Vedi BUCCHERO dell'anno: 1959 - 1994
BUCCHERO
Sotto questo nome si intende un particolare tipo di ceramica fatta al tornio, uniformemente nera tanto all'interno quanto all'esterno e lucidata sulla superficie, che costituisce una delle caratteristiche della civiltà etrusca. Il nome deriva dallo spagnolo bucaro, parola con la quale venivano designati certi vasi provenienti dall'America meridionale fabbricati con una terra odorosa e colorata, imitati nel Portogallo e venuti di moda in Italia press'a poco all'epoca del diffondersi degli scavi e delle scoperte delle necropoli etrusche.
Diverse sono le teorie formulate sulla tecnica della lavorazione del bucchero. Secondo alcuni questi vasi sarebbero stati ottenuti impastando argilla figulina e polvere di carbone; per altri, invece, il colore nero lucente sarebbe la risultante di un processo di fumigazione a cui veniva sottoposto il vasellame dopo una prima cottura. È stato anche dimostrato che siffatta ceramica poteva venire prodotta aggiungendo all'argilla il minerale di manganese, oppure spalmando la superficie del vaso con ocra rossa e cuocendolo quindi a fuoco aperto, dopo averlo levigato a metà essiccazione. Una delle ipotcsi più recenti, che sembra trovare molto credito, vuole poi il b. ottenuto semplicemente con il cosiddetto processo di "riduzione", vale a dire usando nella cottura fiamma fumosa, per cui l'ossido ferrico di color rosso contenuto nell'argilla si tramuta in ossido ferroso di colore nero.
Molto si è anche discusso sull'origine indigena di questa ceramica, che sia pure sporadicamente, è stata ritrovata in varie altre località del mondo antico, al di fuori del territorio etrusco vero e proprio o di diretta influenza etrusca (ad es. in Spagna, in Francia, a Naucrati, sulla costa dell'Africa, nelle isole dell'Egeo, in Grecia, in Asia Minore, sulla costa del Mar Nero, ecc.). Ma oltre al fatto che questi esemplari isolati possono eventualmente essere addotti a prova di una intensa attività commerciale, ma non certo di una introduzione in Etruria della tecnica del b. dal di fuori, non bisogna dimenticare che solo nel territorio etrusco il b. ebbe una particolare continuità di sviluppo ed una straordinaria fioritura, che talvolta giunse a trasformare l'umile prodotto ceramico in espressione d'arte. Inoltre il b. etrusco trova un precedente diretto e per così dire locale nella bella ceramica nero-lucida d'impasto (la cosiddetta ceramica buccheroide), la cui ininterrotta tradizione dalla Civiltà del Bronzo a quella del Ferro è perfettamente documentabile dal punto di vista archeologico (v. appenninica, civiltà). Molto verosimilmente, dunque, il b. non è altro che il risultato di un processo di perfezionamento della tecnica preistorica per la creazione di vasi d'impasto neri a superficie lucida, perfezionamento verificatosi sotto l'influenza dei vasi d'importazione greci di argilla figulina e fatti al tornio, e non a caso i primi buccheri compaiono in concomitanza con la ceramica protocorinzia, di cui spesso ripetono la forma e persino la decorazione.
Dato che per la cronologia assoluta e relativa del b. ci si basa sulla sua associazione con i vasi greci, essendo controversa la datazione della ceramica protocorinzia e corinzia, controversa risulta anche la datazione di quei primi vasi di bucchero che ad essa si accompagnano nel corredo funebre. Tuttavia, poiché i più antichi esemplari risalgono al periodo precedente l'importazione degli arỳballoi protocorinzî piriformi, si può con una certa sicurezza porre l'inizio della produzione del b. intorno alla metà del VII sec. a. C. Da allora ad un dipresso fino alla fine del secolo si svolge la fabbricazione del cosiddetto bucchero sottile, che è caratterizzato dalla sottigliezza delle pareti e da una decorazione costituita da ventaglietti punteggiati ed elementi geometrici graffiti, non mancando però anche esempî di ornamentazione plastica come le statuette-sostegno di un particolare tipo di calice. I principali centri di produzione di questo periodo sembrano doversi ricercare soprattutto nell'Etruria meridionale come, ad es., a Cerveteri e a Tarquinia. Sullo scorcio del VII sec. a. C. si verifica un graduale ispessimento delle pareti e si afferma una decorazione formata da uno stretto fregio figurato, a rilievo bassissimo, impresso a stampiglia mediante dei cilindretti fatti rotare sulla superficie ancora molle del vaso. I motivi decorativi non offrono una grande varietà di soggetti e ci riportano al vieto repertorio orientalizzante: sono esseri fantastici come sfingi, centauri e grifi, animali, divinità alate e, meno spesso, scene di processioni, di riti funebri e di offerte alla divinità. Alle fabbriche dell'Etruria meridionale si associano oramai anche quelle di Chiusi, le quali si assumeranno in seguito, pare in esclusiva, la fabbricazione di quell'altra particolare categoria di b., il cosiddetto bucchero pesante, la cui estinzione, all'inizio del V sec. a. C., segna la fine stessa di questa peculiare ceramica. Tipiche di quest'ultima produzione sono le forme barocche e strane, come la brocca il cui collo si configura in testa umana, ed i complessi rilievi e le ornamentazioni plastiche a tutto tondo, che spesso appesantiscono il vaso togliendogli ogni senso di misura e di armonia. A questo periodo tuttavia appartengono alcuni dei più notevoli vasi di bucchero che si conoscano, tra cui fra l'altro l'omochòe Casuccini, con il mito di Perseo e la Medusa, e la brocca, la cui imboccatura magistralmente modellata a testa di toro offre un raro esempio di potente suggestione plastica.
