CACHERANO, Brunone (Burnonus Caqueyranus, Borne Caqueran)
Figlio terzogenito di Franceschino I e di Margherita di Luserna, nacque durante la seconda metà del secolo XIV, forse a Bricherasio, feudo che il padre, cittadino astigiano di antica e nobile famiglia, aveva acquistato nel 1360.
I Cacherano compaiono in Asti già alla fine del secolo XII tra i membri della Credenza. Come molte altre famiglie astigiane, svolsero attività bancaria: prima del 1258 possedevano una casana a Nesles in società col Pelletta e all'inizio del secolo successivo una banca in Asti. Nel corso del secolo XIII fra gli appartenenti alla famiglia si incontrano con frequenza giudici e notai impegnati nelle magistrature cittadine: Guglielmo I, figlio di Rolando, è attestato più volte come giudice e credenziario del Comune dal 1212 al 1252; compare anche fra gli uomini di Rocca d'Arazzo che nel 1237 prestano giuramento di fedeltà al vescovo d'Asti. Sembra anzi che fin d'allora i Cacherano esercitassero su Rocca qualche diritto signorile (Assandria, IlLibro Verde, doc. 171). Certamente avevano signoria su Coassolo, dove nel 1287 Raimondo, figlio di Guglielmo I, riceve il giuramento di fedeltà dagli uomini del luogo. Dalla spartizione dei beni di Guglielmo I, fatta nel 1286, tra i figli Rainiondo e Corrado, risulta che i Cacherano avevano proprietà e diritti in numerose località nei dintorni di Asti. Durante le lotte civili in Asti furono di parte ghibellina e vennero esiliati nel 1312 insieme con i sostenitori dei de Castello. Nel 1360 i nipoti di Raimondo, figli di Guglielmo II, acquistarono da Amedeo VI di Savoia il feudo di Bricherasio per diecimila fiorini. Per la rinuncia dei fratelli, Franceschino I rimase l'unico signore del feudo, che venne diviso fra i suoi figli Guglielmo III, Bonifacio, Brunone, Giovanni e Daniele II.
Singolare figura di condottiero, il C. ebbe modo di prestare alternativamente i suoi servigi ai Savoia, ai Visconti e ai re di Francia. Per la prima volta compare al servizio di Amedeo VIII di Savoia il 19 maggio 1403: la sua sudditanza ai Savoia è confermata dall'investitura che da essi ottenne del feudo di Osasco il 4 sett. 1406, insieme col fratello Bonifacio. Il C. da questo feudo trasse il predicato che comunicò ai discendenti. Nel 1411 con lui contrae un prestito il Comune di Pinerolo. Ma quattro anni dopo è al servizio dei Visconti: come ambasciatore di Filippo Maria tratta una convenzione finanziaria e militare con il Maggior Consiglio di Asti. Il C. fu probabilmente scelto per questo compito a motivo dei suoi legami con la città, luogo d'origine della famiglia. L'origine astigiana vale del resto a spiegare il passaggio stesso del C. ai Visconti e poi ai re di Francia, quando si consideri che Asti e il suo territorio pervennero ai Visconti alla metà del secolo XIV e che Gian Galeazzo li diede in dote a Valentina nel 1387 in occasione del suo matrimonio orleanese. Al servizio del futuro Carlo VII troviamo il C. nel 1421: il 3 febbraio Carlo, ancora delfino, tesseva le lodi del suo ciambellano, "le Borne Caqueran", ricordando i pericoli da lui corsi, la sua fedeltà e devozione, e gli concedeva l'investitura di Saint-Georges d'Espérance in Delfinato con diritto di trasmissione nei figli. Già in precedenza - non sappiamo quando - il delfino aveva concesso al C. il castello e le terre di Cayras, da lui rifiutati per cause ignote, e una pensione di cinquecento fiorini. All'investitura del 1421 il governatore del Delfinato, Randone di Joyeuse, oppose difficoltà, ricordando il precedente rifiuto, ma di fronte ai vivaci rimproveri del delfino cedette e ordinò al balivo del Viennese di mettere il C. in possesso del feudo. Nel 1424 il C. compare nuovamente al servizio del duca di Milano, in qualità di condottiero delle truppe milanesi inviate a Bourges in aiuto di Carlo VII; senza dubbio la scelta del C. è da mettere in relazione coi suoi precedenti rapporti con Carlo. La colonna di soccorsi milanesi era formata da seicento lance e mille fanti sotto il comando, oltre che del C., di Tebaldo di Valperga e di Luchino Rusca: non sappiamo a quali imprese il C. abbia partecipato durante la campagna, ma è nota la sfortuna che incontrò il 17 ag. 1424 a Verneuil, dove la colonna fu fatta a pezzi dagli Anglo-borgognoni. Dopo questa disastrosa impresa, il C. restò tuttavia in Francia e nel 1425 viene ricordato come consigliere e gentiluomo di camera di Carlo VII. Sempre militando per le armi francesi, nel 1430 riscattò lo smacco di Verneuil, sconfiggendo presso il castello di Anthonis Luigi d'Orange. Successivamente si direbbe che il C. torni al servizio dei Visconti, poiché la sua presenza è attestata a Milano nel 1432 in occasione della promessa di matrimonio tra Bianca Maria Visconti e Francesco Sforza. Durante questo terzo periodo milanese il C. ebbe dal duca il riconoscimento del legittimo possesso su Rocca d'Arazzo, località nei pressi di Asti sulla quale fin dal secolo XIII la famiglia Cacherano vantava diritti signorili; l'investitura viscontea, concessa il 16 apr. 1439 e seguita dal giuramento di fedeltà degli uomini di Rocca, fu rinnovata nel 1446 e nel 1454 in favore dei figli del Cacherano. Nel medesimo periodo si può pensare che egli mantenesse ancora ottimi rapporti con il re di Francia che, in ricompensa di non sappiamo quali servigi, il 26 febbr. 1446 gli concedeva l'investitura del feudo di Beccofort. Nonostante gli impegni contratti a più riprese col duca di Milano e con il re di Francia, il C. continuò ugualmente ad essere buon vassallo dei Savoia per i suoi feudi di Osasco e di un quinto di Bricherasio, toccatogli per eredità paterna. Nel 1440 subinvestiva Michele di Castelvecchio della piccola località omonima nei pressi di Bricherasio, che il C. teneva dai Savoia come appendice del feudo maggiore. Nulla sappiamo del suo matrimonio, dal quale ebbe due maschi, Carlo - continuatore del ramo Cacherano d'Osasco - e Giovanni, e una figlia, andata in sposa nel 1444 a Giovanni di Lorenzè, dei conti del Canavese.
La data della morte del C. dovette essere di poco posteriore al 1446.
Il fratello maggiore del C., Guglielmo III, figlio primogenito di Franceschino I e di Margherita di Luserna, nacque nella seconda metà del secolo XIV, forse a Bricherasio. Consignore, insieme con gli altri fratelli, di Bricherasio, Guglielmo partecipò alla corte degli Acaia, divenuti nel 1368 alti signori del luogo, e presso di essi coprì gli incarichi di scudiero e di avvocato. Il 3 genn. 1412 acquistò da questi principi il feudo di Envie, concesso in linea maschile a lui e ai suoi fratelli, e in Envie elesse probabilmente la sua residenza, facendovi riedificare il castello sui ruderi di quello precedente, che era appartenuto ai signori di Revello. L'investitura di Envie gli fu riconfermata nel 1419 e nel 1420 dai conti di Savoia, subentrati agli Acaia. Oltre a questo feudo, nel 1418 gli era pervenuta la parte di Bricherasio appartenuta al fratello Giovanni, morto senza prole: in questo modo Guglielmo veniva ad essere consignore di Bricherasio per un quarto, confermatogli dall'investitura sabauda del 1420. Dopo questa data mancano notizie su di lui. Guglielmo III fu capostipite del ramo dei Cacherano che prese il predicato dal castello di Envie; morì prima del 1447, come appare da un documento di tale anno, in cui è presente il figlio Michele.
Fonti e Bibl.: Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, a cura di Q. Sella, in Atti della Reale Accademia dei Lincei, s. 2, CCLXXIII (1875-76), docc. 294, 380, 539, 540, 684, 715, 903, 970; F. Gabotto, Documenti inediti della storia di Piemonte al tempo degli ultimi principi d'Acaia, in Misc.stor. ital., s. 2, III(1896), p. 210; G. Assandria, Il Libro Verde della Chiesa di Asti, Pinerolo 1907, docc. 171, 221; L. C. Bollea, Cartario di Bricherasio (1159-1859), Torino 1928, docc. 94, 101, 102, 131, 132, 133, 138, 190; V. Angius, Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, I, Torino 1841, pp. 656-58; A. Caffaro, Pineroliensia, Pinerolo 1906, p. 205 n. 2; L. C. Bollea, Storia di Bricherasio, Torino 1928, pp. 385-89, 401 ss., 419-24; C. Baroni, La scultura nel primo Quattrocento, in Storia di Milano, VI, Milano 1955, p. 214; M. Salmi, La pittura e la miniatura gotiche, ibid., p. 287.