BUONINSEGNA di Angiolino (Segna, Boninsegna Angiolini Malchiavelli, Buoninsegna Machiavelli)
Mercante e uomo politico fiorentino, nacque intorno al 1250; per ricchezza e influenza politica il più noto ascendente di Niccolò Machiavelli.
Apparteneva ad una famiglia di popolo del sesto d'Oltrarno (quartiere di S. Spirito, popolo di S. Felicita) già affermata verso la metà del Duecento. Suo nonno, Buoninsegna "de Macchiavellis", morto fra il 1256 e il 1261, ebbe come figli Firenze, Dono e Ugolino, oltre ad Angiolino. Questi, morto fra il 1278 e il 1286, ci è noto come mercante associato ai Bardi fin dal 1261; nel marzo 1268 era teste a due atti di pagamento del Comune di Firenze a favore di Carlo I d'Angiò; nel 1273 era "richoglitore" d'una prestanza.
B., che, come il padre, era iscritto all'arte di Calimala, iniziò le sue attività mercantili oltralpe; nel 1275 si segnala la sua presenza a Bar-sur-Aube e a Ypres: ma è tutta la sua famiglia, non lui solo, a essere impegnata, in Francia e a Firenze, nelle imprese bancarie e mercantili.
Quando nel 1314 il nobile Bernarduccio di Iacopo del Rosso de Rubeis avrà la dote della sua defunta consorte, Labe di Filippo di Angiolino, nipote di B., si ricorderà che la dote stessa era stata versata nella compagnia degli Angiolini "secundum consuetudinem talium mercatorum et feneratorum", definizione che, nel bene e nel male, dà la misura esatta della collocazione sociale e professionale della famiglia. E proprio per l'attività usuraria svolta insieme con i fratelli era attaccato in termini ancora più aspri ("de hoc erat pubblice diffamatus") un fratello di B., Giovanni, nel 1298: mercante in Francia, studente a Bologna, giudicedei Priori nel 1288, aveva infine vestito l'abito talare e, con la protezione del legato Pietro da Piperno, aveva ottenuto la carica di tesoriere del capitolo fiorentino: i canonici si ribellarono violentemente alla nomina, stendendo un capo d'accusa (che coinvolgeva anche B. e gli altri fratelli) in cui quella di usuraio era la taccia più lieve. Nonostante tutto Giovanni (parente stretto di certe figure del Boccaccio: Decameròn, VIII, 2 e 4) ebbe partita vinta; sempre nello stesso stile di vita, fu più tardi fra i coadiutori di quel bargello ser Lando Bicci, noto per l'irregolarità delle sue procedure giudiziarie, e scampò a un nuovo processo minacciatogli dall'inquisitore fiorentino.
In Francia i figli di Angiolino avevano aperto dapprima un'agenzia di pegni e furono poi titolari, agli inizi del Trecento, di una compagnia di cui facevano parte i fratelli di B. Duccio (che nel 1295 era stato del Consiglio del Comune in Firenze) e il già ricordato Filippo, morto prima del 1314. Intorno al 1318 la compagnia si era probabilmente già sciolta, se Bocchino di Duccio di Angiolino apparteneva alla società del fiorentino Salimbene Angeli (a quella data ormai morto), banchiere alle fiere di Champagne e del Brie. Sempre in Francia, nel 1327, il mercante "Pierre Ancellini de Florence", che non può escludersi fosse della famiglia, giurava fedeltà a Raimondo III di Baux ed era annoverato per sei anni fra i nobili della sua Signoria; infine un "Banguel Malclavel" è attestato in Bretagna nel 1296.
A Firenze i figli di Angiolino, che avevano sfruttato "con le loro operazioni usurarie i contadini circostanti e specialmente gli abitanti di quelle località [Giogoli e Marignolle] in cui si trovavano i loro possessi" e "che erano anche i luoghi delle loro origini" (Ottokar), agivano soprattutto nell'ambito della compagnia dei Bardi.
