BURNUS (fr. burnous; sp. albornoz)
Nome arabo (\arabo\) d'un lungo e ampio mantello da gettare sulle spalle e fornito di cappuccio, che un tempo era usato in molti paesi di lingua araba, ma che negli ultimi tre secoli circa sembra essere divenuto una specialità delle persone benestanti o ricche dell'Algeria e del Marocco, restando in Tunisia e Tripolitania come abito di funzionarî indigeni dell'interno. Abitualmente di color bianco (un tempo anche nero), è di color rosso per militari indigeni a cavallo (p. es. per il corpo degli spahis algerini) e di colore azzurro quale abito di gala (per lo più donato dal governo all'atto dell'investitura) per i capi civili dell'interno. Si fa per lo più di lana e cotone od anche di cotone e seta. La pronunzia prevalente nei dialetti dell'Africa settentrionale è ora \arabo\, bernūs o barnūs; al Marocco si usa anche come suo sinonimo selhām o selham.
Leonardo da Vinci parla di albernuccio; Leone Africano, che scriveva nel 1526, usa la forma bernusso; burnus ci è giunto attraverso la forma francese, sorta dopo la conquista d'Algeri del 1830.
Nell'arabo classico burnus significava anzitutto un berretto alto, e poi un abito munito di berretto o cappuccio, portato prevalentemente dai monaci cristiani e poi, a imitazione di essi, dagli asceti musulmani (v. sūfismo). Il vocabolo deriva probabilmente, secondo il Fränkel, dal greco βίρρος, riproducente il latino birrus (anche scritto byrrus o byrrhus) d'incerta etimologia: una sorta di veste non bene specificata e già ricorrente in un editto di Diocleziano (285-305); la dissimilazione dei due rr corrisponde a quella dell'arabo egiziano burnēṭa dall'italiano berretta.
Dopo l'occupazione dell'Algeria, la moda diffuse in tutta Europa, un mantello fatto spesso di seta a strisce colorate e d'oro, che fu chiamato burnus per la sua somiglianza col mantello arabo.
Bibl.: R. P. A. Dozy, Dictionnaire détaillé des noms des vêtements chez les Arabes, Amsterdam 1845, pp. 73-80; id., Supplément aux dictionnaires arabes, Leida 1881, I, 79; S. Fränkel, Die aramäischen Fremdwörter im Arabischen, Leida 1886, pp. 50-51; H. Lammens, Remarques sur les mots français dérivés de l'arabe, Beirut 1890, pp. 58-59.