effettivamente una soluzione di continuità nel processo evolutivo delle conoscenze relative a un certo settore. Questa lettura, fino a oggi dominante, dell’originalità dell’invenzione come rottura della continuità rispetto al normale divenire della conoscenza (Ravà 1988, p. 72), ben si attaglia, o forse è ormai più corretto dire si attagliava, al contesto dell’innovazione tecnologica e rende efficacemente il concetto della non evidenza del trovato per il tecnico medio del settore che ha ispirato il legislatore in materia brevettuale; è, infatti, proprio il non costituire un’evoluzione prevedibile, ossia conforme all’evoluzione scontata e di routin in un determinato settore che giustifica, almeno nelle originarie intenzioni del legislatore, il premio del brevetto.
Settori dell’innovazione quali quello delle biotecnologie e dell’information technology si caratterizzano, invece, per il fatto che i risultati raggiunti sono il frutto di un’attività di routine, ripetitiva, volta alla decodificazione ed elaborazione di una grande quantità di dati, attività affatto lontana dalla creatività pionieristica e dirompente dell’originario contesto della meccanica. Eppure, benché frutto di pazienza e costanza più che di genialità e fantasia, soprattutto le invenzioni biotecnologiche richiedono anni di lavoro, spesso in équipe, con strumentazioni che necessitano di investimenti ingenti, che solo la prospettiva di un ritorno economico può giustificare. Ci si è domandati se in tali casi, pur a fronte degli ingenti investimenti, non si debba escludere la presenza del requisito dell’attività inventiva e di conseguenza l’accesso al brevetto, quando il trovato sia il risultato di una attività di routine che esprime il normale divenire tecnologico di un determinato settore. Alcuni interpreti hanno, invece, proposto di adeguare il requisito dell’attività inventiva a questi nuovi settori, ritenendo che in tali casi il giudizio di non evidenza rispetto alle conoscenze dell’esperto del settore vada letto non solo in relazione alle capacità intellettive del tecnico del ramo, ma anche valutando gli altri fattori che hanno reso possibile l’invenzione: il tempo, la strumentazione, il lavoro di gruppo, gli ingenti capitali investiti, fattori questi che possono essere paragonati all’investimento, in origine quasi esclusivamente intellettuale, dell’inventore e che rendono non evidente il risultato nella misura in cui la loro assenza non avrebbe portato all’innovazione (Di Cataldo 2003). Anche in tale evenienza è la realtà dei nuovi settori di ricerca tecnologica che tende a incidere sull’interpretazione delle regole, proponendone un adattamento alle mutate modalità con cui la ricerca medesima procede.
Le medesime osservazioni valgono anche per il settore delle innovazioni informatiche, per le quali sono sempre più pressanti, come accennato, le richieste di tutela brevettuale. Anche in questa evenienza l’interprete dovrà confrontarsi con una lettura del requisito dell’originalità del trovato che certamente è ben lontana da quella pensata per il contesto della meccanica, ove l’innovazione brevettabile era quella che creava una frattura con le conoscenze del passato; anche nel campo dell’informatica, i nuovi trovati sono per lo più frutto di un’elaborazione paziente, che produce un’evoluzione dell’innovazione costante, o secondo il gergo del settore, incrementale (Raymond 1999).
L’accesso, o le pressioni per accedere, alla tutela brevettuale da parte dei trovati provenienti dal settore delle biotecnologie e da quello dell’informatica mostra una tendenza, destinata ad accentuarsi in futuro con la prevedibile espansione di tali settori tecnologici, a una rilettura dei requisiti di brevettabilità che tenga conto delle peculiarità dei nuovi trovati. Se tale processo è coerente all’adeguarsi dell’interpretazione giuridica alle modifiche della realtà e alle istanze che essa di volta in volta pone, la sfida per il futuro sarà tuttavia quella di evitare che un’interpretazione sempre meno severa dei requisiti di accesso conduca a una perdita di effettività di questi ultimi quali strumenti di reale selezione dei soli trovati più meritevoli. Anche rispetto all’interpretazione dei requisiti di brevettabilità non dovrebbe, infatti, perdersi di vista quella che è, e dovrebbe rimanere in futuro, la funzione dell’istituto brevettuale: l’immunità dalla concorrenza per i trovati più meritevoli, che non necessariamente e non sempre coincidono con quelli che hanno richiesto i maggiori investimenti.
