Vedi CABIRI dell'anno: 1959 - 1994
CABIRI (v. vol. II, p. 238)
Dopo la fondamentale monografia di Hemberg (Die Kabiren, Uppsala 1950) non è ancora apparsa una sintesi aggiornata sui problemi generali (storico-religiosi, archeologici, iconografici) relativi ai Cabiri. La recente edizione di strutture e materiali delle principali sedi di culto (Tebe, Samotracia, Lemno) e la revisione di qualche problema iconografico offrono tuttavia nuovi contributi. Più che il significato del loro nome, chiarito dalle traduzioni o equazioni greche (C. = Megàloi Theòi), ne resta ancora problematica l'etimologia e quindi la provenienza. L'ipotesi più affermata, già espressa dallo Scaligero, connette il nome con le lingue semitiche; altre, ravvisando in alcuni centri anatolici toponimi affini, indicano con preferenza l'area della Troade e della Frigia, più vicine ai centri di culto delle isole del mare tracio. Ma, legato al solo nome, il problema della provenienza è chiuso in termini astratti; va integrato con lo studio topografico delle aree di diffusione, con l'analisi della tradizione letteraria relativa alle fondazioni mitiche dei santuari e ai diversi sistemi teologici in atto nelle diverse sedi primarie di culto al confronto con i più recenti dati dell'indagine archeologica.
L'antica convinzione dell'origine pelasgica del culto (Erodoto, Strabone e altri), con la specificazione di alcuni autori (Mirsilo, Dionigi d'Alicarnasso, Callimaco, Ippolito) di uno stretto rapporto con la popolazione dei Tirreni, sembra confermata dalla natura anellenica delle divinità, dai loro caratteri spesso imprecisi e sfuggenti, dai loro attributi e, in particolare, dalle loro sedi, originariamente ai margini del mondo greco. Il caso dell'impianto tebano (ma ai margini della pòlis) resta ancora problematico, anche se si proietta nel contesto delle numerose importazioni orientali della città di Cadmo. In periodo storico il culto è di natura misterica: a questo fatto è dovuta la reticenza delle fonti e l'esigua documentazione iconografica che, quando non procede ad assimilazioni con figure del pantheon ellenico, si esprime preferibilmente in forme simboliche o allusive.
La tendenza tradizionale degli studi a ridurre la molteplicità e la varietà dei sistemi cabirici dei vari centri a un nucleo unitario primitivo nel quale dominerebbe il dualismo di una figura anziana e di una giovane, con la presenza subordinata di una grande dea ctonia, si è rivelata semplificatoria e riduttiva. Tale culto, infatti, ha le sue attestazioni più antiche in tre aree culturalmente diverse: a Lemno (e nella vicina Imbro, ancora inesplorata) presso i Tirreni; a Samotracia presso i Traci; a Tebe in area greca. Le genealogie e i sistemi teologici sono rispettivamente diversi e differenziati, non solo per nomenclatura. A Tebe il C., assimilato per aspetto e attributi a una divinità emergente nella religiosità della Beozia come Dioniso, è affiancato dal pàis, il suo giovane figlio. Demetra Kabiràia e Kore sembrano esterne al sistema, essendo venerate in un santuario vicino, ma autonomo. A Samotracia Axiokersos, Axiokersa, Axieros e Kadmilos compongono il gruppo dei Grandi Dei, mai denominati come C. nei titoli ufficiali, e sono assimilati da Mnaseas alla coppia infera di Ade e Persefone, a Demetra e a Hermes. Kadmilos-Hermes è la divinità itifallica delle vicine isole dei Tirreni e forse rappresenta una integrazione, dovuta a contatti culturali, di un primo nucleo riflesso nei nomi traci delle altre divinità. A Lemno i C. (in gruppi di 3 o 2, secondo varie tradizioni) sono affiancati dalle Ninfe Cabiriche; sono figli delle due principali divinità dell'isola, Efesto e la Grande Dea (Kabeirò), oppure, secondo Acusilao, loro discendenti tramite la figura intermedia di Kadmilos. Lemno rappresenterebbe anche, secondo le fonti, la più antica sede di culto: ha quindi particolare significato, da un lato, la stretta connessione dei C. con Efesto, divinità del fuoco e della lavorazione dei metalli che sembra avere radici anatoliche, e dall'altro con una Grande Dea, già assimilata dalle fonti con le grandi dee dell'area traco-frigia (Bendis, Cibele). Da questo deriva una comunanza di attributi con Efesto, come il pilos, la doppia ascia o il martello, la fiaccola, e soprattutto la caratterizzazione dei C. ora come demoni della metallurgia, ora come essenze ctonie simboleggiate dai serpenti, ora come propiziatori di fecondità tramite la figura di Kadmilos, spesso simboleggiato dal caduceo. Oltre a questi poteri, che li avvicinano ad altri demoni come i Teichini, i Dattili, i Coribanti e, più tardi, a partire dal III sec., li fanno assimilare ai Penati, trasportati dalle mani di Enea dalla Troade nel Lazio, essi acquistano anche un dominio sul mondo della vite e del vino, nonché su quello dei viaggi marittimi, venendo assimilati ai Dioscuri, simboleggiati dal pilos sormontato da una stella.
