Vedi BRONZO dell'anno: 1959 - 1994
BRONZO (in lat. aes; l'it. bronzo forse da aes Brundisium)
Per Civiltà del Bronzo, v. preistorica, arte. Prende nome di b. una categoria di leghe metalliche composte principalmente di rame (Cu, dal 70 al 90%) e stagno (Sn), ma nella quale possono entrare anche il piombo (Pb), lo zinco (Zn) e l'argento (Ag). L'uso più antico del b. per scopi artistici fu di quello laminato e lavorato a martello su modelli di legno (σϕυρήλατον) con il quale si rivestivano poi supporti in legno che potevano essere oggetti di arredamento, di uso (armi) o anche aver forma di statua. Ancora nei poemi omerici non si conosce altra lavorazione di oggetti in b., e così pure nell'Esodo di Mosè (c. 27 e c. 30); invece il Il Libro dei Re, 7, 46 conosce la fusione. La produzione di lamine bronzee atte alla lavorazione a sbalzo presuppone una tecnica di fusione già abbastanza progredita; si ritiene che le lamine grezze venissero inizialmente importate nei paesi del bacino mediterraneo da quelli asiatici, curvate in foggia di tubi.
Tecnica della fusione. - La lavorazione più antica si presume che abbia avuto inizio mediante martellatura dei metalli rintracciabili in natura allo stato nativo. La scoperta che il rame si poteva ottenere col fuoco da alcuni minerali (cuprite, malachite, azzurite, ecc.) sembra doversi collocare nel 4000-3500 a. C. Successivamente, l'aggiunta di altri minerali ha portato alla scoperta del b. considerato "rame migliore" perché più resistente e più facilmente utilizzabile mediante fusione. Va tenuto presente che il punto di fusione del rame (1085° C) inferiore, tra i metalli usati in età preistorica, solo a quella del ferro (1530°), è assai superiore a quello degli altri metalli, ma che la lega con altri metalli abbassa notevolmente il punto di fusione. Tuttavia questo deve essere sensibilmente sorpassato durante il getto, perché il metallo abbia la fluidità necessaria a penetrare ovunque o non subisca un raffreddamento eccessivo nel contatto con la forma. Viene così aggiunto lo stagno (cassiterite) e poco dopo il piombo (galena). Soltanto verso il 1000 a. C. avviene l'inclusione dello zinco estratto dalla calamina, salvo che per i bronzi ciprioti, georgiani e caucasici, nei quali questo metallo è incluso in modo casuale, poiché i minerali cupriferi colà usati contengono anche minerali di zinco. L'inclusione della calamina (che porta in alcuni casi a una lega simile all'ottone) abbassa molto il punto di fusione e facilita il getto. Sembra che i Greci ne avessero perduto la nozione, ma essa ritorna in uso in ambiente romano alla fine della Repubblica. La percentuale di rame conferisce malleabilità alla lega, quella di stagno durezza; lo zinco dà scorrevolezza e agisce come disossidante attenuando la fragilità. Gli antichi, pur non rendendosi conto dei componenti metallici dei minerali, sapevano come mescolarli per ottenere le diverse leghe adatte ai varî usi, per cui differente era la durezza di una scure di bronzo da quella di una statuetta votiva. Per gli specchi, per esempio, era usata una lega con circa un quarto di zinco che dava un metallo giallo chiaro, molto duro, che può essere inciso, ma non battuto, e che è suscettibile di una politura assoluta.
