Brisso
. Nome sotto cui D. designa il filosofo greco (IV secolo a.C.) Brisone (greco Βρύσων, latino Bryson -onis) di Eraclea, figlio dello storico Erodoto, alunno forse di Socrate o di Euclide di Megara, e considerato uno degli istauratori della dialettica eristica.
La forma B. corrisponde al nominativo della forma latina Brisso -onis quale appariva nelle traduzioni aristoteliche medievali. Il filosofo è infatti ricordato da Aristotele (Anal. post. I 9, 75b 40, Soph. elench. 11, 171b 16 ss.) a proposito di un suo tentativo di quadratura del circolo, arrecato come esempio di argomentazione eristica. Il metodo di B. consisteva nel tracciare, dato un cerchio, un quadrato circoscritto e uno iscritto a detto cerchio e nell'inserire tra i due un terzo quadrato; B. sosteneva che tale quadrato doveva coincidere con il cerchio dato, in base al principio per cui due oggetti entrambi maggiori a un dato oggetto ed entrambi minori a un altro dato oggetto debbono essere uguali tra loro. Tale principio, oltre che falso, risultava ad Aristotele non proprio della geometria e quindi applicato impropriamente a essa. Diceva Aristotele (Anal. post. I 9, 75b 36 ss.): " Iam igitur manifestum est quod non erigitur demonstratio super aliquam rerum nisi ex principiis suis quae sunt ei propria, cum illud quod ostenditur per demonstrationem non ostendatur nisi per res essentiales et proportionales et proprias; et non sufficit ad sciendam rem per demonstrationem ut propositiones quibus ostenditur tantum sint verae et immediatae. Brisso namque, quia conatur quadrare circulum, affert in demonstratione sua super illud propositionem communem, participantem, usitatam in rebus pluribus, non propriam et proportionalem naturae uni, et per illud non est eius ostensio demonstratio, sed est non demonstrativa, etsi non tunc est possibile ut permutetur et ostendatur per eam res alia ".
Per questo D. ricorda B. come esempio di chi pesca per lo vero e non ha l'arte, cioè di chi conduce una dimostrazione che vorrebbe portare a conclusioni vere senza usare di argomentazioni corrette. Dice infatti (Pd XIII 125): E di ciò sono al mondo aperte prove / Parmenide, Melisso e Brisso e molti, / li quali andaro e non sapëan dove. Evidentemente D. aveva presente la confutazione aristotelica delle argomentazioni di B., tanto più che la vicinanza dei nomi di Parmenide e Melisso riporta a Mn III IV 4, dove ai due ultimi filosofi, citati in relazione a testi aristotelici (tra cui Soph. elench. 18, 176 b 29), viene mossa l'obiezione di errare sia nella ‛ materia ' che nella ‛ forma ' dell'argomentazione: Quia falsa recipiunt et non sillogizantes sunt. Tale obiezione era parimenti calzante per B. e per quei molti che intraprendevano una ‛ via ' argomentativa senza sapere ove conducesse (li quali andaro e non sapëan dove). Da ricordare, peraltro, che la Physica di Alberto Magno (I II 1-10) si apriva con un'ampia discussione e confutazione delle argomentazioni di Melisso e Parmenide e, brevemente, anche di B. (ma v. anche Anal. post. II 17, Soph. elench. I V 7, e il commento di Tommaso ad Anal. post. I 9 lect. 17). Che la conoscenza di B. e il suo uso esemplificativo fossero legati ai testi di Aristotele, è detto da Giovanni di Salisbury (Metalog. III prol.): " Coriscus, Brisso... aut Melissus, aeque omnes ignoti, nisi quatenus ab Aristotile exempli gratia nominati sunt ". Da notare, inoltre, che più volte D. ricorda il problema della quadratura del circolo, per rilevare la mancanza di un ‛ principio ' da cui dedurre conclusioni certe (Pd XXXIII 133-135) e l'incommensurabilità tra quadrato e cerchio (Cv II XIII 27), e per arrecarlo come esempio di quelle molte cose che ignoramus de quibus non litigamus. Nam geometra circuli quadraturam ignorat (Mn III III 2); luogo quest'ultimo (cfr. anche §§ 3-5) che ben chiarifica Pd XIII 115-126.