BRINDISI (dall'ant. ted. bring dir's "lo porgo a te" attraverso lo spagnolo brindis; fr. santé, toast; sp. brindis; ted. Zutrinken; ingl. health-drinking, toast)
L'uso d'invitare a bere o di bere alla salute di commensali presenti o assenti non può non essere collegato, alle sue origini, con l'altro di bere o comunque di offrire del vino in onore degli dei (v. libazione). L'uso è antichissimo, se ancor oggi è possibile riscontrarlo fra i popoli primitivi e se di esso si fa cenno persino nella Bibbia. Presso i primitivi è in genere l'ospite che beve per primo, non tanto per garantire con questo che la bevanda offerta non è avvelenata, quanto per mostrare che si beve una bevanda sua e della migliore: l'ospitato ricevendo dal servo la coppa s'alza e s'inchina all'ospite. Nella Bibbia (Ester, I, 7-8; Abacuc, II, 15) più che altro si fa cenno - aspramente condannandolo - all'uso di forzare i commensali a bere.
Più chiare e copiose, meglio definite e precisate, ci appaiono le testimonianze circa quest'uso in epoca classica. Già nei poemi omerici spesse volte (v. p. es. Iliade, IV, 5; IX, 221 segg., 669 segg.; Odissea, XIII, 50 segg.) dei ed eroi ci sono rappresentati nell'atto di bere scambievolmente "gli uni alla salute degli altri" (δειδέχατ' ἀλλήλους) e non dovremo tardar molto a conoscere di questa usanza le regole più minute. Φιλοτησία πόσις "bevanda appartenente all'amicizia" o, più semplicemente, ϕυλοτησία, si disse appunto il levare la coppa in onore di un amico, chiamare il suo nome, bere un sorso di vino e passare all'amico così onorato la coppa perché ne bevesse anche lui e trattenesse la coppa come pegno d'amicizia. Il fatto che chi intendeva fare il brindisi beveva prima fece chiamare questa foggia speciale di bere προπίνριυ "bere prima" e la coppa che si donava al commensale in quell'occasione era appunto non "donata" ma "propinata". Naturalmente il brindante non si contentava semplicemente di chiamare a nome l'amico cui voleva brindare, ma aggiungeva qualche formula di augurio: πῖνε, κατάκεισο, λαςβὲ τήυδε ϕιλοτησίαυ "bevi, accomodati (evidentememe la persona onorata doveva essersi levata sul letto), accetta questa bevuta in amicizia"; oppure προπίνω σοι καλῶς "bevo, beneaugurante, alla tua salute"; al che poteva rispondersi λαμβάνω ἀπὸ σοῦ ἡδέως "ricevo da te (l'augurio) con gioia". Brindisi di questo genere erano di prammatica nei banchetti: brindisi collettivi e brindisi individuali aprivano, interrompevano e chiudevano il banchetto, con quali effetti è lecito arguire dalla graziosa pittura che Luciano (Hermot., 11) ci fa di un tal Eucrate che i convitati a un banchetto avevano incitato a numerosi brindisi.
Dalla Grecia l'uso passò a Roma e con l'uso il nome. "Bere alla greca" (bibere graeco more) si disse appunto il fare dei brindisi (Cicerone, Verr., II,1, 66; Ps.-Ascon., Verr., p. 176, 16, ed. Baiter), e, da προπίνω, propinatio si chiamò il brindisi: propino, anzi, fu la primitiva semplice formula con la quale si levava la coppa a brindare, corrispondente, a un dipresso, alla nostra "alla salute". Che della salute dei commensali si preoccupassero soprattutto i Romani lo mostrano formule come queste: bene vos, bene nos, bene te, bene me (Plauto, Stichus, 709) che vale evidentemente: precor vos bene valere, ece. Più esplicita in questo senso l'altra formula (Plauto, ibid.): propino tibi salutem plenis faucibus. La grande quantità di testimonianze di autori latini sul brindisi ci permette di riconoscere qualche uso particolare a esso riferentesi. I Romani, p. es., erano soliti bere tanti ciati (misura corrispondente presso a poco a 5 centilitri) quante erano le lettere del nome della persona che si voleva onorare. Dice Marziale (Epig., I, 71):
Naevia sex cyathis; septem Iustina bibatur;
Quinque Lycas; Lyde quattuor; Ida tribus.
