BRONZO (forse da brundisium [aes]; fr. bronze; sp. bronce; ted. Erz Bronze; ingl. bronze)
Si chiamano con questo nome tutte le leghe in cui entrano come componenti essenziali il rame, in proporzione sempre superiore al 70%, e lo stagno; leghe conosciute fin dalla più remota antichità e che prima della scoperta del ferro servirono a fabbricare alcuni degli strumenti più necessarî agli uomini. Il rame allegato con lo stagno acquista una notevole durezza, perdendo nello stesso tempo la sua caratteristica malleabilità, cosicché le leghe contenenti più del 90% di rame si possono passare al laminatoio per ridurle in nastri sufficientemente sottili, mentre le leghe che ne contengono di meno non possono essere trasformate in oggetti se non fondendole e gettandole entro forme di terra o, più raramente, di metallo. Le leghe con poco stagno facilmente laminabili servono principalmente per monete e medaglie; p. es. le attuali monete di bronzo italiane hanno la seguente composizione: rame 95, stagno 4, zinco 1. Il bronzo che contiene da 90 a 92% di rame e il rimanente di stagno fu, dall'epoca dell'invenzione dell'artiglieria fino ad epoca recente, adoperato per cannoni e conserva il nome di bronzo da cannoni. Questa composizione conferiva al pezzo d'artiglieria una elevata resistenza alla pressione sviluppata dall'esplosione della carica, insieme con una sufficiente durezza ed una moderata fragilità. Composizione analoga ha il bronzo che presentemente si adopera per la costruzione di ingranaggi per macchine.
Aumentando il tenore dello stagno aumenta la durezza e nello stesso tempo la fragilità, cosicché la lega contenente 82-84% di rame e il rimanente di stagno, col 2% circa di zinco, trova largo impiego nella fabbricazione di bronzine e di cuscinetti, in cui il metallo deve soprattutto resistere all'usura prodotta dallo sfregamento continuo. Le leghe contenenti una percentuale ancora maggiore cioè dal 20 al 25%, possiedono oltre a una grande durezza anche la sonorità e servono per le campane; in esse la purezza del suono è data dalla purezza del metallo, che non deve contenere né ossidi né scorie di alcun genere.
Un'altra applicazione molto importante trova il bronzo nell'arte statuaria, che utilizza leghe di composizione molto differente, perché in questo caso la qualità più importante del metallo è il colore, il quale può variare sensibilmente a piacimento dell'artefice. Le leghe contenenti più del 95% di rame conservano il colore rosso di quel metallo; da 95 a 90% di rame, la colorazione tende verso il giallo oro, ed è maggiormente somigliante all'oro nelle leghe che contengono da 85 a 90% di rame. Abbassando ancora il tenore di questo, il color giallo diventa sempre più pallido finché a partire dal 50% le leghe sono bianche.
Diremo finalmente che durante tutta l'antichità e fino all'invenzione degli specchi di cristallo, il bronzo contenente da 65 a 70% di rame e da 35 a 30% di stagno servì per la fabbricazione degli specchi. Per questo occorreva che il metallo fosse suscettibile di una pulitura perfetta e che il suo colore si avvicinasse molto al bianco. Fino ad epoca recente gli specchi di bronzo furono ancora usati nella costruzione di alcuni strumenti ottici.
Da quanto si è detto appare che la qualità principale che permette al bronzo un così largo impiego è la durezza. Tenendo presente che il rame ha una durezza espressa (secondo la misura effettuata con l'apparecchio di Brinell) dal numero 50 e lo stagno dal numero 5, citiamo qui la durezza di alcuni bronzi: rame 96, stagno 4, durezza 60; 94/6:65; 90/10:85; 85/15:110; 80/20:160; 75/25:170; 70/30:300. La durezza del bronzo tuttavia è facilmente superata da quella del ferro, dell'acciaio e della ghisa, i quali costano anche molto meno, e quindi hanno detronizzato il br0nzo nella fabbricazione di quasi tutti i pezzi meccanici. D'altra parte l'ossidabilità del bronzo minore di quella del ferro e la sua maggior facilità di coniazione lo rendono prezioso per la fabbricazione delle monete spicciole, mentre l'inossidabilità del nichelio lo avrebbe fatto preferire per questo impiego cacciando il bronzo anche da questo campo, se non fosse sopravvenuta la guerra a cambiare le condizioni dei sistemi monetarî.
Altre qualità del bronzo, oltre alla sonorità speciale e al timbro del suono, al colore e alla capacità di prendere una bella patina, sono la fusibilità relativamente facile e la fluidibilità della lega liquida che rende facile riempire le forme, fornendo getti sani. Si aumenta quest'ultima qualità con piccole aggiunte di zinco. Del resto l'aggiunta dello stagno abbassa già fortemente la temperatura a cui fonde il rame puro (1064°). Per es. la lega col 10% di stagno fonde a 1000°, quella col 20% sotto i 900°, quella col 25% sotto gli 800°. In conclusione, il bronzo oggidì è essenzialmente un materiale artistico. I getti di bronzo vengono preparati fondendo il rame insieme con lo stagno ed eventualmente con residui di bronzo, di solito entro crogiuoli di grafite; quando la lega è fusa viene versata entro la forma (v. leghe).
Civiltà del bronzo.
Definizione e generalità. - S'intende con tale denominazione un importante stadio dell'incivilimento umano, caratterizzato sostanzialmente dall'uso del bronzo per la fabbricazione delle armi e degli strumenti da lavoro; perdura in esso l'impiego della pietra, dell'osso, del corno, ecc., cioè dei materiali largamente ed esclusivamente usati nella precedente fase, la neolitica; si aggiunge anche la lavorazione di altri metalli più preziosi, come l'oro e l'argento, ma è assolutamente escluso l'impiego del ferro.
Compresa dai dotti scandinavi della prima metà del sec. XIX, primi il Thomsen e il Worsaae, che la posero come intermedia nella fondamentale suddivisione dei tempi preistorici in tre età (v. archeologia preistorica), l'esistenza di questa importantissima fase di civiltà fu per molti anni negata o discussa da più di una scuola scientifica, certo a cagione dell'oscurità che, prima delle scoperte fatte nella Troade e in Creta, avvolgeva i tempi anteriori al periodo "classico" nel bacino mediterraneo. Ma gli scavi dello Schliemann sulla collina di Hissarlik, con la rivelazione degli strati archeologici contenenti oggetti metallici (6° -2° dell'età del bronzo propriamente detta, 1° dell'età eneolitica), servirono a dissipare i dubbî, ad annullare le avversioni. A questi dati si aggiunsero poi felicemente gli altri raccolti nella Grecia continentale (Micene, Tirinto, ecc.), e ancor meglio i frutti delle esplorazioni compiute dalle missioni archeologiche inglese e italiana nell'isola di Creta, rivelatasi come un centro di primaria importanza. Né si è fermato qui il progresso delle nostre moderne conoscenze poiché l'opera intensa di investigazione e di studio intorno alle antichità di Cipro e delle isole Egee, di Egitto e d'Asia Minore, della Mesopotamia, fin dell'Asia più lontana, oltre al progredire delle scoperte nelle varie regioni d'Europa, ha fatto sì che si formasse un concetto più preciso e completo nei riguardi di questo stadio di civiltà.
Si può dire senza esagerazione che l'uso del rame, e del bronzo soprattutto, dopo quello esclusivo della pietra, caratterizza una fase di passaggio quasi generale, riscontrabile in tutti quei paesi del mondo che raggiunsero gradi superiori d'incivilimento; infatti con l'uso di quel metallo (anzi, si può dire in senso più generico, col sorgere e col progredire della metallurgia) si inizia una rapida e continuata ascensione dei popoli che lo praticarono, con l'accompagnarsi di fenomeni d'ordine sociale profondamente attivi e benefici, quali l'apprezzamento più vivo dei "valori mobili", lo sviluppo più intenso dell'industria e dei commerci, una più rigorosa divisione del lavoro, l'accentramento delle ricchezze, lo sviluppo più rapido delle forme organizzatrici della società umana. Non è paradossale affermare che il segreto di ogni più attiva potenza civile, e non solo limitatamente all'antichità, era riposto in quel primo sforzo umano che, in luogo e in tempo non precisabili, seppe foggiare nel primo pezzo di minerale incandescente lo strumento da lavoro più adatto, l'arma più efficace, iniziando così tutto un fecondo progresso. Non per nulla la fantasia degli Elleni ha elaborato a tale riguardo il mito religioso, popolando il mistero delle origini della metallurgia di genî molteplici: Dattili, Cureti, Coribanti, Cabiri, Telchini. All'umanità ormai esperta e quasi sorpresa della sua bravura, il primo guizzo e il primo sforzo non potevano non sembrare un dono soprannaturale. Basta poi pensare ai numerosi millennî in cui la vita dell'uomo si protrasse nello stadio di civiltà della pietra, scheggiata e levigata, e considerare per contro il ritmo affrettato dell'incivilimento nei maggiori centri abitati del mondo antico, una volta avvenuta l'invenzione della metallurgia, per comprendere facilmente la straordinaria importanza "storica", la sostanziale ricchezza, la dote dinamica, che costituiscono le più salienti caratteristiche della civiltà di cui qui si tratta.
Senza preoccupazione per ora di critiche sottigliezze, e rimandando alla fine un lieve accenno alla distinzione, si possono anche assumere grossolanamente come sinonimi i termini "età" e "civiltà"; si osservi anzitutto che l'esistenza di una età del bronzo (comprendendovi per ora senza separazione il preliminare periodo del rame) è accertata in quasi tutto il Mondo Antico e nelle Americhe. Restano escluse le terre oceaniche, Australia, Australasia, Polinesia e Melanesia, dove le popolazioni indigene furono trovate dagli esploratori europei ancora viventi allo stadio "neolitico"; resta esclusa l'Africa centrale, equatoriale e meridionale, dove la civiltà indigena passò direttamente dall'uso della pietra a quello del ferro; non si tiene conto infine di altri gruppi umani che, pur non lavorando il metallo, ne usarono, ma ricevendolo già foggiato in armi e strumenti dal commercio straniero (Eschimesi, tribù indiane del Nord-America). Dunque la conoscenza e l'uso del rame e della lega di rame e di stagno nei tempi preistorici sono ormai accertati, in seguito a numerose scoperte, dalle rive dell'Atlantico a quelle del Pacifico, e cioè: in tutte le regioni d'Europa, esclusa la Finlandia, nel bacino orientale del Mediterraneo, nell'Africa settentrionale (Egitto), nell'Asia Minore (specialmente nelle zone prossime al mare), nella Susiana, nella regione del Caucaso, in gran parte della grande Asia (Siberia meridionale, India, Birmania, Tonchino, Cina e Giappone). Nelle Americhe la pratica della metallurgia (escluso il ferro) si accentra nel Messico e nelle altre regioni meridionali, dove fiorirono potenti civiltà che, al momento della scoperta e della conquista, furono appunto trovate in pieno sviluppo di cultura enea; ma poiché queste antiche civiltà americane compongono un complesso del tutto indipendente da quello del vecchio mondo, qui non se ne tratta (v. america).
Si tenga subito presente che lo sviluppo e la durata della civiltà o dell'età del bronzo furono notevolmente diversi nelle varie regioni; la data presumibile dell'inizio della lavorazione del primo metallo, il rame, varia assai sensibilmente da regione a regione, così come in tempi diversi si può fissare la durata dell'età stessa, cioè il passaggio da questa a quella del ferro. E come non fu sincrona l'introduzione della metallurgia, così anche nelle varie regioni fu diverso per intensità e per ricchezza di contenuto lo stesso sviluppo della civiltà del bronzo, in dipendenza delle condizioni naturali e geografiche, e anche delle doti dei varî popoli.
Non c'è accordo perfetto fra i dotti circa il problema della prima apparizione del metallo riguardo al tempo e al luogo d'origine della metallurgia; riservandoci di esporre più avanti le varie ipotesi, per ora si fissino i dati generali dello sviluppo della civiltà del bronzo, compreso il preliminare periodo del rame: per l'Asia Minore (compresa la Caldea e Mesopotamia) e per l'Egitto il suo inizio si calcola all'incirca dal 4° millennio a. C.; per Creta dal 3° millennio; per la Grecia e per l'Europa in generale il massimo fiorire, in varî stadî, rientra nel 2° millennio, e mentre per l'Italia intorno al mille s'inizia il passaggio alla civiltà del ferro, nelle regioni nordiche (Scandinavia, Danimarca, Germania settentrionale, ecc.) lo sviluppo della cultura enea si protrae fino alla metà del primo millennio avanti la nostra era.
Quindi, nell'Oriente questo stadio di civiltà coincide con l'apparizione della scrittura, con la "storia" insomma, secondo l'opinione corrente; nell'Egitto s'inizia al tempo delle prime dinastie; nel bacino dell'Egeo e in Grecia abbraccia tutto il periodo minoico o miceneo, cioè quei tempi "eroici" che i poemi omerici ci rievocano; per l'Italia esso si svolge in tempi assolutamente preistorici, Ma, data l'essenza e l'importanza di questo stadio culturale, come sopra è stato detto, secondo molti paletnologi europei con l'introduzione dei metalli terminerebbe la vera e propria preistoria; e perciò, in più di un trattato, l'età del bronzo è considerata sotto il termine di "protostoria".