Le principali forme dei vasi di b. sono la kỳlix, lo skỳphos, il calice, il kàntharos, l'òlpe, l'anfora, il kỳathos, l'oinochòe, il braciere ed il supporto.
La kỳlix presenta tre tipi fondamentali: il primo con corpo a calotta sferica, anse a bastoncello orizzontale e piede a disco, è una delle più antiche forme di b. che conosciamo, essendo presente nella suppellettile della Tomba Giulimondi, di Cerveteri.
Per la forma ricorda le cosiddette "coppe ad uccelli" e, se veramente l'origine di quest'ultime risale alla prima metà del VII sec. a. C., si potrebbe affermare con una certa sicurezza la derivazione della forma etrusca da quella greca. Il secondo tipo, che differisce dal precedente per l'orlo distinto dal corpo, si può accostare per la forma a quelle kỳlikes protoconnzie, la cui comparsa viene generalmente attribuita all'epoca degli arỳballoi ovoidi o ad un'eta immediatamente precedente la fabbricazione di questi ultimi, restando così in questo caso, accertata la posteriorità della forma etrusca, dato che il più antico esemplare sembra sia quello rinvenuto nella nicchia destra della Tomba Regolini-Galassi, a Cerveteri. Il terzo tipo infine, che si distingue dal secondo per il pieduccio a tromba, offre due varietà, una con corpo a calotta depressa, di cui un esemplare compare nella nicchia destra della Tomba Regolini-Galassi, ed un'altra con corpo più o meno emisferico. Questa ultima varietà, che sembra essere più recente dell'altra, perché non è stata trovata nei complessi di b. più antichi, presenta, come è già stato giustamente notato, una forma singolarmente simile a quella di un tipo di coppa della Grecia orientale, che si rinviene anche in Italia oltre che nell'Oriente greco. Anzi è stata anche formulata l'ipotesi che le kỳlikes greche siano state in qualche modo influenzate da quelle etrusche. Tuttavia, poiché non è stata finora affatto dimostrata la priorità della forma etrusca rispetto a quella greca, si potrebbe supporre che anche in questo caso gli imitatori siano stati proprio gli Etruschi.
Dello skỳphos si conoscono due tipi principali, uno con corpo a forma di tronco di cono e l'altro con orlo distinto dal corpo. Il primo tipo non solo ripete la forma dello skỳphos protocorinzio che accompagna gli arỳballoi ovoidi, ma qualche volta ne ricorda anche la decorazione nella zona di linee graffite orizzontali e parallele, sovrastanti triangoli che si dipartono a raggiera dal basso con il vertice verso l'alto. Poiché è stato fra l'altro rinvenuto nella Tomba Giulimondi e nella nicchia destra della Tomba Regolini-Galassi, è anch'esso senza dubbio una delle forme più antiche di b. che si conoscano. L'altro tipo sembra avere invece un'origine più recente: il più antico complesso in cui fa la sua comparsa, sembra infatti quello della "Camera degli Alari" di Cerveteri, per la datazione della quale tomba la presenza di ceramica tardo protocorinzia e transizionale e l'assenza di ceramica corinzia costituiscono per noi un prezioso elemento cronologico. Quanto alla forma più che ad una derivazione diretta dal secondo tipo degli skỳpoi protocorinzî à rebord oblique, si potrebbe pensare ad un ibrido nato dall'incrocio tra le forme dello skỳphos e della kỳlix protocorinzia.
