BRIGLIA (dall'ant. alto ted. brittil o pritil; fr. bride; sp. brida, ted. Zügel; ingl. bridle)
Arnese, generalmente di cuoio, che viene messo sulla testa del cavallo, ne sorregge il morso, e serve, per mezzo delle redini, a guidarlo.
La briglia fu usata fino dai tempi più antichi. Si vede alla bocca dei cavalli dei carri reali e da guerra nei bassorilievi assiro babilonesi; è spesso ricordata dai Greci fino dai poemi omerici e disegnata o dipinta in numerose rappresentazioni, specialmente vascolari. I Greci avevano diversi nomi per le singole parti della briglia, e chiamavano p. es. χαλινός il morso od anche l'intera briglia. Ai due lati del morso erano fissate le redini (ἡνίαι). I Romani chiamavano la briglia habenae. Nel Medioevo la briglia fu ornata con borchie di bronzo e d'argento e variamente foggiata (v. bardatura e cavezza).
La briglia è stata fabbricata in più maniere: dalla foggia e dagli ornamenti essa ha preso spesso nei corpi a cavallo dei nomi che hanno valso a distinguerla particolarmente, ma che ora sono caduti in disuso (briglia da ussari, briglia alla dragona, briglia da corazzieri).
La cavalleria in parecchie nazioni ha cercato, per comodità del suo servizio in campagna, di accoppiare alla briglia la cavezza per legare al suo posto il cavallo durante il riposo, fondendo i due arnesi in uno solo per semplificare l'equipaggiamento. La cavalleria italiana fece uso appunto per molti anni di una briglia a cavezza, la quale è stata dopo la recente guerra sostituita da una cavezza - briglia. In essa si nota: 1. un frontale, striscia di cuoio che passa sulla fronte del cavallo; 2. una testiera, fatta di robuste strisce di cuoio addoppiate. La testiera, che col sopracapo passa sulla nuca del cavallo, mediante due mezzi anelli all'altezza del frontale porta un sottogola (che passa sotto la gola del cavallo), e con due sguance (poggianti sulle guance del cavallo), terminanti in due anelli quadri, sorregge una museruola. Una robusta corta striscia di cuoio, detta ciappa, unisce il sottogola con la museruola. Le due sguance portano cucito all'esterno presso gli anelli quadri un riscontro (a fibbia), detto portamorso, che regge il morso; 3. due paia di redini, lunghe strisce di cuoio sottili che a una estremità terminano con fibbia e riscontro, per essere assicurate un paio agli anelli dell'imboccatura del morso e un paio alle campanelle terminali delle guardie del morso; 4. un morso a imboccatura snodata, di ferro fucinato, strumento che entra nella bocca del cavallo e che agisce sulla commessura delle labbra, e, per mezzo del barbozzale sulle barre. Si chiama barra quello spazio che esiste da ciascun lato della mascella inferiore tra i denti molari e gl'incisivi.
Nell'equitazione civile si usano briglie, le quali, non avendo la cavezza, sono arnesi meno pesanti. Tali briglie sono composte di: a) un frontale; b) una testiera di morso, la quale bipartendosi sorregge il morso mediante le sguance, mentre con l'altra parte forma il sottogola; c) una testiera di filetto, che passa nel frontale sotto la testiera del morso; d) una museruola, che spesso viene omessa; e) un morso e un filetto con due paia di redini.
Nelle cacce a cavallo si usano briglie anche più semplici, composte di un frontale e di una testiera che forma il sottogola e che regge il morso snodato, a cui vengono attaccate le quattro redini.
Similmente per le corse le briglie sono formate di una testiera (che bipartendosi forma il sottogola e regge un filetto, a cui sono cucite le quattro redini) e di un frontale.
Talvolta si ha la redine addizionale, o redine sussidiaria, o quinta redine, lunga striscia di cuoio foggiata a redine, che dalla parte sinistra viene fissata alla sella, mentre, passando per la martingala e per un anello camerotto (il quale scorre in una correggia rotonda che unisce i due anelli del filetto) viene tenuta nella mano destra del cavaliere.
È arnese che i vecchi cavallerizzi giudicavano assai utile per obbligare il cavallo a tenere la giusta posizione di testa e per impedire al cavallo vizioso di sottrarvisi.
Filetto. - Si chiama filetto un arnese generalmente di cuoio che si compone di un frontale, di una testiera biforcuta, che da una parte forma il sottogola e dall'altra per mezzo delle sguance sorregge il ferro del filetto, ai cui anelli vengono attaccate le redini. Questo arnese è assai usato in scuderia per condurre il cavallo scosso, per far passeggiare il cavallo e per addestrarlo. Si dà il nome di filetto anche al ferro che viene introdotto nella bocca del cavallo. Il filetto è un cannone di ferro fucinato, snodato al centro, con due grandi anelli alle estremità, ai quali spesso è unito un traversino. Esso appoggia alquanto sulla lingua del cavallo e agisce sopra la commessura delle labbra.
Il doppio filetto, arnese assai caro agli antichi cavallerizzi per addestrare i puledri, si compone di due filetti riuniti con un solo frontale e con sottogola ed è completato da una martingala. Il primo filetto è quello vicino alla commessura delle labbra, il secondo filetto è quello che passa nella martingala; le redini sono quattro, tenute, due per mano, dal cavaliere.