Origine della metallurgia; rame, stagno, bronzo. - Il primo metallo impiegato dall'uomo per la fabbricazione soprattutto delle armi (pugnali triangolari) e di qualche strumento (ascia piatta), fu il rame; il quale impiego caratterizza un periodo di civiltà, detto con ibrida parola eneolitico, che i paletnologi ormai riconoscono indipendente, studiandone le manifestazioni culturali separatamente da quelle dell'età del bronzo propriamente detta (v. eneolitica, civiltà). Per ottenere il bronzo occorre che al rame sia mescolata una certa quantità di stagno (di qui l'uso da parte di alcuni scienziati del termine "bronzo di stagno"), fino a raggiungere, ma con notevoli variazioni e irregolarità, le proporzioni della lega più perfezionata che comporta circa il 10% di stagno. I primi uomini metallurgisti, dovunque sia avvenuta l'invenzione, s'imbatterono in giacimenti vergini dei due metalli Componenti; ma essendo molto più abbondanti o più diffusi quelli del rame, questo fu il primo ad essere usato. Mentre il rame può presentarsi anche allo stato nativo, benché raramente, ritrovandosi per lo più allo stato di solfuri e in minerali ossidati e carbonati, giammai lo stagno si presenta sotto forma di metallo nativo, ma sempre allo stato di biossido (cassiterite), e i suoi giacimenti, al confronto, sono più rari e localizzati in un ristretto numero di paesi. Ne Consegue che il possesso e il commercio di questo prezioso componente della lega costituirono un potente mezzo di predominio e di benessere economico-sociale per qualche civiltà antica, quale la minoica o cretese; tanto da far supporre che la decadenza di questa fosse la conseguenza dello spostamento della via commerciale e quindi del monopolio di quel commercio (cfr. H. M. R. Leopold, in Bull. Paletn., XLVIII, 1928, pp. 157-167). I giacimenti di rame sono assai diffusi; limitandoci al vecchio mondo, se ne trovano nella penisola. Iberica, in Francia, nelle isole Britanniche, nella Scandinavia, in Italia (Toscana, Sardegna, ecc.), nell'Europa centrale, nell'Africa settentrionale, a Cipro, in Creta, nell'Asia Minore, nel centro dell'Asia e nella regione degli Urali, nell'Estremo Oriente e nelle isole della Sonda.
Dove avvenne la prima invenzione? È ormai accertato che in Oriente, nella Susiana, il rame era già usato fin dal quarto millennio a. C., e che nella stessa regione l'uso del metallo appare più antico che nei paesi indo-cinesi. Quanto all'Egitto, essendo stato riconosciuto l'errore del Lepsius, che attribuiva un'eccessiva importanza alle miniere del Sinai, si pensa ora che la conoscenza del rame vi sia venuta dall'Asia. In ogni modo è nell'Oriente, siano le isole dell'Egeo, sia l'Asia Minore, sia l'Egitto, che gli archeologi variamente supposero il centro originario della metallurgia; recentemente, con più precisione, J. De Morgan ha indicato la parte settentrionale dell'Asia Minore come il paese donde la conoscenza del metallo sarebbe discesa in Caldea, guadagnando poi l'Egitto e le coste fenicie, le Isole Egee, e quindi le varie regioni europee. Si potrebbe pensare anche a qualche focolare propriamente europeo; ma lo studio delle antichità eneolitiche dell'Iberia e della Sicilia ha rivelato che potenti influssi da Creta e dall'Egeo vi si esercitarono; ed è generale convinzione, quanto all'Europa centrale, occidentale e nordica, che quivi i più antichi oggetti di rame provengano dal sud, cioè da prototipi mediterranei.
La conoscenza e l'uso del bronzo sono naturalmente legati allo sfruttamento dei giacimenti stanniferi; ma il problema dell'invenzione e della propagazione dell'uso dello stagno è assai più difficile. In realtà questi giacimenti sono piuttosto rari; attualmente si contano due grandi centri produttori, assai distanziati, l'uno nell'Asia orientale (Indocina, Malacca, ecc.), l'altro nell'Inghilterra meridionale (Cornovaglia, Devonshire). All'infuori di questi due grandi centri, altri giacimenti meno importanti si trovano nella Penisola Iberica (Galizia, Portogallo), nella Francia centrale e occidentale, nella Germania (Erzgebirge), nel Marocco, nella Persia (Khorāsān); in Italia si sono riconosciute miniere di stagno, che furono certamente usate in tempi preistorici, nella Toscana presso Campiglia Marittima (cfr. A. Mosso, Origini della civiltà mediterranea, Milano 1910, p. 307; A. Stella, in Studi Etruschi, I, Firenze 1927, p. 421).
Mentre in passato si identificarono i giacimenti persiani del Khorāsān con le antiche miniere della Drangiana, menzionate da Strabone, oggi si dubita circa l'importanza di questi giacimenti; nel mondo caldeo, egiziano, egeo, lo stagno appare più verosimilmente come prodotto d'importazione. Quale il centro originario?
L'antichità classica ci ha tramandato la certezza che le miniere della Penisola Iberica e quelle delle isole Cassiteridi (isole dello stagno) furono conosciute e sfruttate da antichissimo tempo; ma una viva controversia si stabilì fra i dotti, non solo per l'ubicazione dell'antica città di Tartesso, dalla quale i Fenici di Tiro ricevevano lo stagno insieme con l'argento e il ferro e il piombo, ma anche e soprattutto per l'identificazione delle isole Cassiteridi, le quali secondo i più sarebbero le Isole Britanniche, secondo altri l'Armorica, o altro paese. Certo si è che, caduta l'egemonia cretese, i Fenici posero ogni cura per mantenere il segreto sulla via marittima del commercio stannifero dalle isole famose; certo si è anche che, dal tempo della dominazione romana, le Isole Britanniche furono il grande centro di approvvigionamento dello stagno per i paesi mediterranei. Benché fin dagli anni passati sia stata supposta un'origine dello stagno preistorico dall'India (tesi sostenuta fra gli altri da G. de Mortillet), e benché più recentemente J. de Morgan chiaramente inviti a riconoscere il centro originario di esso nell'Asia orientale, nell'Indocina e nella Cina (paesi straordinariamente ricchi di cassiterite), l'identificazione delle isole Cassiteridi Con le Britanniche, e quindi il riconoscimento della via commerciale stannifera nell'Occidente europeo, godono incontrastato favore (cfr. Leopold, in Bull. Paletn., loc. cit.).
La lega per cui si ottiene il bronzo è una semplice miscela dei due metalli fondamentali, rame e stagno, cui si aggiungono altri metalli, come il piombo, lo zinco, il ferro, ma in quantità insignificanti. Le analisi chimiche eseguite su un grande numero di oggetti metallici preistorici hanno rivelato che non esiste una proporzione costante fra i due principali componenti, neppure per il periodo della più pura o fiorente civiltà del bronzo. Tuttavia, dal momento in cui s'introdusse e si diffuse la pratica metallurgica, e dopo un primo periodo in cui si usarono armi e strumenti di rame puro, o quasi puro, la quantità dello stagno, introdotto appunto per rendere più resistenti gli oggetti di rame, andò sempre aumentando fino a raggiungere la proporzione più perfetta che oscilla fra l'8% e il 12%, quale in tempi più vicini a noi era in uso regolarmente per la fabbricazione dei cannoni. Ne consegue che la quantità del 10% di stagno è la media che si può assumere come caratteristica dell'oggetto appartenente alla piena civiltà del bronzo. Ma ciò si deve ritenere soltanto in via generale, perché le eccezioni alla regola, che pure fu posta da uno dei più illustri studiosi dell'età dei metalli, O. Montelius, in un suo fondamentale lavoro (La cronologia della più antica età del bronzo nella Germania settentrionale e in Scandinavia, 1895), sono numerosissime.
Il concetto di un progressivo perfezionamento della tecnica metallurgica, dovuto al maggior contenuto di stagno, s'impose allora quasi universalmente; benché, di fronte a casi ben notati di irregolarità, sorgessero disparità di vedute fra i paletnologi. Argomento di laboriosa discussione fu la presenza di poco stagno, rivelata dall'analisi di molte accette o asce appartenenti a strati o depositi dell'età del bronzo iniziale; secondo alcuni tale scarsezza di stagno è dovuta ai tentativi compiuti dai metallurgisti primitivi, prima di aver trovato empiricamente il giusto rapporto della lega perfetta; secondo altri, invece, quella scarsezza va attribuita semplicemente alla povertà di stagno da parte delle popolazioni fabbricanti.
L. Pigorini (Bull. Paletn., XXI, 1895, p. 9), di fronte agli oggetti metallici poveri di stagno delle palafitte e delle terramare italiane, suppose che la scarsezza derivasse dal fatto che quelle genti, possedendo soltanto il rame e ricevendo il bronzo dal di fuori, in mancanza dello stagno, fossero ricorse all'espediente di rifondere i vecchi strumenti di bronzo inservibili. G. A. Colini (Bull. Paletn., XXVI, 1900, p. 261), pur propendendo a questa spiegazione, notava peraltro che le accette povere di stagno erano di una foggia piuttosto arcaica. Ma già da tempo i fratelli Siret, per la Spagna, avevano dimostrato che durante la piena età del bronzo si erano fabbricate ancora accette di puro rame, solamente per momentanea scarsezza di stagno. Certo è che le analisi richiedono molta attenzione a causa dell'alterazione che l'ossidazione può produrre negli oggetti, in quanto il bronzo perde il rame sotto l'azione dell'acqua e degli agenti atmosferici, mentre lo stagno rimane. Lo Zenghelis, nel suo studio Sur le bronze préhistorique (in Mélanges Nicole, Ginevra 1905), fondandosi semplicemente sulle analisi di oggetti ritrovati in Grecia, espresse il parere che agl'inizî della pratica metallurgica non fosse possibile di ottenere una lega ricca di stagno, dato che si fabbricava il bronzo aggiungendo nella fusione ossidi di stagno, e non stagno allo stato metallico, come si usò più tardi. Il Patroni (Bull. Paletn., XXXII, 1906, pp. 55-69), illustrando le ventinove asce del "ripostiglio" di Pieve Albignola (Lomellina), nuovamente fatte analizzare e risultate non ricche di stagno, notando la varietà di contenuto di questo ultimo, e l'analogia di progressione e di proporzioni con gli oggetti greci studiati dallo Zenghelis, propose una specie di tabella progressiva, comprendente: a) oggetti di puro rame; b) oggetti di lega povera (1. con tracce di stagno; 2. con l'1-2% di stagno; 3. con circa il 3%; 4. con circa il 7%); c) oggetti di bronzo, propriamente detto, con la proporzione del 10% e più di stagno. Il medesimo autore si domandò se non fosse il caso di concepire una serie di "periodi di una età della lega povera da interporre fra quella del rame e quella del bronzo"; ma nonostante l'acuta osservazione, varie considerazioni si possono addurre per non accettare la proposta di questa problematica "età della lega povera". Si è notato come i giacimenti stanniferi siano più che rari e localizzati in pochi paesi; che anche in piena età del bronzo si continuò nella produzione di oggetti di rame puro o quasi, perfino in paesi non sprovvisti di stagno, come la Penisola Iberica; all'incontro in paesi forniti di giacimenti stanniferi, come la Toscana, lo stagno si trova presente in oggetti appartenenti al periodo eneolitico, sia pure finale (cfr. M. Passerini, in Studi Etruschi, III, Firenze 1929, p. 411): il che prova che il segreto della lega deve esser stato conosciuto fin dai primordî della metallurgia. Inoltre, più volte in strati archeologici ben determinati dell'età del bronzo propriamente detta, si sono raccolti oggetti comportanti una notevole varietà di proporzioni della lega. La statua di Pepi, della 6ª dinastia (circa 2500 a. C.), diede la percentuale 58,50 di rame e 6,557 di stagno; lo scettro appartenente ad essa era invece di rame puro; all'incontro, una lama di pugnale della stessa epoca diede il 65,30 di rame e il 10,20 di stagno. Così anche l'analisi di accette piatte rinvenute a Troia rivelò che alcune erano composte di lega povera di stagno, altre di lega più ricca (dal 2,89 all'8,6% di stagno).
Dunque, oltre alle cause d'indole geografica e storica, altre ragioni si possono supporre facilmente per spiegare le irregolarità, notate ormai da numerose analisi, nella lega del bronzo preistorico: ragioni derivanti dal carattere degli oggetti e dall'uso cui erano destinati.
Del resto, che non esistessero norme fisse è provato altresì da qualche esempio di eccessiva dosatura di stagno (oltre il 10%) con conseguente danno per l'oggetto (v. tabella seguente: lancia di Cascina Ranza, bipenne di Festo, ecc.).
Ma, infine, lasciando da parte la dosatura, ciò che più vale è la reale presenza dello stagno negli oggetti preistorici; la quale, nonostante le variazioni e le irregolarità di contenuto, dimostra che i metallurgisti di quei remoti tempi si preoccuparono della migliore resistenza delle armi e degli strumenti da loro fabbricati, iniziando e via via perfezionando la tecnica del bronzo. Il che avvenne appunto durante l'età o la civiltà che da questo prende il nome.
