Bruno Rossi
Fisico italiano di fama internazionale, uno dei massimi esperti sui raggi cosmici, Bruno Rossi fece sì che questo settore, assolutamente nuovo in Italia, si sviluppasse nel nostro Paese, contribuendo in tal modo alla sopravvivenza, nel dopoguerra, della comunità scientifica nazionale. I suoi risultati degli anni Trenta del 20° sec. portarono la ricerca italiana in una posizione di primo piano a livello mondiale. A lui si devono le prime competenze italiane sui contatori e sui metodi elettronici. Anche dopo il 1938, quando emigrò negli Stati Uniti, continuò a essere un riferimento per la comunità scientifica italiana e favorì l’apertura in Italia di nuove linee di ricerca, in particolare negli ambiti della fisica spaziale e dell’astronomia a raggi X.
Bruno Rossi nasce a Venezia il 13 aprile 1905 da Rino, ingegnere elettrotecnico, e Lina Minerbi. Dopo gli studi liceali nella città natale, segue il corso di studi in fisica, prima presso la Regia Università di Padova e poi presso quella di Bologna. Qui consegue la laurea, con pieni voti e lode, il 28 dicembre 1927. Su suggerimento e con la presentazione di Rita Brunetti, suo professore di fisica da poco arrivata da Firenze, si trasferisce nel capoluogo toscano, dove intraprenderà una brillantissima carriera scientifica e accademica, diventando subito assistente dell’Istituto di fisica della Regia Università di Firenze (1928-30). In questo periodo inizierà a occuparsi di raggi cosmici (settore completamente nuovo in Italia) e realizzerà il primo circuito elettronico a coincidenze multiple, ora noto come circuito di Rossi.
Grazie a una borsa di studio per soggiorni all’estero bandita dal Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) trascorre l’estate del 1930 a Charlottenburg (Berlino) presso il laboratorio di Walther W. Bothe (1891-1957), l’inventore della tecnica delle coincidenze, dove si perfeziona nei metodi sperimentali per lo studio della radiazione penetrante.
Al suo ritorno a Firenze porta avanti una serie di esperimenti sui raggi cosmici, iniziati già durante la sua permanenza in Germania, che nel corso degli anni lo lanceranno verso una definitiva leadership nella fisica in questo campo.
Nel novembre del 1930 è promosso aiuto e il 15 dicembre 1930 consegue l’abilitazione alla libera docenza in fisica sperimentale. Nell’ottobre del 1932 vince, come secondo ternato, il concorso alla cattedra di fisica sperimentale bandito dall’Università di Ferrara ed è subito chiamato dall’Università di Padova dove resterà come professore di fisica sperimentale e direttore dell’Istituto di fisica fino al settembre del 1938, quando, a causa della promulgazione delle leggi razziali, sarà espulso dall’Università per le sue origini ebraiche. Abbandonata l’Italia, dopo brevi periodi trascorsi all’Istituto di fisica teorica di Niels Bohr a Copenaghen, poi all’Università di Manchester e infine, negli Stati Uniti, all’Università di Chicago, si trasferisce a Ithaca (Stato di New York) presso la Cornell University, dove, dal 1940 al 1943, è professore associato, dedicandosi a ricerche sul decadimento del muone. Con l’avvio del progetto Manhattan, dal 1943 al 1946 lavora presso il laboratorio di Los Alamos come direttore di un gruppo di ricerca. Tra le varie attività progetta e dirige un esperimento per la misura del tempo di reazione della prima bomba atomica.
Chiusa questa parentesi, si stabilisce presso il Massachusetts Institute of technology (MIT) a Cambridge (Mass.), come professore di fisica (1946-70), e poi come professore emerito. Qui, oltre a ricerche importanti sui raggi cosmici, darà avvio alla fisica spaziale e fonderà l’astronomia a raggi X. Nel 1974 rientra in Italia, a Palermo, dove ricopre, fino al 1980, la cattedra di complementi di fisica generale. Muore a Cambridge (Mass.) il 21 novembre 1993.
Rossi è stato membro di numerose istituzioni scientifiche internazionali tra le quali l’American physical society, la National Academy of sciences, l’Accademia nazionale dei Lincei, la Deutsche Akademie der Naturforscher e l’Accademia delle scienze di Torino. È stato anche consulente per la National Academy of sciences (NAS), per l’Atomic energy commission (AEC) e per la NASA (National Aeronautics and Space Administration).
Rossi inizia la sua carriera scientifica ad Arcetri, presso l’Istituto di fisica dell’Università di Firenze.
Il titolare della cattedra di fisica sperimentale e direttore dell’Istituto era Antonio Garbasso (1871-1933), senatore del Regno e podestà di Firenze. Sebbene non fosse più impegnato nella ricerca attiva, Garbasso aveva raccolto intorno a sé un gruppo di giovani promettenti, al fine di modernizzare la ricerca italiana in fisica, attuando una politica della ricerca molto simile a quella iniziata pochi anni prima a Roma da Antonio Corbino. Di questo gruppo facevano parte, oltre allo stesso Rossi e Gilberto Bernardini, Giuseppe Occhialini, Daria Bocciarelli, Giulio Racah, Lorenzo Emo Capodilista.
Dopo aver tentato con Bernardini alcune nuove strade di ricerca, nell’autunno del 1929 prende da solo una decisione formidabile, che lo segnerà per tutta la vita: quella di occuparsi dei raggi cosmici, ossia di quella radiazione dall’alto scoperta da Victor Hess nel 1912 che, nell’arrivare sulla Terra, manifestava la proprietà di ionizzare l’atmosfera.
Questo interesse verso i raggi cosmici era nato da un articolo di Bothe e Werner Kolhörster, da poco pubblicato, Das Wesen der Höhenstrahlung («Zeitschrift für Physik», 1929, 11-12, pp. 751-77), e fondato sull’uso del contatore Geiger-Müller (GM), inventato nel 1928, e in grado di segnalare con un impulso elettrico il passaggio al suo interno di un agente ionizzante, particella carica oppure radiazione. In questo articolo gli autori, utilizzando una nuova tecnica introdotta da Bothe ‒ ossia quella di porre due contatori GM in coincidenza, in modo da consentire l’osservazione, tramite impulsi simultanei (coincidenze), del passaggio di singole particelle o radiazioni ionizzanti attraverso ambedue i contatori, e interponendo tra i due contatori vari materiali ‒ avevano dimostrato che i raggi cosmici non erano raggi gamma, come comunemente ipotizzato, ma particelle cariche, in grado di passare attraverso spessori d’oro addirittura di 4,1 cm. Questo risultato è per Rossi un ‘lampo di luce’, che gli apre «una finestra su un nuovo, sconosciuto territorio, con opportunità illimitate di esplorazione» (Early days in cosmic rays, «Physics today», 1981, 34, p. 35). Infatti a questo punto il problema dei raggi cosmici si poneva in una prospettiva completamente diversa: che cosa erano questi corpuscoli? Erano particelle della stessa natura delle particelle già note, soltanto dotate di maggiore energia, oppure erano particelle di natura completamente diversa? E quali erano le loro proprietà?
Immediatamente Rossi si mette al lavoro e cerca di costruire i primi contatori GM. A quel tempo la costruzione di un contatore GM era impresa molto complicata, che realizza in poche settimane. Per prima cosa cerca di trovare un sistema più efficiente di quello inventato da Bothe per registrare le coincidenze e con cui sia possibile ottenere una migliore risoluzione temporale oltre che registrare le coincidenze tra più di due contatori. Nasce così il famoso circuito a coincidenze di Rossi, strumento fondamentale per le ricerche sui raggi cosmici. A parte il miglioramento della componente elettronica, che consente di avere una risoluzione temporale tra le coincidenze a meno di un millesimo di secondo (quella di Bothe era di un centesimo di secondo), e a parte la possibilità di utilizzare più di due contatori in coincidenza, il circuito di Rossi ha il grande vantaggio di prestarsi a qualsiasi geometria tra i contatori.
Con il suo nuovo circuito, Rossi inizia una serie di esperimenti preliminari e alla fine giungerà a risultati che saranno alla base della fisica dei raggi cosmici e delle particelle elementari. In uno dei suoi primi esperimenti, progettato per stabilire il segno delle particelle che compongono i raggi cosmici, costruisce, su suggerimento di Luigi Puccianti (professore di fisica sperimentale all’Università di Pisa), una lente magnetica (cioè un circuito magnetico chiuso, formato da due sbarre di ferro magnetizzate in senso opposto e disposte una vicina all’altra) e la colloca verticalmente tra due contatori in coincidenza. A seconda della direzione della magnetizzazione e a seconda del segno della carica delle particelle, sul contatore in basso si sarebbe dovuta avere una concentrazione di particelle, oppure una loro diminuzione. Rossi però non ottiene alcun effetto, come se le particelle non avessero carica. Alcuni anni più tardi si scoprirà che i raggi cosmici sono una miscela circa uguale di muoni positivi e negativi, il che spiega il risultato nullo di Rossi. Comunque, la lente magnetica rappresenterà un potente metodo di indagine negli anni Quaranta e Cinquanta per la fisica delle particelle elementari.
Nell’estate del 1930 Rossi si reca presso l’istituto diretto da Bothe, la Physikalisch-Technische Reichsanstalt. Il suo soggiorno in Germania è un bell’esempio di politica scientifica portata avanti in quegli anni dal CNR che, soprattutto per iniziativa di Corbino e di Garbasso e con Guglielmo Marconi presidente, si era posto l’obiettivo di incentivare la formazione delle nuove leve attraverso una loro permanenza retribuita all’estero, in genere sei mesi. La permanenza presso questo laboratorio, uno dei più avanzati nel settore, inciderà profondamente sull’attività futura di Rossi. Questi apprende subito da Bothe il ‘segreto’ per costruire buoni contatori (il filo centrale, l’anodo, doveva essere in alluminio, invece che in acciaio, come era uso fare), e così migliora subito la sua tecnica nella costruzione dei contatori. Tutte le conoscenze sulla costruzione dei contatori GM in Italia, e in particolare quelle di Enrico Fermi a Roma, provengono da Rossi. Non a caso, i contatori che Fermi preparerà nel marzo del 1934 per i suoi esperimenti sulla radioattività indotta da neutroni avranno l’anodo in alluminio, proprio come Bothe aveva confidato a Rossi. Della reciproca stima e amicizia tra Rossi e Fermi (tra l’altro, nel 1933, scriveranno insieme un lavoro sull’Azione del campo magnetico terrestre sulla radiazione penetrante) è testimonianza il Primo Congresso internazionale di fisica nucleare, tenutosi a Roma, dall’11 al 18 ottobre 1931, di cui Fermi era l’organizzatore. Rossi, oltre che essere nominato segretario dei lavori, viene invitato a tenere una relazione sui raggi cosmici, argomento a quel tempo considerato affine alla fisica nucleare, e con la sua relazione Il problema della radiazione penetrante (1932) si afferma nel mondo scientifico internazionale.
In Germania Rossi aveva eseguito un esperimento nel quale aveva misurato la frequenza delle coincidenze fra due contatori GM, posti uno sopra l’altro, collocando uno spessore di piombo di 9,7 cm prima sopra ai contatori e poi in mezzo. Confrontando le frequenze ottenute nei due casi, egli si era accorto che, quando il piombo era posto sopra ai due contatori, la frequenza delle coincidenze aumentava di circa il 4%. Questo risultato sembrava indicare che i raggi cosmici nell’attraversare la materia producevano una radiazione secondaria.
Dopo il suo ritorno in Italia, Rossi cercò di descrivere meglio questo nuovo fenomeno. Utilizzando tre contatori GM in tripla coincidenza, posti in una configurazione a triangolo in modo che una singola particella, viaggiando in linea retta, non potesse attraversarli tutti, Rossi osservava che la frequenza delle coincidenze era estremamente elevata se i contatori venivano posti dentro una scatola di piombo (di alcuni centimetri di spessore), mentre, rimuovendo la scatola, essa diventava molto bassa. Attraverso questa via, Rossi riusciva così a dimostrare che i raggi cosmici nell’attraversare il piombo generavano una radiazione secondaria, la quale era enormemente più abbondante di quella prodotta da qualsiasi radiazione nota.
Questa scoperta trovò presto una conferma negli esperimenti compiuti nel 1932 presso il Cavendish Laboratory di Cambridge da Patrick Maynard Stuart Blackett (1897-1974) e da Occhialini con un nuovo strumento da loro inventato: la camera a nebbia controllata. Le fotografie ottenute mostravano, infatti, la produzione da parte dei raggi cosmici, nell’impatto con le pareti metalliche della camera, di gruppi di particelle in cascata (elettroni e positroni), da loro chiamati sciami. Da notare che la tecnica di controllo della camera a nebbia era quella delle coincidenze tra due GM, che Occhialini aveva imparato ad Arcetri da Rossi. Quella della radiazione secondaria era la prima di una lunga serie di scoperte straordinarie di Rossi.
Nel 1932, studiando i raggi cosmici attraverso un’opportuna configurazione di tre contatori GM in coincidenza, intervallati da blocchi di piombo, Rossi ricavava che di tutte le particelle cariche che erano in grado di attraversare 25 cm di piombo, il 60% era in grado di attraversare anche un metro di piombo. Questo risultato indicava la presenza nei raggi cosmici di particelle penetranti di energia superiore addirittura a due miliardi di elettronvolt (eV). Il successo dell’esperimento, visto il basso tasso dei conteggi, era dovuto alla tecnica della tripla coincidenza che minimizza l’errore statistico.
Sempre nel 1932 Rossi misura la frequenza delle coincidenze fra tre contatori disposti a triangolo e coperti da uno schermo di piombo o di ferro, in funzione dello spessore dello schermo. I risultati (rappresentati da una curva, ora detta curva di Rossi) dimostravano la presenza nei raggi cosmici di due componenti ben distinte: una componente molle, presto identificata come un insieme di elettroni e fotoni, che produce facilmente sciami ed è rapidamente assorbita nel piombo, e una componente dura, costituita da particelle penetranti, in seguito identificate come muoni, che produce sciami molto raramente e che è assorbita nel piombo in modo graduale. La curva di Rossi e la sua dipendenza dal numero atomico dello schermo rappresenteranno un test cruciale per la teoria degli sciami elettrofotonici di Bhabha-Heitler (1937).
Alla fine del 1932 Rossi, dopo aver vinto la cattedra di fisica sperimentale, è chiamato dall’Università di Padova, dove resterà come professore di fisica sperimentale e direttore dell’Istituto di fisica fino al 1938. In questo periodo si occuperà, tra l’altro, della costruzione del nuovo Istituto di fisica, assumendosi la responsabilità del progetto, con l’obiettivo, pienamente riuscito, di realizzare una struttura all’avanguardia con i tempi. L’inaugurazione del nuovo istituto avverrà circa un anno prima del suo abbandono dell’Italia (settembre 1938).
Appena arrivato a Padova, Rossi riesce a concludere un progetto al quale aveva già pensato quando era in Germania e riguardante la natura dei raggi cosmici primari (ossia quelli che non hanno ancora interagito con l’atmosfera). Su questo punto all’interno della comunità scientifica non vi era accordo: c’era chi pensava fossero raggi γ e chi (come Rossi) particelle cariche. Era comunque diffusa l’idea che il campo magnetico terrestre, estendendosi fino a grandi distanze, avrebbe potuto dare informazioni al riguardo, nel senso che, se fossero state particelle cariche, esso avrebbe modificato la loro traiettoria e di conseguenza anche l’intensità della loro distribuzione sulla superficie della Terra.
Nell’estate del 1930, partendo da una teoria sviluppata da Fredrik Carl Mülertz Størmer (1874-1957) per le aurore boreali (a quei tempi attribuite a fasci di elettroni veloci emessi dal Sole e incanalati dal campo magnetico terrestre verso le regioni circumpolari), Rossi riesce a predire che, se i raggi cosmici primari fossero stati particelle negative, la loro deflessione nel campo magnetico della Terra avrebbe dovuto far sì che essi sarebbero arrivati più abbondantemente da Est che da Ovest; il contrario, se fossero stati particelle positive. Come mostrava in On the magnetic deflection of cosmic rays, un articolo apparso su «The physical review» nel 1930, questo effetto, chiamato poi effetto Est-Ovest, dipendeva dall’energia delle particelle e dalla latitudine geomagnetica del luogo d’osservazione. Tornato in Italia, Rossi cerca di verificare questa previsione, ma non vi riesce. Comunque, in base ai suoi calcoli, l’asimmetria era facilmente visibile a bassa latitudine geomagnetica e ad alta quota. Di conseguenza, presenta un progetto al CNR per ripetere l’esperimento in condizioni più favorevoli, in particolare ad Asmara, capitale della colonia italiana dell’Eritrea, situata su un altopiano, a un’altezza di 2370 metri sul livello del mare e a una latitudine geomagnetica di 11° 30′. Il progetto è subito approvato e così, grazie anche al contributo finanziario del ministero delle Colonie, Rossi può realizzare la sua missione in Africa.
Al momento della partenza, la strumentazione, preparata a Firenze, viene trasferita a Venezia e da qui viaggia con Rossi e con alcuni suoi collaboratori su una piccola motonave da carico, verso il Mar Rosso. Lo sbarco avviene dopo una settimana a Massaua (Somalia); un automezzo dell’esercito italiano si occupa del trasporto ad Asmara. Per l’esperimento il Genio militare aveva costruito una cabina di legno in cima a un rilievo montuoso, vicino ad Asmara. Una tenda proteggeva la cabina dal sole equatoriale e una linea provvisoria portava l’elettricità. Questo era il laboratorio di Rossi.
L’esperimento consisteva nel misurare l’intensità dei raggi cosmici in funzione dell’azimut. A tal fine, veniva utilizzato un telescopio per raggi cosmici, formato da due contatori GM in coincidenza, montato su un telaio d’acciaio, in modo che il suo asse potesse essere orientato in qualsiasi direzione, e circondato da un manicotto di piombo, in modo da eliminare la componente molle. Con questo esperimento, i cui primi risultati furono pubblicati a partire dal settembre 1933 nella rivista ufficiale del CNR, «La ricerca scientifica», Rossi ricavava un’intensità dei raggi maggiore nelle direzioni a occidente che nelle direzioni a oriente del meridiano magnetico (addirittura, con l’asse del telescopio a 45° dalla verticale l’aumento superava il 30%), dimostrando così che i raggi primari erano, almeno in gran parte, composti da particelle cariche positivamente (in seguito identificate con protoni e nuclei degli elementi più leggeri).
Purtroppo a questa stessa conclusione nell’aprile del 1933 erano già giunti, con osservazioni a Città del Messico, Thomas H. Johnson e, autonomamente, Luis Walter Alvarez con Arthur Compton, e così Rossi perse la priorità della scoperta. Resta comunque il fatto che con l’impresa di Rossi la ricerca italiana si mostrò in grado di competere a livello internazionale. Un solo rammarico: la previsione dell’effetto Est-Ovest, sebbene dovuta a Rossi, fu attribuita a Georges Lemaître e Manuel Sandoval Vallarta, il cui lavoro fu pubblicato tre anni dopo.
Un altro risultato della missione ad Asmara che merita di essere ricordato è che, durante un test sulla frequenza delle coincidenze casuali, in cui i contatori erano molto lontani tra di loro, Rossi fece la prima osservazione degli sciami estesi nell’atmosfera. Questi sciami furono poi studiati a fondo da Pierre Auger e saranno l’oggetto di uno dei maggiori programmi di ricerca intrapresi da Rossi e dal suo gruppo al MIT.
Fra le importantissime ricerche americane portate avanti da Rossi dopo la sua partenza dall’Italia sono da ricordare gli studi sulla radiazione cosmica locale, che portarono alla prima dimostrazione non ambigua del decadimento radioattivo del muone e della dipendenza relativistica della sua vita media dalla velocità; gli studi sulle interazioni nucleari dei raggi cosmici, che contribuirono alla scoperta del pione neutro e di nuove particelle strane; le ricerche sugli sciami estesi, che consentirono di stabilire l’esistenza di particelle primarie con energie fino a 1020 eV.
Appena furono disponibili i primi satelliti artificiali, Rossi diede avvio alla ricerca spaziale e, con uno dei primi esperimenti a bordo di Explorer X (1961), dimostrò l’esistenza di un ‘vento di plasma’ proveniente dal Sole. Negli stessi anni fondò un nuovo settore, l’astronomia a raggi X, basato su osservazioni svolte da veicoli spaziali. Questo tipo di ricerche, in cui fu subito coinvolto Riccardo Giacconi, diventò in breve, con la scoperta di nuove sorgenti di raggi X fuori del sistema solare, una delle branche fondamentali dell’astronomia d’osservazione.
Un aspetto da sottolineare è l’interesse sempre mostrato da Rossi verso la fisica italiana. Durante le sue numerosissime visite in Italia faceva opera di diffusione delle nuove conoscenze, in particolare in fisica spaziale e in astronomia a raggi X, con l’intento di stimolare l’interesse verso questi settori. Nelle sue ricerche americane Rossi ha sempre cercato di coinvolgere, con soggiorni più o meno lunghi presso i suoi laboratori, fisici provenienti da varie sedi italiane (Oreste Piccioni da Roma, Constance Dilworth Occhialini, G. Occhialini e Alberto Bonetti da Milano, Pietro Bassi da Padova, Livio Scarsi da Palermo, Alberto Egidi da Pisa), in modo che potessero poi trasferire in Italia le competenze acquisite e aprire nuove linee di ricerca, come di fatto avvenne: anche dagli Stati Uniti Rossi è sempre stato un punto di riferimento per la comunità scientifica italiana.
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