De Palma, Brian
Regista cinematografico statunitense, di origine italiana, nato a Newark (New Jersey) l'11 settembre 1940. Come Martin Scorsese, Francis Ford Coppola, George Lucas e Steven Spielberg, D. P. ha mostrato la costante propensione a realizzare lo 'stesso film', con uno stile visivo personale e immediatamente riconoscibile, pur nella diversità dei generi affrontati (dal thriller all'horror, dalla commedia al film bellico, dalla fantascienza al gangster film). Il suo cinema si basa su alcune fondamentali coordinate, come l'utilizzo del piano-sequenza, le soggettive che amplificano la profondità di campo (dove, a volte, lo sguardo dello spettatore corrisponde con quello dell'omicida), il voyeurismo che produce 'nuove realtà'. Debitore (anche se in maniera meno evidente di quanto possa apparire a una prima analisi) della lezione di Alfred Hitchcock, D. P. attinge a una libertà formale che richiama lo sperimentalismo di Jean-Luc Godard, sia per il lavoro compiuto sull'immagine sia per quello sul suono.
Cresciuto in una famiglia agiata, trascorse la sua adolescenza a Filadelfia. Fu dapprima attratto dalle materie scientifiche, in particolare l'elettronica e la fisica, ma negli anni in cui frequentò la Columbia University i suoi interessi si orientarono verso il teatro, la fotografia e il cinema. All'inizio degli anni Sessanta realizzò i primi cortometraggi tra cui Icarus (1960), 660124, the story of an IBM card (1961) e Wotan's wake (1963). Fu proprio quest'ultimo che, oltre a fargli ottenere i primi riconoscimenti, gli consentì di accedere a una borsa di studio presso il college Sarah Lawrence (1963-64). Diresse quindi il suo primo lungometraggio, The wedding party (uscito nel 1969, ma iniziato a girare nel 1966; Oggi sposi), una commedia con Robert De Niro come protagonista. Il sodalizio tra il regista e l'attore proseguì anche nei successivi Greetings (1968; Ciao America) e Hi, mom! (1970), sequel di Greetings, con De Niro nel ruolo di Rubin, un giovane reduce del Vietnam dedito a filmare di nascosto situazioni di intimità dei vicini di casa. Dopo il surreale Get to know your rabbit (1972; Impara a conoscere il tuo coniglio), realizzò Sisters (1973; Le due sorelle), il suo primo thriller. Il film, la cui protagonista è una donna dalla 'doppia personalità', contiene già degli espliciti rimandi a Hitchcock soprattutto nel meccanismo di progressivo accumulo della tensione, anche se nell'affrontare il binomio voyeurismo-morte affiora come modello di riferimento Peeping Tom (1960) di Michael Powell. D. P. volle affidarne le musiche a Bernard Herrmann, uno dei maggiori collaboratori dell'autore di Psyco, così come quelle del successivo film, Obsession (1976; Complesso di colpa), e solo la morte del musicista interruppe il sodalizio. Con Phantom of the paradise (1974; Il fantasma del palcoscenico), originale rilettura pop-rock di Le fantôme de l'Opéra di G. Leroux e primo successo commerciale del regista, ha esplicitato quello stile visionario e barocco tipico della sua opera. Sono poi seguiti i film Obsession, il cui protagonista rivede, nel volto di una giovane, l'immagine della moglie morta anni prima, e Carrie (1976; Carrie, lo sguardo di Satana), tratto dal romanzo di S. King, incentrato su una ragazza, isolata dalle compagne di classe e oppressa da una madre bigotta, che scopre di avere poteri telecinetici. Dopo The fury (1978; Fury), in Home movies (1979; Home movies ‒ Vizietti familiari), opera con cui D. P. sembra tornare allo spirito delle commedie degli esordi, risultano anticipati elementi che si ritroveranno poi in Dressed to kill (1980; Vestito per uccidere). Questo film, etichettato dalla critica statunitense come esempio di trash movie, contiene in sé invece una sfacciata e coraggiosa esibizione del plagio (la scena iniziale della doccia di Psyco), ma soprattutto crea un'efficace commistione tra la struttura del cinema d'azione e l'iperrealismo barocco che rende claustrofobici i suoi