BUDDISMO
Il buddismo in Occidente. La presenza buddista in Italia. Bibliografia
Il buddismo in Occidente. – L’Occidente è caratterizzato nel 21° sec. da una presenza importante del b. che, secondo stime aggiornate al 2015, totalizza 520.002.000 fedeli nel mondo. Gli occidentali convertiti (o figli, e ormai anche nipoti, di convertiti) sono oltre tre milioni, cui si devono però sommare oltre quattro milioni di buddisti ‘etnici’ di origine prevalentemente giapponese, cinese, coreana, indocinese e singalese. Le presenze maggiori sono negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, in Australia, in Francia e in Germania. Nella ricezione del b. in Occidente possiamo distinguere – seguendo lo schema di Martin Baumann – tre diverse fasi, che non sono esclusivamente cronologiche, ma sono al contrario compresenti nel tempo. La prima è caratterizzata dall’interesse, puramente teorico, per il b. da parte di intellettuali. Gli ultimi anni sono stati caratterizzati, per es., da una riscoperta dei trascendentalisti americani come Ralph Waldo Emerson (1803-1882) e dell’‘orientalismo’ di Arthur Schopenhauer (1788-1860), che è stato definito «il precursore del buddismo in Occidente».
Un secondo filone è collegato alla Società teosofica, fondata nel 1875 a New York come ponte fra l’esoterismo occidentale e le religioni orientali, nel cui ambito si sono sempre verificate in Occidente vere e proprie ‘conversioni’ al buddismo. Nel corso dell’ultimo decennio c’è stato un forte ritorno d’interesse verso la Società teosofica – dopo un periodo di relativo declino –, a causa soprattutto di iniziative accademiche, esposizioni e studi che hanno messo in luce il suo influsso decisivo sulla nascita dell’arte moderna e dell’astrattismo. Queste iniziative sono state spesso a loro volta veicolo per la diffusione di elementi del b. in Occidente. Fra queste, le grandi esposizioni del 2013 e del 2014 che hanno messo in luce il ruolo, nella nascita dell’astrattismo, della pittrice e teosofa svedese Hilma af Klint (1862-1944), che dedicò al b. un interesse non occasionale, e altre che hanno avuto al centro la pittrice finlandese, anch’essa teosofa, Ilona Harima (1911-1986), la quale ha rappresentato simboli e temi del b. in molte sue opere. Negli Stati Uniti le iniziative che hanno forse più contribuito ad avvicinare gli occidentali al b. attraverso l’arte hanno riguardato la pittrice Charmion von Wiegand (1896-1983), che aderì al b. tibetano e che fu anche discepola e compagna del grande pittore (e teosofo) olandese Piet Mondrian (1872-1944) negli ultimi anni della sua vita. L’iconografia del b. tibetano domina tutta l’ultima fase della produzione pittorica della von Wiegand, con un interesse particolare per il tantrismo.
La terza via occidentale al b. riguarda l’adesione a vere e proprie comunità, e affonda le sue radici in una storia che comincia dopo la Prima guerra mondiale con le iniziative di vari intellettuali europei. Negli ultimi anni, tuttavia, le comunità sono spesso state fondate non da occidentali, ma piuttosto da buddisti venuti dall’Asia in Occidente come immigrati o come rifugiati politici. Negli Stati Uniti, un certo numero di occidentali è così entrato in contatto con il b. di scuola shingon e zen, largamente diffuso fra gli immigrati giapponesi. Un processo analogo continua a verificarsi in Brasile. In Europa, accanto alle componenti tradizionalmente radicate dal lavoro di intellettuali occidentali – la theravada e la zen – nel 21° sec. cominciano a essere conosciute anche forme di b. giapponese della tradizione di Nichiren e di quella esoterica shingon, e tibetano delle diverse scuole vajrayana, portate invece nel continente europeo da maestri asiatici. La tormentata situazione del Tibet e le precarie condizioni dei tibetani che si sono rifugiati in India continuano ad alimentare il trasferimento in Occidente di monaci e maestri, oltre a mantenere l’attenzione mediatica sul XIV Dalai Lama (n. 1935) come figura di grande notorietà internazionale. I due filoni che sembrano suscitare maggiore interesse sono oggi quello giapponese – zen o Nichiren – e quello tibetano.
