NARDI, Bruno (Giovanni Bruno). – Nacque il 24 giugno 1884 alle Spianate di Altopascio (Lucca)
, primo dei nove figli di Pietro Angiolo, piccolo possidente, e di Elena Raùgi.
Nel 1896, per volontà dei genitori, entrò nel convento francescano di Buggiano, nella Valdinievole, e tra lì e Nicosia, sede dello Studio di filosofia della diocesi di Pisa, compì i primi studi. Nel 1900 pronunciò i voti semplici di chierico, assumendo il nome di frate Angelo. Ma già l’anno seguente chiese ai superiori di lasciare il convento, con dispensa dei voti. Il ritorno alla vita secolare, deciso contro il parere della famiglia, fu tuttavia breve: il 13 maggio 1902 entrò al seminario vescovile di Pescia. Il 4 marzo 1907 fu ordinato sacerdote.
La prima formazione intellettuale di Nardi si svolse in un «ambiente ecclesiastico legato ancora alla tradizione del cattolicesimo liberale, risorgimentale e toscano, fortemente segnato dall’influenza di Rosmini e Gioberti» (Gregory, 1968, p. 470). Proprio la scoperta di Rosmini e Gioberti, nelle cui tesi, condannate dalla Chiesa, taluni seguaci scorgevano il perfezionamento di più antiche dottrine scolastiche, fu determinante nell’avvicinare Nardi allo studio del Medioevo. «Verso i diciassette-diciotto anni – raccontò molto tempo dopo – un frate francescano, infatuato d’ontologismo giobertiano […] m’iniziò alla lettura dei maestri francescani del Medio Evo, che a suo avviso erano stati i precursori di Gioberti» (In onore di B. N., 1956, pp. 276 s.). Qualche anno più tardi, presumibilmente a Pescia, un altro frate francescano, «colto e spregiudicato», gli diede da leggere l’Esame critico delle XL proposizioni rosminiane condannate dalla S.R.U. Inquisizione (Milano 1905) del rosminiano Giuseppe Morando. L’influsso di questi autori per così dire ‘irregolari’ (a fianco dei quali vanno menzionati Roberto Ardigò e Lorenzo Michelangelo Billia) potenziò le inquietudini spirituali del giovane e ne accrebbe l’insofferenza verso quel programma di restaurazione della dottrina tomistica che, enunciato da Leone XIII nella Aeterni Patris, veniva allora propugnato nelle scuole cattoliche. Da ciò l’interesse per la filosofia idealistica (più volte ricordò l’importanza, nella sua formazione, della Logica crociana) e l’adesione – di per sé breve, ma destinata a lasciare tracce indelebili nel suo pensiero – alle istanze di rinnovamento cattolico rappresentate dal modernismo. Dell’impressione che gli suscitò l’assai controverso L’Évangile et l’Église di Alfred Loisy rende testimonianza una breve nota – forse il suo primo scritto – pubblicata sotto lo pseudonimo Nun (Protestantesimo nuovo e cattolicesimo nuovo, in Studium, II [1907], pp. 94-100), in cui ne sono ripresi alcuni concetti chiave.
Uscito dal seminario, approdò nel 1908 all’Institut supérieur de philosophie dell’Università cattolica di Lovanio, grazie a una borsa di studio finanziata dall’Opera pia Leopoldo Galeotti di Pescia. A parte rafforzare il versante scientifico della sua preparazione (con corsi di psicologia sperimentale, psicofisiologia, chimica e fisica), nell’insieme l’Università di Lovanio, a quel tempo il maggior centro di irradiazione della filosofia neoscolastica, ebbe un’influenza relativa su Nardi, che vi «era giunto dopo aver respirato un ben diverso clima filosofico, avverso alla neoscolastica e al neotomismo» (Gregory, 1968, p. 477); ciò nondimeno a Lovanio maturò la scelta, fondamentale per il suo avvenire di studioso, di laurearsi su Dante. Col titolo Siger de Brabant dans la Divine Comédie et les sources de la philosophie de Dante, la tesi fu discussa nel febbraio 1911.
