STARITA, Bruno
– Secondogenito di quattro figli, nacque a Napoli il 19 marzo 1933, da Orazio, funzionario della pubblica amministrazione, e da Giuseppina Russo.
Di carattere introverso, sin da bambino si mostrò ribelle all’istruzione scolastica e con ben maggiore trasporto si dedicò allo studio del violino, che fu costretto ad abbandonare per il sopraggiungere degli eventi bellici. Sfollato con la famiglia nei paesi vesuviani, ritornò a Napoli nel 1945, desideroso di intraprendere gli studi musicali presso il conservatorio di musica S. Pietro a Majella, ma il conformismo dell’ambiente familiare non glielo consentì.
Nel 1948 si ammalò gravemente e per lungo tempo fu costretto al riposo; fu allora che nacquero in lui la passione per i libri e per l’incisione, che conobbe leggendo e sfogliando, quasi ossessivamente, la Divina Commedia illustrata da Gustave Doré. Riprese le forze, cominciò a frequentare la bottega di un anziano incisore litografo, dove apprese le tecniche della stampa e della cromolitografia, e convinse il padre a iscriverlo alla scuola libera del nudo dell’Accademia di belle arti di Napoli. Nel 1949 s’iscrisse al liceo artistico per diplomarsi nel 1952; contestualmente, spinto ancora dalla passione per l’incisione, frequentò alcune botteghe orafe napoletane e disegnò piccoli oggetti di oreficeria.
Dal 1952 al 1956 frequentò la scuola di pittura dell’Accademia napoletana, allora tenuta da Emilio Notte, ed ebbe come compagni di corso Gianni Pisani, Carmine Di Ruggiero, Carlo Alfano, Mario Persico, Maria Palligiano e Guido Biasi; con quest’ultimo, insieme a Michele De Palma e a Riccardo Sallustio, fu espulso dall’istituto per un intero anno accademico, dal 1953 al 1954, per aver organizzato una manifestazione di protesta; fu riammesso grazie all’intervento del maestro Notte e di Costanza Lorenzetti. Ancora allievo, nel 1953 aveva partecipato al premio bandito dall’editore Abruzzini per l’incisione alla Calcografia nazionale di Roma; nel 1955 prese parte alla Quadriennale di Roma e vinse la borsa di studio per l’incisione Fagan Pouvres. Nello stesso anno espose alla mostra sui Giovani realisti napoletani insieme, tra gli altri, a Vincenzo Montefusco e ad Augusto Perez, con il quale strinse una duratura amicizia.
Nel 1956, appena diplomatosi, fu incaricato come docente assistente alla cattedra di ornato disegnato al liceo artistico di Napoli.
Tra il 1957 e il 1959 partecipò, tra tutte, alla Mostra nazionale del disegno e dell’incisione moderna a Reggio Emilia (1957), ai premi Morgan’s paint (1957) e La Spezia (1957 e 1959), alla II Mostra nazionale del bianco e nero a Catania (1958), alla Quadriennale di Roma e alla terza Biennale dell’incisione italiana contemporanea, progettata a Venezia dall’Opera Bevilacqua La Masa; all’estero le sue incisioni si presentarono in diverse rassegne organizzate dagli istituti italiani di cultura di Varsavia, Cracovia, Poznań e Dublino.
Sin dalle prime opere degli anni Cinquanta – principalmente Vedute di paesi e Paesaggi spesso inventati e senza titolo, in cui emergevano il realismo del dettaglio visivo, l’attenzione al valore tonale del segno e suggestioni compositive per piani (si vedano, tra tutte, le quattordici stampe da lui donate nel 1961 alla Calcografia nazionale e pubblicate nel catalogo Bruno Starita, 2013, testo cui si rimanda per le riproduzioni delle opere citate, ove non diversamente indicato) – Starita si distinse per un’accorta sperimentazione tecnica, esplicitando inoltre lo studio condotto su Paul Cézanne e Pablo Picasso, come pure l’amore per Giorgio Morandi (che incontrò in quegli anni a Bologna), rivelato nei Paesaggi incisi tra il 1956 e il 1959, contraddistinti da una luce immobile e assorta.
Nel gennaio del 1959 Starita sposò Teresa Santagata, conosciuta nelle aule di decorazione dell’Accademia; il 6 ottobre di quell’anno nacque la figlia Lorella.
Nei primi anni Sessanta cominciò a interessarsi di fotografia, passione che, come la musica, non abbandonò mai, e che molto ispirò la sua ricerca di pittore e incisore; contestualmente condusse una nuova sperimentazione sull’acquatinta per approdare a una più ampia gamma di variazioni materiche funzionali, a un diverso rapporto tra segno e superficie. In opere come Paesaggio con luna (1960) manifestò la diversa tensione espressiva con cui avrebbe incominciato a rappresentare la natura, non più illuminata da un’aria tersa, ma sempre più spettrale e desolata (si veda la serie dei Fossili e Ruderi del 1963-65, così indicata nella monografia Bruno Starita incisore, 1981), o stravolta da «un’incessante vicenda di transmutazione» dell’uomo e della natura (Corbi, 1997-1998, p. 196).
Nel 1963 si tennero le sue prime personali a Napoli (galleria San Carlo) e a Firenze (galleria Vignanuova) e fu invitato, unico incisore italiano, alla Biennale internationale d’art moderne di Parigi, presentato da Fortunato Bellonzi, il critico che, insieme a Raffaello Causa e Vitaliano Corbi, seguì maggiormente il suo percorso artistico.
Un importante riconoscimento giunse nel 1965, quando la Biennale di Venezia lo invitò a partecipare per l’Italia, insieme solo a Morandi, alla sesta edizione della Biennale di Alessandria d’Egitto. Da quel momento la sua attività espositiva in Italia e all’estero s’intensificò sempre più, e la seconda metà degli anni Sessanta fu segnata dalla costante partecipazione a mostre nazionali e internazionali dedicate all’incisione contemporanea. Senza che egli lasciasse mai l’Italia, sue opere furono presentate a Città del Messico, Caracas, Lima, Tripoli, Tunisi, Beirut, Ankara, Il Cairo e Mosca. Nel contesto nazionale Starita fu invitato, tra tutte, alle mostre organizzate dall’Associazione incisori veneti, alla Quadriennale del 1965 e alla Biennale dell’incisione di Venezia del 1968. Importanti personali si tennero a Roma, nel 1965, a cura di Bellonzi presso la galleria Penelope, e a Milano, nel 1968, con la presentazione di Enrico Crispolti presso la galleria L’Agrifoglio, dove, tra l’altro, Starita conobbe Dino Buzzati, che lesse le sue poesie e lo invitò a dedicarsi con maggiore assiduità alla scrittura. Intanto, a Napoli, dal 1966, Starita era entrato in contatto con la galleria Il Centro di Renato Bacarelli e Dina Carola.
Il 1967 fu un anno particolarmente significativo, segnato dall’improvvisa morte del padre, cui seguì, dopo pochi anni, nel 1971, la perdita della sorella minore Eva. La «tristezza» e la «meditazione» sulla morte segnarono la prima serie delle Metamorfosi (1967), pubblicata in una cartella presentata da Crispolti, che di quelle opere dette un’interpretazione esistenziale, avvertendo la nuova «dimensione onirica» perseguita da Starita come «rifugio liberatorio» e come condizione necessaria alla creazione di una «‘imagerie’ organica primaria» (testo ristampato in Bruno Starita, 1968). In quelle stesse opere Corbi individuò un’«indiscutibile [...] tangenza con l’area del surrealismo» (Bruno Starita incisore, 1981, p. 14), che poteva scorgersi nei richiami alla natura di Marx Ernst e soprattutto nei precisi riscontri stilistici con Graham Vivian Sutherland, resi possibili dall’uso congiunto di acquaforte, acquatinta, vernice molle e inchiostro. I temi e i modi delle prime Metamorfosi ritornarono in quasi tutte le opere della fine del decennio, laddove il «verismo onirico», che contraddistingueva molti degli epigoni del surrealismo, fu abbandonato già nella seconda serie delle Metamorfosi, presentata da Cesare Vivaldi nel 1970. Qui Starita volse a una «spregiudicata rivisitazione della grande autentica arte visionaria» (p. 15), fino a giungere a un’esplicita citazione del simbolismo di Odilon Redon in alcune lastre dei primi anni Settanta, momento in cui, inoltre, era divenuto titolare della cattedra di tecniche dell’incisione all’Accademia di belle arti di Napoli, incarico che mantenne dal 1970 fino al 2001.
Nel 1972 si tenne presso la galleria Aldina di Roma la prima mostra antologica di Starita, con testi in catalogo di Corbi, Bellonzi e Crispolti; al contempo, la sua produzione – giunta «a un punto decisivo di divaricazione dell’immagine dal simbolo» (Corbi, 1997-1998, p. 198) – subì una brusca battuta d’arresto durata circa tre anni. Starita riprese a lavorare solo nel 1975, anno in cui si tenne un’altra importante antologica a Napoli presso la galleria di Bruno Turchetto.
Dalla seconda metà degli anni Settanta, mentre si organizzavano personali a Napoli, a Roma e a Modena e proseguiva l’attività espositiva in Italia e all’estero, Starita si dedicò con rinnovata attenzione alla pittura – che praticò più assiduamente sino ai primi anni Ottanta – e palesò nelle sue incisioni un’accelerazione decisiva a vantaggio del «vero» e di «una più esplicita mimesi» e concretezza dei contenuti e delle forme (R. Causa, in Bruno Starita, 1978). Questi si prelevarono anche dalla realtà, come nel ciclo De pupae historia, incentrato su una bambola della figlia Lorella, presentato da Crispolti nel 1977, e in cui si coglieva la rinnovata «nettezza e crudeltà documentaria» del segno (testo ripubblicato in Bruno Starita incisore, 1981, p. 130).
Sempre nel 1977 Starita entrò a far parte del gruppo di artisti della galleria Apogeo di Roma (che seguì il suo lavoro sino al 1983) e ricevette dall’amico di sempre Raffaello Causa il delicato incarico di restaurare 35 lastre della Mappa topografica della città di Napoli e de’ suoi contorni di Giovanni Carafa duca di Noja (oggi nel Museo e Certosa di S. Martino), presentate in occasione della mostra napoletana Civiltà del Settecento del 1979.
Gli anni Ottanta, che si aprirono con la monografia Bruno Starita incisore (1981), introdotta da Corbi – dove si ripubblicarono testi di Bellonzi, Crispolti, Vivaldi e Starita stesso, e dove si sistematizzarono alcune delle sue più importanti serie sin dai primi anni Sessanta – furono contrassegnati da nuovi progetti, pur sempre coerenti, che condussero Starita a sperimentare diverse tipologie compositive e tecniche grafiche (acquaforte, vernice molle, bulino e acquatinta su rame), anche nel desiderio di ampliare «l’orizzonte espressivo sino a segnalare effetti a rilievo», come in «una sorta di pittura densa, quasi materica, che accentua la spazialità scandita dalle morsure» (Bruno Starita. Fogli sparsi, 1993, s.n.p.).
Una grande mostra personale venne inaugurata nelle sale di villa Pignatelli nel 1982; in quell’occasione, tra i lavori più recenti, Starita presentò alcune incisioni dedicate a Virgilio, che da sempre era stato sua fonte d’ispirazione, e a Gli effetti del sonno (1981), tutte contraddistinte da una sapiente tessitura grafica.
Il 1984 fu segnato da un delicato intervento chirurgico al cervello; Starita fu costretto a lasciare l’ampio studio che dal 1970 aveva a villa Faggella e allestì un più piccolo laboratorio nella nuova abitazione nel centro storico di Napoli. Ripresa presto l’attività espositiva, fu coinvolto in importanti progetti nazionali, come, tra tutti, l’illustrazione di alcune tavole della Divina Commedia (1987, edita dal Poligrafico e Zecca dello Stato), e si dedicò con maggiore dedizione all’insegnamento. Lavorò ostinatamente affinché si formasse intorno a lui una vera e propria scuola, e in diverse occasioni fu invitato da musei e università a tenere conferenze e seminari sull’incisione contemporanea e sulle tecniche antiche di stampa. L’amore per la didattica lo condusse, nel 1991, a dare alle stampe un denso manuale sulle tecniche d’incisione: Xilografia, calcografia, litografia. Manuale tecnico, pubblicato a Napoli da Alfredo Guida e ancora oggi testo di riferimento nelle scuole d’incisione delle diverse accademie italiane.
Per circa un decennio, fino alla fine degli anni Novanta, con una rinsaldata creatività visionaria, tra soluzioni tecniche sperimentate negli anni precedenti, temi classici soprattutto tratti da Ovidio e Virgilio e rimandi ad atmosfere lontane (si vedano, tra tutte, La luce delle cose, 1992; Verso la luce, 1995; Notturno, 1996), Starita realizzò una serie di opere, spesso riferibili a sue liriche, segnate da una forte carica spirituale, dove tra l’altro si poté assistere a un nuovo, progressivo abbandono della figurazione, come in La grande madre del 1991.
In occasione di una personale tenutasi presso la libreria Guida di Napoli nel 1994, Massimo Bignardi intese la produzione di Starita degli anni Novanta come pervasa da una «nuova primavera che anima di vita i segni». E ancora Corbi, in un saggio del 1997 pubblicato a seguito di una vasta antologica organizzata da Maria Teresa Penta a Napoli presso l’istituto Suor Orsola Benincasa, volle sottolineare che quelle opere erano caratterizzate da un «processo di rivitalizzazione del tessuto grafico [...] che provoca anche l’impressione di un fermentare di nuove possibilità entro un’immobile e dura visione del mondo» (Corbi, 1997-1998, p. 200).
Dalla fine degli anni Novanta e per tutto il decennio successivo, Starita si confrontò, quasi ossessivamente, con la sola tecnica del bulino, abbandonando le sperimentazioni con acquaforte, acquatinta e vernice molle (si vedano, tra tutti, Il protagonista, 1999; Scarabeus, 2000; Naturae imagines, 2005; Ex abrupto, 2008).
Dal 2001, congedato per raggiunti limiti di età dalla docenza di tecniche dell’incisione, continuò a insegnare presso l’Accademia di belle arti di Napoli come docente di restauro delle matrici incise e dal 2002 al 2005 come docente di restauro delle stampe incise.
Nel 2002 fu invitato a donare alla Biblioteca Vaticana dodici opere con le quali intese ripercorrere la sua lunga attività, dal Ponte alla Sanità del 1953 a Specie magis quam vi del 2001.
Intanto, mentre andava intensificandosi la sua partecipazione alle attività organizzate dall’Associazione incisori veneti, di cui era membro da molti anni, e si rinsaldava il legame con Giorgio Trentin, partecipò a una serie di progetti per l’editore napoletano Guida e continuò a prendere parte a personali e collettive in Italia e all’estero. Nel 2008, anno in cui fu chiamato dal ministero degli Affari esteri a rappresentare l’Italia in occasione della settimana della cultura a Kuala Lumpur, in Malaysia, dove tra l’altro volle che si presentasse anche un ristretto gruppo di suoi allievi, fu costretto a sottoporsi a un nuovo intervento chirurgico al cervello. Riprese subito a lavorare, in vista di una grande mostra organizzata dal Comune di Napoli e programmata per la primavera del 2009.
Morì, dopo circa otto mesi di malattia, il 27 novembre 2010.
Nel 2013 è stato istituito dall’Accademia di belle arti di Napoli il premio Starita per la grafica d’arte, da assegnare ai più meritevoli studenti delle scuole d’incisione delle accademie d’Italia.
Fonti e Bibl.: Si fa riferimento, principalmente, al volume B. S. (catal.), a cura di A. Spinosa, Napoli 2013, con testi di G. Cassese et al.; contributi principali pubblicati prima di tale testo sono: C. Barbieri, B. S. alla Galleria San Carlo, in Il Mattino, 23 marzo 1963; B. S. (catal.), testo di F. Bellonzi, Firenze 1963; B. S. (catal.), testo di F. Bellonzi, Roma 1965; Metamorfosi 1967, cartella con presentazione di E. Crispolti, Napoli 1967; D. Buzzati, B. S., in Corriere della Sera, 24 ottobre 1968; B. S. (catal.), testo di E. Crispolti, Milano 1968; B. S. (catal.), testo di V. Corbi, Roma 1972; B. S. (catal.), testo di C. Vivaldi, Napoli 1972; B. S. Opere grafiche dal 1960 al 1972 (catal.), testi di V. Corbi - F. Bellonzi - E. Crispolti, Roma 1972; B. S. (catal.), testi di F. Bellonzi et al., Napoli 1975; B. S. (catal.), testo di G. Grassi, Napoli 1977; B. S. (catal.), testo di R. Causa, Napoli 1978; B. S. (catal.), testi di E. Crispolti - V. Corbi, Modena 1979; B. S. (catal.), testi di E. Crispolti et al., Napoli 1980; B. S. incisore, a cura di V. Corbi, Napoli 1981; B. S. (catal.), testo di F. Solmi, Roma 1983; B. S. Incisioni 1979-89 (catal.), testo N. D’Antonio, Napoli 1989; Fuori dall’ombra. Nuove tendenze nelle arti a Napoli dal ’45 al ’65 (catal.), a cura di N. Spinosa, Napoli 1991 (in partic. S. Barucco, B. S., pp. 158 s.); B. S. Fogli sparsi. Incisioni (catal.), testo di M. Bignardi, Napoli 1993; B. S. Incisioni (catal.), testi di G. Trentin - E. Crispolti, Ascoli Piceno 1997; B. S. Incisioni (catal.), testo di M.T. Penta, Napoli 1997; V. Corbi, Le incisioni di B. S., in Annali dell’Istituto Suor Orsola Benincasa, II (1997-1998), pp. 195-201; B. S. Incisioni e dintorni (catal.), a cura di L. Starita, Napoli 2009; M. Confalone, B. S., in 9cento. Napoli 1910-1980. Per un museo in progress, a cura di N. Spinosa - A. Tecce, Napoli 2010, p. 300.
Si ringrazia, per le notizie relative alla biografia di Starita, la figlia Lorella.