Già nel 1278 B., forse non ancora trentenne e ancor vivente il padre, disponeva, nel suo primo testamento, lasciti per ben 600 libbre "de pecunia male ablata", "sicut apparebit per scriptam in libris sotietatis Bardorum vel patris". B. fu in seguito forse ancora in Francia e verso la fine del secolo (1298) si recò a Napoli per dirigere il "cambium" appena concesso ai Bardi nel Regno; nello stesso 1298 risulta "cabellotus sicle... karolensium argenti", e tre anni più tardi "familiaris" e "fideiussor" di Carlo II d'Angiò in occasione del pagamento, effettuato attraverso i Bardi, dei sussidi stanziati dai Comuni di Firenze e di Prato.
Nel 1302, quando i mercanti fiorentini mutuarono al Comune 25.000 fiorini destinati a Carlo di Valois, B., sempre come rappresentante dei Bardi, fu depositario, insieme con un Peruzzi, della somma che il Comune gradualmente restituiva. In seguito in quasi ogni atto che ci sia noto delle compagnie dei Bardi ritroviamo il nome di B.; nelle elencazioni dei soci egli è normalmente il primo, e spesso l'unico, dei non appartenenti alla famiglia dei Bardi; e di questi soci "estranei" un documento del 1328 lo dice rappresentante all'interno della società. Nel 1310 aveva "partito" per 4 parti su 54; ma tenendo conto che suo figlio Gino (o Cino) deteneva due parti, si può ritenere che l'influenza di B. fosse ancora maggiore: il patrimonio liquido che aveva in deposito presso la società alla data del 1º luglio 1310, pari a 12.717 libbre a fiorino, testimonia eloquentemente della saldezza della sua posizione. Nel 1320 (Gino di B. era morto nel 1315) entrò in compagnia accanto al padre, e sempre con 2 parti, l'altro figlio Giovanni, morto cinque anni più tardi; infine, quando nel 1331 la compagnia dei Bardi venne ricostituita sotto una nuova ragione sociale, ormai scomparso anche B., un altro suo figlio, Gherardo, ne prese il posto sottoscrivendo 4 parti.
Questo elemento "familiare" è una componente tipica dell'autorità di B. all'interno della società dei Bardi, e va posto in risalto, perché vale a sottolineare come la nota struttura familiare delle grandi aziende bancarie e mercantili dell'età comunale tenda a ripetersi nei collaboratori e nei dipendenti secondo uno schema che presenta non solo individui alle dipendenze d'una famiglia, ma, nei limiti del possibile, famiglie intere alle dipendenze o al fianco di una famiglia.
Figli di B. furono Gherardo, Ricco detto Chiovello, Gino, Guido e Giovanni. È dubbio che debba annoverarsi fra i figli di B. anche un "Bonaiuto Boninsegne" che entrò nei Bardi nel 1327 e mantenne fino alla morte (1336) l'alto stipendio di 180 libbre. Un atto di procura del 27 ag. 1314 darebbe poi notizia, secondo l'edizione procuratane dal Sapori (Ilpersonale, p. 759), dell'esistenza di un socio dei Bardi rispondente al nome di "Nerino Boninsegna Angiolini", che diventa poi "Nerino di Boninsegna Angiolini" nell'indice dei nomi (ibid., p. 1295).In realtà lo stesso Sapori aveva in precedenza ignorato un socio di questo nome (cfr. La crisi delle compagnie..., ad Ind.), ed è stata un'erronea lettura, o trascrizione, del documento (ove dopo la serie dei soci appartenenti ai Bardi, il nome di B., il primo dei soci estranei alla famiglia, è preceduto da un "necnon") a far nascere l'equivoco di un Nerino figlio di Buoninsegna.