Il diritto a ottenere il brevetto tra ricerca pubblica e privata
Un altro segmento di disciplina destinato a essere oggetto di evoluzioni è quello della titolarità dei risultati ottenuti. Il sistema brevettuale italiano si allinea, pur con alcune differenze, a quello degli altri Paesi industrializzati per quanto riguarda il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore in punto di titolarità dei risultati innovativi e del diritto a una loro eventuale brevettazione.
Differentemente dal sistema del diritto d’autore, anch’esso deputato alla tutela di risultati innovativi, seppure nel campo estetico/comunicazionale, il sistema brevettuale prevede sin dalle sue origini una disciplina funzionale ad allocare il rischio per aver finanziato l’innovazione e il merito per averla realizzata tra datore di lavoro e lavoratore dipendente.
Al di là delle singole fattispecie, basti qui accennare che secondo tale disciplina il diritto al brevetto spetta al datore di lavoro che sopporta il rischio dell’investimento nella ricerca e nello sviluppo di prodotti o servizi innovativi, mentre al lavoratore spetta il diritto morale a essere riconosciuto autore dell’invenzione e come tale menzionato e, a seconda dei casi e con una casistica giurisprudenziale piuttosto ricca – stante l’ambiguità del dettato legislativo italiano – un equo premio.
Secondo la prospettiva sin qui privilegiata, consistente nel verificare se e in quale misura i nuovi settori della tecnica e segnatamente quello delle innovazioni biotecnologiche e informatiche condizionano, e sono in prospettiva destinati a condizionare ulteriormente, il sistema brevettuale, le principali ripercussioni in punto di titolarità del diritto al brevetto non riguardano tanto il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore dipendente nell’ambito della ricerca privata, quanto piuttosto questioni di titolarità nell’ambito della ricerca pubblica. Infatti, soprattutto nel settore delle biotecnologie, ma in taluni casi, seppure più limitatamente, anche in quello dell’informatica, la ricerca di base ha un ruolo decisivo, essendo lo scambio tra la scienza e la tecnica più intenso che in altri settori (Falce in Brevetti e tecnologia, 2008, p. 121); la ricerca di base costituisce un campo alimentato economicamente soprattutto da enti pubblici, quali istituti di ricerca o università. In tali casi i diversi sistemi giuridici tentano di operare un bilanciamento di interessi tra l’ente pubblico finanziatore e il singolo ricercatore che realizza l’innovazione brevettabile. La soluzione più praticata dai diversi ordinamenti consiste nell’attribuzione del diritto al brevetto all’ente, salvo un premio per il ricercatore-inventore. Il sistema italiano ha derogato a questo assetto di interessi con una disposizione finalizzata a incentivare i ricercatori dipendenti di enti pubblici a realizzare invenzioni brevettabili, riconoscendo loro il diritto al brevetto (Libertini 2002). Questa soluzione è discutibile poiché crea una disparità di trattamento del tutto ingiustificata tra ricercatori operanti nell’ambito di imprese private e quelli alle dipendenze di enti pubblici.
Si prospetta, quindi, almeno per il legislatore italiano, la necessità di ridisegnare i rapporti tra datore di lavoro e ricercatore nell’ambito della ricerca pubblica (Libertini 2002).
Un’ulteriore sfida in punto di titolarità del diritto al brevetto, per il legislatore italiano, sarà quella relativa alle invenzioni realizzate in équipe e a quelle realizzate su commissione; entrambe le ipotesi tuttora sono sottratte a ogni regola e rimesse all’autonomia dei privati; stante, però, il fatto che, come accennato, i nuovi settori di ricerca si caratterizzano sempre più per modalità di ricerca differenti dal passato, nelle quali alla figura del singolo inventore, geniale e isolato, si sostituiscono équipe di ricercatori, spesso selezionati per portare avanti singoli progetti su commissione, sarà opportuna una considerazione più attenta anche di tali aspetti da parte del legislatore.
