MUNARI, Bruno
– Nacque a Milano il 24 ottobre 1907 da Enrico Munari e da Pia Cavicchioni.
Il padre, capocameriere presso il ristorante Gambrinus di Milano e la madre, ricamatrice di ventagli, nel 1913 trasferirono la famiglia a Badia Polesine, paese d’origine di Enrico, per prendere in gestione l’albergo presso il quale egli aveva lavorato da giovane.
Trascorse l’infanzia nella campagna veneta e, dopo la scuola dell’obbligo, si recò a Napoli, dove uno zio ingegnere lo indirizzò agli studi tecnici e, nel 1926, lo condusse con sé a Milano per impiegarlo come grafico presso il suo studio. Nel capoluogo lombardo, appena diciottenne, entrò in contatto con gli ambienti futuristi di seconda generazione, influenzati dalla lezione di Filippo Tommaso Marinetti, Enrico Prampolini, Fortunato Depero e Giacomo Balla; nel 1927, da autodidatta, debuttò nella Mostra di trentaquattro pittori futuristi, ospitata dalla galleria Pesaro di Milano dove presentò la sua prima opera documentata, Costruire – un dipinto di ispirazione boccioniana raffigurante scene di vita urbana (Menna, 1966, p. 75) – cui seguirono le collettive di Mantova del 1928, e Milano e Parigi del 1929. Nello stesso anno lasciò il lavoro procuratogli dallo zio e cominciò a collaborare, come bozzettista, con diversi studi di grafica, in particolare quello del pioniere del cartone animato italiano, Carlo Cossio. Sempre nel 1929 si cimentò, con Anton Giulio Bragaglia, nella realizzazione della scenografia dell’opera teatrale di Marinetti, Il suggeritore nudo, e illustrò, con immagini di chiara ascendenza aeropittorica, il racconto di Giuseppe Romeo Toscano, Aquilotto implume; nel 1931 firmò il Manifesto dell’aeropittura del gruppo futurista milanese e, nel 1934, il Manifesto tecnico dell’aeroplastica e il Manifesto della plastica murale. Dopo le partecipazioni con il raggruppamento futurista alla Biennale di Venezia del 1930 e alla Quadriennale di Roma del 1931, collaborò ad alcuni lavori collettivi – come la redazione de L’Almanacco dell’Italia veloce (1930), il progetto Stazione per l’aeroporto civile di Prampolini (1933), l’illustrazione del poema L’anguria lirica di Tullio d’Albisola (1934), stampato su latta – e per Marinetti curò la grafica de Il poema del vestito di latte (1937), impresso su fogli di cellophan (Ricostruzione futurista, 1980, pp. 244, 493-496, 563-569; Maffei, 2002, pp. 16 s.).
L’adesione alla seconda ondata del movimento futurista non gli impedì di avvicinarsi agli astrattisti, in primis Lucio Fontana, Osvaldo Licini, Fausto Melotti, Mauro Reggiani, Manlio Rho, Atanasio Soldati e Luigi Veronesi, la cui pittura in quegli anni era promossa dalla galleria del Milione di Milano. Fu questa, nel 1933, a ospitare la prima personale di Munari: tra il 1930 e il 1933, infatti, egli aveva dato prova di grande maturità e originalità artistica, ideando la serie delle Macchine inutili, che trovava un precedente nella Macchina area progettata nel 1930, figlia dello sperimentalismo che lo accomunava ai futuristi, ma più prossima alle ricerche sulle forme geometriche e i colori puri portate avanti dal gruppo del Milione (Menna, 1990, p. 82; Caramel, 1982, p. 155).
Le Macchine inutili erano oggetti tridimensionali in cartoncino, bacchette di legno e fili di seta – definiti dall’artista «passaggio dell’arte figurativa da due, o tre dimensioni alla quarta dimensione: il tempo» (Arte come mestiere [1966], Bari-Roma 2009, p. 11) – generati dalla volontà di superare l’astrattismo di Kandinskij, e, sebbene da subito paragonati ai Mobiles di Calder, lontani dalla «ispirazione di carattere vegetale» delle opere dello scultore americano (ibid., p. 9).
Nel corso degli anni Trenta, grazie alle mostre italiane e straniere a cui presenziò, Munari ebbe modo di conoscere i principali movimenti artistici internazionali, subendo, principalmente, l’influsso dei maestri del costruttivismo, della corrente De Stijl e della Bauhaus – si trova eco, per esempio, di Man Ray e Moholy-Nagy nei fotogrammi del 1935, e di Albers nel dipinto Anche la cornice dello stesso anno (Menna, 1990, pp. 81-83) – e recependo, soprattutto, la lezione di Kandinskij e Mondrian (B. M., 1979, pp. 15 s.).