La presenza buddista in Italia. – Un caso a suo modo paradigmatico è quello dell’Italia, dove maestri buddisti orientali erano arrivati più tardi rispetto alla Gran Bretagna o alla Francia, sia per la virtuale assenza di immigrazione da Paesi a maggioranza buddista prima del 21° sec., sia per la mancanza di legami coloniali con il mondo buddista. Tuttavia figure di buddisti occidentali sono all’origine di comunità tuttora esistenti in Italia. Così l’italo-americano Salvatore Ciuffi (‘Lokanatha’, 1897-1966), una figura nota e rispettata in Birmania e in India come monaco itinerante, ha portato in Italia una tradizione theravada, grazie alla collaborazione di Eugenio Frola (1906-1962). Cruciale resta poi la figura di Giuseppe Tucci (1894-1984), insigne studioso e divulgatore, sulla base di un interesse personale, del b. tibetano in Italia. L’Istituto italiano per il Medio ed Estremo Oriente (IsMEO; dal 1995 Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, IsIAO) – di cui il medesimo Tucci fu fondatore, nel 1933, assieme a Giovanni Gentile, primo presidente, cui dal 1947 succederà Tucci fino al 1978 – continua a curare la traduzione e la catalogazione di una vasta biblioteca di testi buddisti, soprattutto tibetani, e, benché abbia scopi accademici e non direttamente religiosi, ispira certamente molti italiani interessati al buddismo.
La presenza buddista in Italia è cresciuta in modo spettacolare nel periodo che va dal 2005 al 2015, con riferimento a due principali filoni. Il primo – di tradizione theravada, zen e tibetana – è confluito nell’Unione buddhista italiana (UBI). La firma, nel 2000, da parte dell’allora presidente del Consiglio Massimo D’Alema, dell’Intesa fra lo Stato italiano e l’UBI – con le successive modifiche al testo, sottoscritte nel 2007 dall’allora presidente del Consiglio Romano Prodi –, è stata approvata dal Parlamento dopo un lungo iter l’11 dicembre 2012, e ha consacrato e confermato la crescita di questo tipo di b. nel nostro Paese.
Il secondo filone è quello del b. di scuola Nichiren della Soka Gakkai, fondata nel 1930 in Giappone da Tsunesaburo Makiguchi (1871-1944) e Josei Toda (19001958), oggi una delle maggiori organizzazioni buddiste mondiali. Un certo esclusivismo tipico della tradizione Nichiren fa sì che la Soka Gakkai non partecipi in genere agli organismi di cooperazione interbuddista. In Italia non fa parte dell’UBI, anche se i rapporti sono cordiali.
I praticanti buddisti in Italia sono attualmente circa 140.000, di cui 70.000 membri della Soka Gakkai, l’organizzazione buddista con il maggior numero di membri presenti in Italia, cui si devono aggiungere 100.000 buddisti ‘etnici’ immigrati dai Paesi asiatici. Vi sono anche, distribuiti tra le varie tradizioni, una quarantina di monaci ordinati italiani e alcune monache che hanno pronunciato i voti minori. In linea generale, nel nostro Paese, accanto ai principali centri e realtà rappresentativi delle maggiori scuole buddiste – ampiamente rappresentate nel contesto dell’UBI –, si segnalano gruppi che agiscono su scala prettamente locale, nonché singoli praticanti, spesso in raccordo e collaborazione con i centri principali che, dal canto loro, nella maggior parte dei casi si avvalgono della guida spirituale di un monaco residente che funge spesso da riferimento anche per i centri minori.
Bibliografia: S. Batchelor, The awakening of the West. The encounter of buddhism and Western culture, Berkeley-London1994 (trad. it. Roma 1995); M.A. Falà, Il buddhismo in Occidente e Il buddhismo in Italia, appendici a W. Rahula, L’insegnamento del Buddha, Roma 19942, rispettiv. pp. 109-21 e 122-32; J.W. Coleman, The new buddhism. The Western transformation of an ancient tradition, Oxford-New York 2001; Westward dharma. Buddhism beyond Asia, ed. C.S. Prebish, M. Baumann, Berkeley-Los Angeles-London 2002; Buddhist missionaries in the era of globalization, ed. L. Learman, Honolulu 2005.