Burundi
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(App. IV, i, p. 326; V, i, p. 445)
Geografia umana ed economica
di Claudio Cerreti
Popolazione
Gli avvenimenti politico-militari che tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta hanno riguardato il B. (e il vicino Ruanda, che ne condivide le condizioni di fondo), fondamentalmente causati dall'antica contrapposizione fra le etnie hutu e tutsi che rappresentano, rispettivamente, l'83% e il 15% della popolazione complessiva, hanno aggravato le già drammatiche condizioni socio-economiche del paese, nonostante che si fosse registrato l'avvio di un processo di normalizzazione nei rapporti fra i due gruppi etnici. Con una densità demografica elevatissima e un tasso di crescita che non accenna a contrarsi significativamente, i quasi 6,5 milioni di ab. (stima 1998) sono stati coinvolti nell'ennesima guerra etnica, peraltro non circoscritta al solo B. (dato che contemporaneamente avvenimenti anche più sanguinosi andavano svolgendosi in Ruanda), avviando un complesso intreccio di flussi di profughi (circa un milione quelli che hanno abbandonato il B.) e rifugiati e di interventi militari incrociati.
Lo stato di insicurezza e l'attrazione verso le terre coltivabili hanno inoltre accentuato la difforme distribuzione della popolazione fra le aree montuose centro-occidentali (dove la provincia di Bujumbura raggiunge la densità, fortissima per una regione africana, di 462 ab./km²) e quelle a più bassa quota, acuendo i problemi di disponibilità di terreni agricoli e aggravando i danni della deforestazione e dell'erosione dei suoli.
Condizioni economiche
Le conseguenze di questa difficile situazione di crisi sono state drammatiche anche sul piano economico, come dimostra il calo del PIL per abitante, già irrisorio, negli anni più recenti: l'unica considerevole risorsa del B., del resto, rimane il caffè (20.000 t nel 1997, produzione anch'essa in calo rispetto agli anni precedenti, a prescindere dall'annata 1994, eccezionalmente positiva), che garantisce quasi la metà del valore delle esportazioni, ma è sempre soggetto alle variazioni dei corsi internazionali; le esportazioni, in ogni caso, sono gravemente deficitarie, anche se negli ultimi anni si è potuto notare un lieve miglioramento. Le attività di trasformazione rimangono assai modeste, circoscritte all'area della capitale ed esclusivamente destinate al soddisfacimento del consumo locale (alimentari, tessili).
Neanche il temporaneo afflusso di aiuti umanitari e di investimenti internazionali per lo sviluppo, ripreso alla fine degli anni Ottanta (ma di nuovo sospeso nel 1996), è bastato a frenare il degrado economico del B., il cui PIL globale si riduceva del 12% tra 1993 e 1994, nonostante l'eccezionale raccolto del caffè, e di nuovo tra 1995 e 1996. Solo dopo la metà degli anni Novanta si può cogliere qualche segnale di assestamento: in primo luogo, grazie alla solidità del sistema agricolo di sussistenza, la cui tenuta ha evitato (in condizioni di quasi assenza di aiuti esterni) che una carestia alimentare si aggiungesse all'elenco delle emergenze in atto; in secondo luogo, perché l'esercito e il governo hanno ripreso, fra 1996 e 1997, il controllo materiale del territorio, anche a costo di deportare e concentrare sotto sorveglianza almeno mezzo milione di contadini.
La situazione del B. e le sue possibilità di sviluppo economico e socio-politico vanno sempre più strettamente inquadrandosi nel contesto geopolitico regionale, nonché nella prospettiva di un rinsaldamento dei legami fra i vari gruppi etnici (Tutsi in primo luogo, come forza attualmente predominante), al di là dei confini politici: in questo senso, il B., a dominanza tutsi, troverebbe nell'Uganda e nel Congo-Kinshasa (ma anche nel Ruanda) dei partner politici ed economici di rilievo e probabilmente determinanti per uscire almeno dalla crisi economica.
bibliografia
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Storia
di Luisa Azzolini
L'instabilità della situazione politica interna e interregionale degli anni Novanta, unitamente alle ripetute crisi istituzionali, aggravò la conflittualità fra la maggioranza hutu della popolazione e la minoranza tutsi tradizionalmente egemone, precipitando a più riprese il B. sull'orlo della guerra civile interetnica.
