Vedi BUDDHA dell'anno: 1959 - 1994
BUDDHA (v. vol. II, p. 215)
Le più antiche immagini del B., databili, sia pure in modo relativo, risalgono al regno del kuṣāṇa Kaniṣka (v.). Dall'ascesa al trono di tale sovrano trasse origine un'era, l'anno di inizio della quale non è stato sinora determinato. Tra le varie datazioni proposte, due raccolgono oggi il favore degli studiosi: la prima fa risalire l'evento al 78 d.C., la seconda lo pone verso la metà del II sec. d.C.
È ovvio che la collocazione cronologica delle immagini del B., attribuibili al regno di Kaniṣka, subisce la stessa non piccola oscillazione. Queste opere, che attestano per la prima volta, in modo ampio e diffuso, l'interruzione dell'aniconismo proprio dell'arte buddhista precedente relativamente alla figura del Maestro, appaiono come formulazioni stilisticamente diverse, ascrivibili a due scuole artistiche coeve - quella di Mathurā (v.) e quella del Gandhāra (ν.) – di un tema figurativo già pienamente elaborato, di cui sono definiti e condivisi i caratteri essenziali. Infatti, nonostante che siano state poste in maggiore risalto le particolarità iconografiche e stilistiche che rendono le immagini immediatamente collegabili all'uno o all'altro di questi centri di produzione, si impongono all'attenzione dell'osservatore anche le analogie di fondo dalle quali le due iconografie sono accomunate. Tale osservazione, di non scarsa importanza, già fatta negli anni '30 e recentemente ripresa, sembrerebbe avvalorare l'ipotesi che le diverse tipologie, esemplificate dai primi B. di epoca kuṣāṇa, siano riconducibili a un unico schema figurativo originario. L'esistenza di un simile prototipo non è, tuttavia, dimostrata. D'altra parte la ricerca ha seguito vie diverse che hanno condotto ad attribuire la priorità, nell'esecuzione dell'immagine del Β., o alla scuola gandharica, come fece A. Foucher, seguito da una lunga schiera di studiosi, o a quella di Mathurā, come ha sostenuto, tra gli altri, J. E. Van Lohuizen-de Leeuw, collegandosi alla tesi dell'origine indiana della rappresentazione antropomorfica, enunciata da A. K. Coomaraswamy. Questo studioso in realtà, pur ritenendo che un'innovazione artistica e religiosa tanto significativa non avesse potuto nascere che da un mutamento profondo del pensiero buddhista, giungeva a una conclusione diversa. Egli sosteneva infatti l'ipotesi che le due principali scuole dell'epoca avessero dato vita pressoché contemporaneamente a rappresentazioni del B. non derivanti l'una dall'altra.
La teoria dell'origine unica dell'immagine ha costituito il fondamento di un nuovo tentativo di soluzione del problema, che è stato compiuto nel 1979 da J. E. Van Lohuizen-de Leeuw. Sulla base di alcuni rilievi, portati alla luce dagli scavi archeologici italiani nello Swât e, in particolare, nell'area sacra di Butkara (v.), la studiosa ha creduto di poter dimostrare la priorità di Mathurā nella esecuzione di rappresentazioni antropomorfiche del Buddha. La validità di questa ipotesi è tuttavia messa in dubbio sia dall'utilizzazione di una cronologia tutt'altro che unanimemente accettata, sia da una sopravvalutazione di dati meno decisivi, per la soluzione del problema, di quanto ella abbia ritenuto.
Il Buddha nell'arte del Gandhāra. - Sono stati ampiamente messi in luce i rapporti che legano il B. gandharico al patrimonio figurativo del mondo ellenistico-romano. L'immagine non può dirsi, tuttavia, derivata da un unico tipo iconografico. Anzi, gli esemplari nei quali più chiaramente la somma dei valori filosofico-religiosi, che al Maestro sono connessi, si esprime nelle forme e secondo gli ideali della figuratività classica, mostrano con maggiore evidenza la natura composita della rappresentazione. È indubbio che il corpo, rivestito dal mantello monastico, possa essere avvicinato a quello delle figure di filosofo od oratore rivestito dell’himàtion greco o togato, quali si incontrano nell'arte ellenistico-romana e in particolare nello stile del periodo augusteo. Della testa è stato sottolineato il carattere apollineo, che si estende talvolta alle figure dei Bodhisattva Avalokiteśvara e Maitreya, caratterizzate da una particolare acconciatura dei capelli, legati a formare una sorta di fiocco al sommo del capo, assai simile a quella che adorna la testa dell'Apollo del Belvedere.
Se si considera il senso originario degli elementi sopra indicati, non si può non riconoscere che essi furono giu- stificatamente attribuiti al B. da parte di coloro che tentavano di esprimere i valori propri di questa figura attraverso forme mutuate da una cultura artistica estranea all'ambiente indiano. Appare chiaro che i motivi, derivati da tematiche figurative diverse, erano resi coerenti da una concezione generale dell'immagine da realizzare, che trascendeva - pur utilizzandoli - i significati propri delle rappresentazioni cui essi erano connessi. Tuttavia questi frammenti iconografici restavano ancora chiaramente individuabili e segnalavano all'osservatore, educato alla comprensione del linguaggio figurativo classico, il senso che erano intesi a comunicare. Ci si è chiesti che cosa essi dicessero al devoto indiano cui non era familiare la cultura artistica del mondo greco-romano. Si è rilevato che le caratteristiche iconografiche e stilistiche di derivazione straniera, poiché accompagnate da altre indicazioni tratte dal contesto culturale indiano quali i segni distintivi del corpo del B. (lakṣaṇa), i gesti (mudrā) e le posizioni delle gambe (āsana), non impedivano l'immediata identificazione del personaggio. Come è stato segnalato da M. Bussagli, l'immagine si prestava dunque a una lettura «per circuiti multipli», individuati dagli elementi più prontamente interpretabili da parte dell'osservatore sulla base della propria appartenenza culturale. In tal modo la figura, da un lato era provvista di inequivocabili determinazioni che ne consentivano il riconoscimento e l'inserimento nel contesto del pensiero indiano, dall'altro si arricchiva di caratteristiche che la rendevano espressiva di valori filosofico-religiosi non esclusivamente propri dell'ambiente in cui il Maestro aveva vissuto, ma travalicanti i limiti geografici di quel mondo e capaci di soddisfare anche le aspirazioni di uomini cui l'India attribuiva una diversa, ma alta cultura.
L'arte del Gandhāra, tuttavia, presenta anche un altro tipo di B. accanto a quello che sovente viene definito come apollineo. Si tratta di un'immagine che, pur restando simile a quella precedentemente descritta per quanto concerne i segni fisici, i gesti, le posizioni e il mantello monastico, segnato anch'esso dal drappeggio di ispirazione classica, ha il volto caratterizzato da tratti tipici dell'etnia centroasiatica degli Śaka o dei Kuṣāṇa (ν.) ed è sovente provvisto di baffi. È percepibile in questo caso l'affermarsi di un gusto collegabile, in particolare, all'ambiente dominante kuṣāṇa, che a lungo aveva tenuto in suo potere la Battriana e che anche nelle effigi dinastiche - numismatiche e scultoree - mostrava chiaramente la propria predilezione per forme rigide e per una caratterizzazione etnica dei volti.
Vi è, d'altra parte, nella produzione gandharica, tutto un filone di immagini che, pur non presentando connotazioni etniche, ma conservando, invece, evidenti gli elementi di derivazione classica, appaiono irrigidite e frontali per l'affermarsi di un pensiero religioso e, conseguentemente, di una sensibilità artistica che non ricerca la naturalezza della figura - sempre legata alla contingenza dell'attimo che nell'opera viene fissato - bensì mirante a esprimere il valore metafisico, eterno ed esemplare del personaggio rappresentato. Questa corrente trova la sua più chiara manifestazione nelle stele del Kapiśa (Afghanistan), nelle quali l'immagine del B. si arricchisce di elementi simbolici assai pregnanti, come mostra - p.es. - la stele di Paitāwā, conservata al Musée Guimet di Parigi, nella quale il B., che emette fiamme dalle spalle e acqua dai piedi, appare identificato con l'Essere cosmico in cui i princìpi opposti trovano coincidenza.
Al di là delle diversità stilistiche, i vari tipi di rappresentazione sopra menzionati hanno in comune le caratteristiche iconografiche essenziali, tra le quali sono da segnalare i lakṣaṇa, già ricordati, che contrassegnavano il corpo del B., rendendolo riconoscibile da quello di ogni altro uomo. Secondo i testi canonici buddhisti essi consistevano in trentadue segni principali e ottanta secondari. Solo alcuni di essi erano raffigurabili, ma anche questi non vennero tutti rappresentati. L'epoca in cui furono redatte le liste dei lakṣaṇa è incerta. Va rilevato inoltre che, se alcuni segni furono trasmessi all'iconografia dalla letteratura buddhista, appare assai probabile anche l'ipotesi che i testi abbiano desunto alcuni di tali caratteri dall'iconografia. Quindi è possibile che le liste, pur se probabilmente precedenti l'immagine, siano state successivamente arricchite di elementi che si erano fissati nella tradizione figurativa.
Questo sembra essere avvenuto nel caso del cosiddetto jālalakṣaṇa, segno consistente nella presenza di una membrana connettiva tra le dita delle mani e dei piedi del B., derivato verosimilmente dall'osservazione delle statue, nelle quali gli scultori usavano l'accorgimento di mantenere unite le dita, facilmente soggette a fratture. Ugualmente probabile è che l’uṣṇīṣa, segno caratteristico della sommità del capo, che più tardi fu interpretato come una protuberanza cranica denotante il superiore intelletto del B., altro non fosse originariamente che un ciuffo di capelli, legato alla maniera del kròbylos greco nelle immagini gandhariche. D'altra parte anche i più antichi B. di Mathurā hanno la testa sormontata da un ciuffo di capelli arrotolati in una forma che i ricorda un guscio di chiocciola (kaparda), donde il nome di kapardin con il quale essi sono designati. Altro lakṣaṇa rappresentato sia nel Gandhāra, sia a Mathurā è l’ūrṇā - probabilmente uno dei segni più antichi - costituito, secondo i testi, da un ciuffo di peli bianchi fra le sopracciglia. Va ricordato inoltre il segno della ruota sulle piante dei piedi e sulle palme delle mani che, tuttavia, non è costantemente raffigurato né a Mathurā né nel Gandhāra. Caratteristica, che però non è inclusa che in alcune liste dei lakṣaṇa, è quella costituita dai lobi degli orecchi forati ed estremamente allungati per l'uso di pesanti orecchini (tratto anch'esso probabilmente desunto dall'iconografia), che in un'immagine del tutto priva di ornamenti, quale è quella del B., sta ad attestare la stirpe regale del personaggio. Adorni di gioielli, sovente di notevole pregio artistico, sono invece i Bodhisattva, esseri giunti alla perfetta conoscenza, che tuttavia rinunciano a spegnersi nel Nirvāṇa, come sarebbe loro possibile, per condurre a salvezza tutte le creature. L'iconografia di queste figure, in cui si esprime la spinta soteriologica del Mahyāna, è tuttavia distinta da quella del B., pertanto essa non potrà essere qui trattata.
È da rilevare l'importanza delle mudrā ovvero del codice gestuale tramite il quale l'immagine entra in rapporto con il devoto e che serve inoltre a collegare la rappresentazione ai momenti più significativi della vita del Buddha. Uno dei gesti più comuni è quello consistente nel toccare con la mano la terra per chiamarla a testimoniare l'avvenuta Illuminazione al momento del Māravijaya, cioè della vittoria riportata dal B. sul suo grande antagonista,
Mara, dio dell'Amore e della Morte. La predicazione della verità trovata è significata dal gesto detto dharmacakra- mudrā, che indica la messa in moto della Ruota della Legge, il Dharma buddhista, e che riporta al momento in cui il B. pronunziò il suo primo sermone nel Parco delle Gazzelle di Benares. Frequente è anche il gesto della meditazione (dhyānamudra), che mostra le mani poggiate sulle gambe e poste l'una sull'altra con le palme rivolte verso l'alto. Le due ultime mudra sono caratteristiche delle figure assise. Il gesto più consueto nell'iconografia del B. è, tuttavia, quello della rassicurazione (abhayamudra), che si trova sia nelle immagini stanti, sia in quelle sedute, e che non è collegabile in particolare a nessun episodio della vita di ä, ma che, più di ogni altro, è atto a stabilire una relazione diretta fra l'immagine e il devoto. Vi sono inoltre altri gesti, meno frequentemente raffigurati, tra i quali vanno ricordati in particolare quello dell'argomentazione (vitarkamudra), che contraddistingue il B. nell'atto di esporre la propria dottrina, e quello del dono (varadamudra). Alcune di queste mudra, fissate dall'iconografia a significare i momenti fondamentali dell'esistenza di Sākyamuni, nel tardo pensiero mahāyānico e nel buddhismo tantrico divengono eterne e trascendenti, dando luogo a ipostasi rappresentate dai B. che presiedono ai quattro quartieri dello spazio, al centro del quale si pone il B. supremo Vairocana (Adi Buddha), dalla cui meditazione essi scaturiscono.