Omnis ab infuso numeretur amica Falerno.
Al numero dei ciati bevuti si annetteva talvolta valore augurale. Ovidio (Fasti, III, 531-34) descrivendo le feste di Anna Perenna dice:
Sole tamen vinoque calent; annosque precantur
Quot sumunt cyathos, ad numerumque bibunt.
Invenies illic qui Nestoris ebibat annos,
Quae sit per calices facta Sibylla suos.
Un'altra usanza specialmente praticata nei brindisi al gentil sesso (v. Ovidio, Ars amandi, I, 571-572) era quella, dopo aver bevuto, e prima di passare la coppa all'amica, d'intingere il dito nel vino e di scrivere col dito così bagnato il nome dell'amica sul tavolo. Naturalmente a un brindisi offerto era cosa assai grave il rifiutarsi, e in tal caso era necessario, qualora non capitasse di peggio, ritirarsi dalla sala del banchetto.
Con l'avvento del cristianesimo un uso che ci appare così diffuso non poteva logicamente essere sradicato, e si seguitò lo stesso a far brindisi "alla salute dell'imperatore, degli eserciti, alla virtù dei compagni, all'integrità dei figli" (Ambros., De Elia et ieiunio, XVII). S. Ambrogio anzi ci attesta (ibidem) di un singolare uso dei cristiani: quello cioè di levare il nappo per brindare non tanto alla salute dei vivi, quanto alla memoria dei martiri e dei santi. Bibere in amore sanctorum vel animae dejuncti si chiamò questa strana foggia di brindisi che suscitò, come è logico, la legittima reazione della chiesa. Ma non sembra con troppa fortuna: ché anzi si andò più oltre. E il brindisi, nella sua parabola discendente, ritorna ad essere libazione.
I popoli nordici conoscevano da tempo l'uso di sacre libazioni e di brindisi: in questi s'invocavano gli dei, gli eroi tradizionali, i re. Thor, Odin, Freya, Niord erano invocati dagli antichi Norvegesi prima di passare all'ospite il corno ricolmo di birra. Passati al cristianesimo, Olaf, il santo re apostolo della nazione, fu da essi invocato nei loro brindisi il giorno di Natale, che si sostituì all'antica festa solstiziale di Jul, e gl'Islandesi giungevano ad invocare Cristo e Dio Padre.
Qualche cosa di simile dovette accadere anche nel Mezzogiorno. Sta di fatto che il cronografo bizantino Duca (Hist. Byzant., XXXVI) ci rappresenta dei monaci greci invocanti la Vergine Deipara e vuotanti in suo onore le tazze. Ma in queste e simili testimonianze è più facile riconoscere un dato sulla primitiva origine religiosa dei brindisi. L'uso peraltro non scomparve. L'etimo stesso della parola italiana "brindisi", ci dimostra il sussistere dell'uso in Germania. Ai primi del Quattrocento l'uso era diffuso in Francia. In Normandia, contrariamente all'uso generale, era lecito persino bere alla salute delle ragazze: "En souppant icellui suppliant sans penser à nul mal ne villenie mais comme c'est la coustume de Normandie but à une jeune femme qui là estoit", si legge in una lettera di assoluzione in giudizio datata 1415 e da un documento simile sappiamo che non si poteva esperire azione per ingiurie contro una persona se, dopo aver subito l'ingiuria, si era accettato da lei un brindisi.
In quest'epoca poi in Francia divien comune la parola pléger o plesger, nel senso di esigere che colui alla salute del quale si beveva bevesse a sua volta, sostituita poco tempo dopo dall'altra trinquer (dal ted. trinken) che esprime piuttosto il bere alla salute urtando i bicchieri. Luigi XIV (1638-1715) vietò peraltro i brindisi, permettendo solo quelli fatti in occasione dell'Epifania. Intanto, non oltre il sec. XVII, si era diffuso in Inghilterra - in origine per i brindisi diretti alle dame - l'uso dei toasts: nel bicchiere si poneva una fetta di pane abbrustolito (donde il nome dal lat. tostum, "abbrustolito"). I commensali bevevano a turno un sorso dalla coppa, e l'ultimo bevendo il residuo inghiottiva anche la crosta.