Guido, morto verso il settembre del 1312, non fu alle dipendenze della compagnia dei Bardi, ma sappiamo che, per disposizione del padre, gli utili derivanti dalle due parti sottoscritte da Gino nel 1310 dovevano essere divisi fra i due fratelli: non solo, ma il legame di Guido coi Bardi era appunto tale da presupporre che non esistessero assolutamente rapporti con la società: Guido, "emancipatus" dal padre, era l'intestatario di quel "palatium sive domum ipsius Guidonis positum in populi ecclesie Sancti Remisii in capite Pontis Rubacontis" (la tradizionale roccaforte intorno alla quale i Bardi più volte si difesero in armi) che B., nei suoi codicilli del 1312, dichiarava di proprietà della compagnia: a Guido era stato intestato "in servitium societatis Bardorum" per evidenti ragioni di sicurezza commerciale.
Ricco, detto Chiovello, che era figlio naturale e forse il più giovane dei fratelli, nel 1332 acquistò, come procuratore di Piero di messer Gualterotto dei Bardi, il castello di Vernio. Nonostante fosse dunque in contatto coi Bardi non risulta che abbia mai fatto parte della compagnia, e la cambiale di 284 lire sterline che ricevette nel 1347 da Edoardo III d'Inghilterra rappresentava probabilmente un rimborso per somme depositate presso la società. Di Ricco fu figlio Ghiandone, morto esule per aver compiuto malversazioni e truffe.
Giovanni, che un documento segnala a Firenze nel 1314, partecipò l'anno dopo (come suo cugino Bindo di Firenze Malchiavelli) alla battaglia di Montecatini contro Uguccione della Faggiuola; entrò nella compagnia dei Bardi in qualità di socio nel 1320 e morì nel 1325 a Firenze, dove aveva certamente operato almeno fra il 1322 e il 1324. Suo figlio Filippo (che non sembra debba esser confuso con il "Filippo Boninsegne" che fu alle dipendenze dei Peruzzi) fu priore nel 1345 ed era anchegli mercante; nel 1347 fu tra i sindaci per il fallimento dei Peruzzi in rappresentanza dei creditori e del Comune. Da lui discende Niccolò Machiavelli.
Gino era, si è già detto, socio della compagnia dei Bardi dal 1310; il 29maggio 1311fu nominato procuratore per Parigi, la Francia e "altrove" per il 1312;nell'ottobre del 1313 operava in Toscana sempre per la compagnia; il 27ag. 1314 fu nominato procuratore per l'Inghilterra e "altrove", e in Inghilterra morì il 22sett. 1315, dopo che il 20maggio aveva avuto, insieme con Ruggero Ardinghelli, una gratifica "per buoni servigi" di 1000 marchi sterline da partedelre Edoardo II. Erede di Gino fu Geri, forse dipendente dalla compagnia dei Bardi; nel 1336era creditore di 8546libbre dalla società, "e' quali e' non sa che gli debia avere"; infatti i soci avevano trovato comodo occultargli questo deposito (che risaliva probabilmente fino ai tempi di suo padre) perché era "troppo grande spenditore, siché per lo suo migliore è fatto" (Sapori, La crisi, p. 246).Ma quando nel 1343 ilsuo capitale, cresciuto per gli interessi, toccava una cifra assai superiore, il fallimento dei Bardi era ormai alle viste.
Le vicende di questo credito interessarono anche il figlio di Geri, Gino, che nel 1347ricevette una delle cambiali emesse da Edoardo III a favore dei creditori dei Bardi. Dieci anni dopo abbiamo ancora notizia d'una quarta parte di quella cambiale che Gino aveva ceduto ad un lucchese, da cui Rodolfo Bardi l'acquistò deprezzata.