Dei calici si possono distinguere diversi tipi. Uno dei più caratteristici è rappresentato da quei calici con sostegni, costituiti da statuette e da rettangoli lavorati a giorno o decorati a bassorilievo, la cui somiglianza con gli esemplari in metallo ed in avorio pare non possa trovare altra giustificazione se non in una imitazione di quest'ultimi da parte di quelli di bucchero. Quanto alla datazione, il fatto che nell'anticamera della Tomba Regolini-Galassi si siano raccolte quattro figurine femminili di b. del tipo di quelle che usualmente servono da sostegno ai calici, ci autorizza a porre l'inizio della fabbricazione di questa varietà almeno sul finire del VII sec. a. C. Altro tipo è costituito dai calici con piede smontabile, per i quali è già stata notata la evidente imitazione di prodotti metallici. Quantunque non si abbiano per essi sicuri dati di scavo, devono tuttavia venire annoverati tra i più antichi vasi di b., se, come tutto induce a credere, da loro derivano quei calici di forma analoga, ma con il piede ed il corpo formanti tutt'uno, nei quali il ricordo del piede smontabile è evidente nel collarino di cui in genere è munito il piede, e che fanno la loro comparsa già tra la suppellettile della "Camera degli Alari". Quest'ultimo tipo di calice è una delle forme più diffuse nella ceramica di b.: lo si ritrova infatti per tutto il VI sec. a. C., prima decorato sotto l'orlo da una zona figurata impressa a stampiglia e quindi, successivamente, nella varietà a parete ondulata, nel quale caso può anche presentare le aggiunte plastiche tipiche del bucchero pesante (di solito bottoni sul labbro e maschere sulla parete). Si può infine ricordare un quarto tipo di calice assai simile al precedente, ma con il piede più basso o addirittura bassissimo e privo di collarino, per il quale, più che ad una ulteriore semplificazione dei calici con piede smontabile, si potrebbe pensare ad una imitazione dei calici d'impasto di forma analoga. È comunque una varietà più recente delle altre data la sua assenza nei complessi di bucchero più antichi. Due sono i tipi in cui si presenta il kàntharos. Il primo, che è anche il più antico essendo già presente nella "Camera degli Alari", non è che una variante del calice ottenuta mediante l'aggiunta di due alte anse a nastro verticali, nelle quali alcuni studiosi vogliono vedere l'imitazione di modelli metallici. Questo tipo, la cui fabbricazione ha continuato fin verso la metà del VI sec. a. C., può anche presentare la tipica decorazione impressa a stampiglia. Per la seconda varietà, che differisce dalla prima soprattutto per l'assenza della carena, si potrebbe pensare ad un'origine più recente dato che non è documentata nei complessi di b. più antichi. In ogni caso la sua esistenza ancora nella seconda metà del VI sec. a. C., è documentata dal fatto che a Vulci un esemplare di questo tipo è stato raccolto assieme ad un'anfora attica dello stile dei Manieristi.
Quanto all'òlpe, la varietà più antica è senza dubbio quella con corpo a tronco di cono od ovoide, collo distinto dal corpo ed ansa verticale sopraelevata, varietà che fa la sua apparizione già nel corredo della Tomba Giulimondi. Discordi sono i pareri sulla sua origine: alcuni sono propensi a vedere una reminiscenza dell'ossuario villanoviano, altri pensano ad una dipendenza da modelli metallici ed ultimamente si è anche parlato di una derivazione dalla brocca d'impasto preistorica. È stato comunque un tipo di lunga durata, poiché il limite cronologico inferiore è costituito dalla metà del VI sec. a. C. Altro tipo molto antico, data la sua presenza nella "Camera degli Alari", è anche quello che ripete la forma delle òlpai a rotelle dipinte (da notare che generalmente le rotelle negli esemplari di b. sono sostituite da due alette più o meno sviluppate) e poiché, secondo alcuni studiosi, le òlpai a rotelle dipinte, la cui produzione inizia nel tardoprotocorinzio, sono una forma peculiare della ceramica di provenienza etrusca, si potrebbe, in questo caso, parlare di forma "indigena" anche se con tutta probabilità sono gli esemplari di b. che hanno imitato quelli dipinti. Una varietà più recente, diffusa solo nella seconda metà del VI sec. a. C., è invece rappresentata da quelle òlpai ritenute da alcuni studiosi peculiari di Vulci e la cui forma, anche se apparentemente simile a quella del tipo più antico, rivela chiaramente la sua derivazione da prototipi metallici. Un ultimo tipo è infine rappresentato da tutte quelle òlpai, nelle quali la caratteristica decorazione plastica ed a rilievo non offre dubbi sulla loro appartenenza al cosiddetto bucchero pesante.
