BRIENNE, Gualtieri VI di, duca di Atene
Figlio di Gualtieri V, conte di Brienne e duca d'Atene (v. brienne, conti di) e di Jeanne de Châtillon. Morto il padre e perso il ducato (1311), la madre, scampata alla strage, aveva ricondotto in Italia il figlio ancor bambino, e gli fece rendere dalla corte angioina i feudi del Reame. In ricompensa Gualtieri, divenuto maggiorenne, intentava nel 1321 causa alla madre per cattiva amministrazione. Ricco di possessi italiani e francesi, egli si strinse maggiormente agli Angioini, sposando Margherita di Taranto, e li servì nelle loro lotte coi ghibellini di Toscana e col Bavaro. Fallitogli in seguito un tentativo di ricuperare il ducato d'Atene (1331), combatté per il re di Francia nel primo periodo della guerra dei Cent'anni. Nel 1341, mentre tornava a Napoli, i Fiorentini lo assoldarono per la guerra di Lucca, e in seguito gli conferirono la signoria della città. Perdutala, macchinò per riottenerla con gli Angioini, col papa, col re di Francia, ma, frustrato nelle sue speranze, trovava la morte in battaglia, combattendo valorosamente contro gl'Inglesi a Poitiers (1356). L'episodio più caratteristico della sua vita è senza dubbio la signoria da lui esercitata a Firenze.
I Fiorentini l'avevano conosciuto nel 1326, quando Carlo di Calabria, nominato difensore di Firenze, battuta da Castruccio a Montecatini, lo aveva incaricato di precederlo in Toscana; e aveva dato prova del suo carattere imperioso avocando - contro i patti - al suo signore la designazione dei Priori. Con tutto ciò la città non si lamentò di lui, che "la seppe reggere saviamente", e ne conservò buona memoria. Anzi, in un altro momento di crisi, mentre nel 1341 si campeggiava sotto Lucca contro i Pisani desiderosi d'impadronirsi della città, di cui Firenze s'era procurata il dominio, i Fiorentini, mentre Gualtieri transitava per Avignone, lo presero ai loro servizî; egli corse a Napoli a raccogliere armati, e nel maggio del '42 si trovava di fronte ai Pisani; in quella campagna disgraziata si distinse in un tentativo d'attacco contro il campo nemico, reso inutile per la fiacchezza del Malatesta comandante supremo. Il destino della guerra era segnato: e nell'imminenza della capitolazione di Lucca nelle mani dei Pisani, avvenuta il 6 luglio, l'alta borghesia fiorentina, responsabile della guerra e accusata a torto o a ragione di prevaricazione, credette di mettersi al riparo facendo nominare il duca "conservatore e protettore dello stato, capitano di guerra e di guardia della città", purché mantenesse integri gli ordinamenti cittadini. Ma il duca a tutt'altro mirava, e, pure stando modestamente nel convento di S. Croce, studiava la maniera di rendersi padrone assoluto. Egli ritenne opportuno di premere sull'alta borghesia dominante sotto colore di punirla per la sua condotta durante la guerra, e dar così soddisfazione alla borghesia minore e al basso popolo, e intendersela frattanto coi nobili esclusi dal governo, impegnandosi di abolire gli ordinamenti di giustizia. E, giunta nuova della caduta di Lucca, fece decapitare tre eminenti cittadini, tra i quali un Medici e un Altoviti sotto accusa di corruzione e concussione; poi, atterriti i loro pari con la minaccia d'ugual trattamento, mentre il popolo più basso plaudiva al "giusto signore", si stringeva ai grandi, e con le loro complicità otteneva di convocare per l'8 settembre il popolo a parlamento in Piazza della Signoria per farsi creare signore per un anno alle condizioni già fatte al duca di Calabria. Il piano riuscì oltre le speranze: fu acclamato "Signore a vita": due giorni dopo, i Consigli del popolo e del comune ne legittimavano il dominio. Gualtieri sul principio si mostrò moderato, procurando la pace tra i cittadini, richiamando