Il b. ha avuto una importanza determinante nell'economia dell'umanità: le grandi civiltà antiche della Mesopotamia, dell'Egitto faraonico, dell'Indo, della Cina e dell'isola di Creta furono civiltà del b. e non conobbero, o solo negli ultimi stadi, il ferro. La civiltà del b. va, nell'area mediterranea, sino a circa il 1000 a. C. Essa è preceduta dalla cosiddetta "Età del Rame", che è la prima successiva all'ultima delle Età della Pietra o Neolitico (v. preistorica arte). Nel 3000 circa a. C. i Sumeri conoscevano i vari sistemi per utilizzare le leghe di b. ottenute mediante mescolanza di varî minerali. Questi venivano mescolati a carbone di legna in forni a cupola ed il metallo colava per riduzione. È logico supporre che dai forni si ottenessero lingotti che successivamente venivano rifusi in oggetti mediante crogioli. Cosiddetti "pani" di b. divennero oggetto di mercato, di tributo e di tesaurizzazione. In Sardegna, a Serra Ilixi, sono stati trovati lingotti di b. fusi in forma di pelli di pecora, contrassegnati con segni micenei (v. moneta). I Sumeri conoscevano la fusione in forme permanenti di pietra (steatite), sia aperte che chiuse; la fusione con anima, ossia con l'inclusione di un nucleo di sabbia (agglomerata con olio e bitume) per ottenere il vuoto (per esempio il foro nel codolo della punta di lancia in cui fissare l'asta di legno); la fusione a "cera perduta", con il quale metodo è stato possibile ottenere statue di maggiori dimensioni (v. più avanti). È da escludere la conoscenza della fusione in forme di sabbia, la cui origine è di età moderna, ossia degli albori del sec. XVIII. Dalla zona abitata dai Sumeri, i cui spostamenti furono limitati, l'arte fusoria si spande a E verso l'India e l'Asia Centrale; a N-O verso l'alta Mesopotamia, l'Asia Minore, Cipro, l'Europa Centrale; a O verso la Siria e l'Egitto. Dall'Europa Centrale si estende, per ultimo, per tutta Europa ed è indeciso se questa, nell'uso del b., abbia preceduto o no la Cina (v. appresso).
Si ritiene che le prime fusioni d'arte in b. fossero statuette votive (travestimento artistico di una offerta di metallo al tesoro del tempio) ed oggetti ornamentali ottenuti con forme permanenti di pietra e quindi massicce, a fusione piena e di piccole dimensioni. La fusione a forma aperta e piana fu usata anche dopo, in tutta l'antichità, per piccoli oggetti come per massicce lastre (es.: porte del Pantheon a Roma, con lastre di 42 mm, porte del tempio di Romolo e Remo al Foro Romano). La fusione piena fu anch'essa sempre praticata per piccoli oggetti (es.: monetazione romana dell'aes grave), in forme chiuse (una forma di pietra si trova nel museo di Siracusa, n. inv. 19737). Per oggetti con superfici mosse (figurette, anse di vasi, ecc.) si usavano modelli in cera, che venivano racchiusi in una camicia di terra refrattaria con fori di entrata per il metallo e di uscita per la cera disciolta e per l'aria: la vera arte fusoria delle statue ha inizio con la scoperta di questo sistema, che si dice della cera perduta. Esso consiste, sommariamente, nell'eseguire l'oggetto in cera d'api resa malleabile con aggiunta di resina e olio o anche pece bianca e sego, e quindi ricoprirlo con terre e sabbie convenientemente mescolate e preparate. La forma così ottenuta, dopo che sono stati predisposti i fori di entrata e di uscita, viene cotta in fornace con fuoco di legna a temperatura fino a 500° circa; la cera liquefa e brucia lasciando lo spazio nel quale verrà a colare il bronzo. Tale sistema, rimasto pressoché immutato fino a oggi, si differenzia nelle varie epoche e tra i varî popoli solo per piccoli e non ben definibili particolari i quali hanno più che altro relazione con i metodi metallurgici locali. Per tale motivo una classificazione delle caratteristiche dei bronzi antichi si può fare solo per grandi linee e queste non risultano sempre costanti. Ma le difficoltà tecniche crescono d'assai con l'aumentare le dimensioni del pezzo da gettare, perché per scacciare la cera da ogni anfratto occorre che la forma sia portata a un calore in ogni sua parte uniforme. Un passo definitivo verso la statuaria in bronzo di grandi dimensioni presuppone però l'invenzione della fusione internamente vuota, nella quale il modello in cera è plasmato sopra un nucleo di terra e poi ricoperto, come prima, da altra terra: lo spessore della cera fra le due terre corrisponde allo spessore del futuro metallo. Il metallo, in questo caso, deve esser portato a salire nella forma, dal basso verso l'alto onde non si formino vuoti ove l'aria resti chiusa e compressa tra la forma e il metallo (un pezzo a fusione vuota, abbastanza antico, nel quale è ancor ben riconoscibile il processo seguito nella fusione è il frammento di capigliatura di una statua arcaica trovata a Chianciano, ora al Museo Archeologico di Firenze). La fusione a pezzi staccati, a carattere industriale, fu particolarmente in uso in età tardo-ellenistica e romana e se ne parla a suo luogo.