La politica di riconciliazione nazionale promossa da P. Buyoya alla fine degli anni Ottanta sembrava aver avviato il paese verso la costituzione di una società multietnica e democratica: in questo senso potevano essere interpretate tanto la carta di unità nazionale contro ogni forma di 'discriminazione e di esclusione' (approvata tramite referendum nel febbraio 1991), quanto l'introduzione del multipartitismo, garantito dalla nuova Costituzione del marzo 1992. Tuttavia, il principio della 'condivisione del potere' adottato da Buyoya non intaccò il predominio tutsi nell'esercito (composto per un terzo da elementi hutu ai quali restavano però preclusi i gradi degli ufficiali) né nel potere giudiziario. Inoltre, la fine relativamente improvvisa del regime a partito unico (ovvero dell'Union pour le progrès national - UPRONA - egemonizzato dai Tutsi, ma nel quale militavano anche elementi hutu), colse impreparato il principale movimento di opposizione hutu, il Front pour la démocratie au Burundi (FRODEBU, partito clandestino formato in Ruanda da espatriati nel 1986), ancora privo di una leadership capace di assumere responsabilità di governo, mentre la minoranza tutsi cominciò a temere fortemente le conseguenze di una prevedibile sconfitta dell'UPRONA.
Le elezioni generali del marzo 1993, precedute da una campagna elettorale volta a stigmatizzare nel partito opposto il 'nemico' da annullare per poter garantire la propria sopravvivenza, assicurarono la vittoria al FRODEBU, che ottenne 65 degli 81 seggi parlamentari, mentre nelle presidenziali si impose, con il 64,8% dei suffragi, l'hutu M. Ndadaye. Il nuovo presidente nominò a capo del governo il tutsi moderato S. Kinigi, autorizzò il rimpatrio dell'ex presidente J.B. Bagaza, garantendo contemporaneamente l'amnistia ai terroristi hutu appartenenti al Parti pour la libération du peuple hutu (PALIPEHUTU, movimento 'integralista' diffuso soprattutto in Ruanda e in Tanzania) e procedette quindi a drastiche sostituzioni nell'amministrazione pubblica, senza però intaccare la composizione dell'esercito.
In un clima politico e sociale già perturbato dai massicci rimpatri di rifugiati, che provocarono numerosi scontri armati soprattutto nel Nord del paese, l'assassinio del presidente Ndadaye, avvenuto il 20 ottobre 1993 in seguito a un fallito colpo di Stato, causò una frattura irreparabile nel fragile processo di democratizzazione e di aggregazione della società del Burundi.
All'indomani della morte di Ndadaye ci fu, infatti, una ripresa degli scontri interetnici in gran parte del paese, che provocarono più di 100.000 vittime: alla violenza delle organizzazioni armate hutu, che epurarono città e province intere dei cittadini tutsi (e degli Hutu affiliati all'UPRONA), l'esercito rispose distruggendo i villaggi contadini hutu nel B. centrale e orientale. Centinaia di migliaia di Hutu cercarono rifugio in Ruanda e in Tanzania, mentre i Tutsi, allontanati dalle proprie terre, furono costretti a vivere, in condizioni drammatiche, in campi allestiti in B., da cui cominciarono ben presto a fuggire gli elementi più giovani, raccolti in bande di terroristi.
Solo nel gennaio 1994, l'Assemblea nazionale (protetta dall'esercito francese) poté nominare come nuovo presidente della Repubblica l'hutu C. Ntaryamira del FRODEBU che, a sua volta nominò il tutsi A. Kanyenkiko dell'UPRONA alla guida di un governo di coalizione.
Il precario equilibrio raggiunto fu tuttavia nuovamente turbato, nell'aprile 1994, dalla morte, in un attentato di oscura matrice, di Ntaryamira e del presidente ruandese J. Habyarinama. Pur non precipitando nel caos della guerra civile e nel genocidio (come invece accadde in Ruanda), in B. si verificò un'escalation di violenza che finì per colpire principalmente la popolazione civile e per creare uno stato di reciproca segregazione delle due comunità.
