PITTI, Buonaccorso di Neri
PITTI, Buonaccorso (Bonaccorso) di Neri. – Nacque a Firenze nel quartiere di Santo Spirito (gonfalone del Nicchio), il 25 aprile 1354; fu uno degli otto figli di Neri di Buonaccorso Pitti e Curradina di Giovanni di Ubertino Strozzi.
I Pitti appartenevano al ceto dei commercianti e lanaioli; il padre era proprietario di un tiratoio.
Non si sa molto della sua infanzia e adolescenza; certo ricevette la classica educazione dei mercanti e frequentò una scuola di abaco, mentre è improbabile che abbia frequentato una scuola di grammatica. Alla morte del padre (1374), Buonaccorso fu inviato dai familiari a occuparsi degli affari di un cugino a Venezia. Nel 1375 seguì il mercante Matteo dello Scelto Tinghi nei suoi viaggi a Genova, Pavia, Nizza e Avignone. Nel 1376 lo accompagnò di nuovo in Ungheria per vendere una partita di zafferano; a Buda si ammalò, ma diede anche prova della sua grande abilità nel gioco d’azzardo vincendo delle somme cospicue, che gli permisero di tornare a Firenze, dopo sei mesi, abbastanza ricco.
Gli sconvolgimenti politici a Firenze dopo il tumulto dei Ciompi (1378) segnarono una svolta nella vita di Buonaccorso, che si rifugiò a Pisa in casa di Matteo Tinghi dopo aver ucciso uno scalpellino. Un primo tentativo degli arciguelfi, politicamente affini a Pitti, di rientrare con la forza a Firenze fallì. Nei mesi successivi egli si dedicò quindi di nuovo al commercio; ma nel 1380 fu coinvolto, a Pisa, in un altro grave fatto di sangue, l’uccisione di Matteo di Ricco Corbizi da parte di Niccolò di Betto Bardi, tiratore di lana e futuro padre di Donatello. Costretto a fuggire, si recò a Lucca, a Genova, a Verona, in Romagna, e infine tornò in Toscana, dove gli esuli fiorentini, sotto la guida di Carlo III d’Angiò-Durazzo, re titolare di Napoli, provarono vanamente a rovesciare il regime al potere a Firenze. Iniziò pertanto per lui un lungo periodo di residenza all’estero, prima a Parigi, poi a Bruxelles su richiesta del mercante fiorentino Bernardo di Cino Nobili per misurarsi nel gioco con Venceslao di Lussemburgo, duca di Brabante, quindi in Inghilterra, e di nuovo a Parigi.
Restaurato il regime oligarchico a Firenze, Buonaccorso Pitti vi soggiornò brevemente nell’estate del 1382, e quindi fece ritorno in Francia e in Fiandra diventando testimone di vari fatti della Guerra dei cent’anni. Tornò a Firenze nel 1385 e nel 1386; ma soltanto nel 1391, dopo un lungo peregrinare nel Centro e nel Nord dell’Europa (ancora in veste di giocatore professionista, avendo come soci mercanti, cortigiani e principi), rimpatriò in maniera definitiva.
Con la mediazione di uno dei più influenti cittadini dell’epoca, Guido di Tommaso del Palagio, Pitti riuscì in poco tempo a trovare una moglie del suo stesso livello sociale, Francesca di Luca di Piero Albizzi; inoltre, concluse una tregua formale con i Corbizi, firmata nel 1393, trasformatasi in una pace definitiva nel 1399. A partire dal 1395 e nell’arco di quasi vent’anni la moglie gli avrebbe dato ben tredici figli.
Contemporaneamente all’attività di mercante, Pitti percorse un prestigioso cursus honorum che – iniziato nel 1391 come membro degli Otto di Guardia e Balìa – lo legò a personaggi eminenti come il Salutati (che nel 1395, scrivendo al segretario regio Jean de Montreuil, lo definisce «frater meus») e lo portò a ricoprire vari incarichi a Firenze e nel Dominio, ma soprattutto come ambasciatore – essendo già egli ricco di esperienze in Italia e in Europa, data la padronanza della lingua francese. Una prima serie di impegni lo condusse ripetutamente, negli anni 1394-98, in Francia e dintorni. Nel 1394 rappresentò Firenze presso il signore di Coucy ad Asti; fu poi a Parigi presso Carlo VI e Luigi di Valois duca di Orléans, e nel 1396 ad Avignone presso Benedetto XIII. Per conto di Isabella di Baviera regina di Francia, nello stesso anno mediò una lega antiviscontea tra Firenze e la Francia; qui tornò nei primi mesi del 1397 (passando dall’Austria e dalla Svizzera) per esporre la sua ambasciata a Carlo VI. Gli aiuti promessi si rivelarono inutili, per la tregua tra Milano e Venezia conclusa l’11 maggio 1398.
