ZEVI, Bruno
ZEVI, Bruno. – Nacque a Roma il 22 gennaio 1918, terzogenito di Guido (1883-1975) e di Ada Bondì (1891-1946), figlia di un agiato commerciante. Il padre, ingegnere e costruttore, ricoprì un posto di rilievo nell’amministrazione del sindaco Ernesto Nathan (1907-13). Vicepresidente dell’Unione delle comunità israelitiche italiane dal 1933 al 1940, collaborò con Armando Brasini alla realizzazione del palazzo delle Assicurazioni nazionali contro gli infortuni sul lavoro (1926-33) della capitale e nel 1930 redasse un progetto urbanistico per Roma.
Le conoscenze nate nelle aule del liceo Torquato Tasso di Roma (1933-36) procurarono a Zevi le prime esperienze di impegno politico: nel 1934 partecipò agli incontri del Circolo giovanile di cultura moderna fondato da Mario Alicata. In questo periodo manifestò la sua inclinazione verso le arti e l’architettura, pubblicando una serie di articoli sul periodico studentesco Rivista della giovinezza, diretto da Vittorio Mussolini e redatto da Ruggero Zangrandi. Nel 1936 s’iscrisse alla facoltà di architettura di Roma; l’anno successivo, con Alicata e Paolo Alatri, assistette ai Littoriali di Napoli e subito dopo aderì ai Gruppi universitari fascisti (GUF). Nel 1938 vinse i Prelittoriali di Roma nella categoria Studi di critica letteraria e artistica e partecipò ai Littoriali di Palermo. Nello stesso anno gli venne conferita la medaglia di bronzo della Fondazione Mario Palanti, intitolata a Benito Mussolini, come miglior studente iscritto alla facoltà di Architettura (Dulio, 2008).
La legislazione antiebraica del 1938 colse di sorpresa chi, come la famiglia Zevi, non aveva manifestato alcuna forma di dissenso. Il giovane Bruno decise di lasciare l’Italia: nel marzo del 1939 era in Svizzera, da dove si trasferì a Londra. Nell’estate lavorò presso lo studio dell’architetto Cyril Sjöström e in ottobre fu ammesso all’Architectural association school of architecture. Nella capitale inglese conobbe e frequentò Carlo Ludovico Ragghianti, figura di spicco della cultura italiana antifascista all’estero. Grazie a Ragghianti entrò in contatto con il gruppo di Giustizia e libertà – composto, tra gli altri, da Alberto Cianca, Lionello e Franco Venturi, Emilio Lussu, Aldo Garosci – che incontrò a Parigi nel gennaio del 1940. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale decise di trasferirsi negli USA. Dopo una breve sosta a Roma, il 21 febbraio s’imbarcò da Napoli sulla nave Conte di Savoia.
A New York frequentò Lionello Venturi; s’iscrisse alla School of architecture della Columbia University e nel luglio a un corso estivo del Department of architecture della Graduate school of design (GSD) della Harvard University, dove si trasferì dal settembre come studente per il bachelor of architecture. Lì entrò in contatto con Gaetano Salvemini e Max Ascoli. Nel luglio del 1940 iniziò le pratiche per chiedere la cittadinanza statunitense; in ottobre venne iscritto nei ranghi dall’United States Army. Mentre i genitori e le sorelle lasciavano Roma e si trasferivano nella Palestina ebraica, sposò Tullia Calabi (1919-2011) il 26 dicembre 1940 a New York (Dulio, 2008). Emigrata con la famiglia subito dopo le leggi antiebraiche, Tullia facilitò l’inserimento di Zevi nel contesto americano. Il padre, Giuseppe Calabi, noto avvocato milanese, rappresentò un significativo riferimento degli esuli italiani a New York e lavorò per diverse agenzie del governo americano (Bruno Zevi intellettuale di confine, 2019).
A Boston Zevi, insieme alla moglie, iniziò la sua militanza attiva al servizio dell’antifascismo. Dal gennaio del 1941 collaborò come speaker alla World radio university of listeners (WRUL) di Boston per una serie di trasmissioni radiofoniche di carattere politico destinate all’Europa. Nello stesso anno, con altri studenti della GSD pubblicò il pamphlet An opinion on architecture a sostegno di Walter Gropius, direttore della GSD e osteggiato dalle frange più conservatrici dell’università; nel piccolo opuscolo Zevi e i suoi colleghi dichiararoano: «Modern architecture is fighting fascism». Dal settembre del 1941 all’aprile dell’anno successivo lavorò per la Stone & Webster engineering corporation di Boston, dove era impiegato anche Ieoh Ming Pei, già compagno di studi alla GSD.
Nel febbraio del 1942 ottenne il bachelor of architecture dalla GSD, con una tesi progettuale svolta sotto la guida di Gropius. Dall’aprile prese parte alla Mazzini society – la principale organizzazione antifascista del Nord America –, di cui erano importanti animatori Ascoli, Carlo Sforza e Nello Tarchiani: con gli ultimi due Zevi si trovava molto spesso in disaccordo. Contemporaneamente fondò e diresse insieme a Garosci, in un primo momento a Boston e successivamente a New York, la rivista Quaderni italiani, della quale furono pubblicati quattro numeri (1942-1944). Ispirata idealmente ai Quaderni di Giustizia e libertà, era stampata in due edizioni: una destinata all’Italia, tramite canali clandestini, e un’altra da diffondere negli Stati Uniti, in Sud America e in Inghilterra. Il comitato di redazione era composto, oltre che da Zevi, dalla moglie Tullia e da Garosci, da Renato Poggioli e da Enzo Tagliacozzo; tra i collaboratori comparivano le più fervide figure dell’antifascismo del Nord e del Sud America, come Franco Venturi, Luigi Sturzo, Josè Silva, Leo Valiani, Cianca, Bruno Pierleoni, Frances Keene, Lamberto Borghi, Umberto Calosso, Mario Salvadori, Renato Treves, Ignazio Silone, Nicola Chiaromonte e Mikhail Kamenetzky, meglio conosciuto in Italia come Ugo Stille. Zevi, insieme a Garosci, considerava gli obiettivi politici e militari della Mazzini society privi di concretezza: «dopo Rosselli, il centro della lotta non è e non sarà più all’estero [...]. Noi dall’estero, se vogliamo, possiamo solo aiutare i giovani italiani». Così scriveva Zevi presentando il primo numero dei Quaderni italiani, dove spiegava la duplice funzione che l’iniziativa avrebbe dovuto assumere: da una parte il compito di «informazione e raccolta di materiale», la cui circolazione sarebbe stata vietata a causa della censura, da indirizzare ai «compagni» italiani per avviare una discussione sul futuro politico della nazione; dall’altra invece, attraverso la rubrica Lettere dall’Italia e sull’Italia, la rivista si doveva caratterizzare per il ruolo di organo d’informazione, per gli italiani all’estero, del movimento clandestino antifascista.
Nell’estate del 1942 Zevi si trasferì a New York e sul finire dello stesso anno proseguì la sua attività radiofonica antifascista attraverso un’assidua collaborazione con la National broadcasting company (NBC): dal novembre dello stesso anno fino al giugno del 1943 realizzò ben trentacinque trasmissioni radiofoniche. Tali iniziative rientravano in una serie di programmi, autorizzati di volta in volta dalla censura, che il governo di Washington indirizzava al movimento antifascista italiano: la diplomazia statunitense investì sulle potenzialità di alcuni esponenti della Mazzini society che avrebbero potuto esercitare un ruolo utile a supporto dello sforzo bellico alleato in Europa. Nel luglio del 1942 Arthur J. Goldberg – futuro segretario al Lavoro e giudice della Corte suprema americana – capo del Labor Division del Secret intelligence brunch all’Office of strategic services (OSS), scrisse ad Allen W. Dulles, che da Berna coordinava tutte le attività del servizio segreto americano in Europa, una relazione che aveva come oggetto «project for obtaining information and encouraging resistance through Italian underground movements». Dopo circa un mese Zevi presentò all’attenzione di Goldberg un memorandum sulle possibilità di collaborazione con i movimenti clandestini italiani e sull’opportunità di ottenere informazioni riservate su diverse organizzazioni della Resistenza.
Il 21 giugno 1943 Zevi fece testamento e il 30 partì per Londra a bordo della nave militare Queen Mary insieme a Cianca, Garosci e Tarchiani. Erano autorizzati, come scrisse lo stesso Zevi a Salvemini in una lettera del 21 giugno 1943, dal governo americano a lasciare gli USA per raggiungere il comando delle operazioni alleate in Europa, al fine di sostenere lo sforzo bellico alleato contro il governo fascista. Per più di un anno Zevi visse come rifugiato a Londra, dove lavorava ancora una volta come speaker alla radio clandestina di Giustizia e libertà, chiusa dal governo inglese per la posizione apertamente antimonarchica dei suoi collaboratori. Dall’ottobre del 1943 al febbraio del 1944, nella biblioteca del Royal institute of British architects (RIBA), si dedicò alle ricerche per la stesura di un volume sulla cultura architettonica contemporanea. Dal febbraio al giugno lavorò negli Headquarters dell’European theater of operations dell’United States Army, presso l’ufficio del chief engineer, insieme a Gordon Bunshaft. Il 7 luglio firmò con la casa editrice londinese Faber & Faber il contratto per la pubblicazione della traduzione inglese di Verso un’architettura organica (che comparve solo nel 1950, anticipata dalla versione italiana del 1945).
Nel volume la figura di Frank Lloyd Wright, da lui pressoché ignorata durante gli studi americani, diventò il simbolo di una tendenza – l’architettura organica – che avrebbe potuto assurgere, nello scenario italiano del dopoguerra, a metafora della riconquistata democrazia. In Italia infatti, a differenza di quanto avvenuto in Germania e in Russia, le tendenze più avanzate dell’architettura – la «modern architecture» del pamphlet An opinion on architecture (1941) – erano state vicine al Regime: occorreva un nuovo orizzonte espressivo e ideologico per la cultura architettonica postfascista, e l’opera di Wright era perfettamente funzionale a questa necessità. Inoltre, la figura di Wright veicolava in maniera efficace e sottile la strategia diplomatica culturale americana nella quale Zevi era già ampiamente coinvolto.
Zevi entrò poi a far parte del Political warfare executive (PWE), e sempre da Londra collaborò ai programmi di propaganda destinati all’Italia: fu copywriter alle dirette dipendenze del capo della Publications section, Italian theater headquarters, prima nella capitale inglese e poi a Roma, dove fu trasferito qualche settimana dopo la liberazione della capitale. Infatti, dopo quasi quattro anni e mezzo di esilio, il 30 luglio 1944 tornò finalmente nella città natale e si stabilì nella casa paterna in via Nomentana. Appena rientrato fu tra gli organizzatori de Il Mese. Compendio di stampa internazionale: la prima rivista propagandistica rivolta esclusivamente al pubblico italiano, redatta e stampata dal PWB (Political Warfare Branch) di Londra dall’ottobre del 1943. Dall’inizio di luglio fu impiegato nella sezione inglese dedicata alla propaganda alleata in Italia: il Political intelligence department del Foreign office. Dal maggio del 1945 venne trasferito all’Office of war information (OWI) che, alcuni mesi dopo, fu trasformato nell’United States information service (USIS). Dalla primavera del 1945 diresse per l’USIS i Bollettini tecnici, una rassegna stampa, corredata da articoli tradotti e ripresi da rilevanti riviste scientifiche statunitensi, la cui pubblicazione durò un anno. Collaborò inoltre alla rivista Victory – la principale pubblicazione dell’OWI – e al settimanale Nuovo Mondo, quindicinale a cura dell’Information service di Roma, fondato insieme ad Arrigo Benedetti, che ne divenne condirettore. Queste iniziative coinvolsero Zevi in quella che è stata definita la «guerra fredda culturale», che caratterizzò lo scontro tra USA e URSS per la conquista delle élites intellettuali europee, in anticipo di qualche anno rispetto all’inizio della guerra fredda vera e propria.
In parallelo all’impegno politico, con virtuosistico equilibrio e in vicendevole legittimazione, Zevi coltivò la sua ambizione accademica. Nel marzo del 1945, in contemporanea all’uscita per Einaudi della già citata opera Verso un’architettura organica, venne fondata a Roma la Scuola di architettura organica, che in luglio confluì nell’Associazione per l’architettura organica (APAO): Zevi ne fu naturalmente l’ideatore e il principale animatore. La scuola nacque come vera e propria alternativa alla facoltà di architettura romana, dove per lungo tempo sarebbero rimasti saldi nei loro ruoli i protagonisti del ventennio precedente. Dopo la breve avventura della rivista A e il tentativo di far parte della direzione di Casabella, Zevi entrò in quella di Metron (1945-1055): la rivista fu fortemente influenzata dal suo indirizzo critico, che la confermò come l’organo editoriale dell’APAO. Sempre in ragione del suo ruolo nell’USIS, Zevi ritornò in America fra il novembre del 1945 e il marzo del 1946. A New York confermò la richiesta di cittadinanza già avanzata nel 1940 (e che non ottenne in quanto non residente negli Stati Uniti per i cinque anni continuativi previsti dalle norme). Negli USA incontrò storici, critici, architetti e per la prima volta Wright. La sua figura divenne sempre più evidente e riconoscibile, ciò che gli consentì di proporsi come ideale trait d’union fra Italia e USA.
Nel 1946 uscì il Manuale dell’architetto: un altro importante progetto promosso e finanziato dall’USIS – che ne era l’editore insieme al Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) – curato da Zevi insieme a Pier Luigi Nervi e a Mario Ridolfi. La duplice collaborazione con il CNR e l’USIS portò Zevi a essere, nell’agosto del 1947, tra i fondatori del Comitato per gli scambi culturali fra l’Italia e gli Stati Uniti, promosso dall’Istituto nazionale per le relazioni culturali con l’estero, per gestire l’assegnazione delle prime borse di studio per gli USA; per i borsisti americani dal 1951 Zevi tenne nella sede romana dell’American Academy i seminari sulla storia dell’architettura, che in seguito avrebbe diretto formalmente (1955-59).
Parallelamente si sforzò di ottenere un ruolo accademico nella facoltà di architettura romana, che tuttavia non gli fu subito concesso. Nel 1948 Giuseppe Samonà lo chiamò a insegnare storia dell’architettura all’Istituto universitario di architettura di Venezia (IUAV). Nello stesso anno Zevi pubblicò per Einaudi il suo libro più rilevante e ancora oggi attuale: Saper vedere l’architettura. Saggio sull’interpretazione spaziale dell’architettura, una sintesi brillante tra la dimensione pragmatica della manualistica americana e la lettura dello spazio – il protagonista dell’architettura – nelle tradizioni europee della storia dell’arte. Nel 1950 uscì, sempre per Einaudi, la Storia dell’architettura moderna. Nel 1951 diventò segretario generale dell’Istituto nazionale di urbanistica (INU), carica che mantenne fino al 1969. La vocazione divulgativa di Zevi cercò nel frattempo una tribuna anche sulla stampa non disciplinare: dal 1954 divenne titolare della rubrica architettonica del settimanale Cronache (nell’anno successivo divenuto L’Espresso), che animò con verve polemica fino alla morte. Conclusa l’esperienza di Metron, iniziò quella della rivista L’architettura cronache e storia (1955-2000). Il titolo della testata riprendeva quello della rivista diretta da Marcello Piacentini fino al 1943. E proprio l’architetto romano, in ragione delle sue strategie di mediazione culturale e politica strettamente legate al fascismo, diventò per Zevi la figura da obliterare, in maniera polemica e conclamata. Così, se altre figure rilevanti delle politiche architettoniche fasciste non furono toccate dalla polemica zeviana, Piacentini diventò un simbolo da cancellare e sostituire, sullo stesso terreno delle sue strategie: la professione (che pure Zevi praticò, seppure in maniera del tutto liminare e irrilevante), il ruolo accademico, quello editoriale, lo strumento della rivista come elemento di divulgazione di un linguaggio comune, l’idea di un organismo per promuovere la qualità dell’architettura attraverso l’incontro tra architetti e costruttori (che spinse Zevi a costituire nel 1959 l’Istituto nazionale di architettura, IN/ARCH).
Nel 1963, a tre anni dalla scomparsa di Piacentini, Zevi venne infine chiamato alla cattedra di storia dell’architettura della facoltà romana.
Il suo rientro a Roma costituì un ritorno alle origini, alla cultura acquisita durante la formazione romana, caratterizzata dal rapporto tra storia e progetto, e arricchita poi dal pragmatismo esperito negli USA, dove non frequentò mai un corso di storia dell’architettura o dell’arte, ma acquisì familiarità con la retorica del ‘movimento moderno’ internazionale grazie alla lettura assidua dei suoi testi seminali e di alcuni dei suoi protagonisti. Zevi saldò queste premesse con la riscoperta wrightiana del 1944 attraverso la messa a punto del modello teorico – e strumentale – della «critica operativa», ossia di un metodo che avrebbe dovuto consentire il recupero della storia dell’architettura nella pratica della progettazione, senza però arrivare a citarne materialmente i sintagmi formali e stilistici. Tale metodo avrebbe avuto l’obiettivo di recuperare, attraverso un processo di astrazione, gli impianti e gli elementi sintattici delle architetture del passato, altrimenti censurabili come citazioni storiciste, e dunque affini a quel processo di romanizzazione della modernità che Zevi contestava a Piacentini e ai suoi accoliti. Allo stesso tempo l’ottica di legittimazione progettuale insita in questo processo avrebbe condizionato la ricerca storica verso un fine specifico. Esemplari di questo orientamento furono il volume e la mostra – in particolare il suo allestimento – su Michelangelo a Roma nel 1964, curati con Paolo Portoghesi. Negli anni seguenti la censura formale delle citazioni storiciste diventò per Zevi sempre più rigorosa, fino a generare un radicale manicheismo, che aprì un dissidio con lo stesso Portoghesi, e poi con l’architetto milanese Aldo Rossi, per dare successivamente il via alle note invettive contro il post-modern.
Dalla fine degli anni Sessanta Zevi si dedicò all’opera di Giuseppe Terragni – sottratta dall’ipoteca della militanza fascista del suo autore e consegnata alla ricerca e al dibattito più qualificati – e poi di Erich Mendelsohn. La monografia sull’architetto tedesco uscì nel 1970 e si conferma tutt’oggi come uno degli sforzi documentari più estesi sulla sua opera. Inoltre il dramma dell’ebreo errante, costretto dal nazismo a lasciare la sua terra, si rispecchiò chiaramente nell’idealizzata autobiografia – pubblicata nel 1977, due anni prima delle sue dimissioni dalla facoltà di architettura di Roma e dal pensionamento anticipato –, rivelandola come un elemento carsicamente determinante non solo del volume su Mendelsohn, ma del complessivo progetto storiografico di Zevi. Negli stessi anni si palesò anche la difficile conciliazione tra l’invocazione di un modello architettonico eterodosso ed eccezionale – Wright, Michelangelo, e anche Borromini, Terragni, lo stesso Mendelsohn, fino a Frank Gehry – e la contraddittoria prerogativa di codificarlo in un orientamento espressivo condiviso e trasmissibile. Il linguaggio moderno dell’architettura, del 1973, palesò la vocazione di Zevi nel sottotitolo, Guida al codice anticlassico, che di fatto riassume sinteticamente tutta la sua militante attività critica e ne costituisce l’epilogo, sancito da una nutrita e polemica serie di piccoli volumi poi raccolti nella Storia e controstoria dell’architettura in Italia (1997), ripubblicata più volte, in differenti versioni e formati.
Parallelamente all’impegno intellettuale e accademico, Zevi condusse un’intensa attività politica. Nel 1946 si candidò, insieme a Mario Ridolfi e a Ugo Vallecchi, alle elezioni comunali romane nella lista APAO. Nel 1953 partecipò alla campagna elettorale di Unità popolare, impegnandosi in una serie di comizi a Roma, Bologna, Trento e Venezia. Nel 1962, insieme alla moglie Tullia, organizzò nella casa di via Nomentana l’incontro tra Pietro Nenni e Arthur Schlesinger jr. – che aveva conosciuto Tullia a Parigi alla vigilia della guerra – per confrontarsi sul possibile sostegno degli USA a un governo di centrosinistra in Italia. Dal 1966 al 1976 ricoprì l’incarico di presidente della Consulta della Comunità israelitica di Roma. Nel 1966 aderì alla fusione del Partito socialista italiano (PSI) e del Partito social-democratico italiano nel Partito socialista unificato, entrando nel Comitato centrale del partito, per abbandonarlo al momento della scissione nel 1969. Nel 1983 si presentò alle elezioni come candidato del PSI. Nel 1987 fu eletto deputato al Parlamento per il Partito radicale, del quale l’anno seguente divenne presidente e, successivamente, presidente onorario. Nel 1998 fondò il Partito d’Azione liberalsocialista.
Morì improvvisamente il 9 gennaio 2000 nella sua casa di via Nomentana a Roma.
Opere. Oltre a quelle citate nel testo, Architettura e storiografia, Milano 1950; Architectura in nuce, Venezia-Roma 1960; Biagio Rossetti architetto ferrarese. Il primo urbanista moderno europeo, Torino 1960; Omaggio a Terragni, in L’architettura cronache e storia, 1968, n. 153, monografico; Zevi su Zevi, Milano 1977.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Bruno Zevi, Fondazione Bruno Zevi; College Park, Maryland, National archives and records administration.
R. Dulio, Introduzione a B. Z., Roma-Bari 2008; Gli architetti di Z. Storia e controstoria dell’architettura italiana, 1944-2000, a cura di P. Ciorra - J.-L. Cohen, Roma-Macerata 2018; B. Z. e la didattica dell’architettura, a cura di P.O. Rossi, Macerata 2019; B. Z. intellettuale di confine. L’esilio e la guerra fredda culturale italiana, 1938-1950, a cura di F. Bello, Roma 2019.