Problemi di appartenenza e contrasti geopolitici
Ulteriori profili problematici legati ai nuovi settori di ricerca, e in tal caso prevalentemente a quello delle biotecnologie, sono quelli relativi all’appartenenza delle risorse genetiche. Il problema si è posto solo recentemente, da quando cioè la concessione di brevetti biotecnologici è divenuta più frequente e la sua soluzione costituisce certamente una delle sfide più stimolanti per il futuro.
Si tratta, ancora una volta, di una questione estranea al diritto delle invenzioni originariamente pensato per le innovazioni nel campo della meccanica.
La questione si pone nei seguenti termini: la ricerca di possibili applicazioni industriali di materiale genetico vegetale e animale è sempre più attiva e sempre più pressanti sono gli interessi economici a modificare, elaborare, trasformare tale materiale, sia per applicazioni nel campo medico-farmaceutico sia in quello dell’agricoltura. Soprattutto in quest’ultimo campo, infatti, le trasformazioni di materiale genetico vegetale o animale permettono di realizzare organismi viventi che rispondono a determinate caratteristiche con un grado di stabilità molto più elevato rispetto a quanto non accada con le normali tecniche di ibridazione e selezione di tipo ‘essenzialmente biologico’. È, quindi, in atto una vera e propria corsa alla ricerca del materiale genetico per elaborarne le informazioni in vista di possibili utilizzazioni economiche (il cosiddetto bioprospecting). Ma, e qui sorge il problema giuridico, il materiale genetico da elaborare proviene da organismi viventi o comunque, per usare il lessico della direttiva, si tratta in ogni caso di materiale «preesistente allo stato naturale». E così non sono mancati i casi nei quali ‘il proprietario’ del materiale genetico preesistente si sia opposto allo sfruttamento del medesimo, seppure per funzioni diverse e nuove rispetto alle originarie, oppure abbia preteso una compartecipazione economica, qualora a partire da tale materiale fosse realizzata un’invenzione brevettabile. Ancora una volta, dunque, l’estensione dell’oggetto della tutela verso ciò che, seppure oggetto di elaborazione e modificazione, preesiste rispetto all’apporto dell’inventore, sollecita la ricerca di soluzioni interpretative.
Questo contrasto tra chi detiene le informazioni genetiche estraibili da un materiale che gli appartiene e chi si proponga di utilizzarle in vista di un eventuale uso industriale ha conosciuto un’ulteriore ragione di tensione quando i termini del problema hanno assunto la connotazione di un attrito geopolitico tra i Paesi industrializzati del cosiddetto Nord del mondo, in grado di supportare gli elevati investimenti che questo genere di ricerca richiede, e i Paesi in via di sviluppo, meno preparati sul versante delle elaborazioni industriali del materiale genetico, ma ricchi di quest’ultimo, soprattutto vegetale e animale, e provvisti in maniera ben più consistente dei Paesi industrializzati della cosiddetta biodiversità (Dutfield 2004). Il medesimo discorso, seppure declinato in termini diversi, si pone anche per il prelievo e l’utilizzazione di materiale genetico umano; anche in tal caso possono darsi conflitti di appartenenza, divieti di utilizzazione e persino pretese di compartecipazione a eventuali proventi derivanti da brevetti (Campiglio 1999).
Da questi sintetici cenni è evidente che il dibattito sugli effetti della brevettazione del materiale genetico si è arricchito di un profilo ulteriore che coinvolge il tema dell’appartenenza delle risorse genetiche e del diritto, soprattutto degli Stati o degli individui che le detengono, a partecipare dei risultati brevettabili, o a impedire un arricchimento degli innovatori che esclude i Paesi e gli individui fornitori del materiale che ha reso possibile l’innovazione. In termini di proposte di soluzione a tale problema, l’attuazione italiana della direttiva in materia di biotecnologie ha imposto che, qualora il materiale genetico di cui ci si intenda avvalere sia di origine umana, vi sia stato preventivamente in sede di prelievo il consenso informato, mentre qualora tale materiale sia di origine vegetale o animale venga indicato all’Ufficio brevetti il Paese di origine e siano rispettate le norme di quest’ultimo in punto di esportazione e importazione.