A maggior chiarimento delle considerazioni sopra fatte, si unisce una tabella riproducente una scelta serie di analisi chimiche, tratte dalle fonti citate nella bibliografia (senza tener conto, si noti, delle minime dosi dei componenti secondarî):
Un altro argomento di discussione è se la preparazione del bronzo preistorico si faceva mescolando i due fondamentali elementi allo stato metallico, ovvero se la miscela dei minerali che li contengono era composta prima della fusione; dopo lo studio dello Zenghelis i più inclinano per la seconda ipotesi, la quale permette di spiegare anche le variazioni di contenuto di stagno. Ma, a questo proposito, A. Mosso, osservando la straordinaria durezza delle spade cretesi e micenee, e considerando che la velocità del raffreddamento del bronzo riscaldato influisce grandemente sulle proprietà fisiche della lega, tanto che esse non dipendono più solamente dalla composizione chimica, ritenne che la proprietà del bronzo di raffreddarsi rapidamente sia la prima spiegazione della mancanza di una lega costante, e stabilì che solo la sapiente tempra con martellatura, applicata già prima agli oggetti di rame, fu la causa della saldezza e della durezza delle armi di bronzo preistoriche, vantate nei versi di Omero.
Suddivisioni cronologiche e tipi industriali. - Ben presto, dopo il riconoscimento dell'esistenza di un'età del bronzo, i dotti si preoccuparono di distinguerne le fasi di sviluppo, e quindi di fissarne la cronologia. Spetta al Worsaae stesso il merito di aver fatto le prime distinzioni; egli riconobbe, almeno per l'Europa settentrionale, due fasi distinte: l'una più antica caratterizzata dal rito funebre dell'inumazione, l'altra più recente dal costume quasi generale dell'incinerazione dei cadaveri. Seguirono altri tentativi di classificazione, da parte di scienziati francesi, fra cui lo Chantre e G. De Mortillet. Questi, nel 1875, propose anche di distinguere due epoche. La prima, traendo il nome dalla stazione di Morges sul lago di Ginevra, denominata Morgienne, si caratterizzava per l'uso ancora raro del metallo e per la tecnica esclusiva della fusione (époque du fondeur); la seconda, con nome tratto dal deposito di Larnaud (Giura), denominata Larnaudienne, si distingueva soprattutto per il fatto che alla fusione si aggiungeva il lavoro di martellamento (époque du chaudronnier ou du marteleur). La fase iniziale del rame non venne considerata, neppure in seguito, dal De Mortillet, il quale naturalmente si riferiva ai paesi dell'Europa occidentale o celtici, e sull'avviso del celebre antropologo Broca intendeva, con la suddetta seconda epoca, chiusi i tempi preistorici più propriamente detti. Ma veri sistemi di classificazione, più particolareggiati, furono poi proposti dal Montelius e da P. Reinecke. Maggior favore incontrò quello del Montelius, più documentato e più esteso, basato sull'esame tipologico degli oggetti e sulla comparazione favorita dai sincronismi tratti dalle scoperte di Hissarlik e di Micene. Con una serie di studî successivi, iniziati nel 1885, il Montelius studiò e inquadrò le manifestazioni industriali dapprima della Scandinavia e della Germania settentrionale, poi della Grecia e dell'Italia, infine dell'Europa occidentale.
Sostenitore delle origini orientali, asiatiche, della metallurgia, e quindi della civiltà del bronzo, contrariamente alle idee di S. Reinach, il Montelius cercò di stabilire, oltre alla relativa, anche la cronologia assoluta dell'età dei metalli. Basandosi sulla distribuzione degli oggetti più caratteristici in serie cronologiche, e studiando, insieme con l'ordinata successione dei tipi in tutti i paesi, le concordanze dei varî ritrovamenti, egli pervenne a distinguere sei periodi (valevoli per l'Europa settentrionale, e comprendendovi l'iniziale, del rame, e il finale, di transizione all'età del ferro), che si riducono a cinque per l'Italia e per l'Europa occidentale.
I presupposti di tale sistema, che, salvo qualche periodo in meno e alcune variazioni cronologiche, sostanzialmente vale anche per le altre regioni (Grecia e Italia, Europa occidentale e centrale), sono i seguenti. I più antichi oggetti metallici scoperti nella Babilonia sono di rame puro, sì come ne provengono dall'India; pur essendo impossibile di indicare il momento iniziale dell'invenzione della lega, verso il sec. XIV a. C. nella Babilonia era ben conosciuto e usato il bronzo. Altre regioni dell'Asia, invece, come la Persia, l'Armenia, il Caucaso, il Turkestan, hanno dato sì strumenti bronzei, ma di età più recente. L'Egitto deve aver conosciuto il rame fin dal 5000 a. C. (data troppo elevata), ma l'uso della lega vi pervenne dall'Asia; i primi oggetti di bronzo egiziani, poveri di stagno, rimontano alla 12ª dinastia. In Cipro, ricca di miniere di rame e dove l'uso esclusivo di questo metallo perdurò a lungo, l'impiego di esso cominciò al principio del quarto millennio; nell'Asia Minore l'uso del rame deve porsi agli inizî del terzo, e quello del bronzo alla fine dello stesso millennio, poiché, mentre il primo strato di Hissarlik ha rivelato solo oggetti di pietra e di rame, il sesto, corrispondente secondo il Dörpfeld all'omerica Ilio, è apparso il più ricco di armi bronzee. È poi da ritenere che alla fine del terzo millennio anche le isole dell'Egeo e la Grecia abbiano conosciuto e praticato la lega con lo stagno; ma è soltanto dal 1500 che gli oggetti di bronzo con abbondante contenuto di stagno si fanno numerosi. Anche i ritrovamenti fatti in Sicilia permettono di assegnare alla seconda metà del terzo millennio l'apparizione del bronzo; nell'Italia settentrionale ciò avvenne al principio del millennio seguente. Con qualche ritardo seguì l'Europa occidentale e centrale, dove peraltro l'età del bronzo fu di più lunga durata, rispetto all'Italia; infine, l'Europa del nord entrò molto più tardi in questa fase di civiltà, rimontando per essa l'uso del rame alla seconda metà del terzo millennio, e quello del bronzo non povero di stagno verso la fine del secondo, ma con una durata assai più lunga, cioè fino al 500 a. C.
Il quadro schematico del Montelius comporta suddivisioni con date precise, a cui non si può attribuire quel valore assoluto che l'autore ha inteso; ciò nonostante l'insieme del sistema può soddisfare, tornando utile ai fini didattici. Le determinazioni dei periodi sono fatte in base allo studio tipologico ed evolutivo delle armi e degli strumenti, e della loro associazione, stabilita da un esame comparativo degli strati o depositi che contenevano oggetti.
Riproduciamo succintamente il quadro dei periodi stabiliti dal Montelius, in ciò che si riferisce all'Italia e all'Europa in generale; perché, così facendo, si ha il modo di indicare le caratteristiche industriali della civiltà, tenendo ben presente, come abbiamo detto, che alle date non si può dare eccessivo valore.
Periodo I (Italia: dal 2500 circa al 1850; Europa occidentale: dal 2100 al 1800; Europa settentrionale: secoli XVIII-XVI). - È il periodo eneolitico, caratterizzato dall'uso dei primi strumenti ed armi di rame (asce piatte; piccoli pugnali triangolari), dall'abbondanza ancora di oggetti di pietra (punte di freccia, pugnali, coltelli, asce, ecc.), dalla diffusione dei vasi caliciformi, dall'assenza di spade, ecc. Il rito funebre generalmente praticato è l'inumazione, in fosse scavate nel terreno, per lo più col cadavere rannicchiato, in grotte naturali e in camerette scavate nella roccia artificialmente, in dolmens e in tumuli. Il costume di incenerire i morti appare già nell'Oriente danubiano, ed eccezionalmente nell'ovest, in Bretagna.
Quanto all'abitazione, continuano i modi dell'età precedente, neolitica (villaggi terrestri di capanne, grotte naturali), ma nell'Europa centrale, alpina, sempre più si diffonde l'impianto di stazioni su palafitte, sulle rive dei laghi; queste compaiono anche nell'Italia settentrionale, unitamente forse alle prime terramare, stazioni quadrilatere, palafitte in terra asciutta, caratteristiche della Valle Padana, che avranno il massimo svolgimento nei periodi seguenti.
Questo periodo di passaggio dall'età neolitica alla vera civiltà del bronzo, corrisponde all'ingrosso ai tempi della VIª dinastia per l'Egitto, al Minoico primitivo per Creta, al Premiceneo (v. cretese-micenea, civiltà), anche detto Cicladico, per l'Egeo.
Periodo II (Italia: dal 1850 al 1625; Europa occidentale: dal 1800 al 1600; Europa settentrionale: secoli XV-XIV). - L'uso della pietra, della selce, si fa sempre più raro; il bronzo contiene quantità notevoli di stagno, fino a raggiungere già la proporzione migliore. Le asce di bronzo sono a margini rialzati, ordinariamente poco elevati, col taglio più largo, piatto, e anche semicircolare; manca ancora la vera ascia a tallone, ma alla fine del periodo si nota un principio di questa forma evolutiva. I pugnali hanno la base larga e munita di fori per la ribaditura dei chiodetti, e la lama spesso larga, triangolare, che va allungandosi fino a raggiungere il tipo della spada. Altri oggetti notevoli sono le spille o spilloni semplici o con testa sferica forata, e i braccialetti aperti con estremità appuntite. La ceramica, di rozzo impasto fabbricato a mano, consta di vasi dalle forme semplici, cilindriche, ovoidali, a tronchi di cono sovrapposti, con più anse di presa. Rito funebre e modi d'abitazione sono gli stessi del periodo precedente; nell'Italia Settentrionale si sviluppano le terramare. Questo periodo viene a corrispondere in parte alla piena età del bronzo egiziana (con e dopo la XIIª dinastia), al Minoico medio di Creta, rappresentato dalla ceramica di tipo Kamares e dall'impianto dei palazzi di Cnosso e Festo, al Protomiceneo della Grecia continentale, rappresentato da alcune delle tombe dell'acropoli di Micene.
Periodo III (Italia: dal 1625 al 1500; Europa occidentale: dal 1600 al 1300; Europa settentrionale: secoli XIII-XII). - La forma delle asce si evolve sempre più; abbondano le asce con margini diritti, molto rialzati; appaiono quelle a tallone; in Italia già si hanno quelle ad alette e i coltelli a doppio taglio. Si hanno in abbondanza le lance a cannone; le spade sono affilate, con la base dritta e forata, per lo più, per il passaggio di due chiodi; gli spilloni si arricchiscono di forme complicate, i braccialetti aperti sono più massicci e non appuntiti alle estremità; si hanno le pinzette. La ceramica si compone di vasi simili a quelli del periodo precedente e di tazze ansate o no, ma con abbondante decorazione incisa, a motivi geometrici, con scanalature e infine con rigonfiature o bugne. Tipica, nelle terramare italiane, è l'ansa soprelevata delle tazze, cornuta o lunata.
Continua l'abitazione su palafitte nell'Europa centrale, alpina; in Italia si ha già diffuso il rito funebre dell'incinerazione con la deposizione delle ossa calcinate in rozzi ossuarî posti nella nuda terra; il medesimo rito appare nell'Europa occidentale.
Il periodo, con quello seguente, viene a corrispondere al cosiddetto Minoico recente di Creta, caratterizzato dalla ceramica stile Palazzo, e al Miceneo propriamente detto, rappresentato dai palazzi e dalle tombe a cupola della Grecia continentale, che, secondo la cronologia più in voga, scende fino al 1100 a. C.
Periodo IV (Italia: dal 1500 al 1325; Europa occidentale: dal 1300 al 1050; Europa settentrionale: secoli XI-X). - Questo periodo del Montelius viene soppresso dagli archeologi francesi, dopo l'esempio del Déchelette, incorporandolo parte nel precedente e parte nel susseguente.
Non sono più usate le asce a margini rialzati e a tallone, ma sono in voga quelle ad alette mediane abbattute e quelle a cannone. Abbondano le spade con lama larga, con base forata, con margini rialzati; abbondano i coltelli a doppio taglio o rasoi, i braccialetti aperti e massicci, decorati a graffito; dapprima in Italia (palafitte del Garda), e poi nell'Europa occidentale, fa la sua prima apparizione un oggetto assai importante, cioè la fibula nella forma più semplice ad arco di violino, nata verosimilmente in seno alla civiltà micenea (v. fibula).