esiliati, amnistiando condannati, tassando mitemente e giustamente. Ma cambiò sistema in materia finanziaria, avocò a sé tutta la gestione del pubblico danaro, rese più forti i balzelli, estorse somme ai privati, vendé giustizia e favori: assecondato in questo dai suoi ufficiali, Guglielmo d'Assisi, Cerrettieri de' Visdomini, Guglielmo da Norcia, protervi, rapaci, crudeli. Spogliazioni, torture, supplizî si susseguivano. Mai convocati i consigli, i Priori scelti in gran parte tra le famiglie più basse, il che irritava l'alta borghesia, danneggiata economicamente da privilegi concessi dal duca agli artigiani minori (per esempio, ai tintori sottratti dalle dipendenze dell'arte della lana) e da revisioni dei prezzi, dei salarî; e anche più dovevano impressionare l'alta borghesia le scarcerazioni dei debitori poveri e la concessione di armi ai bassi popolani a guardia del duca. Né meno scontenti erano i nobili, che avevano stracciato gli Ordinamenti per aver parte al governo del comune, e se ne vedevano, come prima, esclusi. Gli stessi ecclesiastici fremevano per la confisca di alcuni loro beni. Si aggiungano le delusioni di politica estera: il duca, eletto con la speranza che abbattesse Pisa, era venuto a pace con essa riconoscendole il possesso di Lucca; e, pago che molte terre di Toscana lo avessero riconosciuto signore, stringeva con la natural rivale di Firenze una lega offensiva e difensiva. A colmar la misura contribuì il contegno del duca e dei suoi con le donne fiorentine, alcune delle quali di nobile famiglia: per ingraziarsele, Gualtieri revocò leggi suntuarie e persino quelle sul buon costume. Invano Gualtieri si circondava di soldatesche straniere, fortificava il palazzo e ne occupava le case all'intorno. Si formarono ad un tempo e ad insaputa l'una dell'altra tre congiure, due prevalentemente di nobili, l'altra di ricchi popolani; il duca n'ebbe sentore e li convocò a Palazzo per il 26 luglio 1343, il giorno di S. Anna. Risposero facendo insorgere quanti più poterono e assediando il palazzo. L'assedio durò fino al 1° agosto, nel qual giorno Gualtieri, dopo aver abbandonato al popolo, che ne fece scempio, il più odiato dei suoi ministri, Guglielmo d'Assisi, insieme con un suo figlio diciottenne, crudele, dicono, più del padre, consentì di abbandonare il potere a una bala creata il 28 luglio; e il 6 agosto si allontanava da Firenze, tutta esultante.
Partito dalla città, Gualtieri nutrì per molto tempo la speranza di rientrarvi. Dapprima cercò d'interessare all'impresa, ma senza frutto, gli Angioini di Napoli e il papa; parve riuscisse meglio col re di Francia, che infatti acconsentì, in suo favore, a rappresaglie contro i mercanti fiorentini residenti o commercianti nel suo regno, rappresaglie prolungatesi fino al 1351; sperò anche, ma invano, in agitazioni dei nobili fiorentini, più che mai colpiti dagli Ordinamenti, o del basso popolo da lui accarezzato. La cittadinanza, invece, non paga di averne messo a prezzo la testa, di averne fatto dipingere l'immagine con la mitria d'infamia, e di aver reso festivo in perpetuo il giorno di S. Anna come rendimento di grazia per la ricuperata libertà, volle coprir di ridicolo anche la morte gloriosa di Gualtieri a Poitiers: l'avrebbe ucciso un arciere fiorentino al servizio di Edoardo III, mentre fuggiva, sconciamente, davanti ai cavalieri inglesi!
Bibl.: C. Paoli, Della signoria del duca d'Atene, in Giorn. degli Arch. tosc., VI; Reumont, Der Herzog von Athen, in Histor. Zeitschr., Monaco XXVI; K. Hopf, Walther VI von B., Herzog von Athen und Graf von Lecce, in Histor. Jahrbuch di F. von Raumer (1854), pp. 301-09; e la ricca bibliogr. in U. Chevalier, Repertoire des sources du Moyen-âge, Bio-bibliographie, I, Parigi 1905, coll. 1669-70.