CABILI
. Si chiamano Cabili (fr. Kabyles) gl'indigeni algerini che abitano i gruppi montuosi del Djurdjura e della Chaîne des Babors. Essi posseggono un grande passato avendo dominato nei secoli X e XI il Maghreb, ma non hanno conservato di esso alcun ricordo preciso. Gli devono però certamente molti tratti del loro carattere: l'intrattabile autonomia, l'orgoglio, l'odio inestinguibile per gli Arabi. La lingua cabila è un dialetto berbero come ve ne sono molti altri fra l'Egitto e l'Oceano: cioè un dialetto nato dall'antico libico. Ma per i rapporti esterni si è obbligati a conoscere l'arabo e, del resto, le frontiere del berbero si restringono lentamente ma sicuramente davanti al progresso della lingua araba. Nella Cabilia, invece, il cabilo fa indietreggiare l'arabo. Le città di Bugia (fino al sec. XV) e di Tizi-Ouzou (fino alla metà del XIX) sono state di lingua araba: oggi il cabilo ha ricoperto tutto.
I Cabili sono divisi in piccole tribù. Ognuna di queste viene amministrata democraticamente per mezzo di un consiglio che si chiama la gianā‛ah e applica un diritto consuetudinario codificato (Qānūn). L'organizzazione in piccole tribù indipendenti ha originato il nome dato loro dagli Arabi: Kbail (al-qabā'il, "le tribù"), trasformato dagli Europei in Cabili. Vivono raggruppati in grossi villaggi in posizioni elevate facili a difendersi. La casa in muratura è ricoperta di tegole. La coltivazione è molto curata, specie quella del fico e dell'olivo. La popolazione è densissima (fino ai 100 ab. per kmq.): il numero totale dei Cabili è calcolato a 900.000. L'emigrazione temporanea ha funzione economica importante; il venditore ambulante cabilo è conosciuto in tutta l'Algeria e il bracciante (agricolo) è molto apprezzato dai coloni. Dopo la guerra gli emigranti cabili in Francia sono saliti a varie diecine di migliaia.
Bibl.: A. Hanoteau e A. Letourneau, La Kabylie et les coutumes kabyles, 2ª ed., 3 voll., Parigi 1893; A. Bernard, Enquête sur l'abitation rurale des indigènes de l'Algerie, Algeri 1921; E. F. Gautier, Les siècles obscurs du Maghreb, Parigi 1927.