Questo tipo di brindisi o di "bevuta alla salute" (health drinking) si diffuse straordinariamente in Inghilterra, dalla corte al popolo, minuziosamente regolato da un apposito cerimoniale. Spesso il gentleman per fare onore alla dama gettava nel fuoco un gioiello o altra cosa che gli appartenesse, e gli altrí convitati dovevano fare lo stesso. L'uso dei toasts si diffuse largamente anche in Francia, specie dopo la Rivoluzione.
In Italia l'uso di brindare tornò in voga dal '500 in poi e si diffuse, con l'altro (vedi appresso) di comporre per questo versi di circostanza. Monsignor Della Casa (Galateo, XXIX) dice: "Lo invitare a bere (la qual usanza, siccome non nostra, noi nominiamo con vocabolo forestiero, cioè far brindisi) è verso di sé biasimevole, e nelle nostre contrade non è ancor venuto in uso, sicché egli non si dee fare". Oggi il brindisi è universalmente diffuso: non si beve in compagnia senza brindare, dal semplice e spesso tacito urto dei bicchieri ricolmi compiuto da poche persone, al cerimonioso e collettivo presentat'arm di bicchieri nei banchetti affollati, dalla nuda formula "alla salute" agl'infiorati e ripetuti discorsi di circostanza.
Il brindisi poetico. - Come componimento poetico, il brindisi si riconnette con l'uso classico di allietare il convito con versi di carattere generalmente giocoso (cfr. le collezioni di σκόλια presso i Greci): di quest'uso è anche qualche traccia nella poesia bacchica medievale. Il brindisi si diffuse e diventò frequente in Italia dopo il Bacco in Toscana del Redi. In essenza componimento estemporaneo, esso "tiene quindi della natura del ditirambo, ma procede con più misura così nei modi come nella durata. Si compiace per conseguenza d'invenzioni che tengano un po' del bizzarro, e sì pure lo stile ancor esso vuol essere brioso e non senza certa ardita sprezzatura. Ama il condimento de' frizzi e degli epigrammi, tollera nuove composizioni di parole; ma innanzi tutto domanda fuoco e vivacità" (L. Carrer). Non esattamente il Carducci attribuì a Paolo Rolli il merito di aver primo dato all'Italia la chanson à boire, che alla nostra nazione, "di natura più generalmente sobria che non paia", mancava. Il Crescimbeni si diede vanto d'aver composto un intero volume di brindisi in forma di canzonette, dopo che il Chiabrera ne aveva sparso qualcuno fra le sue anacreontiche. Belli esempî ne diedero Scipione Maffei, il Parini (che pure riprovò in un'ode famosa l'uso di recitare i versi alle mense), il Monti e altri; l'uso ne fu satireggiato dal Giusti.
Bibl.: È assai scarsa. La maggior copia di dati sui brindisi nell'antichità può agevolmente raccogliersi nei lessici dello Stefano (s. v. προπίνω ϕιλοτησία), del Forcellini (s. v. propinatio, propinare), e del Du Cange (s.v. bibere). V. anche G. S. Menochio, Dell'uso antico e moderno d'invitare a bere che volgarmente diciamo far brindisi, in Stuore, III, Roma 1689, p. 460 segg.; da J.G. Graevius, Thesaurus antiquitatum romanarum, XII, Venezia 1737, p. 178 segg.; G. Averani, Del vitto e delle cene degli antichi, Milano 1863, p. 98 segg.; notizie sul brindisi fra i primitivi in Hastings, Encycl. of Religion and Ethics, V, col. 81; in generale: R. V. French, History of toasting in England, Londra 1883; Speeches and Toasts, Oondra 1883; V. Cian, Il brindisi nella poesia italiana, in Natura e Arte, I (1905); F. W. Hackwood, Inns, ales and drinking customs of Old England, Londra 1909.