Si tratta di indicazioni normative che considerano il problema, ma non vi danno effettiva soluzione, restando incerte le modalità di composizione dei diversi interessi in caso di eventuali contrasti.
L’ambito di estensione del diritto esclusivo
Un altro ordine di problemi che verosimilmente coinvolgerà il sistema brevettuale e che in parte è connesso al primo dei profili trattati (v. Oggetto della tutela e ambito di estensione del diritto esclusivo), quello dell’oggetto della tutela, riguarda l’ambito di estensione della privativa, o in altri termini, il limite fino al quale può spingersi il diritto esclusivo del titolare di un brevetto.
Anche in questo caso i nuovi settori sollevano questioni che sono destinate ad avere ripercussioni sull’intero sistema brevettuale, sul suo rapportarsi con l’altro sistema di tutela giuridica dell’innovazione, il diritto d’autore, e soprattutto sulle finalità generali che l’ordinamento persegue attraverso il riconoscimento di tali esclusive (Ricolfi 2003, p. 47). Nel diritto d’autore si assiste a una netta riduzione dell’intermediazione tra opera e fruizione pubblica dell’opera, nel caso delle invenzioni biotecnologiche e anche nel caso di altri brevetti relativi a materiale vivente, come la privativa sulle nuove varietà vegetali, si assiste al riconoscimento del diritto esclusivo su materiale capace di autoreplicarsi. La fabbrica non è più il luogo di attuazione del trovato brevettato, poiché questo, riguardando materiale vivente, è in grado di riprodursi. Questo dato della realtà pone naturalmente una serie di interrogativi all’interprete e al legislatore: chi infatti si trovi in possesso di un trovato brevettato ‘vivente’ (per es., una varietà vegetale modificata geneticamente per resistere a condizioni climatiche avverse) può divenire potenziale concorrente del titolare del brevetto, essendo in grado di riprodurre il trovato brevettato, senza necessità di dotarsi di appositi mezzi di produzione. Da ciò consegue che il diritto delle invenzioni condivide il principale problema del diritto d’autore dell’era digitale: infatti, chiunque abbia la disponibilità di materiale digitale può diventare potenziale concorrente del titolare dei diritti. In entrambi i casi, come è a questo punto evidente, la fabbrica, come contesto della realtà deputato alla moltiplicazione in copie dei trovati oggetto di diritti esclusivi, non è più necessaria; tale dato solleva, naturalmente, ordini di riflessioni che vanno ben oltre il diritto della proprietà intellettuale, ponendo interrogativi sui sistemi di produzione e remunerazione del terzo millennio, sulle ricadute, anche sociali, di una economia di mercato che, per avvalersi di un lessico efficace, quanto ormai abusato, è sempre più ‘liquida’ (Bauman 2000), venuta meno la solidità e stabilità di quei mezzi di produzione industriale che tanta parte hanno avuto all’epoca delle grandi codificazioni (Irti 19994) e della redazione delle leggi in tema di proprietà intellettuale.
