BUONDELMONTI, Ranieri (Rinieri), detto lo Zingano
Figlio di Buondelmonte, era il capo del partito guelfo, che a Firenze aveva nei Buondelmonti la famiglia più autorevole. La sua vita politica fin dagli inizi ebbe caratteri drammatici; nel 1231era podestà di Montepulciano, in un momento in cui la città si trovò al centro della guerra tra Fiorentini e Senesi come alleata dei Fiorentini. In quel frangente così delicato i cittadini di Montepulciano dimostrarono la loro fedeltà a Firenze e alla causa guelfa resistendo alle minacce del legato dell'imperatore Federico II, che aveva fatto devastare tutti i dintorni della città. Il B. scrisse, in quella occasione, al podestà di Firenze per elogiare il comportamento dei cittadini della città alleata; Firenze dal canto suo intraprese una spedizione militare allo scopo di liberare Montepulciano dalla morsa dell'assedio e di rifornirla di viveri per l'inverno.
In quegli anni Firenze era divisa dalle aspre lotte fra guelfi e ghibellini, cui si cercava di tanto in tanto di porre rimedio con matrimoni fra membri delle famiglie in lotta. Al centro delle inimicizie erano i Buondelmonti e gli Uberti, che nel 1239 concordarono un matrimonio tra una figlia del B. e Neri Piccolino degli Uberti, figlio di Iacopo di Schiatta Uberti e fratello del famoso Farinata ricordato nell'Inferno dantesco. Ma le nozze, invece di portare alla pace, si dovevano concludere con nuovi fatti di sangue. I Buondelmonti avevano chiamato a convito in Campi di Valdarno gli Uberti, i Caponsacchi, gli Amidei, i Fifanti e altre famiglie nemiche. Al termine del banchetto nuziale, secondo quanto riferisce la cronaca dello Pseudo Brunetto Latini, entrarono nella sala i sicari dei Buondelmonti; Iacopo di Schiatta Uberti fu ucciso da Simone Donati e la stessa sorte toccò a Oddo Figanti, Guido dei Galli ebbe mozzati il naso e un labbro e la bocca tagliata da ambedue le parti fino agli orecchi. Era la vendetta per l'episodio che ventiquattro anni prima aveva portato all'assassinio di Buondelmonte dei Buondelmonti, reo di aver tradito la promessa di matrimonio fatta alla figlia di Lambertuccio Amidei. In conseguenza, le ostilità fra le due fazioni ripresero con rinnovata violenza e Neri Piccolino rimandò alla casa paterna la sposa con queste parole: "Non voglio generare figliuoli di gente traditora". Più tardi questa stessa figlia del B. fu richiesta in moglie da Pannocchino dei conti Pannocchieschi di Siena e, per ordine del padre e contro il suo volere, fu costretta ad accettare il nuovo matrimonio; ma dietro le sue insistenze, il marito la lasciò libera ed ella passò il resto della sua vita nel monastero delle clarisse di Monticelli.
Nel 1246 il B. era podestà di Mantova, ma la contemporanea nomina a signore di Firenze di Federico di Antiochia, figlio naturale di Federico II, ebbe come immediato effetto la sua destituzione. Il B. era guelfo di sicura fede, ma a Mantova non si volle tollerare quale capo il membro di un Comune che aveva giurato fedeltà all'imperatore. Egli si trovò perciò in una strana situazione, poiché a Mantova era considerato quasi alla stregua di un ghibellino, mentre i guelfi fiorentini lo ritenevano uno dei loro capi più fidati. Per questo, ritenne più sicuro fermarsi a Bologna e informarsi di là se la situazione fosse favorevole o pericolosa per un suo ritorno a Firenze. Federico di Antiochia aveva iniziato una politica di riconciliazione con i guelfi fatti esiliare dal precedente podestà, ma il B. preferì recarsi in Germania alla corte di Enrico Raspe langravio di Turingia, che per iniziativa di Innocenzo IV era stato eletto da una parte dei principi tedeschi al posto dello scomunicato Federico II. La missione del B. aveva lo scopo di assicurare all'anti-re la fedeltà dei guelfi di Firenze e di chiedere un suo sollecito intervento in Italia; ma la posizione di Enrico Raspe era troppo debole e perciò il B. dovette consigliare ai compagni di fede in patria di aspettare l'evolversi degli eventi.
I guelfi, fiorentini dal canto loro non volevano restare inattivi; nel febbraio 1248 essi tentarono una insurrezione contro la parte ghibellina dominante ma, in seguito, dovettero abbandonare la città. Alcuni, e tra questi il B., che nel frattempo era tornato in Italia, si rifugiarono nel castello di Capraia sull'Arno, tra Signa ed Empoli, il cui signore, il conte Rodolfo Borgognoni, aveva abbandonato la causa dell'imperatore per diventare uno dei suoi principali avversari in Toscana. Federico II l'anno dopo, nel 1249, accampatosi con il suo esercito nella vicina Fucecchio, cinse d'assedio con uno sbarramento impenetrabile il castello di Capraia, costringendo gli assediati ad arrendersi per fame. Gran parte di essi vennero impiccati e il resto fu portato a Napoli in catene; tra di essi il B., il quale, sebbene accecato, dopo un certo tempo fu lasciato libero. Egli allora si ritirò nell'isola di Montecristo, dove trascorse gli ultimi anni della vita fra gli eremiti camaldolesi. Non è nota la data della morte.
Trent'anni dopo, nel 1280, quando il cardinale Latino si adoperò per mettere pace tra le diverse fazioni, e in particolare tra le famiglie nemiche che in tutti questi anni non avevano cessato di combattersi, l'alto prelato cercò di conciliare prima di tutti gli Uberti e i Buondelmonti. Ma anche se gli Uberti e quasi tutti i Buondelmonti aderirono alle proposte del cardinale, i figli del B. preferirono essere scomunicati e banditi dal Comune piuttosto che riconciliarsi con gli odiati nemici. Questo atto di orgoglio voleva essere una dimostrazione di fedeltà in memoria del padre, morto cieco nel suo volontario eremitaggio, e della sorella ripudiata da Neri Piccolino.
Fonti e Bibl.: G. Villani, Cronica, II, Firenze 1823, p. 231; Pseudo Brunetto Latini, Cronica fiorentina, in P. Villari, I primi due secoli della storia di Firenze, Firenze 1893, II, p. 235; La Cronica di Dino Compagni, in Rer. Italic. Script., 2 ediz., IX, 2, a cura di I. Del Lungo, pp. 127, 176; Cronaca fiorentina di Marchionne di Coppo Stefani,ibid., XXX, 2, a cura di N. Rodolico, p. 36; R. Davidsohn, Forschungen zur älteren Gesch. von Florenz, IV, Berlin 1901, pp. 558-560; J. Ficker, Forsch. zur Reichs-und Rechtsgeschichte Italiens, Aalen 1961, IV, p. 362; R. Davidsohn, Storia di Firenze, Firenze 1956-68, ad Indicem; P. Litta, Le fam. celebri ital., sub voce Buondelmonti di Firenze, tav. VII.