BUONVISI, Giovanni (Giovanni da Lucca), beato
Nacque a Lucca tra la fine del sec. XIV e l'inizio del XV da Neri e fu fratello di Lorenzo. Gli interessi dell'azienda commerciale della famiglia richiesero la sua presenza, benché giovanissimo, in Spagna, dove fuinviato con un socio. Qui, dopo aver concluso ottimi affari, o per una innata inclinazione alla vita religiosa, come affermano i suoi biografi, secondo un tradizionale topos agiografico, o più verosimilmente per la maturazione d'una crisi spirituale in cui dovettero influire le conseguenze delle lotte di parte che dilaniavano la sua città, si decise ad abbracciare la regola francescana tra i conventuali d'Aragona. Trascorsi tre anni in Spagna, dove si era trasferito da un convento all'altro alla ricerca d'una più austera osservanza della regola tra incomprensioni e difficoltà d'ogni genere, ottenne di ritornare in Italia e passare, verso il 1435, tra gli osservanti dell'Umbria. Nel 1448 era già assegnato al convento di S. Francesco del Monte di Perugia (oggi Monteripido), fuori di porta S. Angelo, con l'ufficio di confessore delle suore del monastero cittadino di S. Maria di Valfabbrica, terziarie francescane. Il 22 dicembre dello stesso anno prese parte insieme con molti aristocratici laici ed ecclesiastici agli atti ufficiali e solenni che accompagnarono il passaggio delle clarisse perugine di Monteluce alla riforma osservante; nella stessa circostanza il B. fu eletto confessore e cappellano del grande monastero che, da quel momento, iniziò un periodo di splendore spirituale, dando vita anche ad un attivissimo scriptorium, nel quale le clarisse scrivevano, generalmente in volgare, testi ad esse suggeriti o appositamente composti dai frati dell'osservanza. Il B. ricoprì l'importante ufficio fino al 1451; è di questo periodo, e suo con tutta probabilità, un regolamento interno per il monastero, in lingua volgare, adottato più tardi da altri conventi femminili, pubblicato dall'Oliger.
Scaduto dal suddetto incarico, non si hanno notizie di lui per circa un decennio, periodo in cui sono forse da collocarsi i soggiorni del B. nei devoti romitori dello Speco di S. Urbano (Narni) e dell'Eremita di Cesi, tra Acquasparta e Sangemini, compresa una breve permanenza a Napoli, su richiesta di Alfonso d'Aragona. Nel triennio 1460-63 è di nuovo a Perugia, guardiano del convento di Monteripido, sede d'un fiorente Studio generale, il primo degli osservanti in Italia, fondato da s. Bernardino da Siena. Per il prestigio e la venerazione che circondavano i minori dell'osservanza, Bartolomeo Vitelleschi, governatore dell'Umbria, il 16 apr. 1460 convocò il B., il Manassei, Giacomo della Marca e fra' Antonio da Todi, cappellano di Monteluce, insieme con gli esponenti della nobiltà perugina, per provvedere in merito alla grave decadenza dei costumi della città. Nel 1461, per la festa dell'Epifania, ospitò nel convento di Monteripido il vicario generale dell'osservanza, fra' Battista da Levanto, dal quale ottenne una dichiarazione che consentiva l'aumento del numero delle clarisse di Monteluce e così potervi collocare la sua nipote suor Evangelista, forse proveniente dal monastero della Gattaiola di Lucca.
L'anno successivo fu tra gli animatori della coraggiosa iniziativa sociale che portò alla fondazione del Monte di Pietà di Perugia. Benché le fonti facciano solo il nome del quaresimalista fra' Michele Carcano da Milano, tuttavia il drappello di minori osservanti che il 27 apr. 1462 si batterono di fronte al governatore Ermolao Barbaro in favore della nuova istituzione aveva il suo centro operativo in Monteripido e nel B. un valido sostegno. Infatti, a partire dallo statuto del Monte del 1462, il Superiore del convento perugino sarà, lungo i secoli, membro di diritto nel consiglio d'amministrazione del benefico istituto. Cessato l'ufficio di guardiano forse nel giugno del 1463, nel successivo mese di novembre è presente ancora, in occasione della visita canonica, nel monastero. di Monteluce, come pure nell'ottobre 1470. Morì a Santa Maria degli Angeli nel 1472; davanti alla cappella del Transito un'epigrafe ricorda il luogo del sepolcro. Il Martyrologium franciscanum e la maggioranza dei biografi riportano la sua morte il 14 maggio, gli Acta Sanctorum il 21.
