BUONAMICO BUFFALMACCO
Pittore di origine fiorentina, attivo nella prima metà del Trecento. Con il nome Buffalmacco vive nella letteratura novellistica trecentesca come figura di pittore burlone. Nel Decameron (VIII, 3, 6, 9; IX, 3, 5) fa da 'spalla' a un altro grande inventore di burle, il pittore Bruno. Nel Trecentonovelle di Sacchetti (CXXXVI, CLXI, CLXIX, CXCI, CXCII) è invece proprio lui il protagonista delle burle, ma vi compare anche come grandissimo maestro, anzi tra i più grandi pittori fiorentini.Nonostante la veridicità delle notizie di contorno in cui B. è inserito, soprattutto nel Decameron (Bacci, 1911), questa fama consegnata alla novellistica ha nuociuto alla sua figura di pittore, fino al punto da far dubitare della sua esistenza storica (Rumohr, 1827). Un simile scetticismo era legato anche alla scarsa attendibilità delle notizie, molte delle quali risultarono infondate, che su questo artista forniva Vasari, cui si deve l'identificazione del Buffalmacco boccacciano con il pittore documentato dalle fonti. La sicurezza dell'esistenza storica di B. e della sua attività di pittore venne dalle ricerche d'archivio. Fu scoperto, innanzitutto, un documento dal quale si ricava che gli Operai della cattedrale di Arezzo incaricarono nel 1341 i pittori Andrea e Balduccio di decorare certi archi "sicut facti sunt arcus capelle episcopatus Aretini per Bonamicum pictorem" (Pasqui, Pasqui, 1880); venne alla luce poi il documento che attesta come nel 1336 "Bonamicus pictor [...] qui fuit de Florentia" abitasse a Pisa nella "cappella sancte Marie maioris ecclesie pisane civitatis" (Bacci, 1917); infine, fu trovato il suo nome tra gli iscritti alla matricola fiorentina dell'Arte dei medici e speziali del 1320.Si riscoprivano anche i Commentarii di Ghiberti, sui quali si fondava l'unica seria attribuzione a B. di un'opera arrivata fino a oggi: la decorazione murale della cappella Spini a Badia a Settimo, presso Firenze, databile al 1315 in base a un'iscrizione. Purtroppo questi dipinti, raffiguranti nelle vele profeti ed evangelisti e sulle pareti Storie di s. Iacopo, sono rovinatissimi e non permettono di farsi un'idea del pittore; lasciano solo intravedere un'arte aggiornata sui modi della pittura fiorentina dei primi due decenni del Trecento, assai poco in linea con i canoni giotteschi, per la quale si è talvolta chiamato in causa il Maestro della S. Cecilia (Venturi, 1907; Sirén, 1919-1920). Ma Ghiberti, oltre all'informazione sugli affreschi di Badia a Settimo, ne dà molte altre; così come il documento aretino del 1341, se considerato contestualmente a una notizia di Vasari, di solito molto bene informato sulla sua città natale, fornisce un indizio per l'attribuzione a B. di un affresco frammentario raffigurante la Madonna con il Bambino e santi nel duomo di Arezzo (Donati, 1967), che mostra precise analogie con il grandioso ciclo di affreschi del Camposanto di Pisa che fa capo al celebre Trionfo della morte. La presenza nel territorio aretino, a Pergognano, di una Madonna con il Bambino che mostra anch'essa affinità con gli affreschi del Camposanto di Pisa è un'ulteriore testimonianza del passaggio da Arezzo di questo pittore, i cui riflessi si leggono bene anche in altri dipinti aretini di metà Trecento. È qui che entra di nuovo in gioco la testimonianza di Ghiberti, secondo il quale B. "fece in Pisa moltissimi lavorij. Dipinse in Campo Santo a Pisa moltissime istorie". Una 'guida' in versi di Michelangelo di Cristofano da Volterra, trombetto della repubblica pisana alla fine del Quattrocento, assicura che a quell'epoca gli affreschi dipinti da B. nel Camposanto di Pisa erano da ammirare tra quelli che ancora vi si potevano vedere prima