Bulgaria
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(VIII, p. 66; App. I, p. 325; II, i, p. 467; III, i, p. 270; IV, i, p. 321; V, i, p. 436)
Geografia umana ed economica
Popolazione
La popolazione (8.336.000 nel 1998, secondo una stima ONU), in lieve diminuzione nell'ultimo decennio del 20° sec., a causa del tasso di natalità costantemente basso (8,1‰ nel 1995) e di una sensibile emigrazione, è relativamente omogenea, in quanto i Bulgari sono in forte maggioranza (86% del totale); la minoranza principale è quella tradizionale dei Turchi (9%) e numerosi sono anche gli zingari (4%). Dal punto di vista religioso, alla forte maggioranza di fede cristiana ortodossa, riconosciuta dalla nuova Costituzione (1991) "religione tradizionale in Bulgaria", si affianca una non trascurabile minoranza musulmana (13,1%).
La capitale Sofia, con più di 1,4 milioni di ab. nell'area metropolitana, è in crescita (anche per la preferenza accordatale dai primi investimenti occidentali) e domina la rete insediativa del paese, che ha in Plovdiv, Varna e Burgas (dai 200.000 ai 350.000 ab. ciascuna) i suoi poli secondari.
Condizioni economiche
L'economia bulgara include un settore agricolo che offre una discreta varietà di prodotti, e che sul finire del millennio assorbe circa un quarto della popolazione attiva. La privatizzazione delle terre è stata avviata fin dai primi anni Novanta abbastanza decisamente, e l'agricoltura privata fornisce oggi quote consistenti e crescenti di molte derrate. Produzioni cerealicole cospicue sono sia quella del grano sia quelle del mais e dell'orzo, cui si associano la patata e i fagioli, oltre al riso, ricavato in coltura irrigua nella valle della Maritsa. Tra le colture industriali spiccano quella del girasole e soprattutto del tabacco - di cui la B. è, con Grecia e Italia, uno dei maggiori produttori europei - oltre a quella, assai tipica nell'alta valle della Tundža, della rosa da essenza (valida fonte di esportazioni verso l'industria cosmetica occidentale).
Le terre più asciutte e impervie sono occupate da pascoli magri, utilizzati per l'allevamento di un buon numero di ovini; altro allevamento notevole è quello dei suini. Gran parte delle aree montane, peraltro, è occupata da boschi (più di un terzo del territorio nazionale), con buona produzione di legname.
La lignite, estratta in discreta quantità, e il ferro in misura minore rappresentano le risorse minerarie principali del paese; su queste modeste basi era stata costruita, seguendo strettamente il modello sovietico, l'industria pesante bulgara. Per la produzione di energia si conta essenzialmente (anche per la presenza nel paese di uranio) sulla grande centrale nucleare di Kozloduj presso il Danubio, i cui vecchi reattori sovietici sono stati di recente portati a livelli di sicurezza accettabili; una centrale più moderna è stata costruita a Belene (sempre sul Danubio, più a valle), peraltro fra le proteste della popolazione ormai consapevole dei rischi legati al nucleare.
Siderurgia, meccanica e chimica, accanto ai tradizionali settori tessile e della lavorazione del tabacco, sono tuttora le attività industriali dominanti, particolarmente sviluppate nella regione della capitale (le costruzioni navali a Varna, sul Mar Nero); ma negli ultimi anni si sono affermate anche produzioni avanzate, come quelle elettroniche. La privatizzazione in campo industriale si è avviata lentamente e sotto lo stretto controllo dello Stato, nel 1995-96, ostacolata dai segnali economici contraddittori che continuano a manifestarsi nel paese, e nel 1998 aveva interessato solo il 17% del settore.
La B. ha firmato un importante accordo di 'associazione' con l'Unione Europea - ma le prospettive di una sua ammissione a essa in qualità di membro effettivo sono ancora lontane - e d'altro canto ha aderito a una 'zona di cooperazione del Mar Nero' con la Romania, la Moldavia e l'Ucraina (1992). *
bibliografia
G. Prévélakis, Les Balkans. Cultures et géopolitique, Paris 1994 (trad. it. Bologna 1997); D.W. Buckwalter, Spatial inequality, foreign investment, and economic transition in Bulgaria, in Professional geographer, 1995, 47; J. Bristow, The Bulgarian economy in transition, Cheltenham 1996.
Storia
di Luisa Azzolini
Il lento processo di transizione verso un'economia di mercato condizionò fortemente la vita politica e sociale della B. negli anni Novanta, nonché la sua 'normalizzazione' nel quadro di quella 'democrazia moderna governata dal diritto', auspicata dal successore di T. Živkov, P. Mladenov, all'atto della sua nomina a presidente della Repubblica nel dicembre 1989.
