DELLA SERRA, Brunamonte
Nacque nella seconda metà del XIII secolo probabilmente a Gubbio, dal conte Ranuccio. La sua era una delle maggiori famiglie della nobiltà guelfa eugubina, i conti Della Serra che a partire dal XIV secolo - forse appena dopo la sua morte - saranno chiamati Della Serra Brunamonte per distinguerli da due altre nobili famiglie, quasi omonime, i conti della Serra Partucci e i conti della Serra S. Abbondio. Quale toponimo il nome Serra Brunamonte esiste ancora oggi ed indica un piccolo centro abitato dell'Eugubino.
Il D. e i suoi figli risiedevano nel quartiere di S. Andrea, il più aristocratico tra i quattro della città di Gubbio se, nella Libra, o Appassus, del 1301, l'unico dei catasti antichi conservati, i più ricchi personaggi abitano quasi tutti in tale rione. Lo stesso D. vi spicca per la sua florida posizione economica: di fronte a una media di poche centinaia di lire, vi figura infatti con l'ingente quota di 9.299 lire e 12 soldi.
Una delle prime notizie che, nella purtroppo scarsa documentazione del periodo, riguardano il D. è del 27 apr. 1297, relativa al deposito (o meglio prestito) di 100 lire di denari ravennati ed anconetani, ricevuto da Cello di Federico, che il D. promette di restituire alla prima richiesta, impegnando anche i propri beni. Questo apparente stato di bisogno del ricco conte fu, con tutta probabilità, solo un breve momento di congiuntura, se non si tratta invece di un'abile speculazione finanziaria. Già pochi giorni dopo, infatti, il 1º maggio e sempre presso il palazzo comunale di Gubbio, dove si era svolta anche la prima transazione, Andruccio di Nicoluccio concesse al D. tutti i diritti che possedeva e gli competevano nei confronti di Nercolo di Bevegnate e di altri abitanti di Colpalombo, per la restituzione di 100 lire, rata di una somma totale dovuta di 450 lire. Meno di un anno dopo, il 6 genn. 1298, questa volta direttamente in casa del D. che fungeva anche da testimone (e forse da garante), un tale Uguccionello di Monaldo, ed altri uomini, fecero quietanza ad alcuni abitanti di Giomisci, località del circondario di Gubbio, per una somma di lire 1.000 di denari ravennati ed anconetani. Queste notizie di carattere più strettamente finanziario proseguono negli anni successivi e il 1º apr. 1321 il D. stipulò due diversi atti con Paoluccio di Giovagnolo e con Giuntarello di Bentivoglio, per un prestito di 100 lire a ciascuno dei due. Tali debiti verranno cancellati, su richiesta formulata dallo stesso D., solo sei anni dopo essere stati contratti, il 14 sett. 1327. L'attività di banchiere, o comunque di prestatore, del D., sebbene solo velatamente intuibile attraverso questi pochi frammenti, doveva essere più che occasionale o quantomeno non inusuale tra i componenti della famiglia se, il 12 febbr. 1338, quando il D. era morto già da qualche tempo, uno dei suoi eredi, il figlio Ranuccio, insieme con Petruccio di messer Bino dei Gabrielli, rampollo di un'altra nobilissima famiglia eugubina, in qualità di eredi di Pucolo di Scaltrito, si vedeva notificare dal Comune una ingiunzione di pagamento per la somma di 400 lire estorte, tramite lo stesso Pucolo, alla intera Comunita, in modo indebito ed ingiusto, e per pratica di usura.
Come esponente di una famiglia molto in vista nella vita politica di Gubbio il D., come più tardi anche i suoi figli, fu spesso chiamato a ricoprire le cariche di podestà e di capitano del Popolo in altre città dell'Italia centrale. Nel 1303 fu nominato podestà a Siena, e fu anche capitano del Popolo ad Orvieto dal dicembre del 1306 al maggio del 1307. Il D. è ricordato anche nel vecchio Statuto di Gubbio, scritto e pubblicato tra il 1326 e il 1358, dove il suo nome figura assieme a quello di Monaldo Della Serra, e immediatamente dopo quello della potente famiglia dei Gabrielli, nella rubrica riguardante i nobili e magnati eugubini di parte guelfa, ai quali dovevano essere affidate tutte le cariche politiche ed amministrative della città.
