INNOCENTI, Bruno
Nacque a Firenze il 4 febbr. 1906, unico figlio di Natale, orafo, e Giulietta Freschi. Fu il padre, nel desiderio di educarlo alle arti figurative prima di iniziarlo al mestiere di orafo, a decidere, nel 1920, di iscriverlo all'Istituto d'arte di Firenze. Qui frequentò il corso di scultura tenuto da L. Andreotti, maestro che seppe comprendere e valorizzare il suo talento di scultore e che lo sostenne assiduamente, intervenendo, alla fine del corso di studi (1923), presso il padre, per dissuaderlo dall'impiegare il figlio nella bottega orafa. Quando nel 1926, terminato il servizio militare a Verona, tornò a Firenze, Andreotti lo accolse come assistente e collaboratore (l'I. intervenne nelle sculture per il Monumento alla madre italiana in S. Croce e per il Tempio dei caduti di Milano; ma già nel 1922 aveva eseguito alcuni disegni e parti secondarie per il Monumento ai caduti di Roncade).
Egli trascorse la prima fase della sua attività di scultore in stretta relazione con il maestro, assimilandone lo stile: le sue prime opere, basate su un procedimento di lettura analitica del reale fondato sulla scomposizione e sintetizzazione della forma in volumi essenziali, derivano infatti dalle lezioni andreottiane, memori a loro volta della meditazione sull'opera di P. Cézanne. Ciò risulta chiaro osservando il cospicuo fondo di disegni giovanili (conservati presso il Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi e nei taccuini custoditi dagli eredi) e i pochi dipinti eseguiti.
Il rapporto con Andreotti segnò profondamente non solo la formazione dell'I., ma anche la sua fortuna critica. Infatti, se da una parte l'affettuoso incoraggiamento del maestro accompagnò il suo precoce esordio pubblico (dalla Mostra regionale d'arte toscana del 1928 a quella della galleria Pesaro a Milano del 1930), dall'altra determinò il successivo appiattimento della sua figura, messa in ombra dal continuo confronto con quella di Andreotti, le cui opere sono state utilizzate dalla critica come termine di paragone per la lettura di quelle dell'I., penalizzando un'analisi attenta del suo percorso artistico autonomo.
Durante gli anni Trenta, quando la scultura, dominata dalle esigenze celebrative dettate dal fascismo, si esprimeva in termini monumentali, l'I. realizzò alcuni dei suoi lavori più importanti, definendo il proprio linguaggio in controtendenza rispetto all'arte del periodo: forme fragili ed esili iniziarono a caratterizzare il suo stile, ritratti e nudi femminili divennero i temi preferenziali. Tra questi, Lilia nuda (1930: Roma, Galleria nazionale d'arte moderna) e Lilia in piedi (1930: Bari, Pinacoteca provinciale) suscitarono l'attenzione della critica per l'eccessivo realismo. La prima, sospettata di derivare da un calco (Fagioli, 2000, p. 12), documenta l'interesse dell'I. per l'indagine ossessiva del singolo dettaglio, nel quale l'autore sembra condensare il contenuto poetico dell'opera. L'attitudine all'osservazione acuta del reale trovò riscontro nei bellissimi ritratti (per esempio, La Bruna e Ismano Dari, presso la Galleria d'arte moderna di Firenze, e Adriana, presso quella di Milano), dove l'attenzione al particolare, non penalizzante la sintesi formale, viene utilizzata per superare l'apparenza e penetrare la verità dell'individuo. Fin da questo momento la ricerca dell'I. si rivolse esclusivamente alla figurazione, con il consapevole scopo di indagarne le nuove possibilità espressive e di riabilitarne il valore che le avanguardie avevano messo in discussione.
Dopo la morte di L. Andreotti, nel 1933, l'I. assunse all'Istituto d'arte la cattedra di scultura, che mantenne fino al 1975. Il mestiere di insegnante fu parte essenziale della sua identità e il rapporto affettivo stabilito con gli allievi rimane documentato da diversi ritratti (Edmondo Conetta, Angelo Biancini, entrambi presso gli eredi a Firenze). Sempre negli anni Trenta ebbe alcuni incarichi per opere pubbliche: nel 1933 lavorò ai rilievi e alle statue in gesso per boccascena e vestibolo del teatro Comunale di Firenze (per anni nascosti nel sottotetto, riscoperti nel 2001 e portati presso il Museo d'arti applicate del Novecento); nel 1937, ai bassorilievi per il teatro delle Arti di Roma; nel 1941, alle statue per il palazzo di Giustizia di Milano. Tra il 1925 e il 1938 prese parte a diverse quadriennali romane e biennali di Venezia; nel 1937 partecipò all'Esposizione universale di Parigi. Sue opere furono acquistate dalle gallerie d'arte moderna di Bari, Roma, Firenze, Milano e Torino.
Nel 1946 si trasferì a New York per raggiungere la moglie, Elsie Rowe, giovane messicana che aveva sposato nel 1938 e dalla quale aveva avuto due figli, Stefano e Marta. Trascorse a New York solo un anno: la lontananza dall'ambiente che gli era familiare penalizzò il suo lavoro d'artista, pur dandogli modo di esporre i suoi lavori all'estero (nel 1951 il Metropolitan Museum of art gli dedicò una mostra personale). Di ritorno in Italia, non ritrovando l'atmosfera che aveva animato gli anni giovanili e perduti i legami con i passati committenti, si ritirò a una vita isolata, dedita al lavoro di scultore e insegnante. Le opere realizzate tra gli anni Sessanta e Settanta (tra cui la grande statua del Redentore di Maratea del 1965) appaiono prive della profondità espressiva che aveva caratterizzato la ricerca precedente. Tuttavia un ritrovato vigore si può cogliere nella produzione in legno e porcellana, quest'ultima legata alla collaborazione con la Richard Ginori di Doccia, iniziata nel 1962. Nel 1985 l'Accademia delle arti del disegno di Firenze gli dedicò un'importante mostra.
L'I. morì a Firenze il 3 ott. 1986.
Presso gli eredi, tutt'oggi a Firenze, si conservano molti dei suoi lavori e l'archivio privato.
Fonti e Bibl.: R. Monti, B. I., in Scultura toscana del Novecento, a cura di U. Baldini, Firenze 1980, pp. 199-209, 406; P. Latini, Il teatro delle Arti, Roma 1991, p. 14; Scultura italiana del primo Novecento (catal.), a cura di V. Sgarbi, Bologna 1992, pp. 128 s.; B. I.: sculture e disegni (catal.), a cura di M. Fagioli - R. Federici - A. Baldinotti, Firenze 1996; M. Fagioli - V. Tassi, I rilievi del boccascena di B. I.: una riscoperta al teatro Comunale di Firenze, in Boll. della Società di studi fiorentini, I (1997), 1, pp. 109-120; M. Fagioli, B. I. e l'immagine femminile, Bergamo 2000; Diz. Bolaffi degli scultori italiani moderni, Torino 1972, p. 191.