MONTEMAGNO, Buonaccorso da
MONTEMAGNO, Buonaccorso da (Buonaccorso il vecchio). – Figlio di Lapo da Montemagno, nacque probabilmente a Pistoia nel primo ventennio del secolo XIV.
Dai documenti risulta che ebbe quattro fratelli, Gherardo, Ottaviano, Rinieri e Currado: di tutti costoro, a eccezione dell’ultimo, si hanno notizie di incarichi pubblici nel periodo che va dagli anni Trenta agli anni Cinquanta del XIV secolo, segno del grosso rilievo che la famiglia aveva nella vita politica pistoiese. Dati questi elementi, colpisce il fatto che i da Montemagno non vengano mai citati negli elenchi delle casate magnatizie del 1329 e del 1344. L’ipotesi avanzata da Guido Zaccagnini a questo proposito, sulla base di un caso analogo documentato nel 1429 per le casate dei Rossi e dei Taviani, è quella di una volontaria rinuncia al ruolo magnatizio della famiglia al fine di permettere ai suoi membri di ricoprire cariche pubbliche da cui sarebbero stati altrimenti interdetti.
La famiglia godette di particolari diritti a Firenze a partire dal XIII secolo, da quando cioè al bisnonno di Buonaccorso, Corrado, venne concessa la cittadinanza, il possesso di una casa al Ponte della Carrara, la possibilità di ricoprire cariche pubbliche e l’esenzione da ogni tributo come forma di ricompensa per aver combattuto a fianco di Carlo d’Angiò nella vittoriosa battaglia del febbraio 1266 di Benevento contro Manfredi (≪e di questa gente, Guelfi di Firenze e di Toscana, era capitano il conte Guido Guerra, e la ’nsegna di loro portava in quella battaglia messer Currado da Montemagno di Pistoia≫: così Giovanni Villani nella sua Nuova Cronica, VIII, 8, a cura di G. Porta, I, Milano- Parma 1990-91, p. 420).
Dal momento che Buonaccorso si trova citato tra gli Anziani di porta Caldatica nel 1340 in sostituzione del fratello Gherardo, a quei tempi occupato in una podesteria (la stessa sostituzione si verificherà ancora in altre tre occasioni, sempre in giugno, rispettivamente nel 1346, 1347 e 1349), e tenendo conto che l’età minima per assumere un ufficio pubblico era di 24 anni, la sua data di nascita e stata situata da Zaccagnini (1899) al secondo decennio del XIV secolo, tra il 1313 e il 1316.
Poiché viene spesso designato con l’appellativo di ≪messere≫, Casotti (curatore sotto il nome accademico dell’Invitante della stampa fiorentina edita da Manni nel 1718) suppone che si trattasse di un giurista, come lo saranno per certo il figlio Giovanni e il nipote Buonaccorso il Giovane, ma va precisato che non esistono prove positive a sostegno dell’ipotesi. L’ampia documentazione raccolta da Zaccagnini vede Buonaccorso partecipare a varie cariche pubbliche nella città di Pistoia. Il primo incarico a suo nome in qualità di membro del consiglio degli Anziani risale al giugno 1350. In seguito lo si ritrova ripetutamente gonfaloniere della città, nell’ottobre e poi nel novembre 1352, nel dicembre 1354 e nel gennaio 1355: come gonfaloniere di porta Caldatica nell’ottobre e nel novembre 1364. Sempre nel 1364 viene menzionato tra gli operai di S. Iacopo. Nel consiglio degli Anziani siede nel marzo 1367 e poi due volte nel 1369 e due nel 1370. Nel 1373 è nell’ufficio degli Otto e poi gonfaloniere di giustizia di porta Caldatica nel maggio e giugno 1375 e nel gennaio e febbraio 1380.