È molto probabile che durante le ricerche archeologiche, non affiancate da tecnici competenti nel campo della fusione, molte vestigia che avrebbero rivelato come in quel luogo le statue venivano fuse, siano andate distrutte. Egualmente va fatto notare che, togliendo dall'interno delle statue a fusione vuota i resti della terra appartenente al nucleo originariamente posto al disotto della cera, si distruggono importanti indizî per ricostruire la tecnica usata nella fusione artistica. Una fossa fusoria e una forma incompleta sono state trovate negli scavi dell'agorà di Atene e, recentemente, forni fusorî a Olimpia; avanzi di forni, crogioli, forme permanenti, ecc. sono stati notati sia nelle terremare dell'Emilia che in Val Fucinaia (Massa Marittima) e a Ei Agar (Spagna); interessanti dal lato storico, ma che nulla dicono dal lato tecnologico. In Spagna presso Huelva esistono enormi depositi di scorie residuate da minerali cuprogeri lavorati sul posto (le scorie esistenti a Golfo Baratti presso Populonia sul litorale toscano sono invece in massima parte composte di minerale ferroso).
L'arte fusoria tra i varî popoli e nei varî tempi ha subito alterne vicende, per cui non ha seguito quel continuo e costante progresso avvenuto nella metallurgia in generale. Una statua antica in b. può rivelare un progresso tecnico notevolmente superiore ad altra eseguita successivamente nella stessa zona, e ciò indipendentemente dall'abilità dell'artefice. In linea generale fino al 2000 circa a. C. l'arte statuaria in b., pur denotando buona conoscenza della metallurgia, non rivela metodi ancora perfezionati. Dopo questa epoca ha inizio il ciclo del vero progresso tecnico. Rappresentazioni di forni fusorî usati nella Grecia classica si trovano sopra un'oinochòe a figure nere, da Vulci, al British Museum, una tazza a figure rosse del museo di Berlino e su un'altra tazza, già nella Collezione Edward (oggi perduta, riprodotta in O. Jahn, Darstellungen des Handwerks, Lipsia 1861, tav. v). Se ne può ricostruire un forno a corpo cilindrico fornito di bocca d'aria a mantice, sormontata da un calderone con coperchio a chiusura regolabile. Dal forno il metallo liquido colava nella forma posta sotto il piano terra.
Egitto. - Le statue egizie del primo periodo denotano alte capacità, non mai venute meno, neppure durante il periodo di decadimento. La civiltà artistica egiziana, sempre amante del grande e disponendo di poche risorse metallifere (ma di molte pietre e graniti) ha limitato la produzione statuaria in bronzo alle statue votive da collocarsi nell'interno e quindi di limitate dimensioni. Caratteristica come finitura è la sua produzione a cera perduta; ma la fusione egiziana è spesso difettosa, arricchita di dettagli frivoli (incrostazioni ornamentali) ed ha sempre un carattere economico, artigiano. La più antica statua egizia in bronzo che ci sia rimasta è quella del faraone Phiops (Pepi) I (circa XXIV sec. a. C.), conservata al museo del Cairo.
Vicino Oriente. - Di vero e proprio b. può parlarsi solo dal tempo della dinastia di Akkad (2350-2150 a. C.; v. Vol. i, p. 733); in lega col rame compare dapprima l'antimonio, poi lo stagno. Come gli altri metalli, il b. veniva importato in Mesopotamia dal N (Caucaso), mentre l'Elam costituì, specialmente nel II millennio a. C., un attivo centro di lavorazione del b.: si pensi alla statua, mutila, della regina Napir-Asu al Louvre, databile al XIII sec. a. C. ed alla splendida serie dei bronzi del Luristan (v.) degli ultimi secoli del II millennio a. C.
Europa Centrale. - La domanda di b. superava le pur notevoli possibilità di produzione, nonostante il graduale maggior impiego del ferro. Dal 700 a. C. l'industria del b. andò sviluppandosi nel nord dell'Europa, specialmente in Cornovaglia e Scandinavia. Tutte queste attività metallurgiche e lavorazioni connesse si interferivano, si compensavano e si completavano. Ne derivò una sempre maggiore promiscuità artistico-tecnologica poiché maggiori erano la possibilità e necessità di spostamento e lo scambio dei prodotti. Non è quindi strano il ritrovamento di un b. greco a Marsiglia o in Cornovaglia, di spade nordiche nelle tombe dei Faraoni, di bronzi etruschi con caratteristiche italiche in Spagna e in Asia Minore. Anche la produzione statuaria risentì dello sviluppo tecnico-produttivo del b. e ne derivò anche promiscuità di caratteristiche tecniche.