Periodo V (Italia: dal 1325 al 1225; Europa occidentale: dal 1050 all'850; Europa settentrionale: secoli IX-VIII). - Sono scomparse dall'uso le asce di forme primitive; se ne hanno ancora ad alette, ma queste sono situate al sommo del tallone e non più nel mezzo; impera il tipo a cannone. Le spade abbondano e sono di forma più elegante, a codolo piatto e a margini rialzati, con impugnature piene, a pomo ovale, ad antenne, non mancando anche quelle con base piatta e forata e quelle corte con lama larga; si hanno anche i puntali da fodero di varia forma. I pugnali sono con base piatta e forata, o a cannone; frequenti sono i coltelli a lama concavo-convessa, le punte di freccia, i rasoi di varia forma; i braccialetti sono aperti e larghi, incavati per lo più, ovvero sottili e a tortiglione, talora doppi; gli spilloni o aghi crinali con grossa testa sferica sono anche variamente foggiati. Abbondano infine molti altri strumenti che già avevano fatto la loro apparizione nei periodi precedenti; soprattutto le falci, i ceselli, i trincetti, i martelli, lime e seghe, i bulini, i punteruoli, gli ami da pesca, ecc. Non mancano dischi di bronzo ornamentali, morsi da cavallo e vasi di lamina; si sviluppano e si diffondono le fibule di tipo italiano, ad arco semplice e solcato, serpeggiante, a disco. La ceramica, sempre fabbricata a mano, varia poco dai periodi precedenti per le forme e per gli ornati; è rozza e monotona nelle palafitte transalpine e subalpine e nelle terramare; è più variata e decorata in stazioni coeve della nostra penisola, non appartenenti dal punto di vista etnico alla civiltà terramaricola; assume uno speciale sviluppo per forme eleganti e per ornati a bugne e a scanalature nei paesi dell'Europa centro-orientale (dal Brandeburgo all'Ungheria), caratterizzando la "cultura di Lausitz", che secondo gli archeologi tedeschi avrebbe soprattutto fiorito dal 1300 al 500 a. C.
Per l'Italia, al periodo sopra accennato per ultimo, il Montelius ne aggiunge un altro (quinto della età del bronzo propriamente detta), databile fra il 1225 e il 1125, in cui sono sempre in uso le asce a cannone, diventano comuni le fibule ad arco serpeggiante e quelle con grande disco; e soprattutto, col rito della incinerazione imperante, appaiono le vere tombe a pozzo con gli ossuarî biconici che preludono al tipo dell'urna villanoviana; non viene ancora usato il ferro per le armi e per gli strumenti, ma dagli archeologi italiani (a parte la data che è troppo alta) questo periodo, che è realmente di transizione alla prima età del ferro, più giustamente viene considerato in stretta relazione con quest'ultima fase della civiltà preistorica. Intorno al 1000 a. C., dunque, i paesi del bacino del Mediterraneo, spentesi del tutto le civiltà minoica e micenea, mentre nella Grecia continentale si inizia lo stile geometrico, entrano nella nuova fase di civiltà che prende il nome dal ferro; qualche secolo dopo il 1000, i paesi celtici e dell'Europa centrale seguono questo sviluppo con la prima fase della civiltà detta "di Hallstatt"; poi, verso la metà del primo millennio, segue l'Europa settentrionale, i paesi scandinavi, dove la lavorazione del bronzo assurge a una particolare altezza.
All'infuori delle particolareggiate suddivisioni del Montelius, si può riconoscere agevolmente una partizione più generica in due grandi periodi, il più antico e il più recente. Tale partizione, che per i paesi scandinavi si fonda soprattutto sulla diversità del rito funebre, si applica facilmente anche all'Italia solo basandosi sull'esame dei varî tipi industriali, metallici e ceramici. Nei paesi del Nord, nel primo periodo (comprendente le prime tre suddivisioni del Montelius), le tombe erano costituite per lo più da grandi tumuli, formati di terra o di pietre ammucchiate, e contenenti i morti, i quali venivano rinchiusi in casse composte da lastroni di pietra ovvero anche in tronchi di quercia opportunamente svuotati e tagliati. Nel secondo periodo, durante il quale l'incinerazione è dominante le ossa combuste erano deposte ancora in piccole casse di pietra o di quercia, e anche in urne di terracotta: il tutto sempre sormontato dal tumulo; i tumuli potevano contenere più sepolture.
Caratteristiche regionali e valore complessivo. - Il quadro dei diversi periodi ora riprodotto con la elencazione dei varî tipi di armi e di strumenti, nonostante che di questi siano stati citati soltanto i più essenziali, serve a dare un'idea dello straordinario e continuo progresso civile, se non altro in fatto di attività industriale. Per quanto ancora fra i dotti prevalga l'idea di un'origine orientale, asiatica, della metallurgia, si è abbandonata completamente l'ipotesi, anche formulata in passato, di un'origine comune di tutti i bronzi preistorici; l'aver trovato in più paesi, quasi dappertutto, le forme o le matrici in pietra che servirono alla fabbricazione di strumenti metallici, è la prima prova della molteplicità dei centri di produzione. Ciò nonostante, alcuni tipi di armi furono il prodotto di centri particolari e si diffusero, soprattutto dall'Oriente all'Occidente e dal Sud al Nord, per via di commercio, il quale, prima di ogni altra cosa, servì al trasporto delle materie prime, allo stato grezzo o bruto. Non solo l'esistenza di matrici, ma anche la varietà stessa che i prodotti metallici e ceramici presentano nelle diverse aree di civiltà comprovano il lavoro indipendente e originale. Tale differenziazione, dovuta alla varietà geografica di ambiente, e alla diversità etnica delle popolazioni produttrici, giustifica pienamente la distinzione, del Déchelette, di parecchie provincie geografiche, aventi ciascuna una propria facies culturale. All'infuori dell'Asia Minore e dell'Egitto, il Déchelette distingue le seguenti sette provincie, più propriamente europee:
1. Una provincia egeo-micenea, comprendente Creta, il litorale dell'Asia Minore, Cipro, la Grecia.
2. Una provincia italiana, comprendente l'Italia, la Sicilia e la Sardegna, benché questa più si leghi all'Iberia, cui si aggiungono le isole di Malta, Pantelleria, la Corsica, ecc.
3. Una provincia iberica, comprendente Spagna e Portogallo, e le isole Baleari.
4. Una provincia occidentale, comprendente la Francia, il Belgio, le Isole Britanniche, la Svizzera, la Germania del Sud e parte della Boemia (si potrebbe denominare meglio: provincia centrale-orientale).
5. Una provincia ungherese, con l'Ungheria, la Transilvania, la Moravia, i paesi Balcanici (comprendendovi la Boemia, in cui sono attestate larghe influenze ungheresi, si potrebbe denominare meglio: provincia orientale).
6. Una provincia scandinava (o nordica), comprendente la Svezia e Norvegia, la Danimarca, la Germania settentrionale, parte della Finlandia.
7. Una provincia estrema, uralica, con la Russia e la Siberia.
Nella provincia egeo-micenea, il centro di civiltà più importante è l'isola di Creta, dove le rovine stratificate delle grandi costruzioni di Cnosso e di Festo offrono sicuri indici cronologici con il riscontro della cronologia già nota delle civiltà egiziana e babilonese-assira. Senza entrare in particolari che più opportunamente devono essere esposti nelle voci speciali (v. cretese-micenea, civiltà), si fa cenno qui delle caratteristiche generali. Dopo un primo periodo eneolitico (minoico primitivo), in cui appaiono le prime armi di metallo, di rame, e per cui si può assumere come monumento più rappresentativo una grande tomba a cupola scavata dalla missione italiana ad Hagia Triada, la prima fase dell'età enea (minoico medio) è rappresentata dall'impianto dei primi palazzi di Cnosso e di Festo, ricostruiti verso la fine del periodo stesso; dalla ceramica policroma detta di Kamares, in cui ben presto alla decorazione geometrica, sola iniziale, si mescolano elementi di stile naturalistico, vegetali, fino a che questi ultimi predominano. Altri oggetti notevoli sono le statuette di argilla dipinta (di Petsofà), le ceramiche smaltate o "alla faentina"; inoltre è rilevante l'apparizione della scrittura pittografica. A questa fase segue la seconda (minoico recente), contrassegnata dalla seconda e più ampia ricostruzione dei palazzi di Cnosso e di Festo; dall'impianto della villa di Hagia Triada; dallo sviluppo dell'arte dell'alfresco parietale, dalla decorazione schiettamente naturalistica della stoviglia d'argilla, che gradatamente si stilizza (ceramica stile Palazzo) per finire nello stile completamente schematizzato degli ultimi momenti della civiltà, dai vasi in steatite adorni a rilievo, dalla scrittura lineare in tavolette d'argilla, dal famoso sarcofago dipinto di Hagia Triada, dalla produzione di una folla di oggetti d'arte, anche minuti, in materie più o meno preziose, da una ricca serie di armi e di vasi di bronzo, tra cui primeggiano certe spade a lama allungata che sono oggetto di larga esportazione. È il periodo del massimo splendore della civiltà cretese, che dal commercio marittimo traeva i mezzi più efficaci; ad esso corrisponde il periodo rigoglioso della civiltà più propriamente detta micenea, della Grecia continentale, con i palazzi di Micene e Tirinto, con le tombe a cupola di Micene (Tesoro di Atreo) e Vaphió, con quelle a camera di Nauplia, Spata, Rodi, ecc., con la produzione di mirabili oggetti d'arte. Questa civiltà egeo-micenea, che si rivela con un grado elevato di spiritualità anche nella religione non formalistica e pesante, rappresenta realmente la massima ascensione dell'umanità dell'età enea, e le sue influenze si esercitarono ampiamente all'esterno, in Sicilia, nel mezzogiorno della Penisola Italiana, nella Sardegna, nella Spagna, oltre che nel bacino dell'Egeo e sulle coste asiatiche, dalle quali anche le provenivano influssi vigorosi.
Nella provincia o regione italiana il fenomeno più saliente consiste nello sviluppo della civiltà delle terramare, ben distinta, se pure affine, da quella delle palafitte che rimonta alla fine dell'età della pietra. Le terramare propriamente dette, limitate alla Valle Padana (Lombardia orientale ed Emilia), presentano il quadro più completo e più pieno della civiltà enea, esperta nel fondere e foggiare il metallo, dedita all'agricoltura, saldamente organizzata dal punto di vista sociale, con grandi agglomerati bene ordinati, ma povera in fatto di senso d'arte, col rito funebre dell'incinerazione, in assoluto contrasto con l'inumazione, praticata esclusivamente dalla civiltà neolitica ed eneolitica, e persistente, anche dopo l'introduzione del rito opposto, in gran parte della penisola (parte centrale, adriatica e meridionale). Nella Lombardia occidentale, fino al Piemonte, e nel Veneto perdura l'abitato palafitticolo (villaggi lacustri); nel resto della penisola continuano i modi di abitazione dell'età precedente, in grotte naturali, e in capanne semisotterranee, circolari e con focolare centrale, riunite in veri villaggi. L'intima natura di questi strati extraterramaricoli, che si distendono numerosi dal Veneto stesso, lungo gli Appennini, fino alla Basilicata, e nei quali, accanto ad armi e strumenti di bronzo di chiara origine terramaricola, abbondano sempre i manufatti di pietra, si dimostra essenzialmente diversa da quella delle terramare, per quanto è dato giudicare dai relitti di sola vita materiale. Il contrasto è palesato non solo dal diverso sistema di organizzazione politica, e dalla diversità del costume funerario, ma in special modo dalla ceramica che, assai diversa da quella rozza delle terramare e delle palafitte, ha caratteri del tutto proprî e per forme e soprattutto per ornati caratteristici (denti di lupo, rombi, meandri semplici, fasce spiraliformi, volute, spirali doppie, ecc.): essa si ritrova uguale in località così distanziate come il Bolognese e la grotta di Pertosa (Salerno), l'Arceviese e il Materano, la Montagna di Cetona (Siena) e la Valle della Vibrata (Teramo).
L'Italia meridionale conta anche forme particolari, come ad esempio le tazzine con grandi anse nastriformi molto soprelevate. Questi dati di fatto, unitamente ad altre considerazioni, inducono a scorgere negli strati extraterramaricoli la persistenza delle genti neo-eneolitiche, viventi a contatto, con reciproci influssi, di nuove genti immigrate, le terramaricole, le quali sarebbero più propriamente le fattrici della civiltà del bronzo italiana. L'immigrazione terramaricola è la teoria sostenuta dal Pigorini e dai suoi seguaci; di contro sta l'altra ipotesi, facente capo a E. Brizio e continuata da altri, secondo cui nelle terramare si dovrebbe scorgere uno stadio evolutivo delle stesse genti neolitiche; la questione è ardua, ma qui non è il caso di soffermarsi a discuterla (v. terramare). Più utile torna l'accennare alla possibilità di distinguere due fasi o due, periodi della civiltà enea italiana; il primo, più antico, rappresentato soprattutto dalle palafitte del Garda e dalle terramare sulla sinistra del Po, il secondo e più recente segnato da qualche terramara emiliana e dalle necropoli di Bismantova (Reggio E.) e Fontanella Mantovana. Più recenti, in complesso, delle lombarde, le terramare emiliane, nelle quali la sostituzione delle armi di pietra con quelle di bronzo si fa più completa, rappresentano il pieno dell'età.