Numerosi furono anche i suoi incarichi fuori dalla città, nel contado pistoiese, segno dell’enorme rilevanza politica ricoperta dalla famiglia e, più nello specifico ancora, dalla sua persona. Buonaccorso fu infatti podestà a Montale nel dicembre del 1348 e a Serravalle nel marzo del 1359. Non poté assumere un’altra podesteria a Serravalle, nel 1352, perché in quello stesso periodo era stato eletto tra gli Anziani. Nel 1380 risulta menzionato per l’ultima volta tra gli Anziani, mentre il 4 dicembre 1381 fu creato cavaliere da Lazzaro Ricciardi dei Cancellieri. Dopo quest’ultima data non si hanno più menzioni che lo riguardano, pertanto la sua morte è collocabile all’incirca nel periodo che intercorre tra il 1382 e il 1390.
Il terminus ante quem del 1390 è stato stabilito sulla base del fatto che nel suo ruolo all’interno degli Anziani gli subentrò il figlio Giovanni (≪dominus Johannes domini Bonaccursi, legum doctor b[ursae] s[ancti] Iohannis P[ortae] C[aldaticae]≫, Priorista di Pier Lorenzo Franchi, cit. in Zaccagnini, 1899, pp. 7 s.: va comunque sottolineato che, a rigore, nel documento in questione non c’è nulla che suggerisca che a quella data Buonaccorso fosse già morto). A differenza del figlio e del nipote, non risulta che abbia mai abitato a Firenze.
Per quel che concerne l’attività poetica di Buonaccorso, le sue rime sono state a lungo confuse con quelle del nipote: Raffaele Spongano (sua l’edizione critica di entrambi, cui si rimanda: Le rime dei due Buonaccorso da Montemagno, Bologna 1970), gli ha attribuito otto sonetti e un madrigale (cosi definito da Spongano, p. 84: ma si tratta piuttosto di una stanza di canzone). È probabile, tuttavia, che da questo scarno manipolo di testi debba essere espunto il sonetto Lume che’n questo tenebroso orrore (ibid., p. 87), tramandato dai soli codici 165 della Biblioteca universitaria di Bologna (cinquecentesco) e B.114 della Forteguerriana di Pistoia (quest’ultimo copiato nel XVIII secolo da Tommaso Turini e, per la sua maggior parte, esplicita copia di stampe precedenti): per esso infatti Spongano ha avanzato il sospetto che si tratti di una poesia addirittura del XVI secolo.
La vicenda delle rime di Buonaccorso il Vecchio, dunque, è inestricabilmente intrecciata a quella dell’omonimo, più noto e ben più prolifico nipote, il che ha comportato che alcuni dei suoi sonetti abbiano avuto una fortuna manoscritta notevolissima. Il più diffuso e Erano e mia pensier ristretti al core (ibid., p. 81), attestato in quasi 40 manoscritti (in due di essi con attribuzione al Saviozzo), tra cui – ed è un dato notevole per spiegarne il rilievo letterario – i derivati della perduta Raccolta Aragonese, così chiamata dal nome dal dedicatario, Federico d’Aragona. Di questa antologia, commissionata da Lorenzo de’ Medici ma la cui compilazione è da attribuire molto probabilmente ad Angelo Poliziano, autore anche della lettera prefatoria, è possibile ricostruire la fisionomia grazie a un certo numero di codici da essa derivati: si apriva con le poesie dei poeti della Scuola siciliana e arrivava allo stesso Lorenzo; in questa chiave, Buonaccorso (ma naturalmente qui Poliziano pensa a Buonaccorso il giovane) è uno fra i pochi autori tre-quattrocenteschi inclusi (se si eccettua ovviamente Petrarca).