Dopo l’elezione del nuovo re dei Romani, Roberto di Baviera (20 agosto 1400), Buonaccorso Pitti fu inviato presso di lui a sollecitarne la discesa in Italia per l’incoronazione, e l’impegno contro Giangaleazzo Visconti che minacciava Firenze. Il racconto della missione del 1401 in Germania e poi in Veneto (dove il 15 ottobre il sovrano gli donò le armi e lo ricevette tra i suoi ‘nobili’, secondo un documento oggi irreperibile e che si legge nell’introduzione alla prima edizione dei suoi Ricordi, del 1720), è uno dei suoi più famosi ‘ricordi’, sebbene l’azione del re dei Romani si rivelasse in seguito fallimentare.
Tra il 1402 e il 1406 si colloca un’altra serie di uffici intriseci ed estrinseci nel territorio fiorentino. Nel 1407-08 Pitti si recò in Francia per ottenere la liberazione di Bartolomeo Popoleschi e Bernardo Guadagni, arrestati in rappresaglia in seguito alla conquista fiorentina di Pisa. Al ritorno lo aspettarono altre nomine per uffici comunali; il tentativo di convincere il nuovo papa, Alessandro V, a concedere il ricchissimo ospedale di Altopascio a un suo nipote non andò a buon fine a causa del mancato consenso del governo fiorentino. Nel 1410 si recò con Alamanno Salviati a Roma per sostenere Luigi II d’Angiò nella lotta contro il re di Napoli Ladislao di Durazzo, e assoldò per il Comune il condottiere Sforza da Cotignola.
Dopo la pace tra Firenze e re Ladislao di Napoli, nel dicembre del 1410, ricoprì svariati incarichi pubblici, sedendo anche tra gli scrutinatori dell’arte della lana; per tutta la vita fu infatti uno degli iscritti più importanti della corporazione, ricoprendo la carica di console ben sette volte. Nel 1413 Pitti fu per breve tempo tenuto agli arresti dall’esecutore degli ordinamenti di giustizia assieme al fratello Bartolomeo per una presunta rivelazione di segreti agli ambasciatori di re Ladislao commessa dall’altro fratello Luigi; rilasciato, servì nuovamente in vari uffici comunali. Nel 1414 si trasferì un’altra volta in Provenza e a Parigi per riscuotere alcuni vecchi crediti, e l’anno successivo tornò a Firenze giusto in tempo per assumere l’ufficio di vicario del Valdarno di Sopra (6 marzo 1415). Nel 1416 ricoprì l’incarico di ambasciatore a Foligno, e nei mesi di marzo e aprile 1417 rivestì per la prima volta la suprema carica di gonfaloniere di Giustizia. Nel febbraio 1422 si recò a Venezia in qualità di ambasciatore, prima di essere estratto per la seconda volta come gonfaloniere di Giustizia (luglio-agosto 1422). Gli anni successivi, fino al 1431, quando fu prima uno dei rappresentanti del Comune a offrire il cero alla festa di S. Giovanni (24 giugno) e poi uno degli ufficiali dell’onestà, furono segnati da un’altra serie di incarichi importanti.
Morì dopo il 5 agosto 1432. Aveva fatto testamento il 17 marzo 1425 (non novembre, come scritto nei Ricordi); la revoca di molti dei legati per beneficenza fatti in passato potrebbe essere motivata da difficoltà economiche occorse negli ultimi anni di vita.
La scrittura dei Ricordi ebbe inizio nel 1412; Pitti aveva allora sessant’anni. Le difficoltà di quell’anno (il ‘mal anno’ nelle sue parole; in particolare, era in quel momento in lite con i potenti Ricasoli per il controllo del beneficio della badia camaldolese di San Piero a Ruoti in Valdambra) lo indussero forse alla scrittura autobiografica, continuata sino al 1430. Per ricchezza di informazioni e giudizi, sia su avvenimenti storici sia sulle motivazioni del suo autore e dei suoi contemporanei, questi ‘ricordi’ sono tra i testi più istruttivi sulla mentalità dei mercanti fiorentini del tardo Medioevo, oltre a testimoniare il carattere irruento e lo spirito d’avventura di quest’uomo ricco di talento. Nella seconda parte del racconto, le vicende familiari e i fatti riguardanti la carriera pubblica prendono il sopravvento, come da tradizione per i ‘libri di famiglia’; alla fine del testo Pitti inserì anche due calendari perpetui.
Oltre ai suoi ricordi, egli ha lasciato alcune poesie di non altissimo valore, parte delle quali gli sono state attribuite solo recentemente; nel 1427, quando ricopriva la carica di podestà di Prato, copiò il testo ufficiale della Leggenda della cintola di Maria, tuttora inedito.
Opere. Per i ‘Ricordi’ di Pitti (opera edita nel 1720, nel 1905 e nel 1986), cfr. ora Ricordi, a cura di V. Vestri, con una introduzione di S.U. Baldassarri, Firenze 2015; per le sue poesie, cfr. Lirici toscani del ’400, a cura di A. Lanza, II, Roma 1975, pp. 275-279; G. Pallini, Una nuova testimonianza del capitolo Antichi amanti della buona e bella (con attribuzione a Bonaccorso Pitti), in Interpres, XXI (2002), pp. 247-252.
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