Nonostante l’assiduo impegno sul fronte artistico, continuò a esercitare la professione di grafico: nel 1930 aveva fondato con Ricas (Riccardo Castagnedi) lo studio di grafica R+M, dando avvio a un sodalizio che si sciolse solo nel 1937, e per tutto il decennio lavorò per riviste come La Lettura, Natura, Settebello, Grandi Firme, L’Ufficio moderno, e fu responsabile delle campagne pubblicitarie per la Campari. Nel 1938, allontanatosi anche dal movimento futurista, accettò di passare come grafico alle dipendenze di Mondadori; nello stesso anno scrisse il Manifesto del macchinismo, spronando gli artisti del suo tempo a capire il funzionamento delle macchine e a usarle a proprio piacimento, premessa teorica al libro Le macchine di Munari, raccolta di disegni di oggetti meccanici umoristici, curata con il disegnatore americano Rube Goldberg e pubblicata da Einaudi nel 1942.
Nel 1940, quando cominciò a dirigere l’ufficio editoriale de Il Tempo – esperienza che gli permise, fino alla fine della guerra, di collaborare con salvatore Quasimodo – nacque suo figlio Alberto, avuto dalla moglie Dilma Carnevali, sposata nel 1934. Con la nascita del figlio, si rafforzò l’attenzione di Munari per l’infanzia: tra il 1940 ed il 1945 diede alle stampe, in veste di autore, grafico e illustratore, una fortunatissima serie di libri per bambini.
La prima raccolta di libri didattici per l’infanzia, realizzata nel 1940 per la casa editrice Italgeo, fu Mondo, Aria, Acqua,Terra, seguìta dall’Abecedario, pubblicato nel 1942 da Einaudi; negli anni della guerra lavorò poi con Gelindo Furlan a due libri gioco, Teatro dei bambini e Musica, e, dal 1943, mise mano a una delle sue collane più celebri, I libri di Munari, composta da sette titoli, uscita per Mondadori nel 1945 e subito stampata negli Stati Uniti (Maffei, 2002, pp. 24-26).
Dopo la partecipazione come artista indipendente alla Triennale nel 1940, per tutto il decennio continuò a esporre soprattutto a Milano, da cui si allontanò soltanto negli ultimi anni della guerra, mettendo al riparo la sua famiglia a Badia Polesine. In pieno conflitto mondiale, e immediatamente dopo, Munari, scettico nei confronti del linguaggio verbale, produsse opere di gusto quasi dadaista, tutte caratterizzate da un’arguta e ilare ironia. In tal senso va letta la Tavola tattile del 1943, opera in grado di «essere “vista” anche da un non vedente» (Meneguzzo, in M. scultore, 1990, p. 50), e vanno interpretate le Fotocronache e il testo Munari presenta il catalogo illustrato dell’umorismo, pubblicati nel 1944, nonché la serie Scritture illeggibili di popoli sconosciuti, cominciata nel 1947.
È con due opere, il multiplo Ora X del 1945 – «un orologio a variazione cromatica, dove le sfere sono semidischi trasparenti, coi colori primari», definito dall’artista come la sua prima creazione di arte programmata (Id., 1993, p. 32) – e la struttura Concavo/convesso del 1947 – «una forma tridimensionale in rete metallica continua, che riprendeva la forma del cosiddetto anello di Moebius a sua volta considerato dall’artista svizzero Max Bill» (ibid., p. 51) – che per Munari si aprì una nuova stagione artistica: dopo aver partecipato alla mostra Arte astratta e concreta del 1947, organizzata nel capoluogo lombardo da Lanfranco Bombelli Tiravanti, Max Bill e Max Huber (MAC e dintorni, 1997, p. 11), nel 1948, con Gillo Dorfles, Gianni Monnet e Atanasio Soldati, fondò, a Milano, il MAC (Movimento arte concreta).
Secondo Dorfles, il concretismo degli anni Cinquanta, che da lì a poco avrebbe attirato nella sua orbita altri artisti della scena italiana, «costituiva la prima autentica volontà di giungere ad una forma d’arte la cui ragion d’essere fosse avulsa da ogni riferimento naturalistico e mirasse all’individuazione di forme pure» (Dorfles, 1961, p. 80).