A riprova di quanto stabilito dallo statuto, il 17 dic. 1326, il gonfaloniere e i consoli di Gubbio nominavano tra i sapienti e i buoni uomini del quartiere di S. Andrea chiamati a coadiuvare le massime autorità civiche, Nicola di Ranuccio Della Serra e lo stesso dominus Brunamonte, a seconda di chi dei due avesse voluto accettare l'incarico e sostituire, in caso di assenza, il terzo componente della famiglia prescelto, il figlio del D., Francesco. L'anno dopo, nel gennaio del 1327, sempre il D. venne riconfermato nell'incarico assieme a Lello di Cante Gabrielli, mentre poco prima, il 19 dic. 1326, il figlio del D. Ranuccio e Monaldo Della Serra, erano stati inviati dal Comune, il primo alla custodia del contado con una milizia formata da duecento uomini, cento armati di balestra, e altrettanti di lancia, il secondo come ambasciatore ufficiale della città, assieme a Corrado Della Branca.
Non sappiamo con certezza quando il D. morì; nel 1338 comunque è già ricordato come quondam. È conservato un suo testamento rogato nell'agosto del 1326 dal notaio Massolo Guidoli di Gubbio, presso la sacrestia del convento di S. Agostino, posto appena fuori l'abitato. Dal documento, purtroppo quasi totalmente abraso e reso illeggibile dall'umidità e dalle erosioni, apprendiamo soltanto che la casa nel quartiere di S. Andrea, confinante con la piazza e con quattro strade, viene lasciata in eredità (presumibilmente al figlio Francesco) e che gli eredi universali, oltre allo stesso Francesco, sono gli altri figli maschi, almeno tre: il già ricordato Ranuccio, Filippo e Ghinerello. Se però dell'esistenza di Ghinerello non sembrano rimanere altre tracce, Filippo invece è menzionato anche in un documento del 18 genn. 1313 relativo ad un contratto di enfiteusi per una casa nel quartiere di S. Pietro, stipulato tra la congregazione di S. Pietro e lo stesso Filippo in qualità di monacoe sindaco del monastero di S. Maria di Alfiolo, situato poco lontano da Gubbio. Una figlia, Giacoma, è invece nota attraverso altri due atti del 20 luglio 1315, in cui il D., a nome della figlia rimasta vedova del nobile Raniero di Sasso, si impegnava ad accettare quale eredità del defunto per una dote di 600 lire data al tempo delle nozze, un manso di terra nelle pertinenze di San Giovanni di Poserra, più altre terre sempre nelle stesse pertinenze.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Gubbio, Arch. storico comunale, Statuti, 1, cc. 21rv; Ibid., Appassus, fasc. I, c. 5r; Ibid., Riformanze, 1, cc. 137r, 139rv, 170v; 2, cc. 199v-200v; Ibid., Fondo comunale, Strumenti notarili, Notaio Ventura Griconis, 2, cc. 23v-24r, 45r; Ibid., Fondo notarile, Protocollo, 1, cc. 20v-22r, Protocollo 13, c. 40v; Ibid., Fondo Armanni, Pergamene, busta 5, mazzetta XXXI, n. 2; Ibid., Fondo S. Pietro, busta 3, Protocollo di ser Brucimo, c. 51r; Sezione di Archivio di Stato di Orvieto, Arch. stor. comunale, Riformagioni, 75, c. 15v; Archivio di Stato di Siena, Consiglio generale, 63, c. 2r; O. Lucarelli, Mem. e guida storica di Gubbio, Città di Castello 1888, pp. 328 ss., 391; G. Pardi, Serie dei supremi magistrati e reggitori diOrvieto dal principio delle libertà comunali all'anno 1500, Perugia 1895, p. 48; P. L. Menichetti, Castelli, palazzi fortificati, fortilizi, torri diGubbio, dal secolo XI al XIV, Città di Castello 1979, p. 336.