Notevoli valori simbolico-religiosi sono attribuiti ai seggi sui quali il B. è assiso. Fra i vari tipi, utilizzati dall'arte del Gandhāra, prediletto appare quello costituito da un fiore di loto, pianta che nascendo dall'acqua è assunta a simbolo della cosmogonia. Il trono di loto è in particolare proprio di Sākyamuni nell'episodio del Grande Miracolo di Śrāvastī, ove egli opera una serie di prodigi, tra i quali quello di riempire lo spazio di innumerevoli B. emanati dalla sua persona, situati anch'essi su fiori di loto. Altra caratteristica dell'immagine gandharica è quella di presentare il capo circondato da un nimbo, manifestazione della luce che si irradia dal personaggio e che segnala il possesso della bodhi. Si tratta, di solito, di un disco privo di decorazioni, ma non mancano esemplari ornati da un motivo di foglie o di raggi lungo il bordo.
Creazione originale dell'arte del Gandhāra è la raffigurazione di Siddhārtha digiunante durante il periodo delle dure pratiche ascetiche, attraverso le quali egli cercava inutilmente di raggiungere la verità. Immagine di rara potenza espressiva, essa mostra il personaggio ridotto quasi a scheletro, coperto solo dalla pelle, sulla quale si disegna la trama delle vene e dei tendini. Questa iconografia, ben esemplificata da un celebre B. di Sikri, conservato al museo di Lahore, può essere collegata alle figure smagrite ed emaciate presenti nel repertorio ellenistico. Tuttavia essa appare pienamente autonoma e originale per il carattere di esemplarità che possiede, quale testimonianza del vano eroismo dello sforzo rivolto in direzione errata, nonché per il riuscito tentativo di esprimere in termini di stile la dignità che la sovranità della mente conserva al futuro B., pur tanto debilitato nel corpo.
Alle figure stanti o assise si aggiunge, nel repertorio delle scuole del Nord-Ovest, quella del B. coricato nel momento dell'estinzione totale (Parinirvūnā). Tratto peculiare di questa rappresentazione è costituito dal fatto che viene conservata in essa la disposizione del panneggio propria delle immagini in piedi, quasi a mostrare che, nel momento del trapasso il personaggio raffigurato mantiene la compostezza e la dignità della posizione eretta.
Nella fase tarda il B. appare talvolta rivestito di ornamenti regali, che lo rivelano come il detentore della sovranità cosmica.
Con la nascita dell'immagine antropomorfica i caratteri essenziali dell'iconografia del B. tendono immediatamente a fissarsi, come richiede la sacralità della rappresentazione. Anche quando, verso la metà del III sec., si verifica un mutamento dei mezzi espressivi e delle tecniche, con il passaggio dalla fase caratterizzata dalla produzione di scultura in pietra a un'altra in cui prevale nettissimamente la plastica in stucco, la raffigurazione del Maestro rimane sostanzialmente quella delineata dagli artisti più antichi. Le scuole gandhariche utilizzano ampiamente la figura del B. anche nell'ambito del rilievo narrativo, che costituisce la parte più cospicua della loro produzione. La gamma di immagini, presente in questo contesto, è sostanzialmente simile a quella caratteristica della statuaria. Anche in essa si palesano infatti varianti stilistiche che oscillano tra forme ispirate da una concezione naturalistica della figura, trasmessa dai modelli ellenistici, e altre più rigide, riproducenti tratti fisionomici di tipo centroasiatico, nelle quali si rifletteva il gusto del gruppo dominante o degli individui che si muovevano lungo le vie dei commerci che univano il Nord-Ovest dell'India all'Asia centrale. Per tali vie si diffuse, insieme al buddhismo, anche l'immagine del B. gandharico, destinato a esercitare un profondo influsso non solo sull'arte delle città carovaniere situate sulle diramazioni della Via della Seta, ma anche sulla produzione buddhista cinese.
Il Buddha della scuola di Mathurā. - La produzione di immagini del B. nell'ambito della scuola di Mathurā è attestata con certezza a partire dagli inizî del regno di Kaniṣka. La città già a quell'epoca poteva vantare una propria tradizione artistica, come documentano alcune opere risalenti ai secoli che immediatamente precedettero l'inizio dell'era cristiana. L'arte di Mathurā , che pur accolse temi iconografici e formule stilistiche di origine ellenistica, appare tuttavia come espressione di valori religiosi e di concezioni figurative tipicamente indiani. Il B. creato dalla scuola si inserisce in questo contesto culturale dal quale trae contenuti ideali e tratti formali. Come si è già rilevato, le connotazioni essenziali che rendono riconoscibile l'immagine (lakṣaṇa, mudra, äsana) non si diversificano da quelle utilizzate dall'arte del Gandhāra. Il tipo mathureno appare, tuttavia, profondamente diverso da quello creato dalle scuole del Nord-Ovest per i valori che è chiamato a esprimere, che non sono solo quelli connessi alla figura del Maestro illuminato, rivelatore agli uomini di una verità salvifica, ma anche altri legati all'idea del potere sovrano che questa verità esercita su tutto l'universo. Va rilevata inoltre la peculiarità della materia nella quale questi B. sono solitamente scolpiti - un'arenaria rossastra, proveniente dalle cave di Sikri - che contraddistingue le immagini di Mathurā e che sembra conferire a esse una più concreta corporeità rispetto a quelle gandhariche.
Un B. stante, fatto eseguire dal monaco Baia nell'anno 3 dell'era di Kaniṣka, come dichiarano le iscrizioni che accompagnano la scultura, appare come una figura possente, caratterizzata da un forte senso del volume cui dà espressione anche un particolare tipo di modellato che inturgidisce le superfici del corpo, conferendo a esse un aspetto lievemente enfiato, sovente caratteristico degli esemplari di quest'epoca.
Un'immagine assisa, non datata, ma risalente con ogni probabilità al medesimo periodo, è il B. di Katrā, affiancato da Brahma e Indra e posto su un trono sostenuto da leoni. Questi due esempi costituiscono in certo modo i poli tra i quali oscilla la produzione scultorea più antica. Entrambi mostrano l'abbigliamento caratteristico dei B. mathureni: la dhotī, un indumento di stoffa leggera che avvolge la parte inferiore del corpo, e una sorta di scialle che attraversa il torace passando sulla spalla sinistra e lasciando scoperta la destra. Nell'uno e nell'altro indumento il tessuto si ammassa formando piegoline minute.
Tale abbigliamento non è specificamente proprio degli asceti, ma è indossato anche dai personaggi di alto rango che popolano i rilievi. Dunque l'immagine del B., per quanto concerne la veste, non si qualifica immediatamente come quella di un monaco o di un asceta, ma appare come rappresentazione di un personaggio di stirpe regale, quale Sākyamuni era ritenuto, pur se l'assenza di gioielli testimonia la rinuncia ai privilegi della nascita. Il concetto di sovranità, che nella figura si esprime, è sottolineato dal trono dei leoni - presente in varie immagini, oltre che in quella di Kaṭrā - che allude al fatto che Siddhārtha era considerato il leone della stirpe śākya, ma che era inoltre utilizzato quale simbolo del potere kuṣāṇa nelle immagini dinastiche, come prova la statua - anch'essa prodotta dalla scuola di Mathurā - del re Vima Kadphises, rinvenuta nel santuario di Māṭ.
Un altro elemento, attestante il nesso che congiunge il B. mathureno alla regalità, è costituito dal parasole, che sovrasta talvolta le statue e che si adorna di elementi decorativi sin dal periodo più antico, come mostra l'esemplare che accompagnava l'immagine del monaco Baia. Gli artisti di questa scuola, dunque, pur non tralasciando di raffigurare i tratti che qualificano il personaggio effigiato come l'Illuminato maestro di salvezza, sembrano privilegiare quelli significativi della regalità, propria di Siddhärtha per nascita ed estesa a tutto l'universo dalla sovranità della Legge.
Tra le peculiarità delle immagini più antiche prodotte a Mathurā spicca, oltre all'abbigliamento, l'acconciatura del capo apparentemente tonsurato, ma sormontato da un uṣṇīṣa costituito da un ciuffo di capelli attorcigliati in una forma che, come si è già detto, ricorda un guscio di chiocciola (kaparda), donde il nome di kapardin con il quale vengono designati i Β. di questo tipo.
La scuola di Mathurā, tuttavia, accoglie anche influssi gandharici che danno vita a una serie di opere ispirantisi all'iconografia classicheggiante del Nord-Ovest. Di questa categoria può costituire esempio un B. di Aṇyor, datato all'anno 51 dell'era di Kaniṣka e quindi risalente al regno del sovrano kuṣāṇa Huviṣka, che è un'immagine assisa, rivestita dal mantello monastico che copre ambo le spalle e caratterizzata da un'acconciatura dei capelli imitante quelle tipiche degli esemplari gandharici.
La rappresentazione del capo del B., e in particolare dei capelli, doveva, d'altra parte, costituire un problema non del tutto risolto per gli artisti di Mathurā, come paiono dimostrare le innovazioni che, per questo aspetto, l'immagine subì durante lo stesso periodo kuṣāṇa. È probabile che essi si dibattessero fra la riluttanza - ben comprensibile dal punto di vista estetico - a rappresentare il Maestro con la testa completamente rasata, come usavano i monaci, e l'impossibilità di ignorare la tradizione raffigurando i capelli, come si era risolto di fare nel Nord- Ovest. Il B. del tipo kapardin aveva costituito una sorta di mediazione fra queste due opposte soluzioni, ma forse senza riuscire a soddisfare interamente le esigenze cui esse rispondevano.
A questa ricerca si deve probabilmente l'apparizione di un nuovo tipo di acconciatura del capo, destinato a grande successo e a vasta diffusione anche al di fuori dell'India. I capelli vengono raffigurati mediante file regolari di riccioli girati verso destra per conformità alle indicazioni dei testi canonici, secondo le quali ogni pelo del corpo del B. era rivolto in quella direzione. Tale acconciatura dovette essere adottata dagli artisti di Mathurā a partire dal regno di Huviṣka, come sembrano dimostrare alcune immagini del Bodhisattva Maitreya, tra le quali è particolarmente nota una, stante, proveniente da Ahichchhatrā (Uttar Pradesh), conservata al National Museum di Nuova Delhi. Il tipo dalla testa rasata dovette, tuttavia, sopravvivere a lungo anche quando erano in uso i corti riccioli: lo testimonia, p.es., un B. di epoca gupta dello State Museum di Lucknow, che proviene da Mārikuwār (Allahabad) ed è datato all'anno 120 dell'era gupta, cioè al 448-449 d.C.
L'adozione del nuovo tipo di acconciatura avrebbe dovuto determinare la sparizione dell’uṣṇīṣa, se questo fosse stato costituito solo da un ciuffo di capelli annodato -come varî studiosi oggi ritengono; ma non fu così. Anche nelle immagini contraddistinte dai riccioli rivolti a destra permane, infatti, un rigonfiamento alla sommità del capo, coperto dai capelli corti. Ciò probabilmente avvenne perché ormai l'iconografia, che si era affermata e che era divenuta oggetto di devozione da parte dei fedeli, possedeva caratteristiche che non potevano essere troppo sensibilmente mutate. Dunque, nelle immagini mathurene del tardo periodo kuṣāṇa e poi, soprattutto in quelle di epoca gupta, l’uṣṇīṣa restò come una sorta di enigmatica prominenza ricoperta dai riccioli. È possibile che tale ambiguità sia all'origine dell'interpretazione di questo segno come una protuberanza cranica, che si manifesta in testi buddhisti tardi.