In entrambi i casi, nel diritto sia d’autore sia del sistema brevettuale – e in questa sede non è d’uopo approfondire oltre il confronto tra i due sistemi –, la risposta del legislatore è stata verso il rafforzamento delle esclusive, al costo di comprimere i diritti dei terzi utenti o fruitori dell’innovazione. Sia, infatti, il decreto di attuazione della direttiva sulle biotecnologie (d. legisl. 10 genn. 2006 n. 3) sia già la disciplina in tema di nuove varietà vegetali, estendono l’esclusiva anche al materiale biologico derivante dal trovato protetto che include una modificazione genetica (art. 8), salvo il limite dell’utilizzazione di tale materiale da parte di chi se ne avvalga nella propria azienda (cosiddetta clausola dell’agricoltore e allevatore: art. 9). In altri termini: sia il risultato ottenuto applicando il metodo biotecnologico brevettato sia il materiale da esso discendente (la seconda generazione) sono oggetto di protezione, proprio perché diversamente sarebbe vanificato il senso della protezione brevettuale, potendo ciascun acquirente di tale materiale trasformarsi agevolmente, grazie alla capacità di quest’ultimo di riprodursi, in concorrente del titolare del brevetto (Ricolfi 2003, p. 59). Anche nel contesto dell’information technology la fabbrica perde il suo rilievo, benché sin dalle origini nel settore del software essa abbia svolto un ruolo meno decisivo. In questo settore tale fenomeno assume due linee di tendenza: da un lato anche per il software si pone il tema della facilità della moltiplicazione, dall’altro si afferma sempre più la ricerca di modalità di creazione e utilizzazione alternative. Sul primo versante la facilità della riproduzione ha indotto il legislatore a rafforzare la tutela attraverso gli strumenti classici della proprietà intellettuale, riconoscendo tuttavia, come nel caso delle biotecnologie, spazi di libertà per utilizzazioni che siano necessarie al funzionamento stesso del programma; sul secondo versante, quello della ricerca di soluzioni alternative in punto di creazione e utilizzazione, si assiste all’evoluzione della fase produttiva da un contesto creativo isolato e strutturato a uno condiviso e diffuso, descritta felicemente in termini figurativi come passaggio ‘dalla cattedrale al bazaar’ (Raymond 1999). È, infatti, ormai rilevante il peso anche in termini economici assunto da prodotti informatici realizzati attraverso la tecnica open source (su cui più diffusamente, v. oltre). Anche in tal caso è evidente, seppure con modalità ed effetti differenti, il venir meno della fabbrica, la non necessarietà di un luogo artificiale specifico indispensabile tanto alla creazione di innovazione quanto al suo sfruttamento. Quest’ultima trasformazione non mancherà di avere ripercussioni sulle regole da applicare e sulla loro interpretazione; infatti, si pongono problemi di limiti, intesi prevalentemente come condizioni da rispettare per utilizzare, modificare, elaborare il software reso accessibile alla collettività.
Licenze obbligatorie e rilievi in punto di concorrenza
Tra i segmenti di disciplina coinvolti dall’accesso al brevetto dei risultati provenienti dai nuovi settori, vi è poi certamente quello delle licenze obbligatorie. Si è ripetuto molto spesso nel dibattito tra gli specialisti della proprietà intellettuale che il sistema brevettuale è dotato, a differenza del diritto d’autore, di anticorpi proconcorrenziali (Ghidini 2001), che riducono gli effetti negativi di limitazione della concorrenza provocata dal brevetto.
Tra gli strumenti che contribuiscono ad attenuare la portata anticompetitiva viene considerato, e forse sopravvalutato, quello della licenza obbligatoria. Attraverso la licenza obbligatoria il diritto esclusivo del brevettante a decidere dello sfruttamento del trovato subisce una contrazione, e ciò accade, oltre che nel caso di mancata attuazione del trovato brevettato, nel caso dell’invenzione dipendente, ossia di un’invenzione che per essere attuata e sfruttata economicamente deve necessariamente utilizzare un trovato a sua volta brevettato. In tali casi il sistema brevettuale riconosce, al ricorrere di determinate condizioni, tra le quali quella – discutibile – che l’innovazione dipendente costituisca un «importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica» (art. 71 Codice della proprietà industriale), una compressione del diritto esclusivo del primo innovatore a favore del secondo, il quale potrà ottenere una licenza, appunto, obbligatoria per lo sfruttamento del trovato. In realtà, come si è cercato di mostrare, l’accesso dei nuovi trovati al brevetto implica una riconsiderazione di molti profili della disciplina e conseguentemente anche del rilievo sistematico della licenza obbligatoria. Il tema della licenza obbligatoria riguarda ancora una volta i limiti, che rispetto ai nuovi trovati – diversamente dalle molte previsioni negative