Oltre ai tre centri principali dai quali si diramano filiali e santuari minori in Grecia, nell'Egeo e sulle coste anatoliche in rapporto al grande sviluppo che il culto assunse in periodo ellenistico, merita un ricordo - proprio per sottolineare la diversità delle accezioni locali - il caso di Salonicco, anche se attestato solo in periodo imperiale. Unico in ambito cultuale e considerato divinità poliade, il C. macedone è inserito, sul piano del mito, in una triade: collegato a due fratelli che lo uccidono e ne seppelliscono il capo sulle pendici dell'Olimpo o, secondo un'altra versione, ne recidono il membro che, racchiuso in una cista, viene spedito nella terra dei Tirreni.
Nel quadro così complesso e vario di forme, che alle origini sembra riflettere il giudizio di Erodoto (II, 52) secondo il quale anonime divinità «pelasgiche» avrebbero assunto nomi diversi dalle diverse stirpi che le hanno recepite, mentre più tardi furono interessate da fenomeni di sincretismo religioso, il problema delle origini resta ancora aperto. Ugualmente problematica resta la definizione dei caratteri delle singole figure, estremamente sfuggenti e fluide nella loro essenza e, quindi, nelle loro immagini. Sembra solo esistere una convergenza di fonti e di dati archeologici per conferire una priorità a Lemno e per sottolineare uno stretto rapporto con i Tirreni che, probabilmente, portarono il culto dalla vicina Anatolia. Ma per ora è più prudente e fruttuoso approfondire l'analisi delle singole situazioni locali che, in sintonia con la diversità dei sistemi teologici, presentano diverse morfologie santuariali e differenziati esiti iconografici.
Nel santuario presso Tebe nessuna struttura sembra precedere il V sec. a.C. Fino ad allora abbondantissimi resti di sacrifici e la ricorrente offerta di torelli bronzei, alcuni contrassegnati da dediche iscritte, attestano una vita cultuale espressa all'aperto, in forme primitive. Gli inizî sono subordinati alla datazione delle offerte più antiche, solo ipoteticamente risalenti al X sec., ma in larga parte del VII-VI sec. a.C. Dal V al III sec., il santuario si organizza con varie strutture a pianta circolare o absidata che si succedono nel tempo e che sembrano in larga parte destinate a simposi rituali: non sembra riconoscibile ancora una struttura templare; anche l'altare, in forma naturale, non era ancora costruito. È il periodo a cui appartiene la serie più ricca di documenti figurati, come i kàntharoi cabirici e le terrecotte votive. Mentre per le terrecotte si esclude la possibilità di raffigurazioni delle divinità in tipi che più probabilmente rappresentano gli offerenti, in alcuni kàntharoi si riflette chiaramente, oltre a figure di iniziati in varie fasi della festa e del rito, il mondo stesso della coppia cabirica. Oltre al frammento più noto che rappresenta il C. anziano a banchetto servito dal pàis, alla presenza di Pratolaos, Mitos e Krateia, frammento datato alla fine del V sec., si ricordano altri esemplari, ormai di IV sec., con la raffigurazione del dio assimilato a Dioniso e affiancato dal toro. Ma il gruppo più notevole, che con alcuni esemplari giunge fino alla seconda metà del III sec. a.C., si ispira ai temi della commedia di mezzo, probabilmente rappresentata durante le feste, già prima della costruzione del teatro. Questo, assieme alla struttura templare nelle sue varie fasi e ai portici, fa parte delle più recenti fasi edilizie in periodo tardo-ellenistico e romano-imperiale. Quindi, se il mito riferito da Pausania (IX, 25,6) proietta la fondazione del santuario ai tempi mitici di Prometeo, il culto è attestato in realtà dalle offerte che non risalgono oltre il periodo geometrico e sembra organizzarsi attorno al 500 a.C., forse per iniziativa riformatoria dell'ateniese Methapos (Paus., IV, 1,7).
Diversa la storia e la morfologia del santuario di Samotracia. Un'attenta revisione dei dati di scavo ha ribassato la datazione di strutture che sembravano segnare gli inizî del culto già nel X sec., come il muro in tecnica ciclopica con relativo altare di roccia sotto l'Arsinoèion e quegli edifici telesterici che erano destinati ai diversi gradi di iniziazione come l’anàktoron e il primitivo hieròn. L'anàktoron è ora datato nella prima età imperiale, preceduto nella stessa area da un protoanàktoron del primo ellenismo, e, prima ancora, dal triplice recinto della prima metà del IV sec. situato sotto
l’Arsinoèion. Nel periodo arcaico il santuario si presenta quindi con strutture molto semplici e modeste rispetto ai grandi sviluppi che prendono l'avvio nella seconda metà del IV sec. per intervento della casa macedone. I ritrovamenti più antichi, ben databili sulla base di presenze ceramiche, sono nell'area del témenos e del cortile dell'altare. Il deposito di kàntharoi della classe G 2-3 rappresenta il nucleo di offerte più antiche, con presenza di ceramica grezza locale, e si data nella prima metà del VII secolo. Allora, con ogni probabilità, si dovette procedere a una prima organizzazione del culto con un pantheon di divinità locali tracie, forse per impulso del vicino Kabìrion di Lemno già operante. Solo nel corso del VI sec. sorgeranno le prime strutture di un certo impegno come il primo hieròn absidato, il portico dei doni votivi, l'area dell'altare e il primitivo témenos.