Il primo periodo ha come oggetti più rappresentativi: coltelli-asce o accette a margini rialzati, cuspidi di freccia con peduncolo e alette (imitazione delle silicee), pugnali con lama triangolare munita di base larga e forata, spilloni di tipo primitivo (con teste sferiche, coniche, a foglia, a riccio), ecc. Alcuni di questi oggetti, unitamente a certi prodotti ceramici (ciotole con anse tubolari impostate sull'orlo, piccole anfore, ecc.), comuni alle terramare e alle palafitte, si lasciano riscontrare con tipi analoghi della civiltà dell'Asia Minore.
Il secondo periodo si distingue principalmente per i seguenti oggetti più tipici: spade a codolo piatto e margini rialzati, cuspidi di lancia a cannone, coltelli a lama concavo-convessa, pugnali di foggia più perfezionata, pinzette, rotelle per aghi crinali, braccialetti a verga ritorta e a fune, fibule ad arco di violino, fibule col corpo a foglia di salice o cilindrico, con staffa e gancio terminante a dischetto o a spirale, figurine fittili di animali e più raramente umane; i riscontri con l'Oriente si fanno più intensi, più stringenti con la civiltà cretese-micenea. I contatti con quest'ultima diventano sempre più frequenti con la fine dell'età enea, in cui la civiltà terramaricola, sia per mezzo della propagazione commerciale, sia con lo spostamento delle famiglie umane, varcato l'Appennino, raggiunge il Mare Ionio, come si deduce dalla necropoli a incinerazione di Timmari (Basilicata), fenomeno isolato, e dalla stazione con caratteri terramaricoli della Punta del Tonno, a Taranto, dove si raccolsero idoletti fittili micenei, analoghi ad altri ritrovati in Sicilia. Questa, con una civiltà del tutto propria, più presto soggiacque agl'influssi del Mediterraneo orientale, come è provato da certi oggetti d'osso con rilievi globulari, analoghi ad altri del secondo strato di Hissarlik, scoperti dall'Orsi nella necropoli di Castelluccio. La piena età del bronzo, rappresentata dalle necropoli siracusane (Plemmirio, Milocca, Matrensa, Cozzo Pantano, Tapso, ecc.) e dai villaggi agrigentini (Caldare, Cannatello), mostra che la civiltà indigena persiste e si evolve con le sue caratteristiche tombe scavate nella roccia (a forno), con l'abitazione in capanne circolari, con ceramica ben diversa da quella della penisola; fra i cui tipi abbondano i prodotti importati o imitati dalla civiltà cretese-micenea, insieme alle fibule ad arco di violino, a gomito, serpeggianti, ad arpa; ai pugnali; alle spade. Ma i prodotti importati, se costituiscono un prezioso ausilio per la cronologia, non esercitarono un'influenza profonda, trasformatrice, sulla civiltà indigena.
Anche la Sardegna, nonostante lievi contatti con l'Egeo e con Creta (idoletti cicladici delle tombe eneolitiche di Anghelu Ruju, e pani di rame cretesi di Serra Illixi), nonostante i rapporti più numerosi con la civiltà iberica, sviluppa nell'età enea la sua civiltà particolare, dai nuraghi (v.) rappresentata in modo singolare: civiltà austera di pastori e di guerrieri, esperti nella lavorazione del metallo, di cui l'isola è ricca, e, come provano gli avanzi di fonderie, abili fonditori non solo di armi e di strumenti ma di opere d'arte, quali realmente sono le numerosissime statuette votive, rudi ma espressive, ritrovate nei nuraghi, nelle tombe, nelle stipi dei santuarî, nei "ripostigli", e costituenti una nota singolarmente caratteristica della civilti sarda preistorica.
La regione iberica, straordinariamente ricca di miniere, fu certo uno dei centri metallurgici più importanti; nel periodo eneolitico, ben rappresentato dalle tombe di Los Millares, nella provincia di Almeria, le sue influenze si esercitarono sull'Occidente europeo e anche nel bacino mediterraneo, in forma di vero primato industriale e commerciale. Tale posto privilegiato si mantenne nei primi tempi dell'età del bronzo; ma altri centri metallurgici, come la Sardegna e l'Italia, e più a nord le Isole Britanniche, che divennero il principale centro di rifornimento dello stagno, tolsero alla Spagna quel primato. La più antica età del bronzo iberica è rappresentata dalla necropoli di El Argar, sempre nella provincia di Almeria, alla quale si collegano altre vestigia minori; il rito funebre praticato è l'inumazione in fosse, in casse composte di lastroni di pietra, col cadavere ripiegato, e anche in grandi vasi di terracotta; gli oggetti di corredo, analoghi a quelli delle altre regioni, meno qualche tipo particolare, rivelano i contatti con la civiltà cretese-micenea, già attivi nel precedente periodo eneolitico. Benché meno chiara e meno documentata da scoperte, anche nell'Iberia si ha una fase più recente, durante la quale si sviluppa nelle isole Baleari una civiltà particolare, che prende il nome da costruzioni megalitiche con pianta circolare e forma conico-piramidale: i talayots, che hanno qualche rassomiglianza con i nuraghi della Sardegna; accanto ad essi altri monumenti caratteristici sono le grotte funerarie, scavate in forma di nave rovesciata (navetas). Mentre queste forme di sepolcro non si discostano troppo dal tipo delle camerette funebri, scavate nella roccia, e dalle tombe a forno (Italia meridionale, Sicilia), i talayots rientrano in una classe ben determinata di costruzioni megalitiche, proprie del bacino del Mediterraneo; alla quale classe, oltre ai nuraghi sardi, appartengono i sesi (costruzioni a forma tronco-conica e con pianta ellittica o circolare) di Pantelleria, e le grandi costruzioni megalitiche, più complesse nella pianta e anche adorne artisticamente (i cosiddetti "templi" e "gigantia"), di Malta e Gozo.
Per le altre provincie europee, specie dell'Occidente e del centro bastano le notizie sommarie già date nel quadro dei periodi cronologici; qualche più particolare notizia convien dare riguardo alle manifestazioni industriali dell'Europa settentrionale ed orientale.
Il numero e la lavorazione dei bronzi dell'Europa nordica, specialmente della Svezia meridionale (Scania, Gotaland), della Danimarca, dello Jutland e del Meeklemburgo, costituiscono un fenomeno veramente imponente. Benché si debba supporre che la materia prima, il bronzo già preparato nella lega, provenisse dall'estero, a parte qualche oggetto d'origine straniera, la maggioranza delle armi e degli strumenti era fabbricata sul posto: l'arte della fusione, in forme o matrici di pietra frequentemente ritrovate, e anche col processo "a cera perduta", raggiunse una perfezione tale che solo le più squisite opere della civiltà egeo-micenea possono reggere al confronto. Soprattutto con la seconda fase o periodo, la superiorità dei metallurgisti del nord, di fronte a quelli della restante Europa, si afferma indiscutibilmente: nelle forme più pure ed eleganti, nella ricchezza e nella nobiltà della decorazione artistica. Motivo dominante è la spirale, che viene impiegata sistematicamente, talora con complicate disposizioni, per adornare armi e oggetti di abbigliamento; è il motivo decorativo che appare originario nella civiltà del Mediterraneo orientale, premicenea e micenea. Poiché esso manca o è assai raro nell'Occidente, mentre si riscontra nei paesi intermedî fra il nord e il sud (Balcani, Ungheria, Transilvania, Italia adriatica, Boemia, Germania), giustamente si ritiene che sia il prodotto di relazioni intervenute fra l'Europa settentrionale e i paesi in cui fiorì la civiltà micenea; il commercio dell'ambra, scendente dalle rive del Baltico, nei paesi mediterranei (dove con l'industria del bronzo l'ambra appare largamente impiegata nell'abbigliamento, fino a toccare il massimo nella successiva età del ferro), spiegherebbe i lontani riflessi della splendida civiltà fiorita nei paesi che poi furono greci, e dove ben altre sono le note caratteristiche della civiltà, per la fase qui trattata, all'infuori del puro e semplice impiego del bronzo per le armi e per gli strumenti.
Qualche archeologo, di fronte alla ricchezza e all'intensità delle manifestazioni scandinave, arrivò a supporre che lo straordinario sviluppo fosse l'effetto della penetrazione anche di nuovi elementi etnici: ma se si considera che già nella precedente età della pietra si era verificato, nella medesima regione, uno straordinario sviluppo di forme e di tecnica, viene fatto di pensare che, più verosimilmente, le ragioni del fenomeno riscontrato per l'età enea riposino soltanto nell'indole stessa delle popolazioni nordiche, favorita dalle condizioni geografiche e climatiche e infine dall'attività del commercio dell'ambra. Grandi pittografie, incise sulle pareti rocciose, esistenti specialmente nell Svezia (Bohus Len, Östergötland), e anche in Norvegia, contenenti schematiche figure di uomini, animali, armi, strumenti, navi, appartenenti alla fine dell'età enea, costituiscono un prezioso aiuto per la comprensione della civiltà delle popolazioni che, non usando la scrittura, ricorsero alla pittografia per tramandare la memoria di avvenimenti importanti; da queste incisioni si ha la conferma o la prova che erano in vigore l'agricoltura, l'addomesticamento di animali come il cavallo, la navigazione con grandi barche senza vele. Le tombe hanno conservato intatte le vestimenta del tempo, in lana di montone tessuta; le più celebri scoperte furono fatte in Danimarca: nel 1861, nel tumulo di Treenøi, contenente lo scheletro di un guerriero con le sue armi e i suoi vestiti (casco, largo mantello, una specie di tunica, due coprigamba di lana); nel 1871, nel tumulo di Borum Eshøi, dove fu trovato lo scheletro di una donna, con una lunga vestaglia, una giacchetta corta munita di larghe maniche e aperta sul davanti, e una doppia cintura, il tutto di lana; altre scoperte completano l'abbigliamento con oggetti di ornamento, fra cui spiccano i dischi umbonati finemente ornati con fasce concentriche di spirali. Il costume nordico è il più completo che si possa mettere a confronto con quello della civiltà minoico-micenea, noto per mezzo di rappresentazioni figurate.
La provincia ungherese ha dato bronzi di tipo particolare; degne di speciale menzione sono le asce-martelli di varia forma e le spade con impugnatura piena, adorna di motivi spiraliformi, che si riscontrano anche su oggetti d'abbigliamento.
Nella regione estrema, massimo interesse destano i ritrovamenti dello Jenissei; due centri distinti ivi si devono riconoscere, l'uno settentrionale (di Krasnojarsk) che mostra un maggior numero di contatti, attraverso gli Urali e la Russia, con l'industria europea; l'altro meridionale (di Minussin) più legato all'Asia centrale, da cui trae origine. L'espressione più caratteristica di questa civiltà dello Jenissei, che va considerata come un punto di contatto di due diverse correnti civilizzatrici, l'europea e l'asiatica, è fornita dagli ornamenti in rilievo, sulle armi e sugli strumenti, di soggetto animalistico, i quali assumono un valore artistico originale (cfr. Gero v. Merhart, Bronzezeit am Jenissei, Vienna 1926).
Ma il quadro più completo delle condizioni di vita materiale si ha con i ritrovamenti fatti nelle palafitte soprattutto della Svizzera, e nelle terramare italiane, data l'abbondanza dei resti animali e vegetali, oltre i relitti dell'industria umana. Non solo si ha prova della salda organizzazione politica, che presuppone un superamento dello spirito individualistico prevalente nella civiltà della pietra, ma si trae la certezza che le popolazioni costruttrici di quelle primitive città erano dedite alla pesca, alla caccia, alla pastorizia, all'agricoltura; allevavano il bestiame, possedevano le prime norme della panificazione, praticavano l'arte della tessitura fabbricando stoffe di lino; impiegavano, oltre il rame e il bronzo, la pietra e l'osso e il corno per i loro utensili. Fra i vegetali coltivati si ha il grano (di tre qualità), il lino (angustifolium), l'orzo (di due qualità), il miglio (di due qualità), l'avena; i semi di faggi, ciliege, lamponi, mele, pere, mostrano che si facevano provvigioni di frutta mangerecce, cui si aggiungono le nocciole, le ghiande per i maiali, e perfino i semi della vite, raccolti nelle terramare. Abbondanti si trovarono i resti del bove e del maiale (di due specie); addomesticati erano anche il cane, il cavallo, e forse l'asino.
Più scarse sono le notizie che si possono dedurre nei riguardi della vita spirituale; è ammissibile una religione naturalistica, in cui spiccava il culto solare, attestato da qualche monumento d'arte figurata, come il piccolo carro di bronzo, con sei ruote e un cavallo, sopportante un disco, trovato nel 1902 a Trundholm (Seeland), e dalle numerose figure simboliche adornanti armi e oggetti di abbigliamento. Ma è difficile seguire la tesi del Déchelette (op. cit., pp. 409-484) che, appoggiandosi sullo sviluppo delle manifestazioni simboliche proprie della successiva età del ferro, stabilisce che il culto solare sia stato alla base di una religione comune alle varie popolazioni. Altri oggetti di culto della civiltà enea sono l'ascia (già apparsa nell'età neolitica, e sotto forma di bipenne largamente adorata nella civiltà cretese-micenea) e le corna (o croissants), che certamente sono da mettere in relazione con il culto del toro, così importante anch'esso nella civiltà cretese-micenea; monumenti del genere furono ritrovati anche nelle palafitte svizzere e savoiarde; né da essi può separarsi l'ansa lunata o cornuta, caratteristica della stoviglia terramaricola.