che hanno preceduto il loro accesso al sistema brevettuale – si pongono in maniera più marcata e chiara persino rispetto all’originario contesto della meccanica. Si è, infatti, messo in evidenza che per i trovati biotecnologici, così come per quelli informatici, vige, già in punto di accesso al brevetto, una sorta di condizione ulteriore che esclude la brevettabilità del trovato in quanto tale; il trovato può, infatti, accedere alla protezione brevettuale solo se ne viene chiaramente individuato e rivendicato un uso. Questa prima e fondamentale condizione di accesso (che, come accennato, traccia una linea più netta di demarcazione tra scoperta e invenzione) assolve una ulteriore funzione di limite, che permane per tutta la durata dell’esclusiva, togliendo parte del suo peso alla licenza obbligatoria e all’enfasi della discussione a essa connessa. Se, infatti, il trovato brevettato lo è non in quanto tale, ma solo in relazione alla funzione svolta (cosiddetta protezione relativa o purpose-bound protection), ciò fa sì che tutte le altre possibili utilizzazioni del medesimo trovato siano libere e suscettibili di indipendente brevettazione. Paradossalmente, allora, proprio la necessità di una lettura differenziata e in qualche modo più severa delle condizioni di accesso dei nuovi trovati al brevetto costringe l’interprete a circoscrivere più rigorosamente l’area della protezione, riducendo conseguentemente l’ambito di applicazione di strumenti quali la licenza obbligatoria che, seppure valutati – o sopravvalutati – positivamente, presentano tuttavia un tasso di ambiguità. La licenza obbligatoria, infatti, è bene ripeterlo per ridimensionarne il rilievo sistematico, non viene concessa per qualsiasi invenzione dipendente, ma solo per quelle che superino un vaglio di meritevolezza sia tecnica sia economica, vaglio che è molto difficile effettuare anticipatamente e in via di mera prognosi.
Per concludere su questo punto, proprio da quei settori che apparivano in un primo tempo più temibili in termini di limiti alla concorrenza e soprattutto frenanti rispetto all’innovazione derivata, sono emerse soluzioni che permettono di circoscrivere, ben più che nell’originario contesto della meccanica, la portata dell’esclusiva. In questa prospettiva, che ridimensiona la portata del brevetto al solo uso espressamente rivendicato, si coglie anche il ridursi del rilievo sino a oggi tributato allo strumento della licenza obbligatoria; questo resta, invece, rilevante soprattutto quale strumento che favorisce l’interoperabilità tra differenti titoli di proprietà industriale, quali quello per invenzioni e quello per nuove varietà vegetali, ossia per le invenzioni cosiddette interdipendenti.
L’open source come strumento di creazione/utilizzazione dell’innovazione
Infine, nel campo informatico, così come in quello biotecnologico, l’attività di ricerca presenta, come accennato, caratteristiche tali da giustificare recenti proposte di mutuazione delle tecniche di creazione e tutela dall’uno all’altro settore. È stato, infatti, evidenziato che in entrambi i settori la ricerca procede prevalentemente attraverso un’attività paziente di individuazione e selezione di informazioni in vista di soluzioni incrementali. Questa somiglianza quanto alle modalità di progressione della ricerca, e in parte anche quanto alle caratteristiche dei risultati, ha sollecitato recenti proposte di applicabilità della tecnica di tutela open source al settore delle biotecnologie. Questa tecnica di creazione/utilizzazione dell’innovazione è nata nel contesto dell’informatica e deriva dall’idea, oggetto di teorizzazioni che hanno assunto toni pseudofilosofici, di contrapporre alle tecniche classiche di tutela predisposte dai sistemi di proprietà intellettuale, e consistenti nel riconoscimento di un diritto esclusivo di stampo proprietario, un modo differente sia di realizzare sia di utilizzare e sfruttare il software, mettendone a disposizione il codice sorgente (di qui la denominazione open source), affinché chiunque, rispettando determinate condizioni, possa elaborarlo, trasformarlo, modificarlo, così come anche sfruttarlo economicamente (Raymond 1999).
La tecnica di tutela open source, benché apparentemente alternativa a quella dei diritti di proprietà intellettuale, in realtà non esclude, ma anzi presuppone quest’ultima; alla base del sistema open source vi è, infatti, la scelta libera del titolare di un diritto di proprietà intellettuale di rinunciare all’esercizio del diritto medesimo, concedendo una licenza. La versione più diffusa delle licenze open source è la cosiddetta general public licence, attraverso la quale il titolare del diritto ammette i terzi, sia i fruitori sia i concorrenti, a conoscere il codice sorgente del programma e a poterlo modificare per realizzare, sia per uso privato sia per uso commerciale, versioni evolutive del contributo originario.