In Erano e mia pensier ci si trova di fronte al recupero di una situazione tipicamente petrarchiana, ossia la coincidenza del momento dell’innamoramento con quella di una situazione religiosa che, a rigore, dovrebbe invece fugare ogni tentazione mondana: in Petrarca (Rerum Vulgarium Fragmenta, III) tale situazione è quella del giorno penitenziale del venerdì santo, in Buonaccorso invece quella di una confessione in chiesa (≪Erano e mia pensier ristretti al core / dinanzi a quel che nostre colpe vede, / per chieder con disio dolce merzede / d’ogni antico mortal commesso errore≫; vv. 1-4). Nelle terzine però il materiale tematico diviene molto più tradizionale e riagganciabile al modo stilnovista e in particolare a Guinizelli. Il sonetto in questione pone comunque il problema del rapporto tra Buonaccorso e l’autore del Canzoniere, più vecchio di solo un decennio: rapporto non è dimostrabile positivamente, dal momento che l’unica prova letteraria di una salda amicizia tra i due sarebbe il già citato sonetto Lume che’n questo tenebroso orrore (Le rime..., p. 87), scritto secondo il tardo Forteguerriano B.114 in morte del Petrarca ma di paternità, come si diceva, tutt’altro che certa. Assenti le prove dirette, rimane da dire che anche dal punto di vista stilistico le concordanze tra Buonaccorso e Petrarca appaiono assolutamente fortuite e sporadiche: anzi, il primo appare fondamentalmente legato da un lato a elementi tecnici e retorici arcaicizzanti, mentre dall’altro mostra elementi che permettono di connetterlo alla sperimentazione post-stilnovista che si diffuse soprattutto nella Toscana trecentesca e che si caratterizzò per un pronunciato eclettismo tonale. A una simile temperie sarà ad esempio da ricondurre il sonetto Amor con le sue man compuose te (ibid., p. 79), tutto basato sull’artificio delle rime tronche, o Lasso, dappoi che per amor tanto arsi (ibid., p. 86), centrato sull’insistita anafora della parola ≪invan≫ (sino al parossismo dei vv. 9 s.: ≪Invan le rime! Invano ogni mio verso! / Invano ogni fatica! Invan mia spera!≫). Non diversa la conformazione di un altro tra i sonetti più fortunati di Buonaccorso, Non vide unque mai ’l sol, che tutto vede (ibid., p. 89), cibreo di elementi stilnovisti e danteschi, mentre una qualche maggior aderenza al modello petrarchesco dimostra S’i’ consento al desio che mi molesta (ibid., p. 91).
Dati questi elementi, è probabile che la produzione poetica di Buonaccorso sia stata fondamentalmente occasionale e che cronologicamente la si possa situare più nella prima che nella seconda metà del secolo. Non osta, e anzi conferma l’ipotesi, l’unica poesia databile, la stanza di canzone Inclita Maestà felice e santa (ibid., p. 84). Attestata quasi sempre unitariamente a Erano e mia pensier, e dunque anch’essa presente nella Raccolta Aragonese, la stanza è dedicata all’imperatore Carlo IV di Boemia. In essa si chiede a Carlo, con accenti assolutamente generici (ci si trova di fronte al motivo già dantesco dell’Italia ≪bella pianta, / fama del tuo bel nome eternal≫, vv. 4 s., trascurata dal potere imperiale), di discendere nella penisola e riportare la pace (≪circunda omai con gli onorati passi / Italia nostra peregrina intorno≫, vv. 8 s.). Dal momento che la prima discesa (tutt’altro che proficua per l’Italia) avvenne in effetti nel 1354-55, tali date funzionano anche da terminus ante quem per la cronologia dei versi di cui si discute.
Fonti e Bibl.: Prose e rime de’ due Buonaccorsi da Montemagno con annotazioni ed alcune rime di Niccolò Tinucci, a cura di G. Casotti, Firenze 1718, pp. XX-XXXIV; G. Zaccagnini, Notizie sulla vita di Buonaccorso da Montemagno il giovane, in Bull. stor. pistoiese, I (1899), pp. 62-64 (poi ampl. col titolo Buonaccorso da Montemagno il giovane. Studio biografico con notizie delle «prose», in Studi di letteratura italiana, I [1899], pp. 7-9).