Nell’ambito dell’esperienza del MAC, portata avanti fino al 1958, Munari curò la veste grafica dei bollettini e delle raccolte di materiale documentario del gruppo, e iniziò a lavorare, intorno al 1948-49, ai Negativi/positivi, dipinti di forma quadrata nei quali sagome geometriche bicolore annullavano la classica contrapposizione tra primo piano e sfondo, e ai Libri illeggibili – libri del tutto privi di parole e, grazie alla forma, al colore e ai materiali scelti di volta in volta dall’artista, essi stessi contenuto della comunicazione – stampati successivamente anche in Olanda, Giappone e Stati Uniti (Maffei, 2002, pp. 20-24).
Un prototipo del 1956, il Libro illeggibile bianco nero giallo, ritrovato da Giorgio Lucini presso l’Officina di arti grafiche ereditata da suo padre Ferruccio e da suo nonno Achille, con i quali Munari aveva collaborato fin dagli anni Trenta, è stato pubblicato postumo nel 2011, con l’approvazione di Alberto Munari.
Nel 1950, anno in cui Negativi/positivi e Libri illeggibili furono presentati in mostra – i primi alla galleria dell’Elicottero, i secondi alla libreria Salto di Milano – Munari stese la prima riflessione organica sul suo ruolo di artista globale, affidata all’articolo L’arte è un mestiere, uscito sulla rivista AZ. Nel 1951 concretizzò nelle Macchine aritmiche, congegni dal funzionamento irregolare che tanto influenzarono Tinguely, i principi già espressi nel Manifesto del macchinismo, mentre tra il 1952 ed il 1953 progettò i suoi primi oggetti di design: occhiali paraluce in cartoncino, entrati in produzione alla fine degli anni Cinquanta, e il Gatto Meo-Romeo e la Scimmietta Zizì – che si aggiudicò, nel 1954, il premio Compasso d’oro dell’ADI (Associazione disegno industriale) – giocattoli in gommapiuma commercializzati da Pirelli.
Al 1954 risalgono le sperimentazioni con la luce e le materie plastiche, che diedero vita alle diapositive delle due serie Proiezioni dirette e Proiezioni a luce polarizzata, e l’interesse di Munari per la forza meccanica dell’acqua, culminato nella creazione della fontana presentata alla Biennale di Venezia di quell’anno, seguita dal congegno idraulico esposto alla fiera di Milano del 1955 (B. M. Il metodo ..., 1999, p. 37).
Nel 1956 – anno in cui vinse nuovamente il Compasso d’oro, assegnatogli per il Secchiello portaghiaccio disegnato nel 1954 – cominciò a lavorare alle Ricostruzioni teoriche di oggetti immaginari, serie nata da un gioco inventato con il figlio Alberto (in M. scultore, 1990, p. 179); inoltre, scrisse e illustrò il libro per bambini Nella notte buia, edito da Muggiani.
La sua collaborazione con la casa di produzione Danese di Milano, iniziata nel 1957, fu anche segno di un progressivo intensificarsi dell’impegno di Munari nella progettazione industriale, campo in cui i suoi oggetti si distinsero per linearità e naturalità delle forme, nonché per economicità e funzionalità.
Dal 1957 alla metà degli anni Sessanta, Danese mise in produzione, a firma Munari, il portacenere Cubo (1957), la lampada esagonale (1959), primo esemplare della lunga serie in cui figurano i modelli Bali, Capri e Falkland (1964), gli occhiali paraluce (1959) e i multipli Strutture continue (1960), Aconà/Biconbì, Sfere doppie, Nuove sfere in colonna, Tetracono (1961) e la già menzionata Ora X (1963); inoltre, nel 1959, l’artista espose nella showroom di Danese i Fossili del 2000 (Meneguzzo, 1993, pp. 53, 146-151).
Nel 1958 fu invitato a Parigi da Daniel Spoerri a esporre alla prima edizione della collettiva MAT Moltiplicazione arte trasformabile (L’arte del movimento, 2010, pp. n.n.), mentre vedevano la luce le Sculture da viaggio – in cartone pieghevole, contenute in scatole e, quindi, trasportabili, ironica demistificazione del mito della monumentalità e dell’inamovibilità della scultura – e i libri Le forchette di Munari e Supplemento al dizionario italiano, composti da disegni ispirati dall’abitudine tutta italiana di gesticolare.
Già conosciuto in Europa e negli Stati Uniti, dove si era recato nei decenni precedenti portando in mostra le sue opere, nel 1960 effettuò il suo primo viaggio in Giappone, nazione che elesse a sua seconda patria culturale, e riprese il lavoro di grafico, disegnando i manifesti pubblicitari per la Campari.