Qualora il titolare del diritto decida di avvalersi del sistema open source per lo sfruttamento del risultato innovativo ricorrendo a una general public licence, questa si estende poi negli stessi termini in cui è stata formulata alle versioni derivate, elaborate o modificate del programma originario (cosiddetto effetto virale). Questa estensione della licenza mira a evitare che chi realizzi una versione innovativa di un certo contributo, messo a disposizione grazie al sistema open source, possa poi appropriarsene avvalendosi del sistema di protezione classico, quello del diritto esclusivo. Si vuole, in altri termini, evitare l’arricchimento di un singolo rispetto a un prodotto che è frutto della collaborazione, seppure diacronica, di molti.
L’affermarsi di tale tecnica di tutela sollecita interrogativi che investono ancora una volta la funzione stessa dei diritti di proprietà intellettuale e la loro effettività rispetto alle finalità che l’ordinamento si propone attraverso il loro riconoscimento, prima fra tutte lo stimolo all’innovazione. In questo contesto il dibattito è tutt’ora molto vivace ed è interessante considerare le proposte di applicabilità del modello open source anche al settore delle biotecnologie. Pure in tale ambito, come in quello originario del software, la fase di creazione e successiva elaborazione dovrebbe avere luogo a partire dalla messa a disposizione di una comunità di ricercatori di segmenti o frammenti di codice genetico a partire dal quale sviluppare la ricerca di possibili soluzioni applicative. La proposta elaborata in termini più compiuti circa l’applicabilità di questa tecnica di creazione/utilizzazione tiene conto ovviamente delle differenze in termini di investimenti richiesti per i due diversi settori: quello del software ancora realizzabile artigianalmente e in assenza di consistenti investimenti, quello delle biotecnologie, tale da richiedere risorse ingenti; in ragione di tali differenze si propone l’applicabilità della tecnica open source al settore delle biotecnologie per quei contesti ove sia incerta o pressoché nulla la probabilità di un ritorno dell’investimento economico. La soluzione dell’applicabilità della tecnica open source nel campo delle biotecnologie, è, infatti, allo studio e in fase di sperimentazione per lo sviluppo di farmaci destinati alla cura di malattie endemiche presenti nei Paesi sottosviluppati; in tal caso, infatti, la condivisione delle informazione relative al materiale genetico ben si sposa con la ricerca condotta prevalentemente su base volontaria e senza l’obiettivo stringente del ritorno di investimenti che caratterizza la ricerca farmaceutica svolta imprenditorialmente (Maurer, Rai, Sali 2004).
Critiche e prospettive
Negli ultimi anni del 20° sec. l’istituto del brevetto è stato oggetto di critiche serrate, acuite in occasione di scelte legislative, quali la brevettabilità del materiale genetico o la proposta di direttiva in tema di invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici. Tra le critiche più diffuse vi è quella di iperprotezionismo e di ostacolo allo sviluppo dell’innovazione sia concorrente sia derivata, soprattutto rispetto ai quei trovati che consistono, come accade per i due settori considerati, nella selezione di informazioni.
In realtà, come si è cercato di mostrare, questi timori possono in taluni casi essere ridimensionati: l’obiettivo del sistema brevettuale – realizzato attraverso il riconoscimento del diritto esclusivo ‘in cambio’ della pubblicazione della descrizione del trovato – è quello di bilanciare gli interessi tra chi produce l’innovazione e chi la utilizza; questo equilibrio si raggiunge quando il diritto esclusivo è riconosciuto all’inventore soltanto e proporzionatamente all’insegnamento che questi apporta alla collettività (Di Cataldo 2004, p. 123). Gli strumenti per rendere effettivo questo limite ed evitare che esso si sposti ingiustificatamente a favore di chi realizza l’innovazione, alimentando i suddetti timori di iperprotezionismo, sono in gran parte già presenti nell’istituto brevettuale, ed essi ricevono oggi nuovo senso proprio dall’accesso alla tutela dei nuovi trovati. La riflessione in tema di biotecnologie e di invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici ha evidenziato, infatti, che per i nuovi trovati in alcuni casi, come relativamente all’oggetto della tutela o ai requisiti di brevettabilità, si impongono letture che, rispetto al contesto originario della meccanica, circoscrivono e delimitano in modo più rigoroso la portata dell’esclusiva, come nel caso della protezione limitata alla sola funzione rivendicata o della lettura del requisito della novità come relativa a uno specifico e unico modo di ottenere determinati risultati.