II Buddha āndhra. - L'immagine del B., caratteristica - delle scuole fiorite nell’Āndhradeśa (v. āndhra, epoca), e in particolare nelle valli inferiori dei fiumi Krishna e Godavari, fra il II e il IV sec. d.C., appare come un'originale elaborazione di forme gandhariche e mathurene, reinterpretate e fuse da una straordinaria sensibilità plastica, la cui pienezza può cogliersi, tuttavia, più nel bassorilievo che nella statuaria. Alcuni volti, in special modo una bella testa da Vijiaderpuram, conservata al Musée Guimet di Parigi, presentano un aspetto giovanile e tratti così naturalistici e vivi che hanno indotto varî studiosi a riconoscere in tali opere un influsso romano diretto, d'altra parte reso plausibile dagli intensi contatti commerciali che Roma intratteneva con l'India e in particolare con le regioni meridionali.
Per quanto concerne i segni che distinguono la persona del B., va rilevato che le immagini di Amarāvatī, di Nägärjunakonda e degli altri centri minori, pur presentando l’ūrṇā e i lobi delle orecchie allungati, si diversificano da quelle prodotte nelle scuole del Nord nella rappresentazione dell’uṣṇīṣa, che è assai basso e tuttavia coperto dai corti riccioli rivolti a destra, secondo l'uso adottato dagli artisti di Mathurā . Il corpo è rivestito dall’uttarasaṅga che scende sino ai piedi, ma che scopre sovente la parte destra del torace e la spalla. Per quest'ultima caratteristica il B. āndhra sembra collegarsi ancora una volta ai tipi mathureni, ma un'attenta osservazione della figura rivela una concezione completamente diversa del rapporto che intercorre fra la veste - assai meno leggera che nella scuola del Nord - e il corpo sottostante. L'interesse dell'artista si concentra, infatti, sull'abito a tutto svantaggio del corpo che lo indossa, al punto che quest'ultimo diviene talvolta poco più che il sostegno di un involucro deputato in larga misura a esprimere il senso dell'immagine. L'importanza attribuita alla veste, tramutata in un flusso di linee che avvolgono la figura, e il compito, a essa assegnato, di esprimere valori a un tempo estetici e religiosi, sembrano elementi derivati dall'esperienza figurativa gandharica. La scuola del Nord-Ovest carica il mantello di non minori, seppur diverse, suggestioni e capacità di qualificare l'immagine, conservando tuttavia al rapporto corpo-veste un equilibrio garantito dalla sopravvivenza dell'influsso classico anche nelle opere in cui questo più si schematizza e si raggela.
Il tipo che si è descritto è quasi costantemente caratteristico delle figure stanti e, in particolare, della statuaria. I bassorilievi presentano raffigurazioni del B. iconograficamente più variate e contraddistinte da una vivacità e una partecipazione alla scena che raramente trovano uguali nelle scuole del Nord. Un rilievo di Nāgārjunakonda, conservato nel locale museo, mostra, riunite, due diverse scene della vita di Sākyamuni, rappresentato anch'egli due volte. Uno di questi B., entrambi in trono, seduti «all'europea» (bhadrasana), mostra la spalla destra scoperta; l’ut tarasaṅga, sollevato dal braccio sinistro, rivela le gambe coperte dell’antaravāsaka. A questo tipo, che non si differenzia da quello stante, precedentemente descritto, se non per la positura, corrisponde, all'altra estremità del rilievo, un'immagine con ambo le spalle coperte e il mantello sollevato dal braccio, che forma due anse al centro della figura. L'opera mostra chiaramente il contributo delle scuole gandharica e mathurena alla formazione dei B. āndhra nonché il notevole potere di sintesi e di originale rielaborazione proprio degli scultori meridionali. Il nimbo è, in entrambe le figure, del tipo usato nel Nord-Ovest, cioè a disco liscio bordato, mentre il trono, sostenuto da leoni, è assai simile a quello su cui siede il sovrano kuṣāṇa Vima Kadphises nella statua conservata al museo di Mathurā . Un altro particolare, che rivela l'influsso della scuola mathurena, è costituito dalla rappresentazione della chioma dell'albero della bodhi. Contro di essa si staglia il nimbo, che ne è circondato come da una corona circolare spessa e rigonfia. Di tale stilizzazione si possono rintracciare le tappe in alcuni B. di Mathurā , che mostrano una progressiva conformazione dell'albero della bodhi al nimbo. Analoga schematizzazione della pianta, d'altra parte, caratterizza anche un rilievo gandharico di Gumbat (Swāt), raffigurante il B. seduto fra Indra e Brahmā, che è conservato al Museo Nazionale d'Arte Orientale di Roma.
Iconografia caratteristica delle scuole āndhra è quella che mostra il B. seduto sul corpo attorcigliato del nāga Mucalinda, con il capo sormontato dalle teste del serpente, che formano quasi un baldacchino al di sopra del personaggio. Questa immagine si riferisce al momento in cui - poco dopo l'Illuminazione - si scatenò una terribile tempesta che minacciava non solo la serenità della meditazione, ma persino l'incolumità di Sākyamuni. Mucalinda protesse allora, con il proprio corpo, il B. che poté restare indisturbato. La rappresentazione di questo evento, attestata anche nella scuola gandharica, sebbene assai rara, compare invece ripetutamente nei rilievi āndhra che, però, trascurando ogni intento narrativo, tendono a sintetizzare l'episodio in un'immagine isolata. Il B., il trono a spire di serpente, il baldacchino di teste di cobra si fanno espressione, in tale contesto, di valori simbolico- religiosi che trascendono il senso del racconto dal quale la rappresentazione trae origine, conferendo alla scena il
significato di una cosmogonia e stabilendo legami assai stretti fra l'immagine e l'idea della regalità cosmica. Per i valori che esprimeva, il B. sul näga - che può essere considerato come una creazione degli artisti āndhra - ottenne una grande fortuna soprattutto nell'Asia sud-orientale (v.), alla quale il tema fu trasmesso soprattutto attraverso la scuola di Sri Lanka (v.). Quest'ultima, d'altra parte, contribuì grandemente anche alla diffusione del B. stante, caratteristico dell'arte āndhra, adottato come modello dagli scultori singhalesi.
I Buddha del periodo gupta. - Il periodo gupta che, dal 319 d.C. - data di inizio dell'era omonima - si protrae fino al VI sec., è generalmente considerato come il momento in cui giungono a piena maturazione e a completo sviluppo i temi figurativi formulati dalle scuole settentrionali precedenti. D'altra parte si ritiene che su questo processo abbiano agito, in misura non trascurabile, stimoli provenienti dall'esperienza figurativa āndhra. Recentemente, però, si è sostenuto che lo stile caratteristico dell'epoca abbia un'origine univoca, da ricercarsi lungo la linea della produzione artistica mathurena che di esso costituirebbe «l'unica vera fonte» (J. G. Williams).
Per quanto concerne l'immagine del B., si deve riconoscere che il contributo della scuola di Mathurā di epoca kuṣāṇa alla elaborazione delle nuove forme è rilevantissimo; al tempo stesso non si può negare che esse traggano vita anche da una più profonda comprensione della rappresentazione gandharica. Di questa gli scultori gupta sembrano cogliere - almeno per alcuni aspetti - il valore essenziale, diversamente da quelli mathureni che avevano riproposto le formule del Nord-Ovest in una produzione freddamente imitativa e quasi seriale. Va rilevato inoltre che le componenti stilistiche dell'arte gupta appaiono notevolmente varie, se si considera la molteplicità delle tendenze regionali, percepibili soprattutto nella coroplastica, rinvenuta in alcuni siti, tra i quali quelli di Ahichchhatrā, Bhītārgaoṅ (Uttar Pradesh), Mīrpūr Khās (Sind), Devnimori (Gujarat settentrionale).
Anche al fine di valutare meglio queste diverse interpretazioni è necessario delineare le caratteristiche essenziali dei B. dell'epoca, tra i quali si distinguono due tipi fondamentali, collegantisi ciascuno a uno dei maggiori centri artistici del tempo: quelli di Mathurā e di Sārnāth.
Il B. mathureno di stile gupta, che raggiunge la sua piena evoluzione nel V sec., appare come il punto di arrivo di una difficile ricerca - speculativa e stilistica - che può essere considerata, dal punto di vista indiano, come un'attribuzione di senso e di coerenza a formule figurative di origine diversa e, per qualche aspetto, straniera. Risultato di questo sforzo è un'immagine profondamente innovativa che, tuttavia, lungi dal rompere i legami con la tradizione, ne utilizza gli elementi e riesce perciò a non turbare il rapporto devozionale del fedele con iconografie note e venerate.
Caratteristico di questi B., e in particolare di quelli stanti, è l'assottigliamento e lo slancio in altezza della figura, realizzata con modellato morbido, sensibile alla luce, alla filtrazione della quale la veste impone un ritmo nettamente scandito. Il mantello, che copre ambo le spalle e le braccia, concepito come un indumento leggerissimo e del tutto trasparente, perde ogni consistenza laddove, aderendo al corpo, ne lascia intravvedere completamente le forme. La sua presenza è, tuttavia, segnalata da un drappeggio di minuscole pieghe ansate che si succedono a intervalli regolari fin sotto i ginocchi. È proprio nell'abbigliamento che, più in particolare, si rivelano legami non superficiali con il B. gandharico. Non solo, infatti, il modo di portare il mantello, ma anche l'utilizzazione del drappeggio come elemento atto a modulare la luce, pare indicare una derivazione diretta, almeno per questi aspetti, dai modelli del Nord-Ovest piuttosto che dalla produzione mathurena che li imitava.
Il volto è in genere tondeggiante e l'acconciatura del capo è caratterizzata dai piccoli riccioli girati verso destra, entrati in uso nel periodo kuṣāṇa. La testa poggia contro un fiore di loto che occupa il centro di un grande nimbo, decorato da raffinati motivi vegetali, nel quale si coglie, con particolare evidenza, il percorso evolutivo compiuto dall'arte di Mathurā dall'epoca dei Kuṣāṇa a quella dei Gupta, almeno riguardo a quest'aspetto dell'iconografia del Buddha. D'altra parte, la decorazione vegetale rende manifesto il tentativo di assimilare il corpo del B. allo stelo di un fiore o al fusto di una pianta, che non può che essere quella cosmica.
Nelle immagini assise, al simbolismo del nimbo si aggiunge quello del trono. In alcuni casi, come in un esemplare di Mānkuwār (State Museum, Lucknow) datato al 429, è utilizzato ancora il trono dei leoni, proprio dei sovrani kuṣāṇa, e in altri quello costituito da un fiore di loto, come si vede in un esemplare fittile da Devnimori, forse di poco precedente. Nelle figure sedute si manifesta più palesemente la tendenza a collocare il personaggio rappresentato contro un piano di fondo, secondo un uso che d'altra parte era tradizionale, come testimoniano opere probabilmente risalenti agli inizî del regno di Kaniṣka, tra le quali il già menzionato B. di Katrā, addossato a un piano sul quale si collocano anche due divinità, poste ai lati della figura maggiore, e, in alto, due creature celesti in volo.
Il ricordo di questo tipo è ancora vivo verso la metà del V sec., come dimostrano i Β. assisi collocati, in quel periodo, agli ingressi del Grande Stūpa di Sāñcī (Madhya Pradesh), che ripropongono lo stesso schema compositivo. La ricerca di formule stilistiche idonee a esprimere l'evoluzione delle concezioni buddhologiche, insieme alla capacità creativa di artisti e scuole, sembrano essere all'origine delle varianti che l'immagine del B. presenta nell'altro centro che condivide con Mathurā il primato nella produzione buddhista dell'epoca, cioè Sārnāth. I Β. di questa scuola non si pongono in contrasto con i tipi mathureni, ma anzi appaiono come formulazioni diverse di un medesimo schema figurativo. Entrambe le scuole, d'altra parte, adottano temi iconografici e canoni estetici comuni a gran parte della produzione coeva, nella quale si può riconoscere un'affermazione forse anche programmatica, ma certo autenticamente sentita di valori culturali omogenei e ampiamente condivisi. Esemplari risalenti alla seconda metà del V sec. mostrano una già compiuta evoluzione delle forme caratteristiche di Särnäth e, al tempo stesso, lo stretto nesso che lega queste ultime alle opere di Mathurā.
Il cambiamento principale che gli scultori di Sārnāth introducono nell'immagine del B. riguarda il modo di rappresentare il mantello, che perde il drappeggio a sottili pieghe per divenire totalmente liscio e aderente al corpo. Questa innovazione che, non alterando nell'essenziale l'iconografia del personaggio, può apparire come un tratto del tutto esteriore, costituisce tuttavia, in una rappresentazione di carattere sacro contraddistinta da una notevole tendenza alla fissità, un mezzo altamente efficace per esprimere l'evoluzione dei valori religiosi connessi al personaggio raffigurato. Le membra traspaiono completamente attraverso la veste diafana e se anche originariamente alcune di queste sculture erano dipinte - come sembra di poter presumere - resta evidente la volontà di mostrare nella forma più completa l'essere che è identificato con il Mahāpurusa, il «Macrantropo» della tradizione vedica e upanisadica, il corpo del quale si identifica con l'universo.
