CA' MASSER (Masser, Massari), Leonardo da
Figlio di Francesco, nacque a Venezia nella seconda metà del Quattrocento, nella condizione di "cittadino originario". In gioventù esercitò probabilmente la mercatura e trascorse qualche tempo in Portogallo, tanto da acquistare una cognizione molto approfondita del paese. Fu per questa sua esperienza che il 3 luglio 1504 - forse quando egli già serviva la Repubblica come segretario in qualche ufficio - il Consiglio dei dieci gli affidò un'importante missione, nel quadro dei provvedimenti presi per affrontare la crisi dei traffici mediterranei provocata dall'apertura della rotta del Capo.
Mentre un altro inviato veneziano raggiungeva il Cairo, il C. si sarebbe dovuto portare subito a Lisbona, in veste di semplice mercante, e attingere informazioni particolareggiate sul nuovo collegamento con l'India. Il 2 sett. egli era a Valenza e il 15 scriveva (cfr. Fulin) da Medina del Campo d'essersi incontrato con l'ambasciatore veneziano Piero Pasqualigo, il quale non aveva apprezzato troppo la sua venuta perché non gli sipoteva davvero rimproverare d'aver trascurato le informazionida Lisbona, dove era riuscito a valersi non solo dei servizi di Cesare Barzi, ma anche di quelli di un corrispondente dell'importanza di Giovan Francesco Affaitati. Il C. arrivò a Lisbona il 3 ottobre, ma il giorno dopo fu convocato dal re e interrogato a lungo sulla sua identità e sugli scopi del viaggio: i Portoghesi ne erano già stati informati, come egli accertò più tardi, da Benedetto Morelli, nipote del mercante fiorentino Bartolomeo Marchionni che aveva forti interessi nel paese. Perciò il C. venne rinchiuso in una torre e tenuto in isolamento per alcuni mesi, durante i quali fa interrogato dal re altre tre o quattro volte, ma finalmente riuscì a farsi rilasciare senza aver confessato nulla. Da una sua lettera da Lisbona apprendiamo che il 16 apr. 1506 s'apprestava a raggiungere l'ambasciatore della Repubblica in Spagna, ritenendo d'aver assolto il compito affidatogli.
In questa lettera egli fornisce ragguagli sulla partenza della flotta per l'India al comando di Tristão da Cunha e dà anche notizie - che la critica moderna ha però accertato inesatte - sulla spedizione che Amerigo Vespucci stava allora apprestando a Siviglia. Il C. indirizzò alla Signoria molte altre lettere che purtroppo non ci sono pervenute; fortunatamente le informazioni sull'espansione lusitana in India che egli andava raccogliendo "da molte persone di loro Portoghesi e da diversi altri forestieri che sono stati in quelle parte" non sono andate perdute, perché egli le compendiò in una relazione che presentò in forma sommaria subito dopo il ritorno, corredandola di uno schizzo delle fortezze portoghesi sulla costa indiana.
La relazione si apre con una rassegna dei primi nove viaggi sulla rotta del Capo, da quello per così dire sperimentale di Vasco da Gama alle spedizioni commerciali degli anni successivi, fino al 1506. L'informazione è ampia e precisa e i dati sono espressi per quanto possibile in forma quantitativa; il C. si preoccupa soprattutto di cogliere gli elementi di base del meccanismo degli scambi e perciò non si limita a dar conto dei prodotti orientali in arrivo, ma fissa certi punti essenziali come quelli delle esportazioni portoghesi, della ridistribuzione delle spezie sui mercati europei, delle difficoltà della navigazione, dell'opposizione dei potentati indiani, ed arabi. Egli è attento anche alle risorse della Guinea e del Brasile. Numerose generazioni di storici hanno tratto largo profitto dalle sue informazioni, che costituiscono un prezioso complemento delle fonti portoghesi, per quest'epoca estremamente lacunose. Su alcune questioni i fatti hanno provato la chiaroveggenza del C.: gli Indiani, egli scriveva, privi di artiglierie e di valide navi, avrebbero ceduto ai Portoghesi, ma costoro sarebbero stati incapaci di chiudere agli Arabi la via del Mar Rosso; né i Veneziani potevano illudersi che le difficoltà della nuova rotta ne avrebbero impedito lo sfruttamento: anche se si fosse persa la metà delle navi, "vegnando a salvamento la minor parte d'una frota, se recupera il danno perduto". Il C. parla diffusamente del regime commerciale dei collegamenti marittimi con l'India e loda che il re attendesse "a conservare el suo stato", lasciando "far la mercadanzia a' marcadanti, che la sanno fare".