L'anfora è una forma di vaso che si ritrova ininterrottamente dalla metà del VII sec. a. C. fino all'ultimo periodo del bucchero. La varietà più antica con corpo tondeggiante, collo a tronco di cono, doppia ansa a nastro verticale dipartentesi dall'orlo, può presentarsi decorata sia da una doppia spirale su di ogni lato, sia da fitti solchi od incisioni verticali ricoprenti parzialmente od interamente il corpo. La sua alta antichità è documentata dal fatto che è già presente rispettivamente nella Tomba Giulimondi e nella nicchia destra della Tomba Regolini-Galassi. Quanto all'origine, per la quale alcuni studiosi pensano ad una discendenza dall'ossuario villanoviano, va anche notato che l'anforetta con decorazione a doppia spirale compare nella ceramica d'impasto etrusca in un periodo precedente l'apparizione del bucchero. Un tipo più recente costituiscono quelle anfore, la cui forma è stata in seguito imitata dalle cosiddette anfore nikosteniche. La priorità questa volta della forma di b. su quella dipinta è attestata dalla presenza del tipo di b. in una tomba di Cerveteri la cui datazione non può scendere oltre la metà del VI sec. a. C. In un terzo e quarto gruppo possono infine essere rispettivamente raggruppate le anfore con fregio figurato impresso a stampiglia e con decorazione a rilievo e plastica, nelle quali la principale caratteristica distintiva è appunto offerta dal tipo stesso di decorazione che presentano.
Del kỳathos si hanno tre tipi fondamentali. Il primo, al quale possiamo assegnare una data molto alta in base agli esemplari raccolti nella nicchia destra della Tomba Regolini-Galassi e che, nonostante qualche differenza, possono essere fatti rientrare in questa categoria, tipete la forma di un calice con l'aggiunta di un'alta ansa a nastro verticale munita di setto intermedio. Il secondo tipo, sempre molto antico, dato che è stato fra l'altro rinvenuto nella "Camera degli Alari", si distingue dal precedente per il corpo a calotta con labbro distinto ed alta ansa verticale ad anello schiacciato in senso normale all'orlo della coppa. Entrambe queste due varietà più o meno modificate si ritrovano nella seconda metà del VI sec. a. C., nel quale periodo possono anche assumere aggiunte plastiche. Il terzo tipo, infine, che fa la sua apparizione soltanto nell'ultimo periodo del b., presenta forma a tronco di cono ed alta ansa a nastro ed è, secondo alcuni, una imitazione di modelli metallici.
L'oinochoe, che è uno dei vasi di b. più frequenti, presenta una grande varietà di forme. Tra le più antiche sono senz'altro da annoverare quella con corpo piriforme, collo alto a tromba e bocca leggermente trilobata, che compare tra la suppellettile della "Camera degli Alari", e l'altra, con corpo ovoide, lungo collo conico e piccola bocca trilobata, assegnata da alcuni studiosi alla fine del VII sec. a. C. e rinvenuta fra l'altro nel Tumulo della Vaccareccia. Un tipo caratteristico, assegnabile alla metà circa del VI sec. a. C., è poi quello con corpo ovoide e bocca trilobata tagliata obliquamente, che imita sicuramente esemplari di bronzo. Nella seconda metà del VI sec. a. C. è invece soprattutto diffusa un'altra forma caratterizzata dalla presenza di due rotelle (sostituite talvolta da due cornetti) ai lati dell'attaccatura dell'ansa, forma che, derivata anch'essa molto verosimilmente da modelli metallici, si presenta spesso riccamente ornata con rilievi e con decorazioni plastiche.
Il braciere, sul quale veniva collocato il cosiddetto "servizio funebre" rappresentato da vasi ed utensili di ogni genere, è un prodotto che compare solo con il bucchero pesante. Viene generalmente considerato un'imitazione di prototipi metallici ed ha per lo più forma di un vassoio rettangolare con due anse nei lati brevi e con una o due aperture nei lati lunghi, ma può anche essere rotondo con un'apertura anteriore. Presenta un'esuberante decorazione a figurine plastiche applicata sugli orli ed a rilievi tutto attorno alla parete.