Ma il culto più documentato, praticato durante la civiltà di cui stiamo trattando, è quello delle acque, sia sorgive sia medicamentose, e per cui importanti sono le testimonianze nella penisola italiana (esempî celebri: la grotta di Pertosa nel Salernitano, la fonte della Panighina nel Forlivese, S. Moritz nell'Engadina): il gettito di stoviglie d'impasto, per lo più minute, formanti una vera stipe sacra, dimostra il rituale seguito e la santità attribuita all'elemento sorgivo, il cui culto perdurò nei tempi successivi.
Per quanto riguarda l'attività agonistica, se si fa astrazione dalla civiltà cretese-micenea, e si considera l'Europa che propriamente si potrebbe denominare barbara, si deve riconoscere quasi la mancanza e in ogni modo la rarità di rappresentazioni figurate, cioè di opere in plastica o scolpite. La mentalità artistica delle popolazioni produttrici della civiltà enea si manifesta eccellente solo nella decorazione, nell'arte puramente ornamentale; tranne questa arte non si hanno che le incisioni rupestri della Scandinavia accanto alle quali debbono essere ricordate quelle italiane delle Alpi Marittime, in Val Meraviglie e Val Fontanalba (cfr. P. Barocelli, in Historia, II, 1928, pp. 19-49), e le rozze figurine rappresentanti animali, non più che infantili abbozzi, che sono state raccolte nelle terramare e in altri strati coevi.
Guardata nel suo complesso, la civiltà del bronzo segna dunque un punto di notevolissima importanza nell'ascensione civile dell'umanità; con il lavoro manuale elevatosi a dignità artistica, l'industria e i mestieri assumono un carattere stabile e atto al maggiore perfezionamento.
Basta riflettere alla numerosissima serie degli strumenti, tra i quali primeggiano le asce (nelle tre forme fondamentali: coltelli-asce, se idonee a servire anche come coltelli, dato il taglio semicircolare; paalstav, secondo una vecchia terminologia dovuta agli archeologi scandinavi, se con margini rialzati e abbattuti verso il mezzo; celt, secondo altra vecchia dizione, se munite di bossolo per il manico, cioè a cannone); basta pensare che durante lo svolgersi di questa fase di civiltà sorge la spada, si foggiano i primi elmetti e i primi scudi; si fabbrica una ricca serie di oggetti d'abbigliamento (l'artigiano, il guerriero, la donna elegante vengono così a comporre una triade espressiva), si tessono la lana e il lino, si costruiscono battelli di forme appropriate, carri e vetture su ruote; infine esiste una rete non indifferente di vie commerciali, marittime e terrestri, le quali legano fra loro le varie tribù umane, i diversi centri civili, anche fortemente distanziati. Con siffatto mezzo non solo si propagarono dai privilegiati paesi d'origine i minerali bruti, rame, stagno, oro, argento, specie sotto forma di pani o lingotti, ma anche si trasportarono pezzi di bronzo già dosato e pronto per la definitiva lavorazione, e perfino armi e strumenti e minuti oggetti già confezionati. Altro elemento attivo che dobbiamo ammettere è l'uomo, come artigiano ambulante, girovago, fonditore e vasaio; così semplicemente si possono spiegare, senza ricorrere al fattore delle grandi immigrazioni etniche, parecchie analogie formali che si possono notare fra regioni diverse.
Ma questa civiltà enea non è unitaria, né presenta uniformità di sviluppo nelle varie parti del mondo; per ragioni d'indole geografica ed etnica essa si differenzia notevolmente, e non solo per il contenuto sostanziale e per gli aspetti formali, ma altresì per la data iniziale e per la durata nel tempo. Se i dotti scandinavi ben compresero l'entità di questa importante fase, essenziale al progresso civile del genere umano, e la chiamarono età, tuttavia, in accordo con i più moderni principî della paletnologia, che dànno maggior valore ai cicli culturali, il termine più appropriato è quello di civiltà. Quindi, non a torto, in anni passati, Sophus Müller affermava che, cronologicamente parlando, non esiste un'età del bronzo europea, in generale; ma per il medesimo autore il termine età assume il suo significato più pieno e sicuro, se si considerano le manifestazioni industriali della Europa nordica, in special modo della Scandinavia con le isole danesi e lo Jutland. È qui che la civiltà del bronzo, oltre a una più lunga durata nel tempo, a confronto dei paesi mediterranei, raggiunse il massimo grado di sviluppo e di ricchezza, sia dal punto di vista tecnico, sia dal punto di vita artistico; tanto da giustificare pienamente l'intuizione del danese Thomsen, il quale per primo indicò la fase enea come essenziale nel corso delle tre tappe successive dell'incivilimento.
Ma, nonostante le differenziazioni geografiche e le diversità di sviluppo, e le varietà di contenuto e d'aspetti esteriori, di una età del bronzo, sussistente per tutte le regioni dell'Europa, si può sempre parlare. Anzi, com'è stato detto in principio, ciò vale per quasi tutto il mondo; basta riflettere che il valore consiste non nell'elemento cronologico, ma nella sostanza culturale. È il valore di stadio dell'incivilimento che va assunto come principio.
Bibl.: Oltre agli studî particolari citati nel testo, v.: V. Bérard, Les Phéniciens et l'Odyssée, Parigi 1927, I, pp. 379-394; P. Bosch Gimpera, La migration des types ecc., in Revue archéol., XXII (1925), p. 191 seg.; id., I rapporti fra le civiltà mediterranee, ecc., in Atti del Convegno archeol. in Sardegna, 1926, 2ª edizione, 1929; G. A. Colini, L'età del bronzo in Italia, in Atti del Congr. internazionale scienze stor., V, 1904 (cfr. Bull. Paletn., XXIX-XXX-XXXI); J. Déchelette, Manuel d'archéol. préhist., II, Parigi 1910 (con ricca bibliog. particolare); A. Della Seta, Italia antica, 2ª ed., Bergamo 1928, pp. 33-68; J. De Morgan, L'humanité préhist., Parigi 1921, pp. 119-135; id., La Préhist. orientale, III, Parigi 1927, pp. 162-262; G. e A. De Mortillet, Musée préhist., 2ª edizione, Parigi 1903, tavv. LXXI-XCVII; M. Hoernes, L'uomo (trad. ital. Zanolli), Milano 1913, pp. 208-263; O. Montelius, Les temps préhist. en Suéde ecc. (traduz. franc. Reinach), Parigi 1895, pp. 54-139; id., Pre-Classical Chronol. in Grece and Italy, in Journ. Anthrop. Inst., 1897; id., Die Chronologie d. ältest. Bronzezeit in Nord-Deutschl. u. Skandin., Brunswick 1900 (da Archiv für Anthrop., XXV-XXVI); id., La Chronol. préhist. en France ecc., in L'Anthropologie, 1901, pp. 609-623; id., Die vorklass. Chronol. Italiens, Stoccolma 1912; id., Bronzezeit, in Ebert, Reallexik. d. Vorgesch., II, p. 179 segg.; A. Mosso, Le armi più antiche ecc., in Memorie Acc. Lincei (cl. sc. mor.), s. 5ª, XII, 1907; id., Le origini d. civiltà mediterr., Milano 1910, pp. 217-247; S. Müller, L'Europe préhist. (trad. franc. Philipot), Parigi s. a.; id., L'Âge du Br. en Slesvig, in Mémoires. d. la Soc. roy. des Antiquaires du Nord, n. s., 1916-1917; R. Munro, Palaeol. Man a. Terramara Settlem. in Europe, Edimburgo 1912; T. E. Peet, The Stone a. Bronze Ages in Italy ecc., Oxford 1909; C. Schuhhardt, Alteuropa, 2ª ed., Berlino-Lipsia 1926; H. Seger, Lausitzische Kult., in Ebert, Reallex. d. Vorgesch., VII, p. 251 segg.
Il bronzo nell'arte.
L'arte classica. - Nei prodotti di nessun altro popolo il bronzo ha avuto una parte così importante e significativa come presso i Greci e, dietro il loro esempio, presso gli Etruschi e i Romani. Né questa parte è riservata ad usi particolari, ma il bronzo serve indistintamente agli usi sacri e profani più svariati, alla suppellettile domestica, all'abbigliamento della persona, agli utensili di cucina, agli strumenti chirurgici, alle armi, ai carri, ai mobili, alle parti dell'architettura e così via.
Certamente siffatta larghissima applicazione è dovuta in primo luogo alle qualità della materia. Relativamente prezioso, ma assai più accessibile dell'oro e dell'argento, il bronzo ha in comune con questi metalli l'alto grado di perennità e di trattabilità insieme, ossia duttilità, malleabilità, fusibilità: facoltà queste che determinano le varie sue applicazioni tecniche nell'arte.
Uso antichissimo di lavorazione del bronzo è quello della lamina che, più o meno riscaldata, si presta a tirarne oggetti diversi, bacili, vasi, corazze e persino figure. Il modo più frequente però è quello della lamina o falda sovrapposta a una superficie di altra materia, a guisa d'incrostazione, e suscettibile di decorazione, ornamentale o figurata, mediante disegno inciso o rilievo a sbalzo. Talvolta questo procedimento si spinse fino a rivestire di una lamina bronzea statue scolpite in legno o plasmate in argilla. Un altro metodo di lavorazione consisteva nel battere col martello sopra un modello di legno il metallo arroventato (σϕυρήλατον). E su conî si battevano senza dubbio anche le monete.
Non mancano nemmeno esempî di rilievi in bronzo fuso. Campo preferito della fusione però è la statuaria, alla quale il procedimento, secondo la tradizione, venne per la prima volta applicato in Grecia verso la metà del sec. VI a. C., per opera di Reco e Teodoro di Samo, che a lor volta lo ebbero dagli Egizî.
Di opere in bronzo e di artisti bronzisti informano numerose notizie sparse nella letteratura antica e nei documenti epigrafici. Fonte nostra principale è Plinio che, nella sua Storia Naturale, all'arte del bronzo consacra più della metà del XXXIV libro (cap. 1-93: la statuaria dal cap. 15 in poi), parlando delle varie leghe (deliaca, eginetica, corinzia, cui va aggiunta la tirrenica, celebrata anche in Grecia), dei soggetti rappresentati, e infine della statuaria in bronzo. I sommi maestri dell'arte (Pitagora, Mirone, Fidia, Policleto, Scopa, Prassitele, Lisippo) si servirono, alcuni anzi esclusivamente, di questa tecnica; i soggetti trattati furono i più varî, dalle figure isolate ai gruppi, come quelli assai affollati della battaglia sul Granico e della caccia di Alessandro Magno, opere di Lisippo. Anche le dimensioni delle figure andavano dai pochissimi centimetri delle piccole statuine ai 45, 60, 102 e persino 119½ piedi dei colossi, quale quello di Nerone fatto da Zenodoro. Dell'enorme quantità della produzione possiamo formarci un concetto, quando leggiamo che nel trionfo etolico di Marco Fulvio Nobiliore furono portate 785 statue enee e 200 marmoree; che nell'85 a. C. l'edile Marco Scauro ornò la scena di un teatro provvisorio di 3000 statue, ugualmente di bronzo; che dall'espugnazione di Volsinii (265 a. C.) se ne riportarono 2000; e che ai tempi di Plinio stesso (60-70 d. C.) nella sola isola di Rodi se ne contavano 73.000. Né minore si valutava il numero di quelle allora esistenti in Atene, Olimpia, Delfi.
Di tale esuberantissima fioritura solo scarsi avanzi ci sono pervenuti: ché il valore materiale del bronzo incitava alla distruzione. Abbondano bensì tuttora le piccole figurine, ma sono per lo più circostanze speciali, quali il sotterramento delle città vesuviane, l'affondamento di navi cariche di opere d'arte, il nascondimento deliberato, quelle a cui si deve la conservazione di statue in bronzo di grandi dimensioni. Di queste anche gli scavi maggiori hanno dato esigua messe, quando si eccettui il celebre auriga di Delfi.
In questo, come in altri esemplari di sculture in bronzo, ci è dato ammirare la stupenda perfezione tecnica così nella preparazione della lega come nella fusione stessa, il minimo spessore della parete enea, l'ingegnosa semplicità degli espedienti statici, la sapiente distribuzione del complesso in tante parti fuse separatamente, come avveniva anche nelle statuette piccole, l'uso discreto ma efficace della doratura in diademi o in altri ornamenti, degli intarsî in argento o rame per far risaltare labbra, unghie, capezzoli, dello smalto, vetro o pietre colorate per dar vita agli occhi. Quantunque l'analisi chimica moderna non sia riuscita a strappare ai bronzi antichi ogni segreto della loro composizione, né si siano rivelati interamente i procedimenti tecnici del getto, è lecito tuttavia supporre che quest'ultimo si facesse per lo più col procedimento detto a cera perduta e che non poco della tradizione classica si sia conservato nelle ricette e nelle pratiche delle officine attraverso il Medioevo e il Rinascimento.