Pubblicata in italiano sulla Rivista di filosofia neoscolastica tra 1911 e il 1912 e poi in volume, con l’aggiunta di una breve introduzione (Sigieri di Brabante nella Divina Commedia e le fonti della filosofia di Dante, 1912), la tesi affronta, in rapporto al problema più generale delle fonti della cultura filosofica dantesca, la vessata questione della presenza dell’averroista Sigieri di Brabante nel Paradiso dantesco, a considerare la quale Nardi era stato indotto dalla lettura della monografia di Pierre Mandonnet su Siger de Brabant et l’averroïsme latin au XIIIe siècle (II ed., Lovanio 1908-11). In polemica con Mandonnet – a giudizio del quale Dante, le cui conoscenze filosofiche non dovevano estendersi al di là di Tommaso, avrebbe avuto delle dottrine di Sigieri un’idea alquanto vaga e approssimativa – Nardi restituiva alla cultura filosofica dantesca la ricchezza di sfumature e la varietà di apporti (in primis quello del neoplatonismo avicenniano) negate dalla leggenda del Dante tomista. L’intera opera storiografica di Nardi dantista può leggersi di fatto come la demolizione di tale leggenda (memorabili le polemiche degli anni Trenta con il gesuita Giovanni Busnelli). I numerosissimi contributi dedicati negli anni a singoli aspetti del pensiero di Dante e alle fonti della sua filosofia (con crescente interesse per Alberto Magno: cfr. C. Vasoli, L’immagine di Alberto Magno in B. N., in Id., Otto saggi per Dante, Firenze 1995, pp. 117-132), molti confluiti nelle raccolte (Saggi di filosofia dantesca (Milano-Genova-Roma-Napoli 1930 [II ed., Firenze 1967]), Dante e la cultura medievale. Nuovi saggi di filosofia dantesca (Bari 1942 [II ed. 1949]), Nel mondo di Dante ( Roma 1944), Dal Convivio alla Commedia (sei saggi danteschi) (ibid. 1960), Saggi e note di critica dantesca (Milano-Napoli 1966) gli valsero la stima di grandi dantisti e medievisti dell’epoca (Michele Barbi, Ernesto Giacomo Parodi, Luigi Pietrobono, Étienne Gilson ecc.). Né vanno tralasciati i saggi di maggiore impegno speculativo (come il suggestivo e personalissimo Dante profeta, 1941) o i tanti saggi che descrivono lo svolgimento del pensiero dantesco nei termini di un graduale e sofferto avvicinamento alla sintesi tra fede e ragione realizzata nella Commedia, alla luce della quale risulterebbero superati tanto il dissidio sperimentato nel Convivio quanto il dualismo, di matrice ‘averroista’, della Monarchia (che Nardi, in obbedienza a tale schema, situava tra il IV trattato del Convivio e il poema sacro). Intorno al nucleo principale dell’attività storiografica di Nardi si dispongono i numerosi studi dedicati alle principali correnti della filosofia medievale (cfr. Studi di filosofia medievale, Roma 1960). Quanto a Sigieri di Brabante, Nardi tornò più volte a occuparsi del suo pensiero, contrastando l’idea di una presunta conversione dall’averroismo alle tesi di Tommaso. Parallelamente, indagò la fortuna delle dottrine sigieriane (Sigieri di Brabante nel pensiero del Rinascimento italiano, ibid.1945). A questo filone appartengono le ricerche sull’aristotelismo rinascimentale, con particolare attenzione a Pomponazzi (Studi su Pietro Pomponazzi, Firenze 1965).
Conseguita la laurea, trascorse l’ultimo anno della borsa di studio come libero uditore nelle Università di Vienna, Berlino e Bonn. Rientrato in Italia, al fine di convalidare il titolo di studio preso a Lovanio, si iscrisse, nel 1912, all’Istituto di studi superiori di Firenze, con l’esenzione degli esami e l’obbligo della sola tesi di laurea.