ambienti. Segno di uno sperimentalismo estremo è risultato, invece, il lavoro fatto sul sonoro in Blow out (1981), in cui sono presenti rimandi a Blow-up (1966) di Michelangelo Antonioni e a The conversation (1974) di Coppola per il procedimento attraverso il quale la stessa immagine, sezionata da un punto di vista visivo o sonoro, rivela una 'nuova realtà' in contrasto con quella precedente. Con Scarface (1983), remake dell'omonimo film di Howard Hawks del 1932, D. P. mostra di volersi appropriare della struttura del gangster film rappresentando la grandezza e la decadenza di Tony Montana, un narcotrafficante cubano. Ma è stato con Body double (1984; Omicidio a luci rosse) che è emersa tutta la seduzione visiva del suo cinema: il voyeurismo, il tema del doppio, la combinazione tra cinema 'alto' e 'basso', con una struttura in cui le forme del thriller classico convivono con quelle del film porno. Il regista ha in seguito diretto la commedia poliziesca Wise guys (1986; Cadaveri e compari), prima di realizzare The untouchables (1987; The untouchables ‒ Gli intoccabili). L'opera, ispirata a una serie televisiva degli anni Cinquanta ambientata nel periodo del proibizionismo, porta in sé quell'efficace propensione all'eccesso nella costruzione di una spettacolarità imponente dominata dal gusto della citazione (per es., la famosa scena della carrozzella) del cinema di Sergej M. Ejzenštejn, con vertiginose sequenze d'azione e riproposizione della forza civile del miglior cinema processuale. È stato poi autore del film bellico Casualties of war (1989; Vittime di guerra), sulla guerra in Vietnam, e quindi di The bonfire of the vanities (1990; Il falò delle vanità), impietoso affresco dello yuppismo della New York degli anni Ottanta tratto dal best seller di Tom Wolfe, cui è seguito Raising cain (1992; Doppia personalità ‒ Raising cain), horror in cui l'utilizzo della steadycam dà forma visiva alle zone più nere dell'inconscio. La malinconia del noir e la furiosa azione del gangster film si sono fuse in Carlito's way (1993), opera scritta da David Koepp e interamente strutturata in continui flashback. La vicenda ha come protagonista un narcotrafficante, Carlito Brigante, che cerca di rifarsi una vita gestendo un locale notturno, ma viene coinvolto dall'amico avvocato nell'omicidio di un boss mafioso. I colori e le musiche della metà degli anni Settanta, il respiro classico con cui viene disegnata la figura di Carlito, un altro loser del suo cinema interpretato da un grande Al Pacino, il movimento incessante disegnato dai lunghi piani-sequenza, lo struggente romanticismo di fondo caratterizzano uno dei suoi film migliori, tra i più essenziali del decennio. Ha poi diretto Mission: impossible (1996), thriller spionistico tratto da una popolare serie televisiva ad alta tensione emotiva; Snake eyes (1998; Omicidio in diretta), ambientato nel corso di un incontro di boxe truccato ad Atlantic City e caratterizzato da un piano-sequenza iniziale di dodici minuti; Mission to Mars (2000), film di fantascienza fatto di visioni cromatiche, dove il virtuosismo formale nel vuoto dello spazio riduce al minimo l'uso degli effetti digitali; Femme fatale (2002), in cui vengono riprese le atmosfere del noir classico (con la citazione iniziale di Double indemnity, 1944, di Billy Wilder) attraverso la struttura di un moderno thriller, e in cui viene recuperata la figura della dark lady in quanto personaggio senza identità, mentre riaffiora, in una citazione volutamente di atmosfera, lo sperdimento in una Parigi sconosciuta già creato in Frantic (1988) di Roman Polanski e quella frammentazione narrativa tipica di Charade (1963) di Stanley Donen.
R. Nepoti, Brian De Palma, Firenze 1982.
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K. MacKinnon, Misogyny in the movies: the De Palma question, Newark (NJ) 1990.
D. Legrand, Brian De Palma: le rebelle manipulateur, Paris 1995.
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