CACCIA (VIII, p. 206; App. I, 1, p. 329)
Diritto di caccia e legislazione venatoria. - Le manchevolezze sostanziali e formali del Testo Unico del 1931 misero in evidenza la necessità di elaborare nuove leggi in materia, che furono riunite in testo unico con r.d. 5 giugno 1939, n. 1016. La nuova legge, pur conservando le linee fondamentali della precedente, disciplina la materia in maniera più razionale e organica, affrontando i problemi venatori sotto l'aspetto tecnico, faunistico, giuridico e fiscale. Fra le più importanti innovazioni contenute nel T.U. del 1939 si ricordano quelle relative alla fauna oggetto di c., che comprende i mammiferi e gli uccelli viventi in libertà, eccettuati le talpe, i toporagni, i ghiri, i topi propriamente detti e le arvicole (art. 2). Pur riprendendo dalla precedente legge il concetto di selvaggina migratoria e di selvaggina stanziale protetta, a quest'ultima viene concessa una maggiore tutela, sia disciplinando in modo diverso l'esercizio venatorio specialmente rispetto ai termini di apertura e di chiusura della c., sia emanando particolari disposizioni atte a favorirne l'incremento (artt. 33,35,38,40).
Viene decretata l'abolizione delle sei "zone faunistiche" in cui era suddiviso il territorio nazionale, mentre è istituita la "zona faunistica delle Alpi" (art. 5), la quale per le specifiche condizioni di ambiente e di fauna, che la caratterizzano, è organizzata venatoriamente con disposizioni tendenti a limitare il periodo di c. (art. 12) e il numero di specie cacciabili, nonché a favorire la costituzione di bandite e riserve (artt. 51 e 59). Vengono inoltre distinti 17 compartimenti venatori (art. 6), ciascuno dei quali raggruppa varie province con caratteristiche ambientali e faunistiche simili, allo scopo di sottoporle a uguale disciplina di caccia. Il T.U. del 1939 apporta alcune sostanziali innovazioni circa le limitazioni dell'esercizio venatorio rispetto ai luoghi. È infatti stabilito il divieto di c. nei giardini, ville e parchi destinati a uso pubblico e nei terreni ove sorgono impianti sportivi (art. 28); inoltre, ispirandosi alla necessità di attuare una particolare tutela della selvaggina e del paesaggio, vengono contemplati nuovi istituti faunistici ov'è interdetta la c.: le zone di protezione (art. 23) e le zone di ripopolamento e cattura (art. 52). Questi istituti, che vengono così ad aggiungersi alle esistenti bandite private e demaniali e ai parchi nazionali, pur avendo ambedue una nota comune di pubblico interesse, hanno finalità diverse. Le zone di protezione hanno lo scopo di accordare particolare protezione alla fauna in determinate località, che si presentano meritevoli di tutela nel solo interesse generale, mentre le zone di ripopolamento e cattura perseguono principalmente il fine di produrre selvaggina stanziale, che può essere prelevata per ripopolare altri territori.
Oltre alle disposizioni più importanti già accennate, la legge contiene numerose altre norme, in parte invariate rispetto al precedente T.U. e in parte modificate più o meno sostanzialmente. Esse si riferiscono all'uso delle armi e delle reti, ai modi e ai tempi di c., alle licenze di c., alle sanzioni per i contravventori delle disposizioni di legge, ecc. In generale tali norme tendono a disciplinare l'esercizio venatorio, limitandone gli abusi e favorendo nel contempo la conservazione della fauna e degli ambienti naturali. Questa legge ha subito in seguito varie modifiche, tra le quali quelle introdotte dal d.P.R. 10 giugno 1955, n. 987, attinenti al decentramento amministrativo, che prevede conferimenti alle amministrazioni provinciali di compiti che prima spettavano al ministro dell'Agricoltura e al prefetto.
La nuova realtà politica e amministrativa del paese rese però necessario un adeguamento più organico di una legge sulla c., che soddisfacesse anche le nuove esigenze tecniche derivate dal sempre crescente numero di cacciatori, dalla riduzione dei terreni adatti a esercitare l'attività venatoria, dalla sensibile riduzione numerica delle popolazioni selvatiche oggetto di c., dalla necessità di conservazione della fauna non solo a scopi venatori, ecc. Si giunge così all'elaborazione di alcune norme modificatrici del T.U. più sostanziali di quanto era stato previsto, le quali si concretarono nella legge 2 agosto 1967, n. 799. Tale legge abolisce definitivamente le c. primaverili, esercitate per alcune specie di selvaggina migratoria (quaglie, tortore, ecc.) nel momento immediatamente precedente la riproduzione, le quali rappresentavano indubbiamente uno degli aspetti più negativi del costume venatorio italiano. Proibisce altresì l'uccellagione, permettendo la cattura degli uccelli con reti solo a scopo amatoriale o per attuare l'inanellamento a fini di studio. Un'innovazione importante viene stabilita dall'art. 8 per il rilascio della prima concessione di licenza di c., nonché per la restituzione della licenza medesima nei casi di ritiro o sospensione a seguito d'infrazione. Nei casi suddetti l'interessato deve infatti disporre di un certificato medico d'idoneità, in relazione soprattutto all'idoneità psichica, e del certificato di abilitazione all'esercizio venatorio, che attesti una sia pur modesta preparazione tecnica e zoologica. Nell'intento di favorire una maggior protezione alla selvaggina e di uniformare per quanto possibile i periodi di c., viene unificata l'apertura della stagione venatoria all'ultima domenica di agosto e la chiusura al primo di gennaio. Limitatamente ad alcune specie la chiusura della c. viene protratta al 31 di marzo (art. 12). È comunque concessa la possibilità di adottare a livello provinciale il regime di c. controllata (art. 12 bis), che favorisce l'applicazione di speciali restrizioni all'esercizio venatorio sia rispetto al tempo, ritardando il periodo di apertura della c. e anticipandone la chiusura e stabilendo le giornate nelle quali è consentita la c., sia rispetto al numero di capi di selvaggina stanziale protetta che ciascun cacciatore può abbattere. Una nuova disposizione, sancita dalla legge, si riferisce ai fondi chiusi, nei quali viene interdetta la c., anche al proprietario o possessore del fondo, mentre per gli altri istituti faunistici, contemplati dal precedente T.U., sono previste solo alcune innovazioni riguardanti la loro disciplina. Istituzione del tutto nuova è l'oasi per la protezione e il rifugio della selvaggina stanziale e migratoria prevista dall'art. 67 bis, che rappresenta attualmente uno dei piü validi strumenti legislativi applicabili nel nostro paese al fine di contribuire alla protezione della fauna selvatica. In conformità all'attuale tendenza politico-amministrativa dello stato, la legge accentua il decentramento amministrativo e attribuisce numerosi compiti del ministro dell'Agricoltura ai Comitati provinciali della c., che vengono potenziati e parzialmente ristrutturati. Spetta quindi a tali organi periferici la competenza in materia di concessione, revoca o rinnovo di bandite, riserve e zone di ripopolamento e cattura, nonché in materia di restrizioni al periodo di c.; la facoltà di adottare il regime di c. controllata, di rilasciare certificati di abilitazione venatoria, ecc. Comunque restano ancora di competenza del ministro dell'Agricoltura alcune attribuzioni di carattere generale e compiti specifici come quello di delimitare la zona delle Alpi (art. 5), di variare la circoscrizione dei compartimenti venatori (art. 6), di consentire la c. in tempi eccezionali ad alcune specie (art. 38), di autorizzare l'immissione di selvaggina estranea alla fauna locale (art. 42), di costituire oasi di protezione della selvaggina (art. 67 bis), ecc. Tra gli enti designati ad assolvere un'importante funzione tecnico-scientifica nel settore venatorio figura il Laboratorio di zoologia applicata alla c., che ha sede in Bologna. Quest'organo, pur essendo già contemplato nel vecchio T.U., trova nella legge attuale una sua ben definita collocazione e viene istituito in personalità giuridica pubblica. I pareri tecnici, che il suddetto istituto è chiamato a esprimere, e la consulenza che esso presta al ministero dell'Agricoltura e alle amministrazioni periferiche, hanno permesso il superamento di problematiche, che in un passato, anche assai prossimo, erano valutate con criteri puramente empirici.
L'istituzione nel 1970 delle regioni a statuto ordinario, le quali hanno avuto la possibilità di legiferare in materia venatoria, ha creato una nuova situazione, che a tutt'oggi appare ancora in fase di strutturazione. In verità alcune regioni hanno già promulgato leggi organiche, che prevedono l'esercizio venatorio in un contesto di ristrutturazione del territorio basato su concetti più moderni, ma appare ugualmente urgente l'approvazione dì una nuova legge quadro che stabilisca direttrici generali per l'applicazione di disposizioni lo cali.
Strumenti e metodi di caccia. - Trappole e tagliole. - Si tratta di strtimenti per la cattura della selvaggina di uso assai antico, che però attualmente in Italia trovano sempre minor impiego. La legislazione venatoria ne disciplina l'uso, al fine di evitare che esse provochino danni alla fauna non perseguibile con tali mezzi, nonché agli animali domestici e all'uomo stesso. Ormai in disuso sono le trappole a tavoletta, ad uovo, a palo, a esca e a filo, mentre vengono ancora adoperate le trappole a cassetta per la cattura degli animali predatori soprattutto nei territori destinati alla produzione di selvaggina a fini venatori. Le dimensioni di queste cassette, generalmente costruite in legno non verniciato, variano secondo le specie dei mammiferi (donnole, puzzole, faine, martore e talvolta anche volpi) che s'intendono catturare. Hanno forma rettangolare, stretta, bassa e allungata; possono presentare un'apertura unica o duplice. Nel primo caso però l'altra estremità della cassetta, che generalmente ha sezione rettangolare, è chiusa da una rete metallica che lascia filtrare la luce. Nelle trappole per donnole (donnoliere) l'apertura è circolare e calibrata per il passaggio di questo mustelide, che ama infilarsi in buchi, cavità e tane. Le trappole a cassetta funzionano generalmente a bilanciere, per cui il carnivoro, percorrendo il pavimento inclinato della trappola stessa, fa scattare col proprio peso il meccanismo rimanendo così imprigionato. Per attirare il predatore nelle trappole vengono solitamente impiegate esche vive o morte.
Ceste e cassette. - Trattandosi di mezzi piuttosto semplici e rudimentali si prestano solo per catturare poche specie selvatiche, per cui il loro impiego non può essere generalizzato. Vengono solitamente usate per la cattura di quella selvaggina (starne, fagiani, ecc.) che si vuole trasferire dalle zone di produzione ai territori da ripopolare. Le ceste e le cassette hanno dimensioni variabili e forma generalmente quadrata o rotondeggiante; di solito sono costruite in legno leggero, giunco o vimini. La cesta viene posta sul terreno fissandola da un lato, mentre dal lato opposto è mