bruto
. Il termine (cfr. il latino brutus), secondo un'accezione già affermata tra gli autori classici, è comunemente usato per indicare ciò che è privo di ragione, e come tale è passato nel lessico medievale; cfr. Isidoro Etymologiae X 28 " Brutus, quasi obrutus, quia sensu caret. Est enim sine ratione, sine prudentia ". Il termine è a volte riferito a cose inanimate o animate, ma in cui non appare la ragione.
Ricorre in D. dodici volte nel Convivio, dove si accompagna quasi sempre al termine ‛ animale ' (‛ animale b. ' indica ogni essere animato distinto dall'uomo, animale anch'esso ma fornito di ragione); una volta nell'Inferno e una nel Paradiso.
I passi del Convivio in cui ricorre la voce trattano il problema dell'anima sulla base della teoria aristotelica esposta nel De Anima. Per tale trattazione D. fa spesso riferimento anche agli scritti aristotelici sugli animali. La nota teoria dell'anima razionale che accoglie in sé unitariamente le funzioni degli esseri inferiori, è esposta in Cv IV VII 11 Sì come dice Aristotile nel secondo de l'Anima, " vivere è l'essere de li viventi "; e per ciò che vivere è per molti modi (sì come ne le piante vegetare, ne li animali vegetare e sentire e muovere, ne li uomini vegetare, sentire, muovere e ragionare, o vero intelligere), e le cose si deono denominare da la più nobile parte, manifesto è che vivere ne li animali è sentire - animali, dico, bruti -, vivere ne l'uomo è ragione usare. Così anche al § 14. Tale teoria comporta che ne le cose animate mortali la ragionativa potenza sanza la sensitiva non si truova, ma la sensitiva si truova sanza questa, sì come ne le bestie, ne li uccelli, ne' pesci e in ogni animale bruto vedemo (III II 13). Cfr. in proposito Tommaso Comm. Ethic. I, 9 lect. 11 " in omnibus animalibus communiter determinatur vivere secundum potentiam sensus. In hominibus autem determinatur secundum potentiam sensus quantum ad id quod habet commune cum aliis animalibus, vel secundum potentiam intellectus quantum ad id quod est proprium sibi ".
In IV XXII 5, D. considera comune agli uomini e alle bestie l'istinto di conservazione: E non pur [ne] li uomini, ma ne li uomini e ne le bestie ha similitudine; e ['n] questo appare, che ogni animale, sì come elli è nato, razionale come bruto, se medesimo ama, e teme e fugge quelle cose che a lui sono contrarie, e quelle odia.
D. considera inoltre (III VII 10) alcuni atteggiamenti degli animali simili a quelli degli uomini, come il parlare di alcuni uccelli; tali atteggiamenti non sono espressione di una ragione animale ma sono immagini della ragione umana riflesse nell'anima bruta, come in uno specchio.
In III VII 6, viene escluso che nella scala degli esseri vi sia alcun grado intermedio fra l'angelo e l'uomo e fra l'uomo e li bruti animali. In IV XV 7, D. afferma l'unità della specie umana a differenza delle diverse specie degli animali bruti, teoria che egli trova concorde con la fede cristiana.
In IV XXI 3 leggiamo: Pittagora volse che tutte [le anime] fossero d'una nobilitade, non solamente le umane, ma con le umane quelle de li animali bruti e de le piante, e le forme de le minere. Il passo è inserito nel contesto della teoria sull'origine dell'anima; D. espone le teorie di Avicenna, Algazel, Platone e Pitagora rifiutandole tutte e accettando quella di Aristotele e dei Peripatetici. In III III 5, D. rileva che Li animali bruti hanno più manifestò amore non solamente a li luoghi, ma l'uno l'altro vedemo amare.
In tutti i passi del Convivio finora riferiti D. ha usato il termine b. per indicare direttamente gli animali privi di ragione, ma in altri passi vengono considerati quegli uomini in cui la virtù razionale difetta o non viene usata, per cui vivono allo stato di ‛ animali b. '. In III II 18 afferma che di molti uomini, come degli animali b., non si può ‛ predicare la mente ', e però quelli cotali sono chiamati ne la gramatica ‛ amenti ' e ‛ dementi '. In II viri 11 è detto che gli uomini che non vivono secondo la dignità della propria natura, ma come animali bruti, sono tutti sanza questa speranza... mentre che vivono, cioè d'altra vita. Infine, in IV VII 4 D. afferma: coloro dirizzare intendo ne' quali alcuno lumetto di ragione per buona loro natura vive ancora, ché de li altri tanto è da curare quanto di bruti animali, e aggiunge che è più facile portare in vita chi è stato quattro giorni nel sepolcro (Lazzaro) che portare sulla via della vera scienza colui in cui la luce della ragione è del tutto spenta.
La voce b. nel significato di " animale ", " essere privo di ragione ", ricorre in l f XXVI 119 Considerate la vostra semenza: / fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza. In proposito cfr. VE I XII 4 Federicus Caesar... Manfredus, nobilitatem ac rectitudinem suae formae pandentes, donec fortuna permansit, humana secuti sunt, brutalia dedegnantes. In Pd VII 139, D. afferma che l'anima sensitiva degli animali e quella vegetativa delle piante essendo tratte dalla potenza all'atto dal moto delle stelle, non dipendono direttamente da Dio e perciò sono mortali: L'anima d'ogne bruto e de le piante / di complession potenziata tira / lo raggio e 'l moto de le luci sante.