FANCIULLACCI, Bruno (Massimo)
Nacque a Pieve a Nievole (Pistoia) il 13 nov. 1919 da Raffaello, artigiano, e Rosa Michelini, quarto di sei figli. Nel 1932 il padre, rimasto senza lavoro per i suoi sentimenti antifascisti, si trasferì con la famiglia a Firenze, venendo ad abitare in via S. Maria, nel popolare quartiere di S. Frediano. Qui il F., proseguiti per breve tempo gli studi, lavorò dapprima come garzone di lattaio e, dal dicembre 1936, presso l'albergo Cavour in qualità di ragazzo d'ascensore e poi di portiere.
Giovane riservato e scontroso, ma indipendente e tenace, mosso da una crescente insofferenza al regime si impegnò in un'organizzazione antifascista clandestina, di iniziale orientamento mazziniano, ma col tempo qualificatasi in senso comunista, promossa in Firenze e nel circondario da Danilo Masi, con l'adesione, tra gli altri, di Danilo Dolfi, Cesare Massai, Giuseppe Gemmi e Armando Valdesi, questi ultimi rispettivamente collega di lavoro e amico di famiglia del Fanciullacci. Quando l'organizzazione fu tradita da un infiltrato, anche il F. fu arrestato, il 12 luglio 1938, e recluso nel carcere di Lucca. Processato con altri 96 imputati dal tribunale speciale per "organizzazione del partito comunista, appartenenza al medesimo, propaganda sovversiva, offese a Mussolini ed Hitler", il 27 apr. 1939 fu condannato a sette anni di reclusione e pene accessorie. Nel carcere di Castelfranco Emilia, ove scontò la pena, maturò la propria educazione politica nello studio e nel confronto con gli altri detenuti politici, aderendo al partito comunista. Trasferito dal gennaio 1943 nel carcere di Saluzzo per motivi di salute, ebbe poi condonati due anni e fu rilasciato il 12 luglio 1943.
Tornato a Firenze, per incarico del partito il F. lavorò alla Fiat, ma dopo l'8 settembre, essendo noto ai fascisti, entrò in clandestinità. Fu inviato in un gruppo partigiano insediato a Marciola, vicino Scandicci, che ai primi di novembre si spostò a Montagnana e quindi nei dintorni di Greve, confluendo nella formazione guidata da Faliero Pucci. Alla fine di novembre il F., col Pucci e Rindo Scorzipa, fu chiamato a Firenze per attentare al colonnello Gobbi, dirigente del distretto militare. Fallito il tentativo e tornato a Greve, partecipò allo scontro a fuoco avvenuto il 7 dicembre in località Strambella, riportando lievi ferite. Alla fine del mese rientrò definitivamente a Firenze per dar vita, sotto la guida di Alessandro Sinigaglia, ai Gruppi di azione patriottica (GAP), formazioni armate promosse dal partito comunista per condurre la resistenza contro i nazifascisti nelle città. Dotato di grande audacia e determinazione, il F. divenne, insieme con Cesare Massai, uno dei dirigenti dei GAP e fu protagonista di alcune fra le azioni più clamorose della lotta di liberazione a Firenze.
Il 14 genn. 1944, vestito da ufficiale della milizia, entrò nella sede della federazione fascista in via de' Servi collocandovi una bomba che esplose, contemporaneamente ad altre poste in luoghi diversi della città, provocando due morti e diversi feriti. L'attività dei GAP, volta a tenere in costante allarme il nemico, proseguì con ritmi incalzanti nelle settimane successive.
Il F. diresse o partecipò a molte delle numerose azioni dei GAP, fra le quali il ferimento, avvenuto il 17 gennaio, di Averardo Mazzoli, indicato dalla voce popolare come l'autista degli assassini di Matteotti, l'eliminazione, pochi giorni dopo, di una sentinella repubblichina al ponte di ferro, l'attacco del 4 febbraio ad una ronda della milizia in piazza Donatello, ove morirono due militi e altri due furono feriti. All'alba del 3 marzo, in appoggio allo sciopero generale antifascista proclamato per quel giorno, il F. e altri fecero esplodere degli ordigni nei pressi del deposito tranviario di viale dei Mille, sabotando efficacemente l'uscita delle vetture. Pochi giorni dopo, il 14, il F., Massai, Scorzipa e altri incendiarono la sede dei sindacati fascisti distruggendo gli elenchi di operai antifascisti per ostacolarne la deportazione in Germania. Un mese dopo, il 7 aprile, partecipò all'azione contro la spia Nello Nocentini, che rimase ferito, mentre furono uccisi il figlio e un parente, entrambi fascisti.
