Vedi Burundi dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Il Burundi, dilaniato da tredici anni di guerra civile tra l’etnia maggioritaria Hutu e quella Tutsi fino al 2005, si trova oggi a un crocevia: da una parte il consolidamento delle istituzioni democratiche e l’integrazione regionale nell’ambito della Comunità dell’Africa orientale (Eac), dall’altra il rischio di una nuova esplosione di violenza diffusa, causata dal malcontento popolare e dalla delegittimazione dell’attuale governo. Il presidente Pierre Nkurunziza, appartenente al Conseil national pour la défense de la démocratie-Forces pour la défense de la démocratie (derivante da una ex formazione ribelle Hutu) è alla guida del paese dalle elezioni del 2005. Nell’estate del 2010, Nkurunziza è stato rieletto per cinque anni. Tuttavia i candidati dell’opposizione hanno boicottato le elezioni, non riconoscendone l’esito. In particolar modo, il boicottaggio delle due maggiori formazioni dell’opposizione (Forces nationales de libération e Front pour la démocratie au Burundi) ha minato fortemente la legittimità dell’attuale governo soprattutto nella capitale Bujumbura e nella provincia di Bururi, dove tali partiti detengono un forte consenso. Una tale delegittimazione, unita alla stretta repressiva che ha seguito le elezioni, rischia di far precipitare il paese nel caos.
Dal punto di vista economico, il Burundi è uno degli stati più densamente popolati e più poveri al mondo, con il più basso pil pro capite in assoluto. Oltre l’80% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il paese si trova in una situazione di deficit sia a livello commerciale che fiscale, dipendendo di conseguenza dagli aiuti internazionali. Gli strascichi della guerra civile, la sovrappopolazione e l’erosione del suolo costringono il Burundi, potenzialmente autosufficiente, a ricorrere massicciamente alle importazioni, che nel 2010 sono state il quadruplo delle esportazioni. Un’ancora di salvezza per l’economia potrebbe essere rappresentata dalle risorse minerarie (petrolio, nichel e rame). Tuttavia, la precaria situazione interna e la lontananza dal mare disincentivano gli investitori stranieri. L’elevata vulnerabilità economica è inoltre determinata dalla dipendenza dalle esportazioni di caffè e dalla corruzione dilagante: nel 2010, il Burundi è risultato essere il paese più corrotto per il terzo anno consecutivo tra gli stati dell’Eac e, a livello mondiale, rientra nei dieci stati più corrotti.
Sul piano regionale, il Burundi ha intensi legami politico-economici con i propri vicini della regione dei Grandi Laghi, rafforzati dalla comune partecipazione dell’Eac – che comprende, oltre al paese, Kenya, Tanzania, Uganda e Ruanda. Nel luglio del 2010, i membri dell’organizzazione hanno abolito le tariffe doganali e liberalizzato i movimenti di beni, capitali e lavoro nella regione. Il progetto d’integrazione è però molto più ambizioso: prevede una valuta unica a partire dal 2012 e una piena integrazione politica all’interno di una federazione dotata di un solo governo dal 2015. Il Burundi è inoltre membro dell’Unione africana (Au), e negli ultimi anni ha aumentato il numero delle proprie truppe inviate in missioni di peacekeeping, nonostante le numerose perdite subite in territorio somalo.