Il vero erede di B. nella compagnia dei Bardi fu Gherardo, unico della famiglia, come s'è visto, ad aver partecipato come socio nel 1331 alla costituzione della nuova compagnia intitolata "Messer Ridolfo de' Bardi e Compagni". Gherardo (che si rischia talvolta di confondere con un altro dipendente dei Bardi, Gherardo di Boninsegna Gherardi: questi sarebbe, ad esempio, il rappresentante dei Bardi ad Avignone fra il 1332e il 1334), seguendo le orme del fratello Gino, operò soprattutto in Inghilterra ove fu per oltre vent'anni fra i rappresentanti stabili dei Bardi. Nel 1338 gli fu assegnato dal sovrano un dono di 500 marchi sterline in considerazione dei buoni servigi da lui prestati; l'anno dopo ebbe in dono altri 1000 marchi. Nel luglio del 1345 Gherardo era incarcerato con altri mercanti nella torre di Londra per un credito che il re vantava nei confronti dei Bardi; liberato in novembre continuò ad operare in Inghilterra dove nel 1353 era fra i consiglieri del re con Filippo Bardi e Nicola Marini, entrambi della società. Nel febbraio 1357partecipò alla costituzione della nuova compagnia "inglese" dei Bardi, i cui membri si salvarono dalla crisi che coinvolse invece i loro vecchi soci fiorentini.
Sembra certo che Gherardo sia morto in Inghilterra, e non è nota l'esistenza di suoi eredi in Firenze.B. esercitava la sua influenza di capofamiglia e di autorevole socio dei Bardi non solo sui figli, ma anche sui nipoti e i parenti.
Così Ciandro e Andrea di Filippo di Angiolino, di cui non abbiamo ulteriori notizie, erano sotto la sua tutela nel 1314;Lippo di Duccio di Angiolino era fra i Bardi fin da prima del 1310 e si licenziò, dopo aver raggiunto uno stipendio massimo di 30 libbre, nel 1312;la restituzione della dote della già citata Labe di Filippo di Angiolino venne fatta "de pecunia Boninsegne Angiolini", anche se, naturalmente, "animo rehabendi" dagli eredi di Filippo. Betto di Fenci (Firenze?) Malchiavelli, entrato nella compagnia nel 1329e uscitone nel 1340, tenne la "ragione" di Rodi dal 1334 al 1335.Sassolino di Arrigo di Sassolo, fattore dei Bardi fra il 1317 e il 1338, a Napoli fra il 1318 e il 1320, era nipote di B. per parte di madre. Arrigo di Lapo di Angiolino entrò nella compagnia dei Bardi nel 1319:il suo massimo stipendio fu di 50 libbre e gli fu pagato per l'ultima volta nel 1336;nel 1341 aveva ancora un conto presso la compagnia. Infine una "Vanna f.q. Toni [sic, per Doni?] domini Angiolini", con l'assenso del mundualdo Angiolino di Lapo di Angiolino, sposava nel 1313Dino di Giovanni di messer Iacopo dei Bardi: Vanna prelevò da un suo deposito presso i Bardi, per mano di B., la somma della dote, che presumibilmente ritornò così alle casse della compagnia con semplice trasferimento da un conto all'altro.
B. ebbe dunque con i Bardi, continuando una tradizione che già risaliva a suo padre, legami che andavano al di là di una semplice partecipazione individuale ai rischi e ai profitti della società. Tutti i suoi, tramite lui, furono legati ai Bardi da una solidarietà che non venne mai spezzata e costò ad una famiglia che, contrariamente a quanto in genere si crede, si era fatta ricchissima in breve volger d'anni, il prezzo d'una rovina quasi completa con il fallimento della compagnia.
Come nel 1314 B. raccoglieva la fiducia del capo della società, Lapo dei Bardi, al punto d'esserne nominato esecutore testamentario (e lo stesso B. nel 1312 aveva nominato Lapo suo esecutore nei codicilli al testamento, non pervenutoci, del 1304), così, circa trent'anni più tardi, i beni fondiari da lui lasciati erano finiti insieme con quelli dei Bardi nella lista preparata dai sindaci del fallimento.
Ma coi Bardi B. non aveva costruito soltanto fortune mercantesche. Saldamente legato ai magnati, non privo di appoggi e influenze nel clero (e non solo attraverso Giovanni: donne della famiglia erano monache nei più importanti monasteri della città e Boninsegna di Duccio di Angiolino fu pievano di Rignano e poi [1328] di Doccia), esperto mercante, B. giocò un ruolo di primo piano tanto nella politica quanto nell'amministrazione del Comune.