Le interpretazioni restrittive prospettate per i nuovi settori permettono, dunque, di attenuare quei timori di apocalittici effetti anticompetitivi ultimamente associati al brevetto e guardare con maggiore fiducia alle capacità di tale sistema normativo di adattarsi alle continue sfide dell’innovazione.
Bibliografia
T. Ravà, Diritto industriale, 2° vol., Invenzioni e modelli industriali, Torino 1988.
C. Campiglio, I brevetti biotecnologici nel diritto comunitario, «Diritto del commercio internazionale», 1999, 4, pp. 849-919.
N. Irti, L’età della decodificazione, Milano 19994.
E.S. Raymond, The cathedral and the bazaar, Beijing 1999.
Z. Bauman, Liquid modernity, Cambridge 2000 (trad. it. Roma-Bari, 2002).
G. Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale, Milano 2001.
C. Galli, Problemi in materia di invenzioni biotecnologiche e di organismi geneticamente modificati, «Rivista di diritto industriale», 2002, 6, pp. 398-425.
M. Libertini, Appunti sulla nuova disciplina delle “invenzioni universitarie”, «Il foro italiano», 2002, 7/8, pp. 2170-178.
V. Di Cataldo, Biotecnologie e diritto. Verso un nuovo diritto e verso un nuovo diritto dei brevetti, «Contratto e impresa», 2003, 2, pp. 319-94.
M. Ricolfi, La brevettazione delle invenzioni relative agli organismi geneticamente modificati, «Rivista di diritto industriale», 2003, 1, pp. 5-73.
V. Di Cataldo, Fra tutela assoluta del prodotto brevettato e limitazione ai procedimenti descritti ed agli usi rivendicati, «Rivista di diritto industriale», 2004, 4/5, pp. 111-24.
G. Dutfield, Intellectual property, biogenetic resources and traditional knowledge, London 2004.
S.M. Maurer, A. Rai, A. Sali, Finding cures for tropical diseases: is open source an answer?, «PloS medicine», 2004, 1 (3): e56, http://medicine.plosjournals.org/perlserv/?request=get-document&doi=10.1371/journal.pmed.0010056 (11 marzo 2009).
P. Spada, Vent’anni di giurisdizione speciale in materia di proprietà industriale, Roma 2004.
G. Ghidini, E. Arezzo, C. De Rasis et al., Il software tra brevetto e diritto d’autore. Primi appunti sulla proposta di direttiva comunitaria sulle «invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici», «Rivista di diritto industriale», 2005, 1, pp. 46 e sgg.
G. Giorello, in Diritto e diritti. Rinnovamento civile e nuova barbarie, a cura di P. Corsi, inserto speciale di «Rivista dei libri», 2005, 7-8, pp. XIII-XIV.
M. Libertini, Impresa, proprietà intellettuale e Costituzione, «AIDA. Annali italiani del diritto d’autore», 2005, 50.
P. Spada, Introduzione a P. Auteri, G. Floridia, V. Mangini, et al., Diritto industriale, Torino 20052.
L. Schiuma, Il software tra brevetto e diritto d’autore, «Rivista di diritto civile», 2007, 53 (6), pp. 683-708.
Brevetti e biotecnologie, a cura di G. Ghidini, G. Cavani, Roma 2008 (in partic. V. Di Cataldo, E. Arezzo, Scope of the patent and uses of the product in the European biotechnology directive, pp. 57-93; P. Errico, Tutela brevettuale e ricerca biotecnologica. Un binomio non sempre perfetto, pp. 37 e sgg.; V. Falce, Sulla tutela dell’innovazione nei “nuovi” settori della tecnica con particolare riguardo alle invenzioni biotecnologiche. Cenni sul contributo dell’analisi economica, pp. 111 e sgg.).