Come in altri suoi rami, l'arte antica ottenne dall'immensa esperienza secolare quella perfezione esercitata spessissimo su compiti uguali o affini, onde il lavoro si semplificava e accelerava. Non parrà quindi incredibile il numero di 1500 statue attribuito al grande Lisippo come totale di una vita lunga e operosa. Ma d'altra parte, ad illustrare la scrupolosa diligenza con la quale procedevano anche gli artefici più umili, sta il fatto, accertato da studî recenti che anche nei prodotti industriali le parti tra loro uguali, quali i piedi di un tripode, venivano modellate, ciascuna individualmente, sopra una comune base di legno.
Pur tuttavia potrà imporsi il quesito come mai una materia in fondo così austera, quale è il bronzo, avesse acquistato tanto favore nella statuaria antica. Si è supposto che ciò dipendesse da ragioni ottiche, la luce di ambienti chiusi confacendosi di più agli effetti del marmo, e acquistando invece maggior risalto il bronzo nei luoghi aperti: e all'aperto infatti era la maggior parte delle statue enee, quali quelle onorarie, degli atleti vincitori, ecc. Ma troppi sono d'altra parte gli esempî di statue di bronzo poste nelle celle di templi o nell'interno di case, e viceversa di statue marmoree innalzate allo scoperto, per non dover cercare ragione più profonda. Nel colore scuro del bronzo vi è una spinta fortissima a far risaltare nell'opera i valori plastici, l'evidenza della linea, la precisione dei piani, tutto cioè quel complesso di qualità che fanno riconoscere lo stile proprio del bronzo persino nelle copie in marmo da originali in bronzo, che furono tanto in voga nell'età posteriore. E di più: il lavoro in bronzo fuso favorisce la libertà di movimento nella statua, il distacco delle parti, a ottenere il quale il marmista spessissimo deve ricorrere a sostegni e puntelli; favorisce insomma la creazione veramente statuaria. Il lavoro in lamina sostanzialmente è lavoro di rilievo: ed esso anche nelle arti d'Oriente fu portato a un livello altissimo, non inferiore a quello dei Greci. Invece nella statuaria i Greci lasciarono dietro a sé tutti gli altri, anche gli Egizî, dandole un'evoluzione né prima raggiunta né dopo superata. Ciò fu dovuto all'intima loro attitudine artistica, tendente fin da principio a dare la massima perfezione sia alle arti, sia all'espressione plastica, statuaria. E mentre gli Egizî, pur essendo in generale esperti della tecnica, la disdegnarono nella grande loro arte statuaria, al contrario i Greci, con felice intuito, se ne giovarono come di uno strumento assai appropriato a ciò che costituiva un lato privilegiato della loro indole artistica.
Bibl.: C. Friedrichs, Kleinere Kunst und Industrie im Altertum. Berlins antike Bildwerke, II, Düsseldorf 1871; G. Humbert, Aes, in Daremberg e Saglio, Diction. Antiq. grec. et rom., I, Parigi 1877, p. 121 segg.; H. Blümner, Technologie und Terminologie der Gewerbe und Künste bei Griechen und Römern, IV, i, p. i segg., Lipsia 1887; id., in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., III, Stoccarda 1899, col. 892 segg.; IV, 1907, col. 607 segg.; A. Furtwängler, Die Bronzen und die übrigen kleineren Funde von Olympia, in Olympia, IV, Berlino 1890; A. Hildebrand, Das Problem der Form in der bildenden Kunst, Strasburgo 1893 (poi ediz. ulteriori); P. Pernice, Untersuchungen zur antiken Toreutik, in Jahreshefte d. österr. archäol. Instit., VII (1904), p. 154 segg.; VIII (1905), p. 51 segg.; E. Löwy, Stein und Erz in der statuarischen Kunst, in Kunstgeschichtl. Anzeigen 1913, Innsbruck 1915, p. 5 segg.; K. Kluge- K. Lehmann-Hartleben, Die antiken Grossbronzen, I-III, Berlino-Lipsia 1927.
L'arte medievale e moderna. - Nel Medioevo e nell'età moderna il bronzo ebbe larghissima applicazione presso tutti i popoli, sia nelle arti maggiori sia nelle minori. Concorsero a mantenerne l'uso in Occidente le conoscenze tecniche trasmesse dall'antichità e l'importazione frequente di oggetti dall'Oriente, i cui popoli avevano raggiunto anch'essi un notevole grado di abilità nel trattare quella materia; ma in un lungo periodo medievale sembra essere stato limitato a piccoli oggetti per incapacità di condurre fusioni in grande.
All'antichità cristiana appartengono molti piccoli oggetti, come medaglie o lucerne, talvolta montate su sostegni a candelabro o a tripode, e arredi del culto (vasi, incensieri, ecc.), ma è assai dubbio che ad essa risalga la statua bronzea di S. Pietro in Vaticano, ora più comunemente attribuita al sec. XIII. Nei primi secoli del Medioevo, mentre le popolazioni barbariche seguitavano a lavorare variatamente il bronzo nelle armi, nelle fibule e in oggetti varî, in Italia si mantenne l'uso del bronzo, sia nella suppellettile liturgica sia in elementi di decorazione architettonica (transenne; imposte del battistero lateranense, del sec. V), contribuendovi, accanto ai resti delle tradizioni antiche, l'influsso esercitato dall'arte di Bisanzio, dove la pratica della fusione era meglio nota, come provano le mirabili imposte dell'anno 838, in S. Sofia di Costantinopoli, a ornati in rilievo e a tarsia. Fuori d'Italia nell'età Carolingia tornò in uso la fusione d'arte (statuetta di Carlo Magno di Metz, ora nel Museo Carnavalet a Parigi); e tale conoscenza fu continuata nei monasteri, dove si concentrò tanta parte anche dell'esperienza artistica intomo al cadere del millennio: anzi, il monaco Teofilo lasciò nella sua Schedula diversarum artium preziose informazioni su quella tecnica, e si debbono all'attività di uno dei maggiori centri monastici della Germania, Hildesheim, le prime affermazioni di una scultura in bronzo originale anche nell'espressione, quali le porte e la "colonna" del convento di San Michele (1015, ora nella cattedrale di Hildesheim), capolavori di tecnica fusoria mirabili per intensità d'ingenua rappresentazione. Il periodo romanico vide in Italia una ripresa originale della pratica della fusione nelle porte di bronzo in cui la scultura espresse il suo crescente potere plastico (porte del San Zeno di Verona; di Bonanno Pisano per le cattedrali di Pisa e di Monreale; di Barisano a Trani, a Ravello, a Monreale; di Benevento, di Bertuccio nel S. Marco di Venezia), mentre da Costantinopoli giungevano altre porte di bronzo non a rilievi ma a damaschinatura d'argento (Amalfi, Salerno, Montecassino, Basilica Ostiense, S. Michele al Gargano, Venezia, ecc.) e influivano su quelle di Ruggero d'Amalfi a Canosa, di Oderisio a Troia. Tra noi, nella fusione di campane, dapprima eccelsero i Pisani; ma si fecero anche piccoli oggetti d'uso o per il culto (croci stazionali o processionali, anche con smalti e a graffito, candelieri, turiboli) e alla fine del '200 si trattava ormai liberamente il getto a tutto tondo (gruppo della fonte di Perugia, 1278). Anche fuori d'Italia nel periodo romanico progredì sempre più la pratica della fusione, seguendo il raffinato senso plastico, soprattutto nelle regioni renane, dove le numerose scuole monastiche produssero suppellettili ecclesiastiche e anche profane in gran numero e di gran pregio (notevoli gli acquamanili, per lo più in forma d'animali), giungendo sino al virtuosismo del grande candelabro del duomo di Milano, ora attribuito a Nicola da Verdun (fine del secolo XII). Il periodo gotico vide diffondersi sempre più l'uso del bronzo anche nella grande arte, mentre, specialmente nelle Fiandre, e per oggetti minori, era preferito l'ottone. I fonditori tedeschi producevano fonti battesimali, lampadarî, candelabri da altare. In Italia non soltanto si provvedevano campane per le cattedrali e per i palazzi comunali, o figure di automi per gli orologi pubblici: si gettavano i grandi bronzi per la facciata del duomo di Orvieto; fonditori veneziani vennero a gettare (1332) le porte modellate da Andrea da Pontedera nel Battistero di Firenze; e nella cancellata intorno al tabernacolo di Orsanmichele il bronzo era adattato tra i marmi con squisita finezza (1366).
Ma l'epoca più gloriosa fu senza dubbio quella del Rinascimento italiano, in cui il bronzo fu preferito dai maggiori scultori, anche per il suo carattere monumentale. Firenze raggiunse la maggior finezza nelle fusioni grandi: le porte del Ghiberti, di Donatello, di Luca della Robbia, e più tardi quelle del Sansovino a Venezia e del Giambologna a Pisa manifestano quella piena conoscenza della tecnica che permise agli scultori di gettare in bronzo bassorilievi e statue di meravigliosa sottigliezza nei particolari e nella materia: tra gli altri Bertoldo, il Pollaiolo, il Verrocchio a Firenze; il Vecchietta, Francesco di Giorgio, il Cozzarelli, i Turini a Siena; il Bellano e il Riccio a Padova, e nel sec. XVI il Leopardi, il Sansovino, il Vittoria a Venezia, il Giambologna, il Cellini e il Danti nell'Italia centrale trovarono nel bronzo la più preziosa materia della loro arte e la più docile, anche se facile a ostacoli impreveduti, come sappiamo dalle pagine di Benvenuto nella febbrile fusione del suo Perseo (v. fusione). Si cercò talvolta di unire il bronzo ad altre materie, come nel fonte senese del Battistero o nella tomha medicea del Verrocchio in San Lorenzo; gli altari si popolarono di statue e di candelabri non più in oro o argento, ma in bronzo (Duomo di Siena, Basilica del Santo a Padova), e accanto ai capolavori della scultura si sviluppò tutta una produzione di lavori d'utilità e d'ornato come la cancellata della cappella del duomo di Prato, rigogliosa più che non fosse stata prima, di oggetti per la mensa sacra e per quella profana (candelieri, calamai, campanelli, rinfrescatoi, mortai), di statuette o di gruppi originali o imitati dall'antico che diventano ornamento indispensabile degli ambienti e suscitano anche lo zelo dei collezionisti. Il bronzo viene anche dorato, argentato, specialmente in suppellettili chiesastiche e in oggetti di ornamento; speciali lacche nerastre furono usate ad aumentarne la bellezza producendovi patine artificiali. Accanto a tutta questa produzione che attesta di una sicurezza di tecnica, di una ricchezza di fantasia e di un senso decorativo che furon prerogativa soprattutto dei bronzisti fiorentini e padovani e poi veneziani, fiorì anche un nuovo tipo di piccoli rilievi, le placchette o targhette, con rappresentazioni per lo più classiche, mitologiche o allegoriche, desunte specialmente da gemme e cammei antichi, o bibliche e leggendarie: esse servirono da paci, da guarnizioni o anche come ornamenti del costume. Pure quattrocentesca e italiana è l'origine della medaglia fusa, che in Italia ebbe insigni maestri, a cominciare dal Pisanello (v. medaglia).
Non altrettanta eccellenza, se anche una quasi uguale ricchezza di produzione, raggiunse nelle statuette la Germania nel sec. XVI, con Peter Vischer e Hans Leinberger, né maggiore sapienza d'arte mostrò negli strumenti scientifici, nei mortai, nei martelli da porta che sono tra le manifestazioni della decorazione in bronzo di quel secolo.
Si mantenne l'eccellenza della produzione italiana nei bronzi dei grandi maestri - del Bernini, dell'Algardi - ma divenne sempre più importante, specie nella decorazione, quella francese. In Francia il bronzo diviene omamento principale dei mobili sotto Luigi XIV; e sotto Colbert comincia anche una produzione artistica vera e propria di statue e di ornamenti destinati specialmente al castello di Versailles. Le fonderie sorte allora a Parigi producevano non solo cannoni ma anche oggetti d'arte, e sperimentarono progressi tecnici nelle leghe e nella fusione. Sono di questo tempo anche alcuni libri di modelli per oggetti di decorazione in bronzo, come chiavi, parti di cancellate, ecc. (Huquier 1740, Blondel). L'uso del bronzo nella decorazione dei mobili si estese alla Germania e all'Inghilterra e perdurò anche nel rococò e nel periodo dello stile Luigi XVI; si fecero anche montature di porcellane, lampadarî, candelabri, alari, orologi, bruciaprofumi, su disegni di artisti rinomati; e gran nome ebbero i bronzisti e cesellatori parigini come Thomire, Gouthière, Forestier e Fouchère. L'Inghilterra, pur seguendo la moda francese, conservò intatte le sue forme decorative, asciutte ma non prive di grazia. In Italia anche il Piranesi fece abbozzi per paracamini o parafuochi traforati di forma lussureggiante, orologi, lumiere, vasi, ecc.; l'Albertolli disegnò con minor fantasia; e vi furono pure fonditori non spregevoli di guarnizioni per mobili.