Morso. - Il morso (i Romani chiamavano una specie di morso col vocabolo frenum) è una leva di secondo genere (in quanto la resistenza, all'imboccatura, si trova fra la potenza, alle campanelle delle guardie, e il fulcro, dove si unisce il barbozzale) che agisce sulle barre del cavallo, e che serve a domarlo e a dirigerlo. Il morso è un arnese di ferro composto di due aste verticali portanti un cannone arrotondato, o imboccatura, che s'introduce nella bocca del cavallo e poggia sulla lingua e sulle barre.
Le aste sono divise dall'imboccatura in due parti: la parte superiore, detta stanghetta, termina in un occhio, a cui si affibbia la briglia; la parte inferiore, detta guardia, finisce con una campanella, a cui si attacca la redine.
All'occhio di destra del morso è unito, med; ante un pezzo di ferro detto esse, il barbozzale (fr. gourmette), catenella che cinge la barbozza e che si fissa a un uncino attaccato all'occhio di sinistra.
Il cannone o imboccatura è di diversa forma: quasi diritto e soltanto incurvato molto leggermente alla metà, costituisce la prima imboccatura o dolce. La seconda imboccatura o a mezza libertà di lingua ha una curvatura del cannone più pronunciata, nella quale può stare gran parte della lingua senza essere troppo compressa. Nella terza imboccatura o ad intera libertà di lingua il cannone è talmente arcato nel mezzo da contenere liberamente la lingua, ed agisce completamente sulle barre. Si comprende facilmente che il più potente sia il morso di terza imboccatura. Vi è anche l'imboccatura snodata nel mezzo o morso snodato, in cui il cannone è snodato al centro come un filetto. Questo tipo di morso è anche chiamato morso alla Pelham, erroneamente, perché introdotto la prima volta da Coletta de' Respini e non dal Pelham.
Una certa proporzione è necessaria tra le varie parti del morso: così la guardia deve essere lunga il doppio della stanghetta; l'esse e l'uncino debbono misurare i 3/4 della lunghezza della stanghetta stessa; il barbozzale dev'essere lungo una volta e mezza l'imboccatura. Inoltre la lunghezza dell'imboccatura o cannone dev'essere tale da sporgere appena dalle labbra del cavallo: se sporgesse molto, scosterebbe troppo le aste della bocca, e il barbozzale, invece di abbracciare interamente la barbozza, non vi aderirebbe che in pochi punti; se invece fosse più corto della larghezza della bocca, le aste premerebbero sulle barre. È necessario altresì che il morso sia sorretto dalla briglia in modo che il cannone sia esattamente all'altezza delle barre del cavallo: quando la testiera del morso è troppo lunga, il cannone urta contro gl'incisivi, ed allora si dice che il morso beve; quando la testiera è troppo corta, il cannone urta contro i denti molari, e si dice allora che il morso pippa; in ambo i casi l'azione del morso risulta irregolare.
Anticamente i cavallerizzi tendevano ad adoperare morsi molto potenti con imboccatura a cannone sottile, ad intera libertà di lingua, con guardie lunghissime; tale tendenza è contrastata dall'uso moderno di morsi snodati, a grande cannone e con guardie assai corte. Le esigenze dell'equitazione di una volta e del combattimento a cavallo favorivano l'immorsatura severa, necessaria per avere il cavallo sull'anca, pronto a parare; oggi che il cavallo viene usato nelle rapide andature, necessitano morsi dolci, che permettano al cavallo di prendere forte appoggio per distendersi e sviluppare la velocità.
Bibl.: F. Grisone, Gli ordini di cavalcare, Napoli 1550; L. Russo, Hippiatria, Parigi 1531; P. A. Ferraro, Il cavallo frenato, Napoli 1602; R. Schoenbeck, Die Zäumung des Pferdes in Theorie und Praxis, Berlino 1883.
Costruzioni idrauliche. - Il nome di briglia viene anche usato in due sensi derivati dall'originario, in materia di costruzioni idrauliche. Il primo significato si riferisce alla difesa delle sponde dei torrenti dalle forti erosioni delle acque che scendono con grande violenza a causa delle pendenze rilevanti. Per essa, il mezzo più sicuro è il rimboschimento: per assicurarne la riuscita occorre proteggere il terreno della zona dall'erosione delle acque, e ciò si fa mediante le briglie o serre o traverse. Sono queste briglie come dei muri a secco, formati con pietre o massi di forte peso che si dispongono trasversalmente al letto del torrente, in modo che la forte pendenza venga trasformata quasi in una gradinata, cioè in salti alternati da tratti a debole pendenza. Il numero delle briglie, la loro distanza e la loro altezza devono essere tali da ridurre la pendenza a un valore tale che la velocità dell'acqua risulti insufficiente a corrodere il terreno. Il secondo significato concerne un mezzo usato per unire tra loro i tubi di ghisa (giunzioni a briglia). I tubi sono muniti della briglia o flangia, sporgenza con fori per il passaggio delle chiavarde. Fra le briglie si pone una rondella di piombo che viene compressa e battuta tutto all'intorno del tubo.