BRUN
Famiglia di industriali lanieri piemontesi affermatisi intorno al quarto decennio del sec. XIX, in associazione cm il preesistente gruppo industriale degli Arduin (o Arduino).
Questi ultimi, ex mercanti oriundi del Delfinato stabilitisi a Pinerolo durante la seconda dominazione francese, avevano impiantato nel 1740 un opificio di tessitura e, singolarmente appoggiati dall'intendente Avenati del Lingotto, avevano rappresentato per tutto il sec. XVIII il più forte nucleo tessile piemontese insieme alla vecchia "aristocrazia" laniera biellese. Fornitori della più cospicua quota di produzione aziendale di tutti i lanifici sabaudi, esclusi quelli biellesi (nel 1784, per 1984 pezze su 12.700), e beneficiari alla vigilia della guerra del maggior volume di commesse per panni militari, gli Arduin erano riusciti ad affermarsi vigorosamente (operando per conto dell'esercito) anche durante il periodo napoleonico. Dopo la Restaurazione l'azienda era tuttavia entrata in crisi (nel 1819 risultava sull'orlo del fallimento con i suoi cinque telai). In effetti, il rinnovamento degli impianti, sollecitato dall'introduzione delle macchine avvenuta per opera di P. Sella nel Biellese nel 1816, e la necessità di fare affidamento su una materia prima meno scadente delle lane locali, per non soccombere di fronte alla concorrenza straniera, esigevano ormai un massiccio impegno finanziario.
A ravvivare l'azienda degli Arduin facevano la loro comparsa nel 1829 i Brun, un nucleo familiare esercitante proficua attività bancaria in Savoia e in possesso nel versante piemontese di terre a pascolo nel Pinerolese e del più consistente allevamento di merinos dello Stato sabaudo. I Brun (Pietro e poi il figlio Giuseppe) erano stati tra i primi a interessarsi alacremente del miglioramento del patrimonio ovino locale, con importazioni dal 1792 di pecore di razza segoviana, e avevano proseguito. in collaborazione con la Società pastorale e l'Accademia di agricoltura di Torino, lo sforzo di incremento dei greggi di razza pregiata e di rinnovamento dei metodi di allevamento. Dei 5.500 capi di pecore di lana fine, censiti nel 1844, essi ne possedevano dal 1830 più di un terzo e, in una situazione caratterizzata da un rapido aumento della domanda di lane di qualità (le importazioni salivano di quasi il 35% nel 1821-29 e del 93-94% in media successivamente), erano in grado non solo di condizionare il mercato interno di approvvigionamento laniero, ma di incidere anche concretamente sull'andamento della produzione dei settori tessili più qualificati.
Dopo aver partecipato di fatto alla gestione della manifattura pinerolese per la parte commerciale, Giuseppe e il fratello Carlo Brun decidevano, nel marzo 1830, di creare con i fratelli Giuseppe e Fedele Arduin una società in nome collettivo (la Fratelli Arduin e Comp.) della durata di nove anni. Con la messa in comune del fondo materie prime e macchinari per un valore di 64.000 lire nuove piemontesi e un ulteriore contributo in contanti versato dai Brun per altre, 30.726 lire, il lanificio di Pinerolo poteva così trarre più sicuri incentivi per il suo sviluppo industriale. In particolare, l'attivazione di 24 nuove macchine per cardare mosse ad acqua e di 60 telai e l'acquisizione di altri assortimenti di filatura meccanica dovevano consentire all'impresa di realizzare un sensibile incremento produttivo, con un volume di produzione che già alla chiusura d'esercizio del 1830 si presentava più che triplicato rispetto al 1827 (da 1.290 a 4.100 pezze).
Due medaglie d'oro segnalavano all'Esposizione di Torino nel 1832 e nel 1838 i decisivi miglioramenti intervenuti con la nuova gestione. Gli operai intanto erano saliti a 812, tenendo conto dei lavoranti su commissione, e due grosse "case di commercio" (dirette personalmente dai Brun, che così si assicuravano - oltre al terzo degli utili aziendali e all'interesse pattuito del 6% sul capitale versato in fondo sociale - un compenso per "attività di negozio" di 4.800 l. p.) venivano aperte a Pinerolo e a Torino.