Grecia e Roma. - Anche le fusioni in b. della Grecia denotano l'assommarsi di tecniche ben note in tutti i territorî circostanti. Ma la civiltà greca creò opere che in modo più assoluto di quelle di ogni altra posero in risalto e realizzarono le qualità tipiche del metallo. La tecnica non rimane, in questo caso, cosa passiva, ma partecipa attivamente e in modo intrinseco alla creazione.
La facilità di ottenere b. in abbondanza e a buon prezzo permise ai Greci una grande produzione statuaria per tutte quelle figurazioni non consentite dal marmo. Tuttavia va considerato che i calcoli fatti (De Ridder) dànno, per una statua di b. nel IV e III sec. a. C., un prezzo di circa 3000 dracme, che corrisponde economicamente a un costo di almeno tre volte quello medio di età moderna. Il b. fu il mezzo di espressione preferito dagli artisti greci che stanno tra la fine dell'arcaismo (510 a. C.) e la pienezza dell'età classica (450 a. C.), della generazione di artisti, cioè, che prima si pose il problema di far muovere liberamente la figura umana nello spazio (v. mirone, policleto). Essa segue a varie generazioni di marmorari. Più tardi, Prassitele e particolarmente Lisippo si espressero nel bronzo.
Della diffusione senza precedenti delle statue in b. in età ellenistico-romana, possiamo formarci un concetto ricordando che nel trionfo di M. Fulvio Nobiliore dopo la conquista di Ambracia (189 a. C.) furono portate 785 statue in b.; che dalla espugnazione della città etrusca di Volsinii (265. a. C.) se ne sarebbero riportate 2000; che nell'85 a. C. l'edile M. Scauro ornò la fronte architettonica della scena di un teatro provvisorio con 3000 statue e che ai tempi di Plinio si contavano nell'isola di Rodi 73.000 statue in bronzo. La grande fame di metalli che seguì al crollo delle strutture economiche dell'impero romano spiega perché così poche sieno le statue in b. pervenute sino a noi. Dei grandi capolavori del V sec. a. C. non rimane nulla, e tra i pochi origini di quel tempo, fra il 510 e il 440, sono l'Apollo di Piombino (Louvre), trovato in mare; l'Auriga di Delfi, salvatosi sotto una antica frana; il Posidone (?) ripescato in mare presso il Capo Artemision (Atene, Museo Naz.); la testa di Apollo Chatsworth-Devonshire (British Museum) proveniente da Cipro.
Le fusioni di età classica sono generalmente di abbondante spessore. La particolare tecnica di modellare le statue direttamente in cera non dava luogo a ripetizioni. Risulta da osservazioni tecniche, che il nucleo interno di terra era già ottenuto mediante modellatura, e veniva poi ricoperto dalla definitiva e più sottile modellatura in cera (ad unguem, v. policleto). La cera possiede una consistenza di qualità non molto dissimile dal metallo, potendo essere non solo modellata, ma anche intagliata e incisa a freddo. La cera è quella che determina l'aspetto della "pelle" del metallo. Essa è capace di riprodurre le più lievi pressioni delle dita dell'artista e si presta a ogni sottile variazione della forma. Perciò fu mezzo d'espressione preferito dagli artisti che, come Policleto, cercarono sottilissime variazioni di forma alle quali corrispondevano delicatissimi elementi di equilibrio e molteplicità di simmetrie e di corresponsioni. Per ovviare ai rischi di una fusione sbagliata con perdita del modello originale, si dovette presto giungere a trarre una forma dal modello in cera, mediante la quale era sempre possibile ottenere un nuovo modello. Si passa così al rovesciamento del processo tecnico: nella forma si cola la cera fino allo spessore voluto e poi si riempie il vuoto con la terra, costituendo in tal modo un nucleo non modellato, ma informe.