Quanto al supporto, formato da un corpo semicilindrico, che poggia su di un piede a calice, pare sia una delle rare creazioni originali del b.; secondo uno studioso inglese esiste una evoluzione del tipo, rappresentata dai fori che da semplici diventano larghe aperture ovali o triangolari. Riguardo poi alla cronologia è importante il fatto che questa forma di vaso, il cui uso specifico rimane tutt'ora incerto, sia stata imitata dal cosiddetto Pittore dell'Edera, la cui attività si sarebbe svolta intorno alla metà del VI sec. a. C.
Esistono poi forme meno comuni e frequenti, che si ritrovano occasionalmente, come l'arỳballos, nel quale è palese l'imitazione dei prototipi dipinti; la pisside, ovverosia il calice con coperchio, i cui esemplari più noti e fors'anche i più antichi sono quelli usciti dalla Tomba Calabresi di Cerveteri; la coppa a fruttiera, che è caratteristica del periodo della decorazione impressa a stampiglia; l'hydrìa e la kelèbe, che sono forme limitate alla categoria del bucchero pesante; la situla con zone figurate a rilievo, che richiama alle cosiddette pissidi o situle di avorio ed, infine, forme addirittura eccezionali, come la straordinaria ampolla figurata della Tomba Calabresi, che costituisce indubbiamente uno dei più delicati ed estrosi oggetti che abbia mai prodotto il bucchero.
Concludendo si potrebbe dire che proprio la molteplice varietà delle forme e la loro varia genesi (imitazione di vasi d'importazione e locali, di prodotti di metallo e di avorio e, più raramente, creazione originale) possono costituire una conferma dell'origine indigena della tecnica del b., tecnica di cui il ceramista antico si servì per plasmare di volta in volta per il popolo etrusco le forme da lui preferite e da lui richieste.
Bibl.: P. Ducati, Storia della ceramica greca, Firenze 1922, p. 101, pp. 508-509 e nota 4 a p. 101, ivi bibl.; P. Ducati, Storia dell'arte etrusca, Firenze 1926, p. 151 ss., p. 178 ss., p. 242, p. 344, pp. 296-297; G. Q. Giglioli, L'arte etrusca, Milano 1935, p. XXIV; D. Levi, Il Museo civico di Chiusi, Roma 1935, p. 105 ss. Sulla tecnica del b.: A. Del Vita, Osservazioni sulla tecnologia del bucchero, in St. Etr., I, 1927, p. 187 ss. (con bibliografia) e G. M. A. Richter, The Tecnique of B. Ware, in St. Etr., X, 1936, p. 61. Sulla diffusione del b. fuori d'Italia cfr. P. Mingazzini, Vasi della Collezione Castellani, Roma 1930, pp. 1-2 e M. Pallottino, Occidentalia, Sulla diffusione del b., in Arch. Class., I, 1949, p. 80. Sulla genesi e datazione delle principali forme dei vasi di b. cfr. P. Mingazzini, op. cit.; F. Magi, La raccolta Benedetto Guglielmi nel Museo Gregoriano Etrusco, Città del Vaticano 1939, parte I, p. 111 ss.; J. Palm, Veiian Tomb Groups in the Museo Preistorico, Rome, in Opuscula Archaeologica, VII, p. 50 ss. ed in particolare per i supporti: H. R. W. Smith, The Origin of Chalcidian Ware, in University of California Publications in Class. Archaeology, 1, 3, p. 90 ss., Berkeley 1932. Per i buccheri della Tomba Regolini-Galassi, della "Camera degli Alari" e del Tumulo della Vaccareccia cfr. rispettivamente L. Pareti, La tomba Regolini-Galassi, Città del Vaticano 1947; G. Ricci, La necropoli della Banditaccia, in Mon. Ant. Lincei, XLII, 1955, c. 329 ss. ed E. Stefani, Esplorazione del tumulo della Vaccareccia, in Not. Sc., 1935, p. 330 ss. Sulla oinochòe Casuccini con Perseo e la Medusa, V. Tusa, in Arch. Class., VIII, 1956, p. 147 ss. Sul recente scavo di alcune tombe arcaiche contenenti vasi di b. si veda Not. Scavi, 1955, p. 46 ss.
Per le maggiori raccolte di esemplari di b., cfr. i cataloghi del Museo del Louvre a Parigi, del British Museum di Londra ed inoltre i fascicoli del C. V. A., riferentisi al Museo di Villa Giulia in Roma ed al British Museum.