Fortemente dipendente da Mosca sia per gli interscambi commerciali sia per l'approvvigionamento energetico, la B. trovò grandi difficoltà a inserirsi in un mutato assetto economico internazionale dominato dalla crisi della Russia post-sovietica, dall'instabilità dell'area balcanica e dalla relativa 'lontananza' di un'Europa occidentale in cui la B. aspirava a entrare. Le misure di privatizzazione delle aziende statali e delle terre, di liberalizzazione dei mercati e di riconversione di un obsoleto apparato industriale orientato alle necessità dell'ex URSS, intraprese dagli anni Novanta, subirono numerosi arresti temporanei a causa degli elevatissimi costi sociali e del rapido deteriorarsi delle condizioni di vita della popolazione. Ciò determinò una situazione di grave instabilità politica, caratterizzata dall'alternanza al governo dei socialisti, accusati di boicottare le riforme e di voler restaurare il vecchio ordine, e delle nuove forze democratiche di opposizione, divise al loro interno e non in grado di procedere con risolutezza sulla via delle riforme.
Nel giugno 1990 fu eletta in B. una nuova Assemblea nazionale con poteri costituenti; la maggioranza dei seggi andò al neo Partito socialista bulgaro (PSB, ex Partito comunista) che, grazie essenzialmente alla propria struttura organizzativa, ottenne il 47% dei voti contro il 36% dell'Unione delle forze democratiche (UFD). Quest'ultima comprendeva una quindicina di partiti e gruppi dissidenti, fra cui Ecoglasnost, e godeva del sostegno della più importante unione sindacale, Podkrepa. Il leader dell'UFD, Z. Želev, diventò presidente della Repubblica il 1° agosto, in seguito alle votazioni dell'Assemblea determinate dalle dimissioni di Mladenov.
Il governo socialista guidato da A. Lukanov, in carica dal febbraio 1990, privo in Parlamento della maggioranza assoluta necessaria per avviare il programma di riforme economiche, contrastato dall'UFD e incalzato dalle dimostrazioni antigovernative che si succedettero negli ultimi mesi del 1990 a causa del peggioramento delle condizioni economiche (penuria di generi alimentari e di combustibile), venne sostituito nel dicembre 1990 da un gabinetto di coalizione, presieduto dall'indipendente D. Popov e comprendente il Partito socialista bulgaro (PSB), l'UFD e l'Unione agraria. I passi del nuovo governo verso la costituzione di un'economia di mercato consistettero da una parte nella trasformazione di alcune imprese statali in società per azioni (dirette da ex appartenenti alla nomenclatura comunista) e dall'altra nell'abolizione di ogni controllo sui prezzi (febbraio 1991). Entrambi i provvedimenti suscitarono l'opposizione popolare: il primo perché pregiudicava un effettivo cambiamento della classe dirigente bulgara, il secondo perché provocava una brusca impennata nei prezzi di tutti i prodotti, compresi i generi di prima necessità.
Di conseguenza, dopo il varo nel luglio 1991 della nuova Costituzione (che introduceva il suffragio universale diretto per l'elezione del presidente della Repubblica), le elezioni legislative dell'ottobre 1991 videro l'affermazione dell'UFD che ottenne 110 seggi contro i 106 del PSB, mentre il Movimento per i diritti e le libertà (MDL), espressione della minoranza turcofona, diventò la terza forza politica con 24 seggi. Il leader dell'UFD, F. Dimitrov, formò il nuovo governo in novembre, mentre nel gennaio 1992 Želev venne rieletto presidente della Repubblica.
Dimitrov proseguì sulla via delle riforme restaurando la proprietà privata sulle terre, avviando la restituzione dei fondi confiscati dallo Stato fra il 1947 e il 1962 e continuando la privatizzazione delle aziende statali. Tuttavia l'azione del governo fu compromessa dalle tensioni sociali causate dai costi della politica di aggiustamento strutturale dell'economia: la disoccupazione dilagante e la crisi energetica, aggravata dalla chiusura di alcuni reattori della centrale nucleare di Kozlodui e dalla drastica diminuzione del petrolio russo, provocarono per tutto il 1992 ampie manifestazioni di protesta e scioperi generali dei minatori, dei portuali, degli impiegati statali, dei medici e degli insegnanti. Contrastato ormai dalle due principali organizzazioni sindacali, Podkrepa e la Confederazione dei sindacati indipendenti, e criticato sia all'interno del partito sia dal presidente Želev, Dimitrov si vide costretto, nel dicembre 1992, a cedere la Presidenza del consiglio all'economista indipendente L. Berov, il cui governo ricevette l'appoggio parlamentare del PSB e dell'MDL.
Il nuovo gabinetto, tuttavia, risultò ben presto un'alternativa poco credibile prima di tutto agli occhi dell'UFD (da cui si era distaccata una fazione pro-Berov favorevole a un riavvicinamento al PSB), che nell'arco di diciotto mesi propose ben cinque mozioni di sfiducia al governo, accusato di voler reintrodurre il comunismo nel paese. Nel frattempo la B. si trovava in una fase di acuta recessione, con metà della popolazione al di sotto della soglia di povertà, l'inflazione oltre il 70% e una nuova svalutazione del 30% del lev.