Una grossa parte della relazione è riservata all'organizzazione amministrativa, giudiziaria ed ecclesiastica del regno di Portogallo, e il C. ne tratta con molta competenza, esprimendo spesso giudizi sulle capacità e sul potere effettivo esercitato dai più alti dignitari. Egli traccia anche un vivace ritratto del re Emanuele, figurato sospettoso, irresoluto, avaro, bigotto. Notevoli sono anche la descrizione del Portogallo e delle sue risorse e le informazioni sulla tecnica della navigazione astronomica praticata sulle rotte oceaniche, con l'impiego dell'astrolabio e con tanta perizia che le condizioni di sicurezza - come egli sottolinea - non erano da considerarsi inferiori a quelle dei viaggi nel Levante mediterraneo.
Il 5 dic. 1506 il C. indirizzava una supplica al Consiglio dei dieci perché gli venisse assegnato l'ufficio di cancelliere a Cologna: tornato dal Portogallo gravemente infermo, giaceva in letto da tre mesi e si trovava nell'impossibilità di mantenere la famiglia. La cancelleria gli fa concessa "pro sex regiminibus", cioè per la durata di una dozzina d'anni, ma è probabile che egli l'abbia tenuta per poco tempo, perché da una lettera da Candia del 12 ott. 1512 apprendiamo che un mercante col suo nome, da S. Alarina, faceva parte di un gruppo che dal Cairo tornava a Venezia. Comunque nel 1517 al C. si presentavano nuovamente dei problemi di sistemazione, perché lo vediamo aspirare, con altri quarantasei concorrenti, a un posto di scrivano all'ufficio delle Cazude. Non sappiamo se egli sia riuscito a risolverli in questo modo. È verosimile che sia lui il segretario addetto alla porta del Collegio della Serenissima Signoria che morì la notte sull'11 marzo 1531. Era "homo molto superbo", commenta il Sanuto, che "stimava poco zentiluomeni".
Fonti e Bibl.: La relazione è stata pubblicata da G. Scopoli, in Arch. stor. ital., App. II (1845), pp. 7-51; M. Sanuto, Diarii, VI, Venezia 1881, col. 116;XV, ibid. 1887, col. 207; XXIV, ibid. 1889, col. 582; LIV, ibid. 1899, col. 334; Raccolta di docc. e studi pubbl. dalla R. Commiss. Colombiana per il IV Cent. della scoperta dell'America, parte 3, I, Roma 1892, p. 92; R. Fulin, Il canale di Suez e la Repubblica di Venezia, in Archivio veneto, II (1871), pp. 193 ss., 203-210; P. Peragallo, Relaçãao de Lunardo C. M. Lisbona 1892; Id., Cenni intorno alla colonia ital. in Portogallo nei secc. XIV, XV, XVI, in Miscell. di storia ital., s. 3, IX (1904), pp. 421 ss.; P. Revelli, Terre d'America e Archivi d'Italia, Milano 1926, p. 85; P. Donazzolo, I viaggiatori veneti minori, Roma 1927, pp. 65 s.; R. Amalgià, Alcune consideraz. sulla "questione vespucciana" in Rivista geogr. ital., n. speciale 1954, pp. 20 s.; A. Texeira Da Mota, L'art de naviguer en Méditerranèe du XIVe au XVIIe siècle..., in Le navire et l'economie maritime du Moyen Age au XVIIIe siècle principalement en Méditerranée, Paris 1958, p. 135; V. Magalhães-Godinho, L'économie de l'empire portugais au XVe et XVIe siècles, Paris 1969, pp. 315, 542, 545, 627, 683 ss., 701, 707 ss.