In un drammatico ricordo Dino Compagni, priore nel novembre 1301, racconta di aver dovuto affrontare "i più potenti" dei popolani venuti a intimare l'elezione di nuovi signori; e fra di loro, tre neri e tre bianchi, era appunto B., che, in quanto nero, fu tra gli autori del rivolgimento del successivo 5 nov. 1301 (Cronica, II, 12).
B. aveva già una lunga carriera politica dietro di sé. L'anno dopo l'istituzione della magistratura (1282) era stato dei Priori ed era tornato ad esserlo nel 1289, nel 1292, nel 1296 e nel 1298. "Popolano guelfo", era strettamente legato ai Bardi e ad altri "magnati guelfi", come già l'Ottokar ebbe a indicare.
Ulteriori elementi confermano questa condizione politica e sociale della famiglia. Tra gli esecutori che B. sceglieva nel 1278 (depositando presso i frati minori un testamento con cui lasciava erede il figlio nascituro della sua prima moglie Tessa) erano, con suo padre, Bartolo di Iacopo Bardi e il frate minore Benedetto dei Bardi. Con un Bardi, come si è visto, si sposava Vanna di Toni di Angiolino. Con un Rossi, altra casata magnatizia d'Oltrarno sempre schierata a fianco dei Bardi, si univa Labe di Filippo di Angiolino; non solo, ma già Duccio, fratello di Filippo e di B., aveva sposato una nipote del noto esponente guelfo messer Stoldo di Iacopo dei Rossi, e per di più i due avevano dovuto essere assolti da Onorio IV per essersi sposati "ignorantes se quarto consanguinitatis coniunctos". Anche una sorella di B., Pina, era sposata in una famiglia magnatizia, i Petribuoni.
Dopo esser tornato alla carica di priore nel 1306, nel 1309, nel 1310, nel 1313 e nel 1314, B. ebbe nel 1326 la massima dignità, il gonfalonierato; e anche quando non era dei Priori, era costantemente presente nei Consigli. Non si contano poi le altre cariche pubbliche, per lo più confacenti alle sue attività professionali: nel 1303 e nel 1320 fu maestro della Zecca, nel 1312 depositario di una prestanza, nel 1305 fra i sindaci che dovevano comparire davanti ai legati papali, nello stesso anno fu chiamato a correggere gli statuti delle arti, nel 1306 e nel 1326 fu tra i consoli dei mercanti di Calimala, nel 1326 dei cinque "consiliarii" della Mercanzia, ecc.
Le ragioni di competenza amministrativa non debbono tuttavia trarre in inganno: il mercante che si fa amministratore del pubblico non è un generico "esperto", ma un "politico" che trasferisce nei suoi incarichi ufficiali tutto il suo mondo di interessi professionali: ne è spia il fatto che B., incaricato nel maggio 1302 dei pagamenti all'esercito fiorentino a Pistoia, si facesse accompagnare da quel ser Martino Amidei che (come per i Bardi i notai Boccadibue) era il fedele notaio di famiglia: i suoi atti, che sembrano perduti, offrirebbero ampia materia per un'analisi approfondita della singolare posizione politica ed economica di B., che non rimase senza eco nella tradizione fiorentina.
B. morì a Firenze il 19 nov. 1330. Quasi sessant'anni dopo la sua scomparsa ne restava ricordo abbastanza vivo da offrir materia a Francesco Sacchetti (nov. LXXX) per una novella rievocativa dove le malefatte dei figli di Angiolino e le lotte fra bianchi e neri scompaiono per far posto ad una rappresentazione di maniera del "buon tempo antico": il protagonista è B. che "essendo in aringhiera bonissimo dicitore, su quella ammutola come uomo balordo, e tirato pe' panni mostra agli uditori nuova ragione di quello". E questo B., con netta e significativa omissione di qualsiasi accenno alla mercatura, è divenuto soltanto un "savio e notabile cittadino".
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