L'azione più clamorosa, rimasta fino ad anni recenti oggetto di accese controversie intorno alla responsabilità politica del fatto e alla stessa identità dei partecipanti, fu quella che il GAP guidato dal F. portò a termine il 15 apr. 1944 uccidendo il filosofo Giovanni Gentile, all'epoca presidente dell'Accademia d'Italia e autorevole esponente "moderato" del neofascismo repubblichino. L'attentato, che intendeva rispondere all'eccidio fascista del 22 marzo al Campo di Marte, fu rivendicato dalla stampa antifascista clandestina e da quella alleata, ma vivamente criticato dalla componente azionista del Comitato toscano di liberazione nazionale.
Pochi giorni dopo, il 26 aprile, il F. fu arrestato, pare casualmente, sottoposto a brutale pestaggio e quindi interrogato da M. Carità, efferato dirigente della polizia politica. Nel pomeriggio dello stesso giorno un ufficiale fascista lo assalì in cella ferendolo gravemente a coltellate. Soccorso con ritardo, fu poi ricoverato nell'ospedale di via Giusti, dove rimase fino all'8 maggio, quando, dopo un primo tentativo fallito, un audace intervento dei GAP, guidati da Elio Chianesi, lo sottrasse al pericolo della consegna alle S.S. Nascosto in case amiche e infine in quella del pittore Ottone Rosai, ove ebbe modo di narrare la vicenda dell'arresto in un diario, il F. volle presto riprendere il suo posto di lotta. Per quanto convalescente e noto alla polizia, ottenne di restare a Firenze e in giugno tornò alla guida dei GAP, a fianco del Chianesi che aveva sostituito il Massai, costretto a lasciare la città. Con lui ed altri gappisti, il 9 luglio il F. operò la clamorosa liberazione della gappista Tosca Bucarelli e di altre 16 detenute politiche rinchiuse nel carcere di S. Verdiana. Due giorni dopo, in piazza S. Maria Novella, guidava l'eliminazione di Valerio Volpini, luogotenente di Giuseppe Bernasconi, nuovo dirigente della polizia politica. Ma nei giorni seguenti, si pensa grazie ad un delatore, il Bernasconi riusciva ad arrestare gran parte dei gappisti, di lì a poco nascostamente fucilati. La mattina del 15 luglio anche il F. fu bloccato in piazza S. Croce. Condotto nella famigerata "Villa Triste" di via Bolognese e sottoposto ad immediato interrogatorio, si rese probabilmente conto dell'avvenuta delazione e nel pomeriggio tentò la fuga saltando, ammanettato, da una finestra. Ferito a colpi di pistola e fratturatosi la base cranica, entrò in agonia. Morì il pomeriggio del 17 luglio 1944.
Al suo nome fu intitolata una brigata della divisione partigiana garibaldina "Arno" e alla sua memoria fu conferita la medaglia d'oro al valor militare partigiano.
Fonti e Bibl.: Un fascicolo al nome del F., contenente anche alcune lettere, è conservato nel Casellario politico centrale, busta 1943, f. 135353, presso l'Arch. centrale dello Stato a Roma; un quaderno di appunti di studio del periodo del carcere si trova nel fondo ANPI-Firenze (b. 1, f. 2), presso l'Istituto storico della Resistenza in Toscana; il diario del primo arresto e una testimonianza di A. Ignesti sono pubblicati in O. Barbieri, Un anno di lotta contro il nazismo e il fascismo, Firenze 1944, pp. 111 s. e 171-180; sull'organizzazione del 1937-38 si veda la testimonianza di D. Masi in Storia di un antifascista, in Società, III (1947), 2, e sulle vicende del 1944 quelle di "Sergio" [A. Fontani], I GAP a Firenze, in Rinascita, II (settembre-ottobre 1945), di C. Massai in I compagni di Firenze. Memorie della Resistenza (1943/1944), Firenze 1984, e di A. Fagioli, Partigiano a 15 anni, Firenze 1984, alle pp. 95-222. Oltre alla biografia di G. Zingoni, La lunga strada. Vita di B.F., Firenze 1977, che utilizza varie testimonianze inedite, importanti riferimenti al F. sono in O. Barbieri, Ponti sull'Arno, Roma 1958, pp. 220-232; C. Francovich, Un caso controverso. Chi uccise Giovanni Gentile?, in Atti e studi dell'Istit. stor. della Resistenza in Toscana, n. 3, dic. 1961; Id., La Resistenza a Firenze, Firenze 1961, pp. 193-200, 242-246; G. Verni, L'opera dei gappisti fiorentini, in Atti e studi dell'Ist. stor. della Resistenza in Toscana, n. 5, marzo 1964; G. Frullini, Firenze Estper la libertà, Firenze 1984, pp. 15-16, 42-47, 55-60; L. Canfora, La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile, Palermo 1985.