dell'ultima guerra sulla parete est (dalla Crocifissione all'Ascensione) e sulla parete sud (dal Trionfo della morte alle Storie di Giobbe). Perciò, andando per esclusione, le "moltissime istorie" che Ghiberti dice dipinte da B. nel Camposanto di Pisa si debbono identificare con gli affreschi, stilisticamente unitari, opera di un artista che Thode (1888) aveva denominato Maestro del Trionfo della morte (Risurrezione, Verifica delle stimmate, Ascensione, Trionfo della morte, Giudizio finale, Inferno, Tebaide); data l'attendibilità di Ghiberti come testimone dell'arte del Trecento, questa identificazione ha un'altissima probabilità di essere giusta. Gli affreschi del Camposanto di Pisa sono stati malauguratamente danneggiati in modo irreparabile durante la seconda guerra mondiale, e quindi staccati, recuperandone le sinopie (Bucci, Bertolini, 1960). Ghiberti dà altre notizie su B., che indicano la stessa soluzione: tra i lavori compiuti dal pittore a Pisa cita "istorie del testamento vecchio e molte istorie di Vergini" a S. Paolo a Ripa d'Arno. Gli affreschi che decoravano questa chiesa non esistono più ma sono rimaste su un pilastro due figure di santi, le cui dirette affinità con il Maestro del Trionfo della morte erano state da tempo riconosciute (Meiss, 1933; Longhi, 1950). Ghiberti dice inoltre che B. "fece moltissimi lavori nella città di Bologna"; e questo va d'accordo con la proposta di Longhi (1928-1929) di vedere nel Maestro del Trionfo della morte un pittore bolognese. Con un soggiorno emiliano di B. si spiega anche la presenza di affreschi del Maestro del Trionfo della morte nel battistero di Parma (S. Caterina, S. Giorgio che uccide il drago).Si ha così una serie di indizi convergenti che, nel loro insieme, costituiscono un solido fondamento per l'identificazione di B. con il Maestro del Trionfo della morte. Questa proposta (Bellosi, 1974) permette anche un'ipotesi organica di ricostruzione dell'attività di B.: formazione fiorentina nel primo decennio del Trecento, in un milieu diverso da quello di stretta osservanza giottesca; attività iniziale a Firenze, nel secondo decennio (affreschi perduti nel convento delle Donne di Faenza; affreschi di Badia a Settimo, datati 1315); allontanamento da Firenze nel terzo decennio (quando le culture alternative a quella giottesca vengono emarginate) e attività ad Arezzo al tempo di Guido Tarlati (m. nel 1328) e a Pisa (affreschi di S. Paolo a Ripa d'Arno), ancora in rapporto con la cultura fiorentina di partenza; soggiorno emiliano verso il 1330 (affreschi nel battistero di Parma e contatti con i pittori bolognesi); attività pisana nel quarto decennio (ciclo del Camposanto).Dubbi sulla datazione tradizionale (1350-1360 ca.) degli affreschi del Camposanto di Pisa erano già stati espressi da Polzer (1964), che, sulla base di alcune osservazioni di carattere storico-iconografico, ne anticipava molto la cronologia. Lo stesso Meiss, che li considerava un'opera tarda del pisano Francesco Traini, intorno al 1350, e che era partito proprio da essi per proporre una sua interpretazione dello sviluppo della pittura toscana dopo la peste del 1348 (Meiss, 1951), dovette ammettere successivamente che con ogni probabilità erano anteriori al 1345, data quasi certa del Giudizio finale dipinto da Bonaccorso di Cino (v.) nell'ospedale della Misericordia e Dolce di Prato e derivato da quello di Pisa (Meiss, 1971). Un esame degli aspetti della moda presenti negli affreschi del Camposanto spinge indietro la loro cronologia a prima del 1340, ben addentro agli anni trenta del secolo e quindi in prossimità della data 1336 in cui B. è documentato a Pisa (Bellosi, 1974).
Bibl.:
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