La Vita, scritta dal suo compagno fra' Serafino Castelli o "de Castelli" - per altro sconosciuto -, fu probabilmente la fonte, insieme con il breve elogio del contemporaneo autore della Franceschina, dell'altra, scritta da Mariano da Firenze (m. 1523), conosciuta anch'essa solo attraverso le Croniche di Marco da Lisbona e gli Annales del Wadding. Nel 1610Francesco Tresatti da Lugnano, il noto raccoglitore del laudario di Iacopone da Todi, pubblicò una Vita del B. composta per incarico del cardinale Buonviso Buonvisi, riedita, insieme con tutto il materiale agiografico precedente, negli Acta Sanctorum. Ma al di là degli schemi tradizionali, nei quali l'intento edificatorio sovrasta e quasi elimina completamente il quadro storico, solo le ricerche recenti pongono nella giusta luce la personalità del B. uomo d'azione, asceta e contemplativo, come risulta dai suoi scritti. Tractatus li chiama il Wadding, Discorsi Marco da Lisbona, Iacobilli e gli altri autori che li divulgarono in latino o in volgare, liberamente rielaborati. Si tratta invece, come risulta dal ms. 13 della Chiesa Nuova di Assisi, di Dicti de frate Iohanni da Luccha. Le forme volgari strettamente umbre e l'antica nota di provenienza del codice (un convento di Norcia) indicano che l'autore di questa raccolta è un francescano della zona di Spoleto, il quale ridusse una silloge più lunga, aggiungendo tuttavia spunti ed episodi che non si leggono in alcun autore. I Detti del B. non elaborano certamente un preciso sistema ascetico-mistico, ma si collocano come viva testimonianza nel clima della spiritualità francescana del Quattrocento. L'insistenza sull'umiltà ("andare in verità"), sulla povertà intesa spesso polemicamente in senso anticonventuale, sull'obbedienza, gli esempi presi dai luoghi, persone e cose tra cui vive, le immagini e similitudini di rara efficacia, desunte anch'esse dalla vita quotidiana, non consentono dubbi sulla genesi e destinazione di queste sentenze: è il superiore, il confessore, l'educatore dei novizi che parla, istruisce e polemizza nell'ambiente dell'osservanza. Altri temi, come la fuga e il disprezzo del mondo, l'orazione mentale, la sfiducia nella scienza e una generale tendenza pratica e antispeculativa, avvicinano questi Detti al contenuto della "Devotio moderna". Parlando dell'amore di Dio, dice: "Chi ama Dio, sempre Dio opera in isso et quello che veramente vole Dio, già è unito con Dio; infra me e Dio non tengo mezzo, cioè amore de altre cose: per mezza castagna lassarimo alcuna volta Dio" (c. 118r). A proposito della speranza e fiducia in Dio: "Dio non ha perduto lu stato, nui stamo con Dio... Andamo alla fonte, cioè a Dio et non alle pescolle, cioè alli homini" (c. 120r). Fondamento della vita spirituale è l'umiltà che è anche condizione per capire la parola di Dio contenuta nei libri sacri. A nulla valgono la scienza e la teologia senza l'umiltà: perciò anche i predicatori devono rifuggire dalla bella forma e preoccuparsi solo di parlare "in verità". Espressioni vivaci e incisive si leggono sulle altre virtù o esercizi della vita ascetica, come l'orazione ("summa de omne bene"), il silenzio ("alcuni tacciuno colla lingua ma dentro gridano fino al cielo; li iuvini se fanno maturi per lu silentio"), la lettura ("non multo legere ma quello che legi revoltalo bene in quatro doppie"), la pazienza ("omne patientia non è bona; alcuna bestia se gecta in terra et prima se lassa uccidere che se lievi"). L'esperienza lo aveva edotto a distinguere i conventi ("luoghi", secondo la tradizione francescana), in rapporto alla vita religiosa che vi si poteva condurre, secondo diverse proprietà, "a similitudine delli bagni". Queste poche citazioni sono sufficienti a provare l'importanza dei Detti del B. e richiamano alla mente quelli più famosi del beato Egidio, vissuto anch'egli emorto a Monteripido due secoli prima che si rinnovasse col B. la sua esperienza di contemplativo.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Lucca, Archivio Buonvisi, I, 64/3; II, 68 (ms. originale della Vita del Tresatti); Lucca, Bibl. governativa, ms. 1108: G. V. Baroni, Not. geneal. delle fam. lucchesi (sec. XVIII), c. 15; Arch. di Stato di Perugia, Corpor. Religiose Soppresse, Monteluce, Miscellanea, 309, p. 5; Assisi, Bibl. del Convento della Chiesa Nuova, ms. 13 (sec. XV ex.), cc. 118r-127v; Acta Sanctorum maii, V, Venetiis 1741, pp. 99-124; Marco da Lisbona, Delle croniche dei frati minori, III, Venetia 1606, pp. 172v-176v; F. Tresatti, Vita et costumi del beato G. B. da Lucca, Lione 1610 e Macerata 1675; La Franceschina, a cura di N. Cavanna, I, Firenze 1931, pp. XLI, 255-56; L. Wadding, Annales Minorum, XII, Ad Claras Aquas 1932, ad annos 1449, n. 53; XIV, ibid. 1933, 1472, nn. 33-59; XXIV, ibid. 1934, 1610, n. 87; Id., Scriptores Ordinis Minorum, Romae 1906, p. 132; L. Iacobilli, Vite de' santi e beati dell'Umbria, I, Foligno 1647, pp. 537-42; B. Mazzara, Leggendario francescano, I, Venetia 1676, pp. 683-92; G. D. Mansi, Diario sacro antico e moderno delle chiese di Lucca, Venezia 1753, p. 123; G. G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad scriptorestrium Ordinum s. Francisci, II, Romae 1921, p. 42; D. Pulinari, Cronache dei frati minori della Toscana, a cura di S. Mencherini, Arezzo 1913, pp. 281-82; L. Oliger, Documenta originisclarissarum Civitatis Castelli,Eugubii (a. 1223-1263) necnon statuta monasteriorum Perusiae Civitatisque Castelli (saec. XV) et S. Silvestri Romae (saec. XIII), in Archivum franciscanum historicum, XV (1922), pp. 79, 93-98; A. Fantozzi, Lariforma osservante dei monasteri delle clarisse nell'Italia centrale (documenti sec. XV-XVI),ibid., XXIII (1930), p. 371 nota 5; I. Baldelli, Codici e carte di Montelice, in Arch. ital. per la storia della pietà, I (1951), pp. 387-93; S. Majarelli-U. Nicolini, Il Monte dei Poveri di Perugia. Periodo delle origini (1462-1474), Perugia 1962, pp. 96, 248-49; P. Burchi, Bonvisi Giovanni, in Bibliotheca Sanctorum, III, Roma 1963, coll. 353-54; Enc. Catt., II, col. 1893.