Sotto l'Impero continuò la produzione sempre più intensa di oggetti di bronzo che univano alla severità delle forme classiche la leggiadria e la grazia francese; oggetti d'illuminazione, guarnizioni da camino (soprattutto orologi), centri da tavola per corti o famiglie principesche, vasi di decorazione, guarnizioni da scrivanie. Nel sec. XIX la Francia tenne ancora uno dei primi posti nella produzione dei bronzi ornamentali; ma, se continuò ovunque l'uso del bronzo come materia scultoria, negli oggetti d'arte decorativa esso fu diminuito dall'introduzione di altri metalli e dalla diffusione dei processi galvanici.
Notevole è soprattutto il riapparire della medaglia fusa in Francia sullo scorcio del secolo, rinnovamento questo che si è esteso a poco a poco alle altre nazioni.
Bibl.: A. Didron, Manuel des oeuvres de bronze et d'orfèvrerie du moyen-âge, Parigi 1859; J. Labarte, Histoire des arts industriels au moyen-âge et à l'époque de la Renaissance, I, Parigi 1864; C. Drury e E. Fortnum, A descriptive catalogue of the bronzes of European Origin in the South Kensington Museum, with an introductory notice, Londra 1876; H. Lüer e M. Kreutz, Geschichte der Metalkunst, I, Stoccarda 1904; G. Lehnert, Geschichte des Kunstgewerbes, Berlino s. a.; F. Schottmüller, Bronzestatuetten u. Geräte, Berlino 1921; L. Planiscig, Die Bronzeplastiken (Catalogo del Kunsthistorische Museum di Vienna), Vienna 1924; G. Meller, Die deutschen Bronzestatuetten d. Renaissance, Firenze 1926; Raccolta A. Barsanti, Bronzi italiani, Roma 1922; A. Goldschmidt, Die deutschen Brontzetüren d. frühen Mittelalters, Marburg 1926; P. Toesca, Storia dell'arte italiana, I, Torino 1927.
L'arte musulmana. - Presso i popoli islamici il bronzo ebbe una grande diffusione, favorita dalla conoscenza che ne avevano fin dall'antico i popoli asiatici, dalla proibizione dell'uso dei metalli nobili sancita dal Corano, e dall'amore per gli ornamenti connaturato all'indole di quei popoli. Esso divenne così materia a squisite opere di decorazione e d'uso, alcune delle quali hanno un proprio valore plastico, come il grande grifo del Camposanto di Pisa (già ornamento dell'esterno della cattedrale), e in minor grado il cervo del museo di Monaco, nonché il pavone del Louvre - destinati a fontane e ad acquamanili - prodotti in Egitto nell'epoca faṭimita (secoli X-XII). Il bronzo fu adoperato dai musulmani anche nelle porte delle moschee, come quelle della moschea di al-Mu'ayyad e di Sulṭān Ḥasan.
Dalla Spagna e dall'Egitto provengono i più belli esemplari di lampade e lampadarî di bronzo (lampada di Muhammad III di Granata al Museo archeologico di Madrid, lampadarî d'epoca mamelucca al museo del Cairo), mentre l'Egitto soprattutto ci presenta splendidi tipi di cancellate di bronzo, dei secoli XIV e XV, sulle finestre delle fontane per abluzioni (sabīl). Larghissimo fu poi l'uso del bronzo in tutto il territorio musulmano, dalla Spagna all'India, per cofanetti, scrigni, coppe, bacinelle, mortai, ecc.; nei più svariati oggetti d'uso comune o di lusso (di cui le più importanti raccolte sono al Museo arabo del Cairo e al Kaiser-Friedrich Museum di Berlino). E la bella materia fu meravigliosamente arricchita dalle tecniche più raffinate come l'incisione, l'intarsio, l'ageminatura. Al bronzo però fu largamente sostituito l'ottone nei cosiddetti bronzi di Mossul, per lo più ageminati (boccali, tripodi, candelieri, mortai), che ebbero grande diffusione in tutta l'Europa e specialmente a Venezia, dove furono anche imitati. Da questi derivano per lo più nelle forme e negli elementi decorativi i bronzi indiani e turchi del '600 e '700 (boccali e oggetti per caffè).
Bibl.: St. Lane-Poole, Art of the Saracens, Londra 1886; F. R. Martin, Ältere Kupferarbeiten aus dem Orient, Stoccolma 1902; F. Sarre e F. R. Martin, Die Ausstellung von Meisterwerke muhammedanischer Kunst in München, Monaco 1912; E. Kühnel, Islamische Kleinkunst, Berlino 1924; G. Migeon, Mon. d'art musulman, 2ª edizione, Parigi 1927, I, p. 26 segg.
L'arte cinese e giapponese. - L'arte di fondere il bronzo appare già nei più antichi documenti storici della Cina. Però tutte le attribuzioni a data anteriore al 1° millennio a. C. non hanno fondamento, ma sono dovute a ricostruzioni cronologiche assai tarde (v. cina). Soltanto regolari esplorazioni archeologiche daranno in avvenire notizie più precise.
Nell'opera K'ao kung chi (Memorie sulla tecnica delle arti), scritta non prima del sec. I d. C., sono indicati i rapporti seguenti del rame allo stagno per i diversi oggetti: campane, caldaie, vasi sacri (5 : 1); asce, accette (4 : 1); alabarde, tridenti (3 : 1); spade, vanghe, zappe (2 : 1); teste di freccia, coltelli a punta ricurva (3 : 2); specchi piani e concavi (1 : 1). Il metallo bianco combinato col rame non è però soltanto stagno, ma contiene spesso zinco e piombo. Notevoli proporzioni di piombo sembrano necessarie per ottenere le superficie lisce e le perfette modellature che si osservano nei vasi antichi, veramente belli, giunti fino a noi. L'incertezza nella composizione delle leghe proviene altresì dalla rifusione spesso effettuata dei vecchi bronzi. Non si hanno descrizioni esatte della tecnica della fusione, la quale risulta però effettuata col processo della cera perduta. Le caviglie di ferro sostenenti la parte interna della forma dei vasi sono visibili, ed essendo rimaste incluse nel metallo fuso, dànno talvolta un'idea della data del vaso, ché il ferro sembra sia stato adoperato in Cina solo nel sec. V a. C.
I più antichi bronzi artistici cinesi sono talvolta elegantemente ageminati in oro o in argento. Sono più recenti gli incastri nei bronzi di malachiti, turchesi, con sostanze adesive.
Nell'opera Hsüan-ho po-ku t'u lu (Catalogo illustrato della collezione imperiale), stampata per la prima volta nel 1125 d. C., sono registrate una trentina di forme di vasi antichi, di teste di alabarda, di spade, guarniture di balestre, ecc. Le forme dei vasi più antichi sono quelle dette ting, con tre piedi cilindrici che sostengono una caldaia con due manichi od orecchie forate, per sollevare la caldaia con un bastone. I vasi sono decorati con stilizzazioni di animali, insetti, ecc. e raggiungono spesso notevole eleganza e bellezza. Sono altresì decorati con iscrizioni, le quali costituiscono i più antichi documenti scritti della letteratura cinese, esse sono state studiate e riprodotte nelle raccolte epigrafiche della Cina antica (v. epigrafia).
In Cina e in Giappone si ebbero importanti collezioni fin da oltre mille anni or sono. Tra le collezioni più ricche ora esistenti in Oriente sono quelle del Museo nazionale di Pechino (già Museo del palazzo imperiale) e dei musei imperiali di Tokio. Delle collezioni private è notevole quella del barone Sumitomo di Tokio. In Europa si cominciarono ad apprezzare i bronzi cinesi soltanto nella seconda metà del sec. XIX, in America dopo il 1900. Ricchissime le collezioni del British Museum, del Louvre, dei musei americani, tedeschi, ecc.
In Giappone l'arte del bronzo fu appresa dalla Cina; i Giapponesi vi diedero una loro impronta caratteristica (v. giappone).
La diffusione del buddhismo in Cina contribuì allo sviluppo della scultura e della statuaria in bronzo. Una colossale statua del Buddha in piedi, del peso di 60 tonnellate, venne fusa nel 647 d. C.; essa fu superata poi dalle famose statue del Buddha (Daibutsu) in Giappone, dei templi di Nara, nel 746 d. C., di Kamakura nel 1252, ecc. (v. giappone).
Pure di dimensioni colossali sono le cinque campane fuse a Pechino nel periodo 1403-1424, alte metri 4,50, con la circonferenza base di 10 metri e con lo spessore di 20 cm.; e anch'esse furono superate dalle campane giapponesi. Quella di Osaka, forse la più grande del mondo, fusa nel 1902, pesa 155 tonnellate, è alta otto metri, ha sedici metri di circonferenza base e lo spessore di 40 cm.
Notevoli ancora gli strumenti astronomici in bronzo eretti nel 1279 dall'astronomo Kuo Shou-chin in Pekino sotto l'imperatore Qubilai (v. astronomia, V, p. 106), interessanti anche per la storia dell'arte.
Singolari infine, i tamburi in bronzo della Cina del Sud; uno dei più antichi, datato 199 d. C., si trova nel British Museum. Sono ancora fusi dalle tribù Miao, Shan, della Cina meridionale, e della Birmania.
L'arte birmana e l'arte siamese hanno altresì sviluppato la tecnica del bronzo, specialmente nelle figurazioni di statue del culto buddista.
Bibl.: Fr. Hirth, Chinesische Ansichte über Bronzetrommeln, in Mitt. des Seminar für orient. Sprachen, VII (1904), pagina 200; S. W. Bushell, L'Art chinois, Parigi 1910; H. A. Giles, Chinese Bronzes, in Adversaria Sinica, 1911, pp. 283-297; J. C. Ferguson, An Examination of Chinese Bronzes, in Ann. Report of Smithsonian Institution, 1914, pp. 587-592; id., Outlines of Chinese Art, Bronzes, Chicago 1918, pp. 33-81; A. J. Koop, Early Chinese Bronzes, Londra 1924, Karlbeck, Ancient Chinese Bronze Weapons, China, in Journ. of Science and Arts, III (1925), pp. 127-32; Takata Tadasuke, Ku chou p'ien (Dizionario dell'antica scrittura cinese), Tokio 1925; W. P. Yetts, Chinese Bronzes, Londra 1925 (Burlington Magazine Monograph: Chinese Art); C. W. Bishop, The Bronzes of Hsinchênghsien, in Ann. Report of Smithsonian Institution, 1927, pp. 451-468; M. Rostovzeff, Inlaid Bronzes of the Han Dynasty, Parigi e Bruxelles 1927; O. Kümmel, Chinesische bronzen (Catalogo illustrato di 26 bronzi del Staatliche Museum), Berlino 1928; W. P. Yetts, The Georges Eumorfopoulos Collect., Catal. of the Chinese and Corean Bronzes, ecc., Londra 1929.
L'arte indiana. - Sculture sacre sono state fuse in bronzo nell'India da tempi assai remoti. Ma, tranne che nell'India meridionale, pochi esemplari ne sono conservati che meritino di essere ricordati. Gli oggetti in metallo furono preda dei conquistatori musulmani, alla cui furia devastatrice si sottrassero in parte solo l'India meridionale, Ceylon, il Siam e Giava, dove la tradizione artistica locale non fu mai interrotta completamente e dove infatti furono trovate numerose sculture in bronzo. La scultura in bronzo nell'India meridionale sembra aver avuto la massima fioritura intorno al mille; ma le date dei bronzi giunti a noi sono del tutto incerte. I soggetti preferiti e sempre ripetuti erano raffigurazioni delle divinità Śiva e Parvāti col loro seguito e degli Āchārya (maestri di religione), che si solevano donare ai templî. Le sculture in bronzo dell'India meridionale sono, nell'ambito della scultura indiana che predilesse il basso e l'altorilievo, quasi le uniche sculture lavorate a tutto tondo. I piccoli bronzi raffiguranti santi di Śiva si possono considerare tra le più belle opere dell'arte indiana in genere. Ricordiamo soprattutto le due statue in bronzo di Śiva in atto di ballare, che si conservano nel Museo di Madras (tipo dei secoli X-XII).
Il bronzo fu anche adoperato per i più svariati oggetti di uso domestico e di culto come lampadarî, campane, ecc. Con l'uso del fumare si diffusero, al principio del sec. XVIII, i begli oggetti huqqa (filtri a forma di campana rovesciata, coperchi da braciere, ecc.), spesso preziosamente decorati con incrostazioni d'argento.
Bibl.: A. K. Coomoraswamy, Indian Bronzes, in The Burl. Mag., XVII (1910), pp. 86-94; S. Hadaway, Illustrations of metal Work in Brass and Copper, mostly South Indian, Madras 1913; A. K. Coomoraswamy, Bronzes from Ceylon, chiefly in the Colombo Museum, Ceylon 1914; O. C. Gangoly, South Indian Bronzes, Londra 1915; W. Cohn, Indische Plastik, Berlino 1922, pp. 44-47; L. Adam, Hochasiatische Kunst, Stoccarda 1923; R. Heine-Gelder, Altjavanische Bronzen, Vienna 1925; E. Diez, Die Kunst Indiens, Wildpark-Potsdam s. a., p. 132; E. e R. L. Waldschmidt, in H. Th. Bossert, Gesch. d. Kunstgewerbes, III, Berlino 1930, passim.
V. tavv. CCVII a CCXVIII.