La documentazione iconografica è ancora costituita dagli scarsi esempi già noti: figurazioni simboliche come i serpenti e il caduceo, e rappresentazioni assimilatone, come il gruppo di busti divini della nota lastra a rilievo del monumento degli Haterii. È probabile che il mito di fondazione che collega, nelle figure di Dardano e Iasion, tradizioni religiose arcadiche con la Troade, fosse raffigurato nel lacunoso frontone settentrionale dello hieròn datato alla metà del II sec. a.C., mentre in quello meridionale, ancor più lacunoso, sarebbero state presenti le stesse divinità del pantheon samotracio.
Anche a Samotracia, come a Tebe, un largo spazio era concesso ai simposi rituali, ma in area decentrata, sulla collina occidentale. Per un recupero di altri aspetti rituali va però ricordata anche la presenza di aree teatrali religiose: oltre al teatro vero e proprio che si affaccia sull'area del grande altare con recinto, è stata messa in luce, poco dopo il pròpylon di Tolemeo II e quindi lungo la via sacra, un'area circolare lastricata iscritta in una breve cavea del V sec., predisposta, forse, per assistere a sacrifici o a dròmena.
A Lemno il Kabìrion non è ancora noto nella completezza delle sue strutture per poter esser confrontato, come specchio dei riti, con i santuari già noti. Le strutture finora scoperte sono solo i telestèrià, disposti su due terrazze con- traffortate sul pendio che scende al mare. Sulla terrazza settentrionale un telestèrion di periodo ellenistico presenta un largo vano centrale diviso in tre navate prospicienti sui vani sacri (àdyta) di fondo. Distrutto nel II sec. d.C., fu sostituito sulla terrazza meridionale da una struttura tardoantica di modeste dimensioni e scarso impegno che ne replica la pianta. Ma sotto di essa è ormai accertata la fondazione di un primitivo telestèrion a pianta rettangolare con banchine alle pareti, databile ancora nella prima metà del VII sec. a.C.; oltre a conservare la più antica struttura templare di tutti i santuari cabirici, essa attesta anche la fondazione del santuario a opera dei Tirreni, quindi di una popolazione anellenica. La conferma viene anche da un ricco deposito di offerte: prevalentemente ceramica subgeometrica di tipo G 2-3 che sembra precedere le più antiche attestazioni di culto nel santuario affine di Samotracia e che, in alcuni casi, conserva graffiti e iscrizioni nella lingua della stele di Caminia, ma anteriori di oltre un secolo. Il deposito, con le sue forme vascolari di prevalente destinazione al simposio rituale, preannuncia un secondo grande deposito di periodo classico e protoellenistico, nel quale sono pure attestate esplicite dediche ai Cabiri. Mancano invece, almeno finora, documenti iconografici direttamente riferibili all'aspetto delle divinità cabiriche di Lemno, se si prescinde da un anello bronzeo con la coppia delle teste accollate dei Dioscuri, ai quali, in periodo ellenistico, i C. erano assimilati, e dalle note emissioni monetali di Efestia con i simboli di Efesto (fiaccola), di Kadmilos (caduceo) e dei C. (pìloi), secondo una tendenza generale dei misteri alla non figurazione o alla figurazione simbolica.
Agli scarsi documenti di altre sedi cultuali già ripetutamente considerati (monete di Syros, Smirne e altri siti; monete pergamene di Eumene II con i Dioscuri stanti; monete tracie con un C. barbato con patera e cornucopia) vanno aggiunte le monete di Salonicco di periodo imperiale nelle quali il C., isolato o inserito in un natskos, si presenta con chitone e mantello, con gli attributi del rhytón e del martello, come figura emblematica della città. La sua iconografia è presente anche su un capitello d'anta proveniente dal complesso edilizio di Galerio e appare in un nuovo tipo monetario figurante il C. sulle mura della città, forse in rapporto all'assedio gotico della metà del III sec. d.C. Si escludono invece, ormai, dall'iconografia dei C. documenti come il Gigante con ascia del grande fregio dell'ara di Pergamo, il rilievo da Larymna nel museo di Calcide con un eroe che sacrifica l'ariete, mentre dubbi esistono su altre figurazioni nelle quali il costume (exomìs e pilos) non è argomento risolutivo, soprattutto se si considera l'assenza di uniformità nei miti di fondazione, nei sistemi teologici, nei riti, nelle strutture architettoniche e nelle immagini, pur così scarse, del culto cabirico.
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