Abbandonate le sottigliezze lineari e i ritmici chiaroscuri dei B. mathureni, la figura è investita dalla luce che quasi la permea e sembra costituire la vera natura del personaggio raffigurato. Le innovazioni stilistiche paiono farsi espressione degli sviluppi del pensiero buddhologico che tende, sempre più chiaramente, a identificare nella bodhi l'essenza del Buddha. Nelle immagini assise la raffinata decorazione del nimbo trova continuazione nella spalliera del trono che si adorna, oltre che di motivi vegetali, di animali fantastici quali śārdūla (sorta di leogrifi) e makara (creature della natura del coccodrillo o dell'elefante), rispettivamente simboli dell'elemento igneo e di quello acquatico. Questo tipo di seggio, probabilmente derivato da Mathurā, contribuisce a rendere più chiaramente percepibile il valore cosmico della figura nella quale si realizza la coincidentia oppositorum, la cessazione di ogni polarità. L'utilizzazione di un trono rialzato, poggiato su sostegni, talvolta a forma di leone, consente di rappresentare il B. nella positura detta «all'europea» (bhadrā sana) che, pressoché contemporaneamente, ebbe grande fortuna nelle scuole dell'India centrale. In queste immagini, di particolare imponenza, viene infatti esaltata la regalità del personaggio, attraverso la quale si manifesta la natura trascendente del Buddha.
L'accentuazione del carattere metafisico della figura si palesa anche nelle rappresentazioni in posizione stante, come mostra un B. che risale al 476 d.C., conservato al museo di Sārnāth. L'immagine si innalza su un grande fiore di loto, fiancheggiata da due devoti e venerata da divinità volanti. Il simbolismo proporzionale, enfatizzato, le conferisce dimensioni nettamente maggiori rispetto a quelle degli altri personaggi rappresentati, soprattutto nel senso dell'altezza. In questo esemplare si fa più chiara la tendenza a presentare la figura nella forma della stele. Il nimbo, contro cui poggiano solitamente il capo e le spalle del B., cede qui il posto a un piano di fondo che si arrotonda verso l'alto, quasi in ricordo dell'iconografia tradizionale.
Che la tendenza a collocare la figura in uno spazio diverso da quello naturale sia da porre in diretto rapporto con il desiderio di situare il B. su un piano sovrumano, appare evidente sin dagli inizî della rappresentazione antropomorfica del Maestro ed è confermato dalla fortuna che la stele incontrerà nelle scuole più tarde e, in particolare, in quelle dell'India orientale, ove il carattere metafisico del personaggio raffigurato si farà sempre più evidente.
I B. gupta, nelle formulazioni di Mathurā e di Sārnāth, che condizionano ampiamente anche la produzione dei centri minori, eserciteranno un vasto e profondo influsso non solo sull'evoluzione dell'arte buddhista indiana, ma anche su quella dell'Asia centrale - che ne rinvierà gli echi alla Cina - e soprattutto dell'Asia sud-orientale.
L'immagine del Buddha nella tarda arte gandharica. - Nell'arte del Gandhāra il passaggio dalla fase in cui prevale la scultura in pietra a quella contrassegnata dall'uso amplissimo dello stucco, verificatosi fra il III e il IV sec. d.C., non determina mutamenti profondi nell'iconografia del Buddha. Nondimeno va segnalata, oltre alla varietà delle formule stilistiche attestate in questo periodo, una trasformazione del senso generale dell'immagine. La rappresentazione del B. appare, infatti, sempre meno come quella del protagonista di una straordinaria vicenda umana nella quale si riassume l'esigenza - avvertibile da ogni uomo - di conoscere le ragioni essenziali dell'esistenza e di cercare la liberazione dal dolore, e sempre più come una vera e propria teofania, segno e mezzo di salvezza per il devoto. La plastica di questa fase è documentata soprattutto dai centri di Taxila, Takht-i Bahi (presso Mar- dan, Pakistan), di Butkara (Swāt), di Haḍḍa (Afghanistan orientale). L'immagine del B., ripetuta in una grandissima quantità di esemplari, resta sostanzialmente quella creata dalla più antica arte gandharica, ma è presentata ora come figura isolata o è inserita in gruppi, mentre viene meno in gran parte l'intento narrativo, caratteristico della fase precedente. Nella produzione di questo periodo continua a mostrarsi vivo e operante l'influsso ellenistico che, anzi, sembra rinnovarsi e accrescersi. Esso trasmette, anche attraverso le nuove tecniche di esecuzione, formule stilistiche idonee a esprimere un senso più drammatico della vita e una più trepida ansia di salvezza. Si manifesta così, soprattutto nella produzione di Taxila e di Haḍḍa risalente al V sec., la tendenza verso forme meno nettamente delineate e conchiuse, che vengono perciò definite come bozzettistiche, nelle quali i contrasti luministici interessano più che la rigorosa determinazione plastica della figura. Queste caratteristiche rivelano un'attenzione alla sfera emotiva dell'uomo, cioè a elementi di carattere soggettivo e irrazionale che non potevano incontrare favorevole considerazione nelle fasi precedenti del buddhismo, ma che ora assumono valore nell'ambito di un pensiero che pone l'accento sul rapporto diretto e vivo con il sacro, manifestantesi attraverso un'immagine la cui stessa presenza è ritenuta salvifica. Tali tendenze si palesano, tuttavia, nelle figure minori, mentre nelle immagini del B. la forma rimane assai precisamente disegnata. La duttilità del mezzo e le tecniche di esecuzione conferiscono, anzi, al volto del Beato un ovale perfetto e consentono di segnare con archi nettissimi le sopracciglia, le palpebre e i contorni delle labbra. Gli esemplari migliori sono caratterizzati da una serena dolcezza dell'espressione, a realizzare la quale contribuisce la luce che trascorre su un modellato tenue e disteso. Va rilevato, però, che le immagini venivano sovente dipinte, e ciò modificava notevolmente il loro aspetto originario. In genere negli esemplari in cui la policromia è conservata, la sacralità dell'immagine sembra stemperarsi in forme di gusto popolareggiante, ingenuamente e sentimentalmente semplificatorio.
Se in questo tipo di opere il B. appare come una soccorrevole e quasi domestica presenza, in un altro filone di rappresentazioni si sottolinea potentemente il carattere cosmico della sua figura. Si tratta di una serie di immagini di grandi e talvolta colossali dimensioni, legate al buddhismo mahayanico, presenti in varie località dell'India del Nord-Ovest, dell'Afghanistan e dell'Asia centrale. A questa categoria appartengono due B., scolpiti nella roccia a Bāmiyān (v.), il più piccolo dei quali raggiunge l'altezza di 38 m, il maggiore quella di 55 m - tradizionalmente datati al III sec. il primo, al V sec. il secondo, ma oggi ritenuti notevolmente più tardi - che ripropongono entrambi lo schema iconografico gandharico. Il B. di Kakrak (alt. 7 m), presso Bāmiyān, come pure le due statue, portate alla luce a Tapa Sardār (v. ghazna) da una missione archeologica italiana, e ad Ajina Tepe da scavi sovietici, entrambi raffiguranti il Parinirvana e databili all'VIII sec., presentano caratteristiche analoghe. Resti di immagini colossali sono stati rinvenuti a Taxila e a Takht-i Bahi, e d'altra parte la Rājataraṅgiṇī, un'opera storica kashmira risalente al XII sec., ci informa che una gigantesca statua metallica del B. era stata eretta in un caitya a Parihāsapura, nel Kashmir, dal sovrano Lalitāditya, regnante nella prima metà dell'VIII secolo. Nulla sappiamo di quest'opera che non ci è pervenuta, ma la scultura kashmira del VII, dell'VIII e del IX sec., nell'ambito della quale si segnalano per qualità i bronzi, fondeva elementi stilistici derivati dall'arte del Gandhāra con tratti tipici della scuola gupta.
L'influsso dello stile gupta, d'altra parte, agisce sulla produzione del Nord- Ovest e penetra nell'Asia ¡ centrale, palesando la propria presenza nelle opere scultoree e pittoriche delle oasi del bacino del Tarim (v. SERINDIA). Questo fenomeno, attestato già in epoca gupta dalla plastica del monastero di Devnimori (Gujarat) e da quella di Mīrpūr Khās (Sind), risalenti rispettivamente al IV e V sec., trova continuazione nelle immagini rinvenute nel monastero di Fondukistān (fra Begrām e Bāmiyān), databili al VII secolo. Tali opere, di argilla cruda mista a peli di animale, confermano la persistenza delle formule gandhariche alle quali conferisce una notevole raffinatezza la diffusione dei canoni estetici gupta. Tra di esse, particolare interesse suscita una figura di B. ingioiellato, di argilla dipinta, che - insieme ad altri esemplari di Hadda, di Bāmiyān, di Tapa Sardār - attesta lo sviluppo di un'iconografia fortemente innovativa che prescinde dalla considerazione della rinuncia ai beni mondani, compiuta da Sākyamuni. È chiaro che con questa rappresentazione si intende segnalare il valore metafisico del B. che ha ormai assunto il carattere di sovrano dell'universo, manifestantesi appunto nei paramenti regali o soltanto nella corona, come nel caso di un'immagine stante di Parihāsapura (Kashmir), risalente al periodo Kārkoṭa (625-855 c.a) e, in particolare, alla prima metà dell'VIII secolo.
Il Buddha nell'India occidentale. - Mentre le scuole di Mathurā e di Sārnāth perfezionavano e diffondevano le proprie formule dell'immagine del B., un'intensa fioritura del Mahāyāna dava impulso allo scavo di una lunga serie di santuari rupestri nell'India occidentale, in particolare a Knāheri, Ajaṇṭā ed Elura.
Le grotte di Ajaṇṭā (Maharashtra), realizzate sotto la dinastia dei Vākātaka in un breve spazio di tempo coincidente, almeno in parte, con il regno del sovrano Harisena (460-478), si adornano di una straordinaria decorazione pittorica e scultorea che annovera alcuni dei capolavori dell'arte buddhista indiana. La figura del B. appare, in questo contesto, ancora legata agli ideali estetici e ai tratti stilistico- iconografici delle scuole gupta. Tuttavia, elementi innovativi - nella scultura legati anche alla specificità del materiale (una roccia granitica) - intervengono a modificare lo schema al quale ci si ispira, che è essenzialmente quello creato dagli artisti di Sārnāth. L'assunto culturale, elevatissimo, del modello si per de, almeno in parte, e, pur restando sostanzialmente inalterata la formula iconografica, muta la concezione volumetrica dell'immagine, che non è più realizzata per piani netti, delineanti forme allungate, esili e tese. Se si osservano, p.es., i Β. stanti, scolpiti ai lati dell'ingresso della grotta 19, si può notare come l'affermazione del valore metafisico della forma, propria della scuola di Sārnāth, ceda il posto a una visione più vicina all'umano, esprimentesi in opere la cui chiave di interpretazione è da ricercare nella sfera dei sentimenti più che in quella dell'intelletto. Rispetto ai modelli gupta, queste figure mostrano una più concreta corporeità, accentuata dall'imponenza dei volumi e dal turgore del modellato. La tensione verticale del modello gupta è spezzata dalla triplice flessione del corpo, mentre lo sguardo si rivolge verso il mondo umano che un intensificato simbolismo proporzionale rende estremamente piccolo rispetto alle dimensioni dell'immagine maggiore. Caratterizza queste figure il gesto del dono, collegato alla trasmissione dell'eredità di Sākyamuni al figlio Rāhula, ma anche promessa di misericordioso aiuto per il devoto. Ripetendosi in numerose altre immagini della facciata e dell'interno, esso sembra voler riassumere il messaggio che il nuovo stile trasmette. D'altra parte, l'efficacia del soccorso promesso è garantita dalla corona, sorretta da due divinità volanti al di sopra del capo del B., che la presenza di tale elemento qualifica come sovrano dell'universo. Assai simili a queste raffigurazioni, in particolare per quanto concerne l'atteggiamento e il senso del volume, appaiono le grandiose immagini del B., situate a ciascuno dei lati della veranda della grotta 3 di Kānheri (Maharashtra). Le altre figure stanti, scolpite sulla facciata e all'interno della grotta 19 di Ajaṇṭā, compresa quella ospitata nella nicchia dello stūpa situato in fondo alla navata centrale, sono più vicine ai tipi di Sārnāth; tuttavia i sei Β. mānuṣi, posti ai lati di Sākyamuni seduto, all'interno della grotta 6, mostrano chiaramente la distanza concettuale e formale che separa le scuole del Maharashtra da quella gupta.