La tradizione letteraria intorno agli artisti Rhoikos e Theodoros (v.), attivi a Samo nella prima metà del sec. VI a. C., fa intravedere una derivazione della tecnica a cera perduta e interno vuoto, per opere di grandi dimensioni, dall'Egitto. Ancora nel 480 a. C. i Persiani asportarono dall'agorà di Atene il gruppo in bronzo vuoto dei Tirannicidi, opera di Antenor (circa 510 a. C.), come una rarità. Le fonti (specialmente Plin., Nat. hist., xxxiii, 31, 35; xxxiv, 512 ma anche Strabo, iii, 146; Dioskorid., De mat., v, 85) parlano di varie leghe: eginetica, deliaca, corinzia, tirrenica. Non esiste praticamente la possibilità di ricostruire tali leghe, sia per l'accennato larghissimo scambio che avveniva, sia perché la composizione delle leghe è sempre assai approssimativa e variabile; se non altro per la costante riutilizzazione dei residui di precedenti fusioni, che hanno già subito un processo di trasformazione a ogni fusione. Ma è proprio questo patrimonio di residui sempre impiegati insieme a nuovo metallo e sempre riformantisi, che produce la tradizione tecnica di ogni singola officina, basata sull'esperienza e sulla conoscenza del metallo che si usa. Inoltre poche sono le analisi attendibili che abbiamo di bronzi antichi. Nell'eseguirle occorre tener conto del fatto che i varî metalli componenti una lega tendono a cristallizzarsi isolatamente, il che porta a ineguaglianze nella costituzione del metallo, talora fortissime. Il Kluge dà (vol. I, pp. 49-54) alcune tabelle di analisi dalle quali risulta che la percentuale di rame in pezzi preistorici e egiziani va dal 94,89 all'85,02; in bronzi assiri dall'88 all'80,8; dall'80,61 al 78, 77 in statue di età greco-romana; ma in statue di età classica si trova anche una lega formata soltanto di 88,5 di rame e 11,46 di stagno, senza aggiunta di piombo, che in altri casi invece sale sino al 12,07 %. L'analisi (Apolloni) del Marco Aurelio sul Campidoglio ha dato: 85,3180 Cu; 8,5470 Pb; 5,8695 Zn; assenza di stagno. Nella parrucca bronzea di un Apollo saettante conservato a Roma nel Museo Nuovo dei Conservatori (S. Stucchi, Bull., Com., lxxv, 1953-1955, p. 355) la percentuale di rame discende sino a 67,95 (esame dell'Istituto Centrale del Restauro su 3 campioni dei capelli).
In età tardo-ellenistica e romana entra in uso la fusione a pezzi staccati, di tipo industriale, impiegata per le copie e per le opere di artigianato ornamentale.
Nelle erme, per esempio (Museo Naz. di Napoli, Amazzone, n. 4889, Doriforo, n. 4885; Seleuco Nicatore, n. 5590; cosiddetto Tolomeo Filadelfo, n. 5600), il sottosquadro si forma soltanto all'attacco dei capelli, soprattutto attorno alle orecchie e alla nuca: la capigliatura viene quindi fusa a parte. Per raccordare meglio la massa dei capelli, alcuni ciuffi sono stati incisi a bulino sul collo in approssimativa continuazione con le ciocche plastiche. Ma va tenuto presente che tutta la capigliatura, nei suoi particolari, è ottenuta a freddo, dopo la fusione grezza, con lavoro di intaglio a scalpello triangolare e anche in ogni altra parte la "pelle" di fusione è stata tolta con la lima e il raschiatoio. Questa opera di rilavorazione a freddo è di fondamentale importanza per la valutazione e la comprensione del bronzo antico (v. più avanti). Altro esempio, più complesso, di fusione a pezzi e successivo montaggio è il busto del cosiddetto Dioniso qui riprodotto a fig. 282 (Museo Naz. di Napoli, n. 5618). Dal modello originario sono state segate tutte le parti aggettanti (bande di capelli, ricci sulle tempie, parte inferiore della barba) e fuse a parte, poi montate con perni e saldature. Anche la calotta cranica al disopra della benda è fusa a parte. Il lavoro di cesello raggiunge in quest'opera un virtuosismo quasi eccessivo, che distingue questa copia dalla media qualità commerciale. Un buon esempio di artigianato è offerto dai bronzi delle navi di Nemi al Museo Nazionale Romano (Roma). La testa di Medusa, rivestimento di testata di trave della nave A, presenta una fusione di rilevante spessore, con nucleo che seguiva solo approssimativamente la forma esterna. Dove non è intervenuta la successiva cesellatura, la superficie si presenta ruvida, terrosa. Sono fusi a parte tutti i pezzi che creano sottosquadro: le ali, i serpenti, i singoli ciuffi di capelli. Questi pezzi dovevano venir segati dal modello in gesso ed erano fusi a fusione piena. Ma la fusione produceva solo una forma grezza, sommaria. Tutti i particolari sono eseguiti a scalpello e bulino: le linee dei capelli, le sopracciglia, le squame dei serpenti, le penne delle ali, la rima labiale, le narici. Questa lavorazione a freddo non era certo prerogativa delle opere di tipo commerciale; a maggior ragione noi la riscontriamo nelle grandi opere d'arte e dobbiamo riconoscere in essa una delle caratteristiche fondamentali della bronzistica antica. (Dal sec. XIX in poi il gusto moderno si è abituato ad avere la riproduzione meccanica, in b., del modello di gesso, ottenuta mediante una forma "a buono", cioè scomponibile e quindi permanente. Ciò che si ha come prodotto, non e un opera metallica, ma la replica in b. di una forma plastica in creta o in gesso).