Nel 1839, consolidatasi definitivamente la ragione sociale in Fratelli Arduin e Brun, la fabbrica piemontese intraprendeva per prima in Piemonte la filatura a pettine a sistema inglese. A quest'iniziativa, decisiva per la rottura del tradizionale monopolio straniero nel settore dei manufatti più fini, la direzione del lanificio faceva seguire nel 1843 l'introduzione delle prime carde a lucignolo continuo, di alcuni telai meccanici e di una turbina idraulica Fourneyon da 40 cavalli. Nel 1844 l'azienda piemontese conseguiva così un "attestato pubblico di benemerenza" per il suo sforzo di rinnovamento, mentre l'esame dei velli esposti dai Brun a Torino si concludeva con il lusinghiero riconoscimento che "per finezza, le lane dei loro merini non temono il confronto con qualsivoglia lana straniera". Nel 1850 l'impresa disponeva ormai di undici assortimenti completi nella filatura e si segnalava ancora all'Esposizione di Torino. Ma nel marzo 1853 essa subiva una prima crisi finanziaria, con l'uscita di Vittorio Arduin, e il 31 dic. 1858 la società con gli Arduin era sciolta. Il 1º marzo 1861 infine (morto un mese prima Giuseppe) Carlo Brun assumeva la proprietà dell'azienda associandosi alla ditta commerciale torinese dei figli Pietro e Spirito attraverso la nuova ragione sociale "Brun padre e figli". Da quella data l'impresa indirizzava i suoi sforzi piuttosto al rafforzamento della "casa di vendita" e di commissioni di Torino e in genere a imprimere più decisivo sviluppo alle sue speculazioni commerciali. Nel 1871 i Brun si segnalavano per l'ultima volta alla mostra campionarla di Torino per alcuni panni uniti e operati di buona qualità, ma gran parte della produzione si andava riducendo a "panni feltrati per coperte da cavallo nonché per uso industriale.".
Mancherà, in effetti, ai Brun la forza necessaria, e la capacità tecnico-operativa (quantunque non poche iniziative - dall'istruzione professionale dei propri operai alla valorizzazione delle risorse economiche locali - li avvicinassero alla più coerente e avanzata politica del padronato tessile biellese), per risolvere i problemi di riadeguamento dell'apparato e dei costi di produzione, imposti dalla liberalizzazione doganale intervenuta nel periodo cavouriano a spezzare il precedente regime di difesa delle vecchie rendite di posizione. D'altra parte, il crescente afflusso dopo il 1850 di lane americane e australiane fini aveva presto reso precario il monopolio da essi detenuto con il controllo della maggior produzione di merinos del paese. Ma insostenibile si rivelerà soprattutto, nella mutata situazione di mercato e doganale, l'impegno di tenere in piedi congiuntamente l'attività di allevamento e quella più propriamente produttiva e commerciale.
Dalla crisi generale, che colpirà nel periodo post-unitario l'industria laniera piemontese, l'azienda dei Brun sarà la vittima più illustre, e nemmeno il corso forzoso e le fondate prospettive di un ritorno al regime protezionistico riusciranno a salvarla: nel 1875 l'opificio era ceduto al comune di Pinerolo, che in seguito lo avrebbe posto in vendita per sopperire alle spese di sventramento della parte vecchia della città.
Più in generale la vicenda dei Brun è, per tanti aspetti, esemplare del definitivo cedimento in Piemonte, agli inizi della seconda metà del sec. XIX, di quella vasta schiera di "mercanti-imprenditori", di origine terriera e legati al capitalismo commerciale, le cui arretrate strutture produttive agricolo-manufatturiere e le cui remore psicologiche si stava apprestando ad eliminare una nuova, più consapevole ed efficiente classe industriale, uscita vittoriosa dalla lotta contro l'ordinamento mercantilistico-corporativo e in grado ormai di imporre una radicale revisione della stessa politica economica statale.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Sezione I, Commercio, cat. IV; Lanifizi, mazzo d'addizione, Stato dei lanifizi del Piemonte..., (1784); Sezioni Riunite, Atti di Società, reg. 1829 - 1ºsemestre 1834, ff. 292 e 531; 2genn. 1838 - 31 dic. 1841, f. 174; gennaio - 11 ag. 1853, f. 136; 1861, f. 334; G. Quazza, L'industria laniera e cotoniera in Piemonte dal 1831 al 1861, Torino 1961, p. 72; V. Castronovo, L'industria laniera in Piemonte nel sec. XIX, Torino 1964, pp. 107 s., 111 s., 177, 189, 288, 309.