Tra le figure assise, particolare spicco hanno i Β. in trono nella posizione detta all'europea, contraddistinta da una divaricazione delle ginocchia più ampia di quella dei piedi. Esemplificano tale iconografia varie opere tra cui il B. in trono, situato nella nicchia dello stūpa eretto all'interno della grotta 26, quelli effigiati in rilievi della grotta 19 e quelli decoranti le grotte 89 e 90 di Kānheri. Questo tipo che si afferma anche a Elura, come mostra un B. assiso in grotta scolpito dentro il santuario 10 (VI sec.), continua a godere favore anche alla fine del VII sec. o all'inizio dell'VIII (piano superiore della grotta 12). Un esempio pittorico è costituito da una scena di predicazione, decorante la grotta 17 di Ajaṇṭā. Tuttavia più tradizionali tipi di immagini vengono rappresentati di solito in pittura, come mostra un dipinto murale della grotta ι di Ajaṇṭā (V sec.), che presenta file di B. assisi e stanti con ambo le spalle coperte o con la sola destra scoperta e con le mani atteggiate in diverse mudrā. Alle iconografie più antiche conferisce talvolta una rinnovata suggestività il colore rosso usato sia per la pelle, sia per le vesti di Sākyamuni, raffigurato in compagnia del monaco monocolo, su un fondo cosparso di fiori, nella grotta 10 di Ajaṇṭā.
È da rilevare nelle immagini scultoree del B., proprie delle scuole del Deccan occidentale, una tendenza al gigantismo, che trova rispondenza - come si è visto - nell'India del Nord-Ovest, in Afghanistan e nell'Asia centrale. Ne è cospicuo esempio il Parinirvāna, raffigurato nella grotta 26 di Ajaṇṭā, nel quale la figura di Sākyamuni, opera di notevole purezza stilistica, misura oltre 7 m. A questa statua possono essere avvicinati i due grandi B. stanti, già menzionati, posti ai lati dell'atrio della grotta 3 di Kānheri, ognuno dei quali misura più di 7 m.
Le notevoli dimensioni di alcune opere, l'insistita rappresentazione della figura in trono, la frequenza della positura all'europea che conferisce maggiore imponenza alle immagini assise, la presenza di corone regali palesano gli sviluppi dottrinali del Mahāyāna, che si concentra sul tema della sovranità cosmica del Buddha. Al tempo stesso i tratti stilistici, il ripetersi di gesti come quello del dono, insieme alla compassionevolezza delle espressioni, indicano nella misericordia l'altro tema fondamentale del pensiero mahayanico.
Verso la fine del VII sec. o gli inizî dell'VIII l'arte buddhista del Deccan occidentale si esaurisce probabilmente per l'avvento di dinastie di rigida fede hindu nonché, forse, per l'intensità dello sforzo creativo durato circa due secoli e mezzo.
Le scuole nord-orientali. - L'ultima grande fioritura del pensiero e dell'arte buddhista in India ha luogo nelle regioni nord-orientali, cioè nel Bihar e nel Bengala sotto le dinastie dei Pāla e dei Sena fra i secoli Vili e XII, e sotto quelle dei Bhauma-Kara (VIII-X sec.) e dei Somavaṃśī (X-XIII sec.) nell'Orissa. Sotto il regno dei Pāla, ancora al riparo dalla pressione islamica che minacciava gli stati indiani del Nord, sorgono nuovi centri di cultura buddhista, quali Somapura, Odantapurī e Vikramaśīla, e altri più antichi - come i monasteri di Bodh Gayā e di Nālandā, cui affluivano devoti e maestri dalle altre regioni indiane, dal Tibet e dall'Asia sud-orientale - conoscono una rinnovata fioritura. Per quattrocento anni le scuole artistiche orientali diedero vita a un enorme quantità di opere in pietra e metallo, attestanti il pieno sviluppo del pensiero mahayanico, che verso la parte estrema del periodo andò sempre più assumendo caratteristiche tantriche.
Gli stilemi tipici degli artisti di Sārnāth, nonché la concezione della figura umana come forma essenziale e simbolica, nella quale si riassume la creazione e il creato, si rivelano ancora in un grande B. (2,22 m) di metallo da Sulṭāngaṅī (Bihar), conservato nel museo di Birmingham. Si intravvedono tuttavia nell'opera, probabilmente attribuibile al VII sec., i segni di un mutamento del gusto e delle finalità espressive, percepibili nella veste - ancora del tutto trasparente - segnata da pieghe ridotte a mere linee prive di rilievo che, a larghi intervalli, attraversano le membra, e inoltre in una minore organicità della figura in cui si avverte quasi uno stacco fra il tronco e le gambe.
Queste caratteristiche permangono ancora nei B. dell'VIII sec.; in particolare nei bronzi, tuttavia si manifestano elementi innovativi come il nimbo ovale, vuoto nella parte centrale, occupata dal capo, al quale si raccorda mediante un fiore con due foglie, posto sopra l’uṣṇīṣa, sintetico cenno all'albero della bodhi. Già nel IX sec. tuttavia le forme appaiono più rigide e schematiche; lo spazio circostante la figura del B. viene occupato da esseri fantastici o da divinità. Le nuove tendenze sono bene attestate da un rilievo di Farrukhābād (Uttar Pradesh) che mostra un'immagine assisa su un alto trono - altra caratteristica dell'epoca. La mano destra è in abhayamudrā, gesto che è tipico di Akṣobhya, il B. dell'Oriente, ipostasi di Sākyamuni al momento dell'Illuminazione. A ciascun lato della base del trono, ancora assai vicino ai tipi gupta, compare, insieme a un leone e a una figura in atto di venerazione, un elefante, animale che costituisce il veicolo (vaharía) di questo Buddha. Affiancano il personaggio maggiore i Bodhisattva Padmapāṇi (Avalokiteśvara) e Vajrapāni.
Se si paragona quest'opera, che conserva assai evidente l'impronta mathurena, a un altro B. assiso del X sec., di Bodh Gayā, si possono cogliere con piena evidenza le tendenze degli artisti pāla verso una più ordinata strutturazione dello spazio circostante la figura centrale. A ciascun lato del B. la spalliera del trono termina in una figura di capride ritto sulle zampe posteriori e presentato di profilo cosicché la frontalità dell'immagine sacra eserciti al massimo la sua suggestione sul devoto. Le pieghe della veste si disegnano a intervalli regolari sul corpo in modo del tutto schematico, divenendo puro motivo decorativo. Al di sopra della spalliera due piccoli Bodhisattva assisi affiancano il personaggio maggiore.
Tale disposizione delle figure minori si ripete, con numerose varianti, anche nella produzione dei secoli successivi. In altri esemplari si manifesta, però, la tendenza ad accentuare la ripartizione degli elementi figurativi del fondo in registri, nei quali vengono collocate le rappresentazioni degli episodi principali della vita del B. fino a giungere al Parinirvāṇa, che trova posto alla sommità della stele.
Un'imponente immagine che supera i 3 m di altezza, situata nel villaggio di Jagdispur presso Nālandā, inserisce la figura centrale - in bhūmisparśamudrā - nel contesto dell'assalto di Māra, reso con drammatica intensità mediante la rappresentazione di una miriade di demoni che circondano Siddhārtha e trovano posto anche al di sotto del seggio. Tuttavia enorme è ormai il contrasto fra la statura degli assalitori e quella del B. di cui, tramite il simbolismo proporzionale, è messo in evidenza il carattere sovrumano. Lungo i bordi della stele sono rappresentati sette episodi della vita di Sākyamuni, situati in registri diversi, succedentisi in senso verticale e posti a corrispondente altezza sui due lati. L'immagine centrale costituisce, dunque, l'asse intorno al quale si struttura e si sintetizza la narrazione della vicenda terrena del Buddha; se si tiene presente che gli episodi raffigurati sono otto, considerando anche quello principale, cioè l'assalto di Māra, non può sfuggire l'intento di fare della stele una sorta di diagramma spazio-temporale e quindi di cosmogramma.
Mentre nell'XI sec. si sviluppa uno stile caratterizzato da un raffinato decorativismo, da una speciale attenzione ai particolari - soprattutto alla gioielleria - da una sempre minore naturalezza delle figure, nell'ambito dell'iconografia del B. si sviluppa il tipo dell'immagine coronata che esalta la regalità del personaggio, d'altra parte già sottolineata dal complesso simbolismo dei troni, che caratterizza in generale le opere pāla. Tale iconografia, con la quale si rappresenta sovente il B. supremo Akṣobhya, è inserita in un quadro di elementi figurativi che insistono sul tema della totalità spazio-temporale che il B. interamente pervade e riassume. Tra questi elementi si segnalano le figure dei B. del passato e del futuro, nonché l'immagine del kīrttimukha, che simboleggia il tempo e la morte, dal quale traggono origine i rami dell'albero della bodhi, identificato con la pianta cosmica.
La cura degli elementi decorativi dell'immagine, la morbidezza del modellato, la serena dolcezza delle espressioni, ma anche, talvolta, l'imponenza delle proporzioni caratterizzano la produzione dell'Orissa (VIII-XII sec.), i cui esempi più rappresentativi sono costituiti dai B. e dai Bodhisattva dei monasteri di Lalitgiri, Udayagiri e Ratnagiri.
La copiosa serie di opere in metallo - solitamente bronzo (aṣṭadhātu, lega di otto metalli) - di epoca pāla riproduce le iconografie e gli stili attestati dalle sculture in pietra. In essa, tuttavia, appaiono più evidenti alcune caratteristiche, accentuate forse anche dalla diversità del mezzo e delle tecniche di esecuzione. In particolare risalta la tendenza a conferire una forma tornita e pressoché cilindrica alla figura e alle singole membra mediante il ritmo ondeggiante delle pieghe, che si succedono trasversalmente al corpo e, partitamente, intorno a ciascuna delle gambe. Non si tratta più di un panneggio - che la veste non ha ormai alcuna autonoma esistenza - bensì di linee che paiono incise nella carne, cosicché soprattutto la metà inferiore dell'immagine sembra il risultato della giunzione di parti distinte. Questa singolare concezione del rapporto fra veste e corpo, che prescinde da ogni ricerca di verosimiglianza, rappresenta lo sviluppo finale di tendenze figurative caratteristiche della scuola gupta di Mathurā .
L'evoluzione iconografica e stilistica, che intercorre fra l'epoca gupta e quella pāla, segna anche il cammino percorso dal pensiero buddho- logico che stava giungendo in India ai suoi esiti estremi.
Gli stili meridionali. - Gli scarsi resti di arte buddhista, rinvenuti nel paese āndhra dopo la fine del periodo sātavāhana, e nelle altre regioni dell'India meridionale, sembrerebbero confermare la testimonianza del pellegrino cinese Xuanzang, che visitò quelle zone verso la metà del VII sec. e constatò che, quasi ovunque, il buddhismo era in decadenza. Tuttavia le informazioni che si desumono dalle fonti letterarie, la fama dei maestri dell'India meridionale e in particolare di Kāncī, i legami che essi ebbero con l'università di Nālandā, nel Bihar, infine lo stesso livello artistico delle opere superstiti, fanno pensare a scuole ancora fiorenti. D'altra parte la forza di irradiazione che le formule create dagli artisti meridionali rivelarono nei paesi buddhisti extra-indiani non possono che essere ricondotte all'opera di artisti capaci di esprimere in un linguaggio figurativo originale gli esiti dottrinali del buddhismo, che sopravvisse nel Sud almeno fino al XVI secolo.
I ritrovamenti, effettuati nel delta del fiume Krishna, testimoniano l'esistenza di una produzione di notevole livello tecnico e stilistico. Un'immagine di B. stante da Buddhapāda (Tamil Nadu), risalente al VII o all'VIII sec., conserva nel capo i tratti essenziali del tipo āndhra di epoca più antica, in particolare nei capelli e nell’uṣṇīṣa scarsamente protuberante, mentre il volto assume un'espressione più intensamente meditativa. Il resto della figura riflette, tuttavia, le tendenze delle scuole fiorite dopo la fine del periodo gupta. Si mantiene infatti lo schema iconografico e stilistico creato dalla scuola di Sārnāth, rinnovato da un maggiore, seppur contenuto dinamismo del corpo, mentre la mano, nel gesto del dono, ripete il messaggio di salvezza, espresso dai B. di epoca vākāṭaka. A questo esemplare, nel quale confluiscono stilemi di varia provenienza ed epoca, si può paragonare una statua bronzea da Nāgapaṭṭiṇam (Tamil Nadu), conservata al Government Museum di Madras, che risale al X secolo. L'opera, di notevole livello estetico, mostra l'evoluzione stilistica compiuta dall'immagine del B. nel Sud dell'India e la conquista, da parte degli artisti locali, di un proprio linguaggio figurativo che, pur non rifiutando la tradizione, ne ravviva i suggerimenti, trasfondendoli in una formula di grande originalità ed efficacia. L'immagine stabilisce ormai un rapporto nuovo con lo spazio che la circonda, uscendo dai limiti imposti a una forma ideata per il rilievo e conquistando l'autonomia del tutto tondo. La tensione della figura, accentuata dalle linee verticali del mantello, la salda espansione dei volumi del corpo, i mutati tratti fisionomici che avvicinano l'opera ai bronzi hindú cōḷa, l’uṣṇīṣa , divenuto una piccola fiamma stilizzata, configurano un tipo originale, destinato a diffondersi soprattutto nell'Asia sud- orientale. D'altra parte l'influsso delle scuole pāla si manifesta chiaramente in alcuni bronzi. La presentazione del B. al di sotto di un arco formato da elementi vegetali e sormontato da un kīrttimukha (volto di gloria), proprio degli stili nordorientali, viene riproposta da un'immagine di Tanjore, risalente al XV o XVI sec., conservata al Government Museum di Madras. Caratteristico di questo esemplare è il doppio gesto delle mani, delle quali la destra è in abhayamudrā, la sinistra in varadamudrā. l’uṣṇīṣa a forma di fiamma accomuna questo B. alle raffigurazioni tipiche dell'arte di Sri Lanka, sulla quale gli stili meridionali esercitarono un profondo e durevole influsso.
Il Buddha a Sri Lanka. - La fase più antica dell'arte di Sri Lanka, detta di Anurādhapura dal nome della capitale del regno, appare fortemente segnata dall'influsso della scuola di Amarāvatī, i prodotti della quale raggiungevano certamente l'isola. Ne è testimonianza il rinvenimento di alcune immagini del B., in rilievo e a tutto tondo, realizzate in marmo bianco, materiale che non è reperibile sul luogo, ma che contraddistingue la produzione āndhra.
Nessuno dei B., trovati a Sri Lanka, può essere fatto risalire più indietro del III sec. o, più probabilmente, del IV. Una statuetta bronzea, proveniente da Medavacciya, esemplifica un tipo stante, destinato ad avere ampia fortuna sia nell'isola, sia nell'Asia sud-orientale. L'opera, databile al IV sec., è caratterizzata dal braccio sinistro che regge il mantello, sollevandosi fino all'altezza della spalla, e inoltre dalle vesti - più leggere di quelle proprie dei B. di Amarāvatī - che, aderendo al corpo, ne lasciano intravvedere le forme. Quest'ultimo tratto verrà accentuandosi in omaggio ai canoni fissati dalle scuole gupta, il cui influsso interviene a modificare lo schema āndhra, come mostra con particolare evidenza una grandiosa statua (alta quasi 12 m) scolpita nella roccia ad Avukana. Questo esemplare, databile all'VIII o al IX sec., mostra il gesto della rassicurazione in una forma particolare - che resterà caratteristica delle immagini di Sri Lanka - consistente nel presentare la mano destra sollevata e tesa con il palmo perpendicolare al petto. La statua di Avukana, cui si possono affiancare altri grandi B. scolpiti nella roccia quali, p.es., quelli di Baduruvegala (VIII-IX sec.; alt. 13 m) e di Sässēruva (VIII-IX sec.; alt. 11,84 m), attesta una tendenza al gigantismo che si è già incontrata nella produzione centroasiatica nonché in vari stili dell'India settentrionale e centrale e che troverà continuazione a Sri Lanka soprattutto nel periodo successivo. L'inizio di questa nuova fase storica coincide con lo spostamento della capitale a Poḷonnāruva dopo la distruzione di Anurādhapura (993 d.C.) da parte dei Cōḷa, che imposero al paese il proprio dominio fino al 1070. Quando l'isola fu liberata, riprese vigore il buddhismo, sacrificato dal favore che i Cōḷa avevano concesso alla religione brahmanica. Nel 1165 Parākramabāhu I impose la supremazia del buddhismo Theravāda che fino ad allora aveva convissuto, sebbene polemicamente, con il Mahāyāna.
La grandiosità delle proporzioni costituisce imo dei tratti caratteristici della produzione di Poḷonnāruva. Lo attestano opere famose, quali i B. del Gal Vihāra (XII sec.) e, in particolare, la figura maggiore che rappresenta il Parinirvāṇa e misura oltre 14 m. In generale le figure stanti perdono la rigidezza della posizione e la schematicità dei gesti, tratti espressivi di una tendenza nettissima verso il simbolismo e l'astrazione, affermatasi all'epoca di Anurādhapura. L'accento è posto ora su valori più umani: lo conferma in particolare una figura stante del Gal Vihāra, identificata con Ānanda o con il B. stesso, che appare rivolta alla contemplazione di una verità interiore, come sembrano indicare sia l'espressione del volto, sia la posizione delle braccia incrociate sul petto.
Una tipologia, almeno in parte, diversa da quella caratteristica delle immagini stanti, presentano le raffigurazioni del B. assiso. Nella fase di Anurādhapura, accanto a esemplari derivati dai modelli āndhra, se ne trovano altri in cui si palesa l'influsso dello stile di Sārnāth soprattutto nella veste trasparente e priva di panneggio. Compare l'immagine del B. sul nāga Mucalinda, che da Sri Lanka si irradierà ampiamente verso l'Asia sud-orientale. Al medesimo periodo vengono attribuiti alcuni B. assisi, di pietra o di bronzo, che per la resa dei tratti fisionomici sembrano collegarsi agli stili del Tamil Nadu e per il panneggio della veste, nonché per il caratteristico lembo del mantello che ricade sulla spalla sinistra, rinviano all'arte pala.
Dopo la caduta di Poḷonnāruva (1236) e, in particolare, fino alla presa di Rotte da parte dei Portoghesi (1505), la figura del B. - rappresentato quasi costantemente assiso nella posa della meditazione - per l'essenzialità delle linee e del modellato sembra adeguarsi ai canoni estetici dell'India meridionale. l’uṣṇīṣa si è trasformato in una fiamma (siraspota), nella quale paiono riassumersi, ma non esaurirsi le speculazioni sulla luce, che sin dalle origini si erano riflesse nell'immagine del Buddha.
Le non numerose immagini pittoriche del B. che a Sri Lanka, sin dalle epoche più antiche si erano affiancate alla produzione plastica, ripropongono iconografie e stili propri dei vari periodi, più ampiamente esemplificati dalla scultura.
Asia sud-orientale. - La fenomenologia dell'immagine del B., nell'Asia sud-orientale appare assai varia, riflettendosi in essa le tendenze estetiche e gli indirizzi dottrinali propri delle diverse scuole susseguitesi nel tempo in ciascun paese.
Le più antiche raffigurazioni sono segnate dal marchio stilistico delle scuole dell'India meridionale. In particolare esse riproducono il tipo creato dagli artisti āndhra, diffusosi ampiamente nel Sud dell'India e a Sri Lanka. Tale è la somiglianza di queste opere con i modelli indiani che non di rado è difficile stabilire se esse siano riproduzioni, eseguite da mano d'opera locale, o pezzi d'importazione. Si tratta in prevalenza di bronzi, come la statua mutila di B. stante da Sikendeng (Celebes), databile al IV-V sec., che mostra il personaggio avvolto nel mantello, portato in modo da coprire la sola spalla destra. Per le caratteristiche del drappeggio, per l’uṣṇīṣa scarsamente rilevato, tale esemplare è assai simile alle immagini di Amarāvat, ma, al tempo stesso, vicino a quelle coeve di Sri Lanka per l'assenza dell'Urna e per l'accentuato disegno della sagoma del corpo. Avvicinabile a quest'opera è un grande B. bronzeo da Dông-du'o'ng (Vietnam) che per i gesti - una mano è in vitarkamudrā, l'altra tiene un lembo del mantello - appare strettamente legato alla produzione di Sri Lanka. Questo tipo dovette avere ampia diffusione, come provano esemplari rinvenuti nell'Asia sud- orientale insulare e in quella continentale dalla penisola malese al Champa, tutti databili fra il IV e il VI secolo.
Alla tradizione figurativa āndhra sono ispirate anche le non numerose piccole immagini del B. rinvenute in Birmania a Srïkçetra, l'antica Prome, appartenenti a una fase artistica che dal V sec. si protrae fino al VII. Non minore importanza ebbe, nella formazione del linguaggio figurativo buddhista dell'Asia sud-orientale, l'influsso degli stili gupta e post-gupta, che funsero da stimolo sia alla creazione delle più antiche immagini del Cambogia preang- koriano, delle quali è esempio un B. stante di Vat Romlok (VI-VII sec.) conservato al museo di Phnom Penh, sia alla produzione della scuola thailandese di DväravatI (VII-XII sec.).
Le opere della fase più antica dell'arte di DvāravatI attestano la definizione di una cifra stilistica tra le più originali di tutta la produzione buddhista dell'Asia sud- orientale. Una grande statua del B. assiso (3,70 m) del Museo Nazionale di Bangkok, datata fra il VII e l'VIII sec., benché collegabile alle analoghe immagini delle scuole dell'India centrale, presenta un notevole grado di autonomia stilistica, rispetto a esse, nella resa dei tratti somatici e nella veste, mentre il gesto dell'argomentazione, compiuto da entrambe le mani, è formula tipica delle scuole dell'India meridionale. La trattazione del volto mostra, con evidenza anche maggiore, la conquista di quel singolare canone estetico che rende riconoscibili le opere della scuola. La pienezza delle gote, il turgore delle labbra sono bilanciati da una stilizzazione linearistica degli occhi e delle sopracciglia in un contrappunto di curve e di angoli il cui equilibrio traduce in valori formali l'idea di una realtà che attiene al piano metafisico ma che si lascia intuire nell'umano. L'attenzione alle iconografie meridionali indiane è dimostrata dalle immagini del B. protetto dal nāga Mucalinda, tra le più antiche di una serie destinata a notevole fortuna in particolare nella scuola di Lopburì e nel Cambogia preangkoriano.
Nelle regioni insulari, ove con l'avvento degli Sailendra trionfa il buddhismo Mahāyāna, gli stili gupta e post- gupta appaiono come la principale fonte ispiratrice dei tipi creati nella fase di Giava centrale, ma notevole importanza ha anche l'influsso dell'arte pāla, specie nei bronzi. L'eco dei modelli di Sārnāth si coglie nei B. effigiati nei bassorilievi del Borobudur, ma originale è l'inserimento di queste figure in un contesto narrativo e, sovente, in un ambiente naturale dalla lussureggiante vegetazione e dalla copiosa fauna. Nelle immagini insistentemente ripetute dei tathāgata, situati entro nicchie, come pure nella grande statua del candi Mendut, di ben più alto livello estetico, l'attenzione degli artisti appare rivolta in particolare agli stili dell'India centrale.
Strettamente legata alle formule figurative giavanesi, è la scuola di Srlvijaya, fiorita nella Thailandia peninsulare fra l'VIII e il XIII sec., ma diffusasi ampiamente anche nel bacino del Menan e nelle regioni orientali. Lo scarso numero di opere raffiguranti il B. - quasi esclusivamente bronzi - prodotto da quest'arte di ispirazione mahayanica, rivela una prevalenza di iconografie e di soluzioni stilistiche riconducibili alla cultura figurativa pāla. Tali legami appaiono particolarmente evidenti nelle raffigurazioni della vittoria su Māra, tema prediletto dalle scuole nord-orientali indiane, dalle quali queste opere traggono il nimbo circondato da fiamme, il sintetico riferimento all'albero della bodhi, al di sopra del capo di Sākyamuni, e il lembo del mantello riportato sulla spalla sinistra. In questi tratti e, ancor più, nella globalità della produzione della scuola si riconoscono un gusto e una tradizione completamente diversi da quelli affermatisi nell'arte di DväravatI che, tuttavia, non sfuggì alle suggestioni esercitate dalle formule di Srlvijaya specialmente nella sua fase più tarda.
Il processo di rielaborazione degli influssi indiani e la ricerca di autonomia stilistica, messi in atto dalle scuole artistiche dell'Asia sud-orientale, producono risultati pienamente maturi a partire all'incirca dal X secolo. È infatti da quest'epoca e fino al XIV sec. che nei maggiori centri la produzione buddhista raggiunge i più alti livelli di originalità e di compiutezza stilistica. Il fatto che la fortuna del buddhismo subisca un declino e che si affermi, in misura sempre maggiore, il brahmanesimo, non sembra incidere sulla qualità delle opere. Il Mahāyāna, laddove non cede il posto al buddhismo Theravāda, ampiamente irradiantesi da Sri Lanka, si permea di elementi tantrici. Non si potrà qui che accennare alle tendenze e alle tipologie più significative che si palesano nelle immagini del B. proprie di questo periodo.
Le scuole birmane accolgono i suggerimenti degli stili pāla e sena, mentre il buddhismo Theravāda si sostituisce al Mahāyāna. Si diffondono le figure coronate e adorne di gioielli, che mostrano il B. quale sovrano dell'universo. Nelle raffigurazioni di Sākyamuni si alternano la ricerca di una certa leggiadria - soprattutto nella resa del corpo - e la schematica rigidità dell'idolo. Nell'area thailandese, che presenta un ampio panorama di centri e di tradizioni diversi, sviluppatisi contemporaneamente o successivamente alle scuole di DvāravatI e di Srlvijaya, spicca, per il saldo possesso di una concezione plastica unitaria e di una originale formula stilistica, l'arte di Sukho- thai (XIII-XV sec.). Questa scuola tocca il culmine della propria creatività nel XIV sec. con la figura del B. incedente, innovazione di cui si suole rintracciare l'origine nelle rappresentazioni della discesa di Sākyamuni dal Cielo dei Trentatre Dèi, in particolare nella pittura di Sri Lanka.
Nel Cambogia preangkoriano il nesso strettissimo fra il culto del devarāja e la regalità è, al tempo stesso, causa e conseguenza di una netta prevalenza dell'induismo. Nondimeno la produzione buddhista, a partire dal X sec., mostra una predilezione per la raffigurazione di Sākyamuni sul nāga Mucalinda che tanta fortuna avrà in seguito per la connessione che, anche nel mondo khmer, verrà stabilita fra questo tema e la sovranità universale. Caratteristica è la rappresentazione del B. privo di mantello e a torso nudo, che mostra un'acconciatura dei capelli a calotta con uṣṇīṣa conico. Solo fra la fine del XII sec. e i primi decenni del XIII, con Jayavarman VII, il buddhismo Mahāyāna trionfa. Del culto regale è ora oggetto un'immagine del B. che riproduce le sembianze del sovrano. Appartengono a quest'epoca le realizzazioni più significative dell'arte buddhista khmer, figure nelle quali si esprime un elevatissimo ideale umano più che una metafisica realtà. Un B. su nāga dello stile del Bàyon, conservato al Musée Guimet di Parigi, benché privo della parte inferiore, rivela la straordinaria capacità degli scultori khmer di rendere la spiritualità altissima del personaggio soprattutto mediante il sapiente alternarsi delle luci e delle ombre e la misurata espressione della interiore beatitudine che atteggia il volto al sorriso. Caratteristica dell'iconografia khmer è l'immagine del B. adorno di gioielli, presente soprattutto nello stile di Angkor Vat. Al diadema, alle collane, ai bracciali, che manifestano il carattere regale della figura, si aggiunge una cintura di oreficeria con pendagli. Il tipo, che si ritrova nella scuola thailandese di Lopburi, è raffigurato sia stante, sia seduto sul nāga. In questo caso le spire del serpente formano una sorta di trono, che rende ancora più esplicita la connessione del personaggio con la sovranità universale.
Lo stile del Bàyon si impone al Champa fra la fine del XII sec. e i primi decenni del XIII, quando il paese subisce l'occupazione khmer. Ormai però la singolare estetica, elaborata dalla scuola di Dông-du'o'ng nell'ultima parte del IX sec., aveva da tempo cessato di dar vita alle caratteristiche immagini del B. dai pesanti lineamenti, nei quali si riflettevano i tratti fisionomici delle popolazioni locali. Della fase intermedia, che coincide con l'XI sec. - epoca di rinnovata fioritura del buddhismo Mahāyāna - resta una scarsa quantità di opere quasi tutte assai deteriorate.
In Indonesia, e in particolare nel periodo di Giava orientale, il buddhismo assume caratteristiche tantriche, come preannuncia un gruppo di novanta bronzetti, probabilmente del X sec., rinvenuti a Ngandjuk (Giava orientale), che costituisce un maṇḍala comprendente un B. supremo, con quattro facce e paramenti regali, nonché quattro Dhyāni-B. accompagnati da figure di Bodhisattva e della dea Tārā. Alcuni dei pezzi più significativi del complesso, conservato a Djakarta, andarono purtroppo perduti nell'incendio del padiglione olandese all'Esposizione Coloniale, tenutasi a Parigi nel 1931. Dopo un periodo iniziale contrassegnato da un'estrema scarsità di reperti archeologici, il buddhismo conosce una fase di ripresa sotto la dinastia Singhasāri (1222-93); nonostante ciò le immagini del B. sono assai rare.
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Cina. - L'introduzione del buddhismo in Cina avvenne agli inizî della nostra era, durante la dinastia degli Han posteriori (25-220 d.C.). Una prima testimonianza è registrata nello Hou Hanshu («Storia degli Han posteriori») compilato da Fan Ye (398-446) in cui si racconta che nel 65 d.C. una piccola comunità di monaci e laici s'incontrò a Pengcheng (odierna Xuzhou) nella provincia del Jiangsu per una festa vegetariana organizzata dal principe Liu Ying di Zhu. Le fonti cinesi riferiscono pure che il primo monaco straniero a giungere a Luoyang nel 148 fu An Shigao, un Parto di nobile discendenza con cui ebbe inizio un'intensa attività di traduzione di testi buddhisti. Sembra che An Shigao fosse stato preceduto da altri monaci su cui non si hanno notizie, ma che è molto probabile arrivassero dall'Asia centrale. La penetrazione e la diffusione del buddhismo in Cina coincidono con il travagliato periodo politico seguito alla caduta della dinastia Han. Missionari centroasiatici, iranici e indiani si recano in Cina e si dedicano alla traduzione delle scritture buddhiste; nello stesso tempo pellegrini cinesi vanno in Asia centrale e in India alla ricerca di testi sacri e in visita ai luoghi santi. Pare che intorno al 300 d.C. nelle città di Chang'an (odierna Xi'an) e Luoyang ci fossero già 180 monasteri e c.a 3700 monaci. Tra i più famosi missionari indiani si ricorda Dharmarakṣa, di cui restano 72 traduzioni delle 211 che fece in trent'anni, tra il 266 e il 308 d.C., e Kumārājiva (344-413), un indiano di Kučā che fondò un grande ufficio di traduzioni a Chang'an e soggiornò in Cina dal 383 al 413. Inizialmente il vocabolario del buddhismo indiano attinge alla terminologia confuciana e taoista, più familiare ai cinesi; successivamente, proprio con il monaco Kumārājiva, si raggiunge una completa indipendenza. All'opera di questi traduttori è legata sia la diffusione di alcuni sūtra che la loro fortuna iconografica. In Cina si diffonde il buddhismo Mahāyāna o del «Grande Veicolo» e trovano perciò grande fortuna testi come il Saddharmapuṇḍarīka, il Vimalakīrti nirdeśa, il Mahānirvāṇa sūtra , e YAvataṁsaka, ripetutamente tradotti e commentati.
Mercanti e monaci che tornano in Cina portano immagini che esercitano una grande influenza sulle prime espressioni artistiche buddhiste. L'arte indiana, sia quella del Gandhāra che quella di Mathurā , giunge in Cina attraverso la mediazione centroasiatica lungo la Via della Seta e s'innesta sulla tradizione artistica locale già ben sviluppata. E possibile che nella Cina meridionale i modelli artistici siano entrati dal Sud-Est asiatico e le vie marittime. Oggi è difficile fornire un quadro preciso di tale percorso per la scomparsa di alcune culture centroasiatiche e per la scarsezza dei reperti disponibili. Le prime opere cinesi, databili all'incirca al IV sec., tradiscono nei lineamenti non cinesi dei volti una indubbia matrice indiana.
La prima immagine del B. giunta in Cina secondo la tradizione è nota come l’«immagine di Udayāna», un ritratto in legno di sandalo di Śākyamuni ordinato dal leggendario Udayāna, re di Kauśāmbī, mentre il B. si trova nel paradiso dei Tuṣita a predicare alla madre. Uno o più artigiani trasportativi miracolosamente riescono a ritrarre il B., e l'immagine è sistemata nel monastero di Jetavana a Śrāvastī. L'immagine sarebbe volata via dall'India e giunta a Kučā, da dove Kumārājiva la portò in Cina nel 405. Da Chang'an l'icona si sposta prima a Changsha, poi a Jiangdu e infine a Kaifeng. Qui la vide il prete giapponese Chönen che nel 985 ne fece fare una copia da portare in Giappone dove ancor oggi si può ammirare nel tempio Seiryō di Kyoto.
Immagini del B. in rilievo compaiono però già su alcuni specchi della fine della dinastia Han (inizî del III sec.) come talismani; templi e statue cominciano a sorgere all'epoca dei Tre Regni (220- 265) a Luoyang, capitale del regno Wei, e a Nanchino, capitale del regno Wu. Con i Jin Occidentali (265-316) a Luoyang ci sono 42 templi. Con la dinastia dei Wei Settentrionali (385-534), i turchi Tuoba, il buddhismo diventa religione di stato ed è la stessa famiglia imperiale a promuovere la costruzione di alcuni tra i più famosi complessi rupestri cinesi: Yungang e Longmen. Anche il tempio rupestre è di origine indiana e giunge in Cina attraverso l'Afghanistan e l'Asia centrale.
Il periodo di frazionamento del vasto impero cinese, seguito alla caduta degli Han e terminato nel 581 con la riunificazione sa opera dei Sui, è particolarmente fecondo per lo sviluppo dell'arte buddhista, che si diffonde su tutto il territorio. Le fonti cinesi registrano una abbondante produzione di immagini realizzate in tutti i tipi di materiali e ne descrivono anche gli scopi rituali e i poteri magici.
Purtroppo l'arte buddhista del IV sec. è rappresentata da poche immagini in bronzo e pietra, mentre a partire dal V sec. i numerosi templi rupestri della Cina settentrionale ne testimoniano la rapida fioritura. Nasce una scultura buddhista dalla forma puramente cinese la cui evoluzione vedrà il sorgere di vari stili. Una delle caratteristiche peculiari della scultura buddhista cinese è proprio la coesistenza e l'interazione di stili regionali con uno stile metropolitano i cui risultati raggiungono spesso livelli qualitativi eccellenti. I modelli stranieri, giunti sia nel Nord che nel Sud del paese, sono differentemente interpretati e assimilati; sembra, infatti, che il Sud sviluppi più rapidamente un proprio stile sinizzato. E probabile, perciò, che l'arte buddhista creata dalle dinastie meridionali possa aver influenzato l'opera dei Wei Settentrionali alla fine del V e agli inizî del VI sec., nel periodo in cui l'arte settentrionale raggiunse una forma completamente sinizzata. Tra i primi esempi di produzione in bronzo ci restano una statuina di Śākyamuni in dhyānamudrā, datata 338, ora nella collezione Avery Brundage del de Young Memorial Museum di San Francisco, ancora strettamente legata ai prototipi indiani, e un'immagine di Maitreya stante, proveniente dagli scavi di San- yuanxian (Shaanxi), databile ai primi decenni del IV sec., conservata nel Museo Fuji Yurinkan di Kyoto. La scultura meridionale adopera prevalentemente il legno ed è quasi del tutto scomparsa. Dalle fonti letterarie si sa che alla fine del periodo Jin (345-418), nella capitale Jiankang (attuale Nanchino), sono attivi nel dipingere e scolpire immagini buddhiste due grandi personalità artistiche, Gu Kaizhi (c.a 344-406) e Dai Kui (c.a 326-396).