Alla rapida militarizzazione del paese contribuì, oltre all'ingresso di rifugiati ruandesi (più di 200.000) di origine hutu che confluirono in parte nei movimenti armati, la creazione delle Forces pour la défence de la démocratie, un vero e proprio 'esercito hutu' contrapposto all'esercito regolare. I continui scontri armati, concentrati essenzialmente a Bujumbura e nel Nord-Est, indussero le organizzazioni umanitarie a cessare ogni intervento nel maggio 1994, essenzialmente allo scopo di richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale e di indurre il governo a trovare una soluzione politica che ponesse fine ai massacri.
Nel settembre 1994, in seguito a un compromesso tra FRODEBU e UPRONA, venne nominato un nuovo presidente del FRODEBU, S. Ntibantunganya, mentre il primo ministro Kanyenkiko venne sostituito nel febbraio 1995 da A. Nduwayo, sostenuto dall'ala più intransigente dell'UPRONA. La ricostituzione dei vertici politici non influì sulle sorti del conflitto in atto, né pose fine alle atrocità commesse sui civili, ulteriormente danneggiati dalla decisione degli Stati Uniti e dell'Unione Europea di sospendere, nell'aprile 1996, gli aiuti economici al governo, ritenuto corresponsabile del perdurare delle violenze.
Governo e presidenza furono quindi travolti da un nuovo colpo di Stato, organizzato il 25 luglio 1996 dall'ex presidente Bagaza, in seguito alla decisione, accolta da Nduwayo e da Ntibantunganya durante il summit regionale di Arusha (giugno 1996), di far intervenire una forza multinazionale per garantire i servizi fondamentali e proteggere i politici e i funzionari dell'amministrazione pubblica.
Bagaza, con il sostegno di parte della popolazione (in maggioranza tutsi) contraria all'intervento straniero, guidò l'esercito all'occupazione della capitale e, dopo aver disciolto l'Assemblea nazionale e bandito tutti i partiti politici, proclamò Buyoya presidente ad interim con l'obiettivo di ripristinare la pace nel paese. In seguito alla reazione ostile dei paesi vicini e dell'opinione pubblica internazionale, Buyoya annunciò in settembre la ricostituzione della disciolta Assemblea e la formazione di un consiglio con funzioni governative, ma mantenne la sospensione delle libertà costituzionali.
Il dichiarato impegno del nuovo governo a combattere una 'guerra totale contro la ribellione armata' portò all'intensificarsi degli scontri e delle violenze soprattutto ai danni degli Hutu, contro i quali vennero sferrati attacchi indiscriminati che provocarono, fra 1996 e 1997, migliaia di vittime. Contemporaneamente il FRODEBU e i dirigenti dei movimenti hutu, esiliati in Tanzania, persero progressivamente influenza non solo sulla classe dirigente ma anche sulla società civile, martoriata dalla guerra in atto nonché dalle sanzioni imposte nel settembre 1996 dall'Organizzazione dell'unità africana, che isolarono economicamente il paese, e che furono solo in parte revocate nell'aprile 1997.
A partire dall'estate del 1997, mentre nel paese continuavano le violenze contro gli Hutu e si verificavano incidenti alle frontiere con la Tanzania - intenzionata a espellere i rifugiati hutu dal suo territorio -, si avviò tra grandi difficoltà il processo di pace. Nel giugno 1998, facendo seguito a un primo riavvicinamento tra i vertici del paese e il FRODEBU, il presidente Buyoya ripristinò parzialmente la Costituzione del 1992, ampliò il numero dei membri dell'assemblea nazionale, dove restava maggioritario il FRODEBU, e formò un governo di transizione. Dopo i vertici di maggio, giugno e luglio 1998, nel gennaio 1999 si aprì una nuova conferenza di pace ad Arusha, in Tanzania, che ancora una volta mise in luce forti attriti fra le parti.
bibliografia
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