L'immagine che l'artista greco si propone di creare nel b. è una immagine lucente, metallica, che si regge come se non avesse peso. La fusione gli fornisce un corpo opaco, di aspetto terroso, ma l'artista antico sottopone la sua opera a una completa rilavorazione a freddo che le restituisce interamente l'aspetto e il senso del metallo. Il metallo lucente viene scoperto già di per sé col taglio dei canali di aerazione e con i rattoppi delle imperfezioni di fusione. Oggi si ricopre tutto di pàtina artificiale; l'artista antico invece toglieva la "pelle" di fusione e riscopriva ovunque il metallo. Questo processo era, inoltre, indispensabile nei casi di completa doratura. Tuttavia, in qualche caso e in epoca tardo-ellenistica e romana, per accrescere gli effetti coloristici e ottenere particolari espressioni formali in qualche punto della superficie viene mantenuto l'aspetto plastico proprio della cera lasciando intatta la "pelle" di fusione (per es. negli occhi e sulle labbra della testa di Augusto della Biblioteca Vaticana). Va tenuto anche presente che solo sopra un b. del tutto liberato dalla "pelle" di fusione, si forma col tempo una bella pàtina naturale.
Il lavoro a freddo veniva fatto con scalpelli di vario taglio, lima, raschiatoi di forme diverse per poter raggiungere ogni punto della superficie, bulino, punzoni. Plinio (Nat. hist., xxxiv, 18) racconta di uno scultore in b. che si era fatta la propria statua con la limatura raccolta nella sua vita di lavoro. I segni lasciati dall'orlo dello scalpello vengono eliminati con la lima, che lascia una rigatura regolare, che qualche volta è ancora visibile sotto alla patina, ma che generalmente viene eliminata col raschiatoio, col quale è anche possibile ritoccare il modellato. La definitiva lucentezza e levigatezza era ottenuta probabilmente (Kluge) con l'osso di seppia. Con un bulino più greve era ripreso il disegno dei capelli, il contorno degli occhi, delle unghie, e con un bulino più lieve le incisioni più fini (capelli, pelurie).
La statua antica in b. era poi animata coloristicamente da incrostazioni: sulle labbra, sulle areole del seno, erano sovrapposte lamine di rame o di bronzo di colore diverso, fissate mediante una incisione a taglio obliquo. Gli occhi erano inseriti in pasta vitrea (iride), metallo (pupilla) e avorio (cornea). Le ciglia, specialmente in età arcaica e classicà, erano rese con altra lamina ritagliata in metallo diverso. (La cosiddetta Saffo del Museo Naz. di Napoli mostra bene la tecnica della inserzione, poiché l'occhio destro è solo in parte conservato; la testa femminile del Museo Etrusco Gregoriano, Helbig-Amelung, n. 593, ha l'iride placcata in oro); di osso e pasta vitrea sono gli occhi del cosiddetto Bruto (v.) del Museo Capitolino.
Difetti di fusione. - Oltre alla possibilità che la inclusione di aria o di elementi gassosi in qualche anfratto della forma produca delle imperfezioni ("vènti") nella superficie del metallo, delle porosità possono anche prodursi a causa del non completo amalgama della lega e all'assorbimento temporaneo di idrogeno e di ossigeno. Inoltre, anche il coefficiente di ritiro, cioè di quanto il getto si rimpiccolisce rispetto al modello per effetto del raffreddamento, è diverso nei varî metalli che compongono la lega e può essere causa di imperfezioni della superficie. In una statua, per esempio, che abbia un braccio libero, questo si raffredda prima della massa del corpo e, in conseguenza del ritiro, è facile che tra braccio e corpo si produca una soluzione di continuità. Tutte queste imperfezioni vengono riparate intagliando a scalpello la superficie metallica e asportando la parte difettosa e successivamente inserendo al posto di quella una laminetta sottilissima di b. fuso fissata dai bordi a taglio obliquo dell'incastro. Questa tecnica rimase identica durante tutta l'antichità classica, ma non sempre i difetti vennero eliminati con la stessa accuratezza. Finché il gusto del metallo rimase ben desto, vennero placcate anche le minime imperfezioni, con laminette minutissime (esempio: cavallo nel Museo del Palazzo dei Conservatori, Roma, Campidoglio); non così avviene in epoca tarda (Colosso di Barletta). È evidente che se in una statua in b. noi troviamo riprodotte in fusione queste placcature, o si ha l'incavo corrispondente al loro alloggiamento manifestamente eseguito non a scalpello, ma ottenuto in fusione, la statua in questione non può essere un originale, ma una copia, sia pure antica, ottenuta col calco di un originale (esempio: torso di stile severo del Museo Archeologico di Firenze. Nello stesso pezzo si nota anche una grave falla per raffreddamento del metallo durante la fusione: v. nostra fig. 272).