Le prime grotte buddhiste cinesi sono scavate a Binglingsi, Maijishan e Dunhuang nella provincia occidentale del Gansu, lungo la Via della Seta, a partire dal IV secolo. Per la sua posizione strategica il Gansu è un'importante nodo di scambi commerciali e d'influenze culturali tra la Cina settentrionale e meridionale e l'Asia centrale. Un avvenimento rilevante da un punto di vista artistico è la sua conquista, nel 439, a opera dei Tuoba Wei che deportano circa trentamila famiglie di artigiani nei loro territori settentrionali e le utilizzano nella costruzione delle grotte di Yungang, nelle vicinanze della capitale Datong, nella provincia dello Shanxi. Il complesso consta di 40 grotte, tra cui le più importanti sono le prime 20 realizzate tra il 460 e il 494, mentre le restanti 20 sono per lo più nicchie costruite tra il 500 e il 535, quando ormai i Wei hanno abbandonato la zona e trasferito la loro capitale a Luoyang. Le prime cinque grotte (nn. 16-20), aperte per ordine dell'imperatore Wencheng come un atto di espiazione per la persecuzione attuata dall'imperatore Tai Wu, hanno uno stile monumentale di derivazione indiana. Le prime immagini sono gigantesche, in origine policrome, con volti non cinesi, quali p.es., il colossale B. Śākyamuni della grotta 20, alto 13,46 m, seduto in meditazione e fiancheggiato da un'immagine di dimensioni più ridotte di Maitreya stante nel gesto della rassicurazione; il B. assiso della grotta 19, alto 16,48 m; il B. stante della grotta 18, alto 15,6 m; e un altro B. stante nella grotta 16, alto 14 m. Ma già pochi anni dopo, nella grotta 6, eseguita verso il 480, lo stile cambia e si nota un processo di assimilazione nell'espressione dei volti del tutto cinesi, nell'abito monastico indiano divenuto cinese e caratterizzato dal pesante panneggio che nasconde completamente il corpo.
Il repertorio iconografico comprende il B. Śākyamuni, gli episodi più salienti della sua vita e delle vite precedenti, Maitreya rappresentato sia come B. del futuro che come Bodhisattva, e soprattutto scene che illustrano i sūtra più popolari in Cina. Il B. raffigurato è Śākyamuni, stante o assiso, solo o fiancheggiato da coppie di attendenti; un'immagine comune, tratta dal «Sūtra del loto», è quella di Śākyamuni seduto accanto al B. del passato Prabhūtaratna che compare in cielo nel suo stūpa per ascoltare la spiegazione del dharma tenuta da Śākyamuni. I volti angolari sono addolciti dal «sorriso arcaico», mentre l'abito monastico di tipo indiano cade pesantemente in pieghe parallele i cui orli terminano in angoli acuti fino a ricoprire tutto il piedistallo. Queste caratteristiche tipicamente cinesi si realizzeranno compiutamente nelle grotte di Longmen, eseguite sotto il patronato dei Wei a partire dal 494, dove è possibile seguire lo sviluppo della scultura buddhista cinese fino alla metà dell'VIII secolo. Lo stile Wei raggiunge la piena maturità nelle prime due grotte, la Guyang della fine del V sec. e la Binyang del 505, in cui una scultura dai tratti lineari e calligrafici, che ricorda la pittura cinese su rotolo, è favorita anche dal calcare locale, adatto per la resa dei più minuti dettagli. I corpi e i volti si assottigliano, mentre le pieghe dei voluminosi abiti in stile cinese si espandono a cascata sul piedistallo. La grotta Guyang, dedicata a Śākyamuni e Maitreya, presenta la figura principale su un trono a pedana con ai lati, su un livello più basso, i Bodhisattva; lungo le pareti compaiono, distribuite su tre registri, numerose nicchie contenenti nella parte superiore B. assisi in meditazione, nella parte centrale e in quella inferiore, Bodhisattva. La grotta Binyang presenta nella zona principale cinque figure con un colossale B. seduto al centro, fiancheggiato da Bodhisattva e discepoli; sulle pareti compaiono triadi con B. stanti e Bodhisattva. Spesso sulla parete di fondo delle grotte compare una pentade con Śākyamuni al centro e discepoli e Bodhisattva ai lati. Frequente è anche l'immagine di Mai- treya, il cui culto si diffonde in Cina soprattutto durante le dinastie settentrionali e meridionali, in particolare nel VI sec., quando profezie millenaristiche ne predicono la venuta. Egli è raffigurato spesso seduto a gambe incrociate o «all'europea» in bhadrāsana con la mano sinistra poggiata sul ginocchio e la destra in abhayamudrā. A fine Tang (618-906) Maitreya è identificato con il monaco Budai, grasso e sorridente e con un grosso sacco accanto. Nelle grotte di Longmen è possibile seguire l'evoluzione stilistica della scultura buddhista. Nella grotta Lianhua, iniziata nel 520, è già percepibile il c.d. stile colonnare, contraddistinto da forme cilindriche e dal panneggio degli abiti semplificato. Questo stile caratterizza le due dinastie che succedono ai Wei, i Qi Settentrionali (550-577) e i Zhou Settentrionali (557-581). Con i primi, nelle vicinanze della capitale Ye (attuale Linzhang, nello Hebei) sono aperte le grotte di Xiangtangshan, la cui scultura pone in risalto la massa fisica; le pieghe degli abiti sono realizzate con maggiore semplicità. I B. hanno teste rotonde, volti sereni, abiti sottili aderenti al corpo in cui è visibile l'influenza dell'India gupta. Spesso la statuaria di epoca Qi, sia quella monumentale che quella di piccole dimensioni, è realizzata in marmo bianco micaceo, per la presenza di numerose cave e centri di produzione nella provincia dello Hebei, tra cui i più noti sono Dingzhou, Quyang e Baoding. Un esempio notevole di scultura del periodo Qi, databile al 585 è il grande Amitābha stante conservato nel British Museum di Londra, proveniente dai dintorni di Dingzhou.
L'altra importante dinastia settentrionale è quella dei Zhou, che hanno come capitale Chang'an. La loro conquista di una parte del Sichuan, compresa Chengdu, conferisce alla scultura buddhista caratteristiche peculiari alla tradizione meridionale. Le immagini Zhou sono scolpite di solito in una pietra gialla chiazzata, hanno volti quadrati e una profusione di gioielli. La scultura del Sichuan, in arenaria rossa, è nota attraverso i recenti scavi di Wanfosi a Chengdu in cui è venuta alla luce, tra l'altro, una statua molto elaborata del B. Śākyamuni datata al 529. Negli esemplari rinvenuti è evidente un marcato interesse per l'anatomia del corpo allungato che risulta ben modellato e ricoperto da numerosissimi gioielli. Altro importante centro regionale è lo Shandong, con i complessi di Tuoshan presso Yidu e Yuhanshan presso Jinan.
Si tratta, in tutti questi casi, di uno stadio di transizione ancora legato a differenze regionali e che precede lo stile Sui-Tang. L'unificazione stilistica si ha alla fine del VI sec. e si conserva fino all'epoca della ribellione di An Lushan (755-786). È il periodo in cui la cultura metropolitana di Chang'an e Luoyang si diffonde in tutta la Cina e crea uno stile unificato. Con i Sui (581-618) le figure sono severe, maestose, hanno ancora forme cilindriche, massicce, ricoperte da un drappeggio piatto. La cura maggiore è dedicata alla parte superiore del corpo, in particolare alla testa. Con i Tang (618-906), invece, la scultura diventa a tutto tondo con figure dai corpi ben modellati in cui sono evidenziati eleganti dettagli descrittivi, il volume delle forme umane, la posa in triplice flessione propria dell'arte indiana e soprattutto una fisionomia realistica. Tali caratteristiche si ritrovano tutte nelle grotte di Tianlongshan, presso Taiyuan nello Shaanxi. Le immagini di queste grotte sono molto naturali e umane, con corpi e teste dalla pronunciata inclinazione laterale.
Ancora a Longmen, per ordine dell'imperatore Gao- zong (650-683) dei Tang, è realizzata nel 675 nel tempio Fengxian un'enorme immagine del B. Vairocana. È il B. supremo, simbolo del principio universale all'interno del sistema dei cinque B. trascendentali; è rappresentato seduto su un trono a forma di loto dai mille petali simboleggianti ciascuno un universo con il suo Buddha. Ma il B. più popolare in Cina, a partire dal V sec., è Amitābha che presiede il Paradiso Occidentale, la Sukhāvatī, e il cui culto è legato alla scuola della Terra Pura. La sua fortuna iconografica coincide con la diffusione e popolarità del «Sūtra del loto» e di quello della «Meditazione su Amitāyus», in cui Śākyamuni, dal Picco dell'avvoltoio, annunzia a monaci e Bodhisattva riuniti, la presenza del B. Amitābha nella Terra Pura d'Occidente. Il Paradiso Occidentale o Sukhāvatī, così come è descritto nel Sukhāvatī vyūha, è un giardino chiuso, meraviglioso, a cui può accedere solo il puro di cuore; per potervi rinascere bisogna ottenere la bodhi meditando su sedici temi e incoraggiando gli altri a percorrere lo stesso cammino. Amitābha, al tramonto, appare al morente e lo conduce nel suo paradiso dove crescono alberi e fiori preziosi, dove scorrono acque che cantano e i fedeli rinascono nel cuore di un fiore di loto. L'enorme successo della scuola della Terra Pura è da attribuire alla facilità e semplicità del metodo: bastava recitare ripetutamente il nome di Amitābha per assicurarsi una rinascita fortunata. L'iconografia della Terra Pura diventa ben presto uno dei temi pittorici preferiti raggiungendo lo sviluppo completo a metà del VII secolo. Sulle pareti delle grotte di Dunhuang, nell'VIII sec., la raffigurazione dei Paradisi Occidentali è quella più comune. Forse l'opera più rappresentativa della scuola della Terra Pura tra la fine dei Tang e l'epoca Song (960-1279) è quella documentata nel sito di Dazu presso Chengdu (Sichuan). Altro tema frequente sui dipinti murali di Dunhuang è quello del Paradiso Orientale del B. della medicina, Bhaiṣajyaguru, il cui sūtra ha successo in Cina solo nel VII sec., dopo la traduzione che ne fece Xuanzang (602-664). Bhaiṣajyaguru, sia raffigurato stante sia seduto, ha sempre in mano una bottiglia di medicinali con cui cura e salva l'umanità sofferente. Il suo culto dalla Cina dei Tang passa in Giappone dove è venerato con il nome di Yakushi. Durante il regno di Xuanzong (712-756) entra in Cina, per opera di Vajrabodhi (671-751) e Amoghavajra (705-774), il buddhismo esoterico, che riceve il sostegno della Corte, ma della cui produzione in Cina resta ben poco. Più numerose sono le sue tracce in Giappone. Popolare in Cina è anche il buddhismo della scuola chan, fondata da Bodhi- dharma (c.a prima metà del VI sec.), ma la cui diffusione avvenne solo agli inizî della dinastia Tang con il quinto patriarca Hongren (602-675). È, però, con Huineng (638-713) che la scuola chan acquista la sua reale fisionomia promuovendo la dottrina dell'illuminazione improvvisa. La sua iconografia si basa soprattutto su immagini di arhat e patriarchi. A partire dalla seconda metà del V sec. acquista importanza la stele votiva, il cui sviluppo stilistico è parallelo a quello della scultura rupestre. La stele, collocata nel cortile del tempio o in altre zone, è spesso accompagnata da iscrizioni con date e nome dei donatori, estremamente utili per seguire l'evoluzione stilistica e conoscere le motivazloni dei committenti. Può avere due diverse forme: una tradizionale cinese, sviluppatasi completamente a fine Han (fine lI-inizî III sec.), cioè una lastra rettangolare con base piatta e sommità arrotondata scolpita con draghi intrecciati, le cui superfici anteriori e posteriori sono suddivise in registri; l'altra, diffusasi con il buddhismo, presenta un singolo Β. o una triade che si stagliano in altorilievo su un grande nimbo a forma di foglia. La lavorazione di una stele, come quella delle immagini nei complessi rupestri, è considerata un atto pio che assicura un tranquillo riposo ai defunti o inteso a ottenere grazie di vario tipo. Le stele più antiche presentano nella parte anteriore un B. assiso e in quella posteriore scene della sua vita, e delle vite precedenti o jātaka. Nel VI sec. l'immagine preferita è una triade con figure stanti in una mandorla che funge da nicchia, con varie scene tratte dalla vita del B. sul retro.
Dopo la rivolta di An Lushan, inizia il declino della dinastia Tang. L'arte buddhista non è più in grado di conservare uno stile metropolitano unificato; ormai non riflette più il gusto raffinato delle classi al potere, ma quello della gente comune. A fine Tang ciascuna regione favorisce lo sviluppo di uno stile locale. La feroce persecuzione degli anni 844-845, motivata dalle difficoltà economiche della corte Tang, dà un fiero colpo al buddhismo che sopravvive solo come culto popolare.
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(L Caterina)