Nell'aprile 1994 il presidente Želev tolse pubblicamente il proprio appoggio al governo di Berov a causa del suo fallimento nell'attuazione delle riforme economiche (l'introduzione, sempre in aprile, di un'imposta sul valore aggiunto provocò nuove ondate di manifestazioni popolari), mentre l'UFD già da mesi chiedeva elezioni anticipate imputando al governo la crescita drammatica della criminalità nel paese. Nel settembre 1994, infine, Berov offrì le proprie dimissioni, che vennero seguite, nel dicembre, dalle elezioni parlamentari vinte dal PSB che ottenne 125 seggi contro i 69 dell'UFD e i 15 del MDL. In seguito alla netta affermazione elettorale, il leader socialista Z. Videnov costituì, nel gennaio 1995, un governo di coalizione fra i socialisti e due forze minori.
Il nuovo gabinetto socialista, pur senza mettere in discussione la politica di riforme avviata dai suoi predecessori, annullò una legge del 1992 che proibiva agli ex comunisti di accedere alle cattedre universitarie e dilazionò i termini della restituzione di determinati terreni ai proprietari, provvedimento che alimentò un diffuso malcontento e provocò manifestazioni di massa nel corso del 1995. Il licenziamento dei vertici della radio-televisione nazionale, colpevoli di aver contestato il ripristino della censura, venne interpretato dall'opinione pubblica come un attentato alla libertà di espressione, mentre lo 'scandalo del grano' del 1996 minò ulteriormente la credibilità del governo socialista, legato ad alcune società che avevano acquistato ingenti quantità di grano bulgaro a basso prezzo per rivenderle sui mercati del Vicino Oriente, provocando una penuria di grano nel paese. Nel quadro di un aumento indiscriminato della violenza, della criminalità urbana (nel maggio 1996 il ministro degli Interni dovette dimettersi a causa dell'assassinio di tre agenti di sicurezza, mentre nel mese di ottobre venne assassinato l'ex primo ministro socialista A. Lukanov) e della contestazione per l'incapacità dimostrata dal governo nel perseguire gli aggiustamenti strutturali dell'economia, crebbe il malcontento nei confronti del PSB e del suo leader, portando, ancora una volta, alla richiesta di elezioni anticipate.
Il fallimento del PSB provocò la sconfitta del candidato socialista alle elezioni presidenziali dell'ottobre 1996, vinte al secondo turno dal candidato dell'UFD, P. Stojanov, che nelle primarie del partito aveva prevalso su Želev.
Nel mese di dicembre l'Assemblea nazionale accolse la richiesta di dimissioni di Videnov, sollecitata da una serie di manifestazioni orchestrate dall'UFD. La nomina di N. Dobrev, ex ministro dell'Interno del governo in carica, scatenò un'ondata di violente dimostrazioni che culminarono, il 10 gennaio 1997, nel tentativo di occupare il Parlamento, soffocato nel sangue dalle forze di polizia. Alla fine del mese di gennaio, fra scioperi e manifestazioni, il presidente Stojanov riuscì a formare un 'governo di servizio' guidato dal sindaco di Sofia, S. Sofianski, che consentì la ripresa delle riforme economiche, secondo i dettami del Fondo monetario internazionale, in attesa di nuove elezioni legislative. Queste si tennero il 19 aprile 1997 e videro (con il 52,6% dei suffragi) la netta affermazione delle forze di opposizione guidate dal leader dell'UFD, I. Kostov. Nuovo capo del governo dal maggio 1997, Kostov accelerò il processo di trasformazione dell'economia, adottando fra l'altro misure volte a facilitare gli investimenti stranieri (settembre 1997) e abolendo, nel maggio 1998, ogni forma di sussidio al settore agricolo.
In ambito internazionale, la B. mantenne saldi legami con la Russia e con i paesi dell'Est europeo (nel giugno 1992 entrò a far parte del Gruppo di cooperazione economica del Mar Nero), pur orientandosi sempre più verso l'Europa occidentale: nel 1992 entrò a far parte del Consiglio d'Europa e nel 1996 chiese ufficialmente di entrare a far parte dell'Unione Europea. Inoltre, nel febbraio 1997, chiese di aderire alla NATO, ultimo fra i paesi dell'ex patto di Varsavia a pronunciarsi. Le difficili relazioni con la Turchia, eredità della politica nazionalista di Živkov, conobbero un progressivo miglioramento nei primi anni Novanta, allorché il governo bulgaro abbandonò la politica di integrazione forzata della minoranza turcofona in B. e si impegnò a utilizzare e insegnare la lingua turca nelle regioni interessate. La nuova fase nei rapporti bulgaro-turchi fu suggellata dalla visita di stato, nel luglio 1995, del presidente turco S. Demirel. Dopo alcuni anni di forti tensioni migliorarono, a partire dai primi mesi del 1999, le relazioni con lo Stato di Macedonia, riconosciuto dalla B. nel 1992.
bibliografia
C. Civiic, Remaking the Balkans, London 1991 (trad. it. Bologna 1993).
L'Europa tra Est e Sud. Sicurezza e cooperazione, a cura di R. Aliboni, Milano 1992.
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