Da sempre interessato alle ricerche sulla percezione visiva e sul movimento, nel 1962, con Umberto Eco e Giorgio Soavi, organizzò a Milano, nel negozio della Olivetti, la mostra Arte programmata, che prese il titolo da una sua definizione adottata per indicare quelle opere «in prevalenza basate su una previa “programmazione” della loro struttura, vuoi statiche che dinamiche» (Dorfles, 1961, p. 223), realizzate «in base a un programma di calcolo che consente la variazione formale e cromatica delle sequenze figurali, secondo un certo ordine temporale» (L’arte del movimento, 2010, pp. n.n.). Nello stesso anno firmò un contratto con Einaudi come illustratore, arricchendo delle sue immagini, fra gli altri libri, Il pianeta degli alberi di Natale di Gianni Rodari.
Nel 1963 partecipò al dibattito italiano di quegli anni sulla progettazione industriale ‘etica’ con il volumetto Good design, stampato a Milano da Vanni Scheiwiller (D’Amato, 2005, p. 168). L’artista affrontò, inoltre, il tema del rapporto tra opera originale e copie con la singolare serie Xerografie originali, esemplari differenti di un medesimo disegno ottenuti spostando un foglio di carta sulla fotocopiatrice, a cui cominciò a lavorare dal 1964; intanto, dopo la parentesi degli anni Trenta, ritornò alle sperimentazioni cinematografiche, montando brevissimi filmati con Marcello Piccardo (B. M.…, 2008, p. 151).
Nel 1965, in Giappone, gli fu tributata una prima retrospettiva, allestita presso i magazzini Isetan di Tokyo; contestualmente, Giulio Einaudi lo contattò per curare, in veste di grafico editoriale, le collane Piccola biblioteca Einaudi, Nuova universale economica e Nuovo Politecnico. Nel 1967 fu invitato dalla Harvard University a tenere, presso il Carpenter Center for the visual arts di Cambridge, un ciclo di cinquanta lezioni sui temi della comunicazione visiva.
Parte delle conferenze americane confluì nel volume Design e comunicazione visiva, edito da Laterza nel 1968; Laterza, già nel 1966, aveva mandato in stampa il testo Arte come mestiere, e pubblicò, poi, Artista e designer (1971), Fantasia (1977) e Da cosa nasce cosa (1981), serie di libri contenenti riflessioni, indicazioni didattiche e modelli progettuali, destinata ad un pubblico gravitante nell’orbita delle arti e del disegno industriale, a cui fu pure dedicato Codice ovvio, curato da Paolo Fossati e stampato da Einaudi nel 1971 (Meneguzzo, 1993, pp. 95 s.).
Il 1968, anno della contestazione e della rivolta giovanile, vide Munari impegnato su più fronti: progettò la struttura topologica Flexi, gioco per adulti in fili d’acciaio; partecipò con gli architetti Lorenzo Forges Davanzati e Piero Ranzani alla Triennale di Milano, dove il terzetto presentò una struttura abitabile, tentativo di coniugare il minimo ingombro dei mobili con la massima funzionalità; inscenò, durante la mostra collettiva Campo urbano a Como, la performance Far vedere l’aria; scrisse e illustrò la fiaba Nella nebbia di Milano, e diede avvio alla sua collaborazione con il pedagogista Giovanni Belgrano con cui ideò, fino al 1973, diversi giochi didattici, rientranti nella linea «Edizioni per bambini» di Danese.
Dopo la ripresa dei suoi studi sulle variazioni del volto umano, riuniti, nel 1970, nel volumetto illustrato Guardiamoci negli occhi, e un ritorno, nel 1974, ai «quadri quadrati» e alle ricerche sulla percezione visiva con la realizzazione delle Proposte cromatiche per le curve di Peano (Gualdoni, 1997, pp. n.n.), a metà degli anni Settanta l’interesse per il mondo dell’infanzia e la vocazione didattica di Munari assunsero la veste di progettazione globale indirizzata ai bambini, che estendeva il proprio raggio d’intervento ai giochi, alle letture – dal 1972 diresse per Einaudi la collana «Tantibambini», firmando con lo pseudonimo di «E. Poi» quattro racconti, e dal 1974 curò per Zanichelli tre raccolte di educazione artistica – e agli spazi abitabili, fino a tramutarsi in codificazione di un vero e proprio metodo pedagogico.
Nel 1971 disegnò per la casa di produzione Robots, con cui era entrato in rapporti l’anno precedente, l’Abitacolo, struttura-letto multiuso pensata per l’utente-bambino, che gli valse il terzo Compasso d’oro nel 1979; nel 1977 fu incaricato da Franco Russoli, soprintendente alla Pinacoteca di Brera, di organizzare un laboratorio didattico per bambini: all’esperienza milanese fecero seguito, negli anni, numerosi laboratori, accolti con favore in tutto il mondo, e oggi coordinati dall’Associazione Bruno Munari di Milano, depositaria e divulgatrice del metodo Munari (Restelli, 1999, pp. 43-47). Il decennio si chiuse per l’artista con un’altra creazione concepita per i più piccoli, dacché, nel 1979, pubblicò con Danese i Prelibri, sorta di libri illeggibili in miniatura, adatti ai bambini in età prescolare.
Tra gli anni Settanta e Ottanta, quando le istituzioni pubbliche italiane e straniere cominciarono a dedicargli le prime antologiche, Munari portò avanti assiduamente la sua ricerca artistica: nel 1980 presentò gli Oli su tela, quadri ottenuti dal gocciolamento di oli vegetali su tele di materiali diversi, e, nel 1981 tornò alla scultura sospesa in metallo e cartoncini colorati, con le strutture a gabbia Filipesi (B. M., 2008, p. 153).
Dal 1985 ricevé, poi, sia in Italia che all’estero, importanti riconoscimenti, che si sommarono al successo di pubblico ottenuto dalla retrospettiva organizzata, nel 1986, dal Comune di Milano presso il Palazzo Reale.
Tra i premi più significativi vanno ricordati quelli assegnatigli dalla Japan Design Foundation nel 1985; lo Spiel Gut dalla città di Ulm nel 1987 (altri due erano stati vinti nel 1971 e nel 1973); dall’Accademia dei Lincei nel 1988; e dall’ADI, che gli consegnò il Compasso d’oro alla carriera nel 1994. Inoltre, nel 1989, l’artista era stato anche insignito, dall’Università di Genova, della laurea ad honorem in architettura (Meneguzzo, 1993, p. 123).
Nel 1988, su invito di Giorgio Villa, installò a Cesenatico sette opere di dimensioni ambientali in acciaio corten, le Sculture nella città, che, nel 1990, furono esposte anche a Napoli (M. scultore, 1990, passim; Villa, ibid., pp. 28 s.); intanto, nel 1989, il teatro alla Scala di Milano aveva commissionato a Munari l’organizzazione del laboratorio didattico La Scala per i bambini, in cui per due anni lavorò con Davide Mosconi al progetto Opera rotta (Finessi, 1999, pp. I-VIII).
Agli anni tra il 1989 ed il 1991 risalgono, poi, diversi oggetti d’arredo prodotti dalle aziende Zanotta, Robots e Promosedia, che si caratterizzarono per un insolito decorativismo e per la ripresa di idee messe su carta in anni precedenti, come nel caso della Sedia per visite brevissime, disegnata da Munari nel 1945 (Meneguzzo, 1993, pp. 91, 155-157).
Nel 1992 iniziò a lavorare ai libriccini della collana «Block notes» pubblicata da Marzia e Maurizio Corraini, galleristi ed editori frequentati da Munari dalla metà degli anni Ottanta. Data, invece, 1993, la serie di disegni Alberi, riflessione sulla capacità degli ideogrammi giapponesi di trasmettere informazioni visive. Dell’anno successivo sono le ultime pubblicazioni per l’infanzia, ossia La favola delle favole ed il Letto libro; inoltre, dal 1994 al 1997, durante la direzione artistica di Alessandro Mendini, Munari disegnò per la Swatch Tempo libero, orologio in cui «le ore sono libere di muoversi all’interno del quadrante» (B. M., 2008, p. 154).
Nel 1995, il Museum für Gestaltung di Zurigo gli aveva intanto dedicato la mostra antologica Far vedere l’aria, e, nel 1997, la Triennale di Milano organizzò la festa Munaria per celebrare i suoi novant’anni.
Nonostante l’età ancora attivissimo, Munari tenne, nel 1996, la sua ultima conferenza al Politecnico di Milano e progettò pure, con Mosconi, la cornice Intorno alla fotografia, entrata in produzione nel 1998.
Morì nella sua casa di Milano il 29 settembre 1998.
Fonti e Bibl.: Le notizie relative alla famiglia e alla giovinezza di Munari sono state fornite da suo figlio Alberto nell’ottobre 2011. Per l’ampia bibliografia dedicata a Munari fin dagli esordi della sua attività artistica, si rimanda al volume di M. Meneguzzo, B. M. (Bari-Roma 1993), più volte citato nel testo; tuttavia, si segnalano i contributi principali pubblicati prima e dopo tale data: G. Dorfles, Ultime tendenze nell’arte d’oggi (1961), Milano 2006, passim; P. Fossati, Il design in Italia 1945-1972, Torino 1972, pp. 85-90; F. Menna, Arte cinetica e visuale, in L’arte moderna: antologia critica, a cura di F. Russoli, XIII, L’arte contemporanea II: ricerche sulla percezione e sulla comunicazione, Milano 1975, pp. 65-96; B. M., a cura di A.C. Quintavalle, Parma 1979; Ricostru-zione futurista dell’universo (catal.), a cura di E. Crispolti, Torino 1980; A. Tanchis, L’arte anomala di B. M., Bari-Roma 1981; L. Caramel, Gli astratti, in Gli anni Trenta: arte e cultura in Italia (catal.), a cura di N. Bortolotti, Milano 1982, pp. 151-158; E. Crispolti, Svolgimenti del futurismo, ibid., pp. 175-184; R. De Fusco, Storia del design (1985), Bari-Roma 1998, pp. 257-315; A. Tanchis, B. M., Milano 1986; B. M. (catal.), a cura di M. Meneguzzo, Milano 1986; B. M. INegativi/posi-tivi (catal.), Mantova 1986; M. scultore (catal.), a cura di Fondazione Morra, Napoli 1990 (si vedano in particolare gli interventi di G. Villa, B.M. scultore, pp. 27-29; M. Meneguzzo, B. M. Labirinto di vetro [1988], pp. 47-59; F. Menna, M. o la coincidenza degli opposti [1966], pp. 75-86); M. Meneguzzo, B. M., Bari-Roma 1993; Mostra di B. M. (catal., Cantù), Mantova 1995; Far vedere l’aria. Die Luft sichtbar machen (catal., Zürich), a cura di C. Lichtenstein - A.W. Häberli, Baden 1995; MAC. Movimento arte concreta 1948-58. Opere da una collezione, a cura di L. BerniCanani, Roma 1996; MAC e dintorni (catal.), a cura di M. Corgnati, Sondrio 1997; F. Gualdoni, M.: i quadri quadrati, in B. M. (catal., Finale Ligure), a cura di F. Gualdoni - A. Veca, Genova 1997, pp. n.n.; Mostra collettiva di B. M. (catal., Gallarate), a cura di M. Meneguzzo, Mantova 1998; B. M. (catal.), a cura di B. Finessi, Milano 1999; B. M. Il metodo dell’invenzione (catal.), a cura di C. Cerritelli, Nuoro 1999; Omaggio a B. M. (catal., Busto Arsizio), a cura di A. Fiz, Milano 1999 (con particolare attenzione ai seguenti contributi: C. Cerritelli, Intorno alle invenzioni plastiche di M., pp. 33-38; B. Restelli, I laboratori per bambini di M. Giocare con l’arte, pp. 43-47); B. M. Prime idee (catal., Cavalese), a cura di C. Cerritelli, Milano 2001; G. Maffei, M. I libri, Milano 2002; Tinguely e M. Opere in azione (catal., La Spezia), a cura di B. Corà et al., Milano 2004; G. D’Amato, Storia del design, Milano 2005, pp. 157-177; Su M. (1999), a cura di B.Finessi, Milano 2005; G. Bianchino, B. M. Il disegno, il design (catal., Parma), Mantova 2008; B. M. (catal., Roma), a cura di B. Finessi - M. Meneguzzo, Cinisello Balsamo 2008; M.E. Le Donne, Arte cinetica e programmata, in Contemporanea. Arte dal 1950 ad oggi, a cura di F. Poli et al., Milano 2008, pp. 240-59; M. Romanelli, Vietato l’ingresso agli addetti ai lavori (catal., Tokyo), Mantova-Milano 2008; B. M.: 70 anni di libri (catal.), Prato 2009; L’arte del movimento (catal.), a cura di L. Meloni, Roma 2010; G. Lucini, M.bentrovato, in Il Sole 24 Ore, 18 settembre 2011; S. Grasso, Torna l’«illeggibile» di M., in Il Corriere della sera, 7 novembre 2011.