(B. Bearzi* - R. Bianchi Bandinelli)
Estremo Oriente. - Il b. fu il metallo più comunemente usato nell'Asia orientale per gli oggetti rituali, il vasellame del culto, le statue delle divinità e una gran quantità di oggetti usuali. Le sue leghe variarono estremamente sia nei secoli che nelle diverse parti di questa immensa regione; e ve ne furono di molto cattive, che hanno spesso reso gli oggetti antichi assai fragili.
I più antichi bronzi dell'Oriente sono, senza dubbio, i vasi rituali della Cina arcaica (v. cinese, arte). La metallurgia era allora, in Cina, molto in onore, come sembrano indicare le leggende sui poteri magici del fonditore e del fabbro, che avevano il prestigio e i segreti dell'onnipotenza. Quei bronzi primitivi hanno forme ben definite, ciascuna con particolare destinazione nelle offerte dei sacrifici (carni, cereali, bevande). Sono decorati con motivi molto caratteristici: teste di chiodi, risalti segmentati, spirali semplici o doppie, festoni, linee spezzate, losanghe, mostri, draghi (kuei), maschere di animali mitici (t'aot'ieh), arieti, elefanti, cicale, tori, gufi, felini, molto di rado figurazioni umane. I più antichi risalgono alla seconda metà del II millennio a. C., ma la produzione ne è proseguita fino ai nostri giorni in forme imbastardite; più naturalistica all'inizio la loro decorazione si stilizzò sempre più e si atrofizzò in modi stereotipi. I bronzi più arcaici, a causa della lunga azione del terreno, riappaiono dagli scavi rivestiti di meravigliose patine verdi o blu che prendono talora toni iridati. Si hanno molti altri oggetti cinesi in b.: specchi circolari, dalla decorazione variata secondo le epoche, fibbie arricchite da incrostazioni d'argento o di turchesi, armi dalle impugnature lavorate e con le lame dalle linee pure ed anche eleganti, campane di forme pesanti ma nobili, gongs, ecc. L'arte cinese ha influenzato i bronzi dell'arte delle Steppe (II-I millennio); questa, tuttavia, creò uno stile animalistico (v.) nuovo e influì a sua volta su quella (iv-iii sec. a. C.): e coltelli, asce, specchi, placche traforate, teste di aste, oggetti rapportati, fibbie, mostrano, nell'arte cinese, un nuovo accento della stilizzazione animale. Infine, nell'epoca buddistica (V-IX sec. circa), i bronzi cinesi hanno una ricca statuaria dorata di piccole dimensioni, in cui si ritrovano tutte le alte qualità della scultura monumentale.
Nel gruppo culturale indiano (India, Indocina, Arcipelago indiano) il b. servì principalmente alla statuaria e, secondariamente, alla produzione di una grande varietà di oggetti d'uso, fra cui le lampade sono forse i più significativi; ma fu spesso sostituito dal rame e dall'ottone. Era fuso a cera perduta e i prodotti denotano spesso una perfetta maestrina e un vero virtuosismo. L'India, ivi compreso il Ceylon, produsse, da epoca antica, statue di Buddha, alcune delle quali furono probabilmente importate d'oltremare, poiché si sono ritrovate sulla costa Cham (Viet-nam), in Tailandia e fino a Borneo, opere così vicine agli stili indiani del periodo dal II al V sec., che probabilmente sono imitazioni locali.
(† R. Grousset - J. Auboyer)
Bibl.: Preistoria: Per la bibliogr. generale si rimanda a preistorica, arte. Si segnalano, come anche per gli altri periodi, solo alcuni studî contenenti osservazioni tecniche; H. Th. Bossert, Geschichte d. Kunstgewerbes, I, Berlino 1928; R. Forrer, Reallexikon, s. v. Gussformen, riproduce una serie di forme aperte per fusioni di utensili e armi; E. Vogt, Der Zierstil d. späten Pfahlbautenbronzen, in Zeitschr. für Schweizer. Archäologie u. Kunst, IV, 1942, n. 4; M. Hoernes, Gravierte Bronzen aus Hallstatt, in Oesterr. Jahresh., III, 1900, p. 32 ss.; A. Taramelli, Ripostiglio di bronzi nuragici di Monte sa Idda, in Mon. Ant. Lincei, XXVII, 1921, p. 6 ss.; G. D'Archiardi, L'industria mineraria e metallurgica in Toscana al tempo degli Etruschi, in St. Etr., I, 1928, p. 411 ss. (Val Fucinaia, p. 416). Medio ed Estremo Oriente: E. Herzfeld, Khattische u. Khaldische Bronzen, in Festschrift Lehmann-Haupt, Vienna-Lipsia 1921, p. 145; A. U. Pope, More Light on Luristan Bronzes, in Illustr. London News, 1932, n. 4879, p. 613; G. M. A. Hanfmann, Four Urartian Bull's Heads, in Anatolian Studies, VI, 1956, p. 205 ss.; O. C. Gangoly, South Indian Bronzes, Calcutta 1915; G. Coedès, Bronzes Khmers, Parigi 1923; O. Sirén, Hist. des Arts anciens de la Chine, voll. I e II, Parigi 1929; B. Karlgren, Yin and Chou Chinese Bronzese, in Bulletin of the Museum of Far Eastern Antiquities, Stoccolma, VIII, 1936; id., New Studies in Chinese Bronzes, IX, 1937; id., Husi and Han Chinese Bronzes, XIII, 1941; id., Some Weapons and Tools of the Yin Dinasty, XVII, 1945; G. Davidson, New Light on Middle Chou Bronzes, in The Art Quarterly, III, 1940, p. 93 ss. Grecia e Roma: F. H. Stubbings, A Bronze Founder's Hoard at Mycene, in Annual British School Athens, XLIV, 1954, p. 292 ss.; E. Kunze, Kretische Bronzereliefs, Stoccarda 1931; id., Etruskische Bronzen in Griechenland, in Studies to D. M. Robinson, Saint Louis 1953, p. 736 ss.; A. Merlin-L. Poinssot, Bronzes trouvées en mer près de Mahdia, in Mon. Piot, XVII, 1909; O. Klindt-Jensen, La trouvaille de Kaerulgaard. Traits des industries du b. romaine et germanique, in Acta Archaeologica, XII, 1941, p. 3 ss.; B. M. Apolloni, Vicende e restauri della statua equestre di M. Aurelio, in Atti e Mem. Accad. di S. Luca, gennaio 1912, p. 24 ss.; P. Verzone, Il b. nella genesi del tempio greco, in Studies to D. M. Robinson, I, p. 272 ss. Tecnica: O. Jahn, Darstellungen des Handwerks, Lipsia 1861; H. Blümner, Technologie u. Terminologie d. Künste, Lipsia 1886, vol. IV, cap. 3; E. Pernice, Untersuchungen zur antiken Toreutik, IV, Grossbronzen in Neapel u. Berlin, in Oesterr. Jahresh., XI, 1908, p. 212 ss.; K. Kluge, Die Gestaltung d. Erzes i. d. archaischen griechischen Zeit, in Jahrbuch, XLIV, 1929, p. 1 ss.; K. Kluge - K. Lehmann, Die antiken Grossbronzen, 3 voll., Berlino-Lipsia 1927; C. G. Fink - E. P. Polushkin, Microscopic Study of Ancient Bronze, in Transactions A. I. M. E., CXXII, 1936, p. 90 ss.; B. Bearzi, Sulla formazione delle patine sui b. antichi, in St. Etr., XXI, 1950-51, p. 261 ss.; G. Piccardi, Sui b. sacri del bagno di Sellene a Chianciano, in St. Etr., XXI, 1950-51, p. 254 ss.; M. Cagiano de Azevedo, Sulla detersione delle opere d'arte in b., in Bullettino Istituto Centrale Restauro, 1953, p. 69 ss.; C. Passeri-M. Leoni, Sulla tecnica di fabbricazione degli specchi di b. etruschi, in St. Etr., XXV, 1957, p. 305 ss. Per alcuni dati tecnici generali: L. Cambi, Metallurgia antica, in Atti Accad. Lincei, Rend. Adunanze solenni, V, ii, 1956, p. 619 ss.
(B. Bearzi* - R. Bianchi Bandinelli - T. R. Grousset - J. Auboyer)