Redattore e collaboratore assiduo della Rivista di filosofia neoscolastica dal 1911, nel 1914 l’abbandonò in polemica con il direttore, p. Agostino Gemelli (i rapporti tra i due rimasero sempre burrascosi). Nel 1912-13 scrisse su La Voce di Papini e dal 1911 su LaVoce trentina di Alfredo Degasperi. Agli stessi anni risale l’inizio del rapporto personale con Giovanni Gentile, segnato da stima e rispetto reciproci, oltre che da richieste di protezione e di sostegno da parte di Nardi, e documentato dalle lettere che i due si scambiarono, pressoché ininterrottamente, a partire dal 1913. In Gentile Nardi trovò un interlocutore attento, nonché uno studioso sensibile ai temi della cultura medievale. Su sua proposta, peraltro, curò l’antologia di Opuscoli e testi filosofici di Tommaso d’Aquino, pubblicata nel 1915-17 da Laterza e la traduzione, con ampio saggio introduttivo, del De unitate intellectus contra averroistas (Firenze 1938).
A Firenze Nardi ebbe come principali maestri Francesco De Sarlo (che lo invitò a collaborare a La culturafilosofica) e Giuseppe Melli, con cui discusse, nel 1919, la tesi di laurea su Pietro d’Abano (in Saggi sull’aristotelismo padovano dal secolo XIV al XVI, Firenze 1958, pp. 19-69). Intanto nell’autunno 1914, al culmine di una profonda crisi spirituale, aveva deposto l’abito ecclesiastico. In serie difficoltà economiche, nell’ottobre 1916 aveva lasciato Firenze e si era trasferito a Mantova, ove gli era stato offerto, grazie anche all’interessamento di Gentile, un posto di professore supplente in storia e filosofia presso il liceo Virgilio. L’ambiente mantovano gli si rivelò congeniale ed egli serbò sempre un intenso ricordo dei 18 anni trascorsi in quella città (cfr. Vallino Simonetta. Ricordi di vita mantovana, in Mantuanitas Vergiliana, Roma 1963, pp. 285-353). Anche la sua vita privata trovò maggiore stabilità: nel 1921 sposò Giulietta Bertoldi, dalla quale ebbe due figli, Clotilde (Tilde) e Franco. Nazionalista fervente, si iscrisse il 21 gennaio 1924 al Partito nazionale fascista.
A Mantova approfondì aspetti della filosofia di Dante fin lì considerati marginalmente (per es. il pensiero politico) e, dalla metà circa degli anni Venti, si interessò a questioni di filologia virgiliana, conducendo studi pregevoli sul luogo natale di Virgilio (ripresi in Mantuanitas Vergiliana, cit.; cfr. G. Stabile, in Enciclopedia Virgiliana, III, Roma 1987, pp. 656-58). Fu socio dell’Accademia Virgiliana di Mantova dal 1919.
Nel 1934 per problemi familiari si trasferì a Milano. Nel 1938 passò a Roma, chiamatovi da Gentile come incaricato di storia della filosofia medievale all’università; parallelamente cominciò a insegnare filosofia presso il liceo Torquato Tasso. La sua posizione all’università non si regolarizzò se non dopo molti anni. Un’iniziativa promossa da Gentile nel 1941 per favorirne la nomina di professore di ruolo fallì per l’opposizione del Vaticano, che fece valere l’articolo 5 del Concordato (esclusione dei sacerdoti secolarizzati dall’insegnamento: cfr. B. N. a Pescia, 2005, p. 44), e soltanto nel dicembre 1951 poté vincere il concorso come straordinario di storia della filosofia medievale. Nel 1955, ormai fuori ruolo, fu riconfermato come ordinario. Il 24 giugno 1964, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, Oxford gli conferì la laurea honoris causa in lettere.
Morì a Roma il 9 luglio 1968, prima di aver ultimato il commento, cui lavorava da tempo, alladantesca Monarchia (Milano-Napoli 1979).
Brevi pagine autobiografiche di Nardi relative agli anni della sua fanciullezza sono pubblicate in appendice a T. Gregory - G. Petrocchi, Ricordo di B. N., Roma 1979, pp. 19-27. Di spiccato valore autobiografico è il discorso di ringraziamento pronunziato a Roma il 17 dicembre 1955, allorché gli fu consegnata la miscellanea Medioevo e Rinascimento. Studi in onore di B. N., I-II, Firenze 1955, promossa dall’Istituto di filosofia. Col titolo In onore di B. N., il discorso è riprodotto in Giornale critico della filosofia italiana, XXXV (1956), pp. 276-279. Per la bibliografia completa degli scritti, cfr. T. Gregory - P. Mazzantini, Gli scritti di B. N., in B. Nardi, «Lecturae» e altri studi danteschi, a cura di R. Abardo, Firenze 1990, pp. 286-312.
Fonti e Bibl.: L’archivio personale e la biblioteca di Nardi sono depositati in apposito fondo nell’Archivio della Fondazione Ezio France-schini, presso la Certosa del Galluzzo (Firenze). Dei carteggi nardiani sono apparsi: Etienne Gilson’s letters to B. N., a cura di P. Dronke, Firenze 1998; Storia di un’amicizia filosofica tra neoscolastica, idealismo e modernismo: il carteggio N.-Chiocchetti (1911-49), a cura di S. Pietroforte, Firenze 2004; B. N. a Pescia. Il carteggio con Giuseppe Prezzolini, a cura di L. Simoni Varanini, Firenze 2005. La corrispondenza tra Nardi e Gentile, per lo più inedita, si conserva nel fondo Gentile presso la Fondazione Giovanni Gentile dell’Università di Roma La Sapienza. Per la ricostruzione della vicenda umana e intellettuale di Nardi resta fondamentale T. Gregory, B. N., in Giornalecritico della filosofia italiana, XVII (1968), pp. 469-501; si vedano poi: A. Schiaffini, B. N. filologo e scrittore, in L’Alighieri, IX (1968), 2, pp. 5-12; E. Garin, Ricordo di B. N. (1884-1968), in Studi Danteschi, XLV (1969), pp. 5-28; G. Stabile, In memoria di B. N., in Il Veltro, XII (1969), pp. 577-583; T. Gregory, Introduzione a B. Nardi, Dante e la cultura medievale, nuova ed. a cura di P. Mazzantini, Roma-Bari 1983, pp. VII-XLIV; G. Stabile, B. N. storico della filosofia medievale, in Gli studi di filosofia medievale fra Otto e Novecento. Contributo a un bilancio storiografico, a cura di R. Imbach e A. Maierù, Roma 1991, pp. 379-390 e Id., Il De unitate luogo d’incontro tra N. e Gentile, introduzione alla ristampa di Tommaso d’Aquino, Trat-tato sull’unità dell’intelletto contro gli averroisti, a cura di B. Nardi, Spoleto 1998, pp. VII-XXIX (entrambi i saggi in G. Stabile, Dante e la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, Firenze 2007, pp. 359-370, 371-392); Per ricordare B. N., a cura di L. Simoni Varanini, Firenze 2010; S. Pietroforte, Una lettera di B. N. a Giovanni Gentile, in La Cultura, XLIX (2011), 2, pp. 259-276. Su Nardi dantista, G. Petrocchi, B. N., in Giornale storico della letteratura italiana, CXLVI (1969), pp. 317-320; C. Vasoli, B. N. dantista, in Letteratura Italiana - I critici, III, Milano 1969, pp. 2023-2051; F. Mazzoni, B. N. dantista, in B. Nardi, «Lecturae» e altri studi danteschi, cit., pp. 4-21; A. Vallone, B. N. lettore di Dante, ibid., pp. 23-37; O. Capitani, Premessa alla rist. di B. Nardi, Dal «Convivio» alla «Commedia» (sei saggi danteschi), Roma 1992, pp. V-XXIX; C. Vasoli, B. N. e il ‘restauro’della filosofia di Dante, in Letteratura e filologia fra Svizzera e Italia. Studi in onore di G. Gorni, a cura di M.A. Terzoli - A. Asor Rosa - G. Inglese, I, Roma 2010, pp. 57-73; M. Lenzi, B. N., Pietro di Giovanni Olivi e l’origine dell’anima umana in Dante (Pg XXV 37-79), in Pierre de Jean Olivi. Philosophe et théologien, a cura di C. König-Pralong - O. Ribordy - T. Suarez-Nani, Berlin-New York 2010, pp. 369-405.