BRIGNOLE SALE, Giovan Francesco
Nato a Genova il 6 luglio 1695, primogenito di Anton Giulio e di Isabella di Giovan Giacomo Brignole, nel 1708 venne inviato nel nobile collegio Tolomei di Siena, dove proseguì gli studi letterari e filosofici che già aveva intrapreso nella casa paterna. Ritornato a Genova nel 1714, quattro anni dopo la morte del padre, appena ventenne si trovò ad amministrare l'immenso patrimonio dei Brignole Sale. Iscritto nel dicembre 1716 al libro d'oro della nobiltà, continuava intanto ad approfondire gli studi giuridici, politici e storici; frequenti viaggi e una scelta biblioteca contribuivano ad accrescere la sua cultura, per la quale si segnalava tra i giovani patrizi suoi coetanei. Nel 1728, insieme con altri due parenti, il B., trovandosi il governo genovese oppresso da molte spese per il contemporaneo aggravarsi della situazione nel Finale e in Corsica, fece costruire a proprie spese una nave armata, che mantenne per due anni a difesa del commercio e della navigazione genovesi. Nello stesso anno venne eletto alla magistratura dei Padri del Comune: sotto la sua direzione venne prolungato il vecchio molo del porto di Genova, terminata la costruzione del molo nuovo e restaurato il grande acquedotto che giungeva in città dalla località di Schiena d'Asino. Non aveva ancora terminato il proprio incarico in quella magistratura, che già nel 1730, probabilmente in virtù dei meriti acquisiti col mantenimento del naviglio armato, il B. era chiamato a far parte di una giunta straordinaria, istituita per la repressione dei fermenti rivoluzionari della Corsica e della zona del Finale.
Nel 1733 fu uno dei due sindicatori ordinari, che avevano il compito di esaminare la condotta degli altri magistrati allo scadere del loro mandato; nel 1736 entrò a far parte dei protettori del Banco di S. Giorgio, con l'incarico specifico di restaurare l'antico portofranco e di instaurarne uno più vasto, ma dovette presto abbandonare la carica, chiamato a più delicati incarichi in politica estera che lo tennero tre anni lontano dalla patria. La sollevazione corsa nel 1736 costrinse il governo genovese a mandarlo quale inviato straordinario a Parigi per impetrare aiuti da quella corte, fino ad allora favorevole ai ribelli corsi. Al B., che aveva saputo conquistarsi la stima e l'affetto del re e del cardinale de Fleury, venne attribuito dal suo governo il merito di aver fatto cambiare l'atteggiamento della corte francese: ottenne infatti l'aiuto di un corpo ausiliario di 3.600 soldati, che vennero inviati nell'isola al comando del conte di Boissieux. A questo successo diplomatico seguì, il 10 nov. 1736, la stipulazione di un contratto coi ministri francesi e a nome anche del governo imperiale, che impegnava le due nazioni ad aiutare la Repubblica genovese nell'opera di sottomissione della Corsica. Il 18 ott. 1738, infine, il B. firmava, come plenipotenziario della Repubblica, il trattato di Fontainebleau per un generale perdono in Corsica.
Durante queste legazioni all'estero il B. aveva sempre mantenuto a sue spese il "decoro" della Repubblica; del resto, nello stesso 1738, un censimento voluto da una legge straordinaria per la tassazione (nella difficile situazione economica in cui la Repubblica si era venuta a trovare per la guerra in Corsica) dei patrimoni superiori alle 6.000 lire lo indicava come il nono nella lista dei più ricchi patrizi genovesi. Il suo capitale dichiarato, e che, come tale, fa presupporre ben più vaste ricchezze, era di 1.003.500 lire genovesi, mentre Solo 46 patrizi avevano dichiarato patrimoni superiori al mezzo milione e il più ricco della città, Domenico Grillo, superava di poco 13 milioni e mezzo.
Alla massima carica dello Stato il B. giunse attraverso un periodo di intensissima attività politica, testimoniata dal gran numero di magistrature ricoperte e, più direttamente e significativamente, dagli stessi suoi interventi nelle riunioni del Minor Consiglio, di cui ci rimangono i verbali. Infatti dal 1739, anno in cui ritornò in patria, il B. venne eletto ben tre volte protettore del Banco di S. Giorgio, quattro volte inquisitore di Stato, due volte supremo sindacatore. Ma la sua sensibilità e la sua competenza sono soprattutto rilevabili dai numerosi interventi in seno al Minor Consiglio, soprattutto negli anni precedenti il dogato, tra il 1736 e il 1745.
Il B. a più riprese criticò i gravi disordini interni: le gabelle eluse, i contrabbandi (su cui si dimostra informatissimo delle circostanze particolari), le ingiustizie nelle procedure giudiziarie, la loro lentezza, la scarsa competenza dei giudici; la denuncia dell'inumana e ingiusta detenzione degli inquisiti fanno scorgere in lui una sensibilità preilluministica. Inoltre deplorò l'esistenza di alcune cariche inutili nell'amministrazione civile e nell'esercito. Attentissimo alla situazione internazionale, era stato uno dei primi a presagire la gravità del disagio dei Corsi e l'interesse e la simpatia che la loro ribellione destava in molte potenze europee: già dal febbraio 1737 consigliava di appoggiarsi alla Francia, dalla quale, poi, avrebbe ottenuto l'aiuto militare. Anche in occasione della stipulazione del trattato di Worms, che, contravvenendo a quanto già stabilito, consegnava il Finale ai Savoia, il B., vedendo acutamente nel gioco delle alleanze e diffidando dell'Inghilterra, sostenne la necessità di appoggiarsi ai franco-ispani, cercando però di evitare in tutti i modi un loro diretto intervento in Liguria.
A coronamento di questa politica il B., già senatore camerale il 1º maggio 1745 riuscì a concludere il trattato di Aranjuez, con cui le corti di Francia, Spagna e Napoli garantivano l'integrità dei domini genovesi e promettevano di difenderli contro eventuali aggressioni straniere, purché la Repubblica fornisse un corpo di 10.000 uomini, e corrispondente artiglieria, alle forze franco-spagnole in Lombardia. Il Senato elesse il B. col titolo di commissario generale comandante supremo di queste truppe, che si unirono all'esercito comandato dall'infante Filippo. Il corpo di spedizione genovese cinse quindi d'assedio Serravalle, che fu conquistata dopo undici giorni; indi, unitamente alle truppe spagnole, comandate dal conte di Gages, e a quelle francesi, partecipò alla conquista delle piazze di Tortona, Piacenza, Pavia, Valenza e Casale, e all'occupazione di Parma e di Alessandria. Ma la disfatta della Trebbia annullò i vantaggi acquisiti. Mentre gli eserciti passavano nei quartieri d'inverno, il B. il 1º dic. 1745 rassegnava le dimissioni dalla carica.
Essendo terminato nel successivo febbraio il biennio ducale di Lorenzo De Mari ed esigendo il difficile momento di politica internazionale la presenza di un uomo di grande validità sul trono dogale, il 3 marzo 1746 venne eletto il B. con 338 voti favorevoli su 358. Dopo la rotta dei franco-ispani, nonostante le più ampie assicurazioni di difesa alla Repubblica, l'infante fece rapidamente imbarcare le sue truppe e salpò egli stesso alla volta di Savona, mentre gli Austriaci scendevano a migliaia dall'Appennino: la città capitolò nel sett. 1746. Il B. e i suoi consiglieri tennero un contegno remissivo nei primi giorni dell'occupazione, mentre gli aiuti del doge alla popolazione si concretarono attraverso un personale sacrificio pecuniario; col passare dei giorni, il governo genovese mostrò di sapersi meglio destreggiare nell'eludere le eccessive pretese del nemico; infine il popolo stesso insorse nella famosa rivolta che prese le mosse dal gesto di Balilla (5-10 dic. 1746). La notizia della gloriosa e inaspettata liberazione non tardò a giungere alle corti alleate, che inviarono a congratularsi col B. e col governo genovese il duca di Bouffers e il duca di Richelieu, mentre il popolo, imbaldanzito dal successo di un'azione che era pur sempre partita da esso, continuava la sua insurrezione contro il governo aristocratico, incolpato di debolezza nel momento del pericolo. Ma il B., saggio e ascoltato capo della Repubblica, invitò a palazzo ducale i principali artigiani della città e pronunziò un eloquente e infiammato discorso che, unitamente al riaffacciarsi della minaccia austriaca, ebbe il potere di riunire popolo e governo contro il comune nemico: 22.000 cittadini si arruolarono volontari nel giro di pochi giorni e gli Austriaci vennero definitivamente cacciati dal territorio ligure. Il B. terminava così trionfalmente il suo difficile dogato, mentre a coronare l'opera veniva concluso, il 18 ott. 1748, il trattato di Aquisgrana, per cui furono restituite alla Repubblica tutte le piazzeforti che le appartenevano prima dello scoppio della guerra, compreso il Finale.
Alla fine del suo dogato (marzo 1748) il B. venne regolarmente insignito della toga senatoria perpetua. Gli vennero affidati ancora diversi incarichi tra cui, nel 1749, la sovrintendenza delle piazze e dei forti della Riviera di Levante; nella sua qualità di senatore camerale dovette, inoltre, presiedere alla amministrazione dell'erario pubblico, dei feudi e di tutti i proventi del fisco. Malgrado la tarda età, continuò a dimostrare il suo zelo anche nelle sedute del Minor Consiglio, cui partecipava attivamente ancora nel 1754. Morì a Genova il 14 febbr. 1760.
Aveva sposato in prime nozze nel 1731 Battina Raggi, da cui ebbe il figlio Anton Giulio, morto nel 1743 come la madre. Si risposò nel 1748 con Maria Ignazia Durazzo, che non gli diede figli.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Genova, Manuali del Senato, n. 974; Ibid., Archivio segreto,Ricordi del Senato, filze 1640, 1640 A, 1642; Ibid., Manoscritti 473 e 474; Genova, Civica Biblioteca Franzoniana, ms. 126: F. Federici, Alberi genealogici delle famiglie nobili di Genova,ad nomen;G. Durazzo, Nella solenne coronazione del serenissimo G. F. B. S. doge della serenissima Repubblica di Genova, Genova 1746; N. Battilana, Genealogie delle famiglie nobili di Genova, I, Genova 1825, ff. 1-3; L. Grillo, Elogi dei Liguri illustri, Genova 1846, II, pp. 377 s.; F. Donaver, Storia della Repubblica di Genova, II, Genova 1913, pp. 285, 351, 355, 357; L. Levati, I dogi di Genova dal 1746 al 1771, III, Genova 1915, pp. 7-18; Id., Idogi di Genova e vita genovese (1699-1792), Genova 1916, pp. 228 ss.; A. Pescio, Settecento genovese, Napoli 1922, p. 21; E. Pandiani, La cacciata degli Austriaci da Genova nel 1746, in Miscell. di storia ital., s. 3, XX, Torino 1923, pp. 21 ss.; G. E. Broche, La Rèpublique de Gênes et la France pendant la guerre de la succession d'Autriche, Paris 1936, ad Indicem;V. Vitale, L'insurrezione genovese del 1746nella storiogr. recente, Cuneo 1946, passim; G. Giacchero, Storia economica del Settecento genovese, Genova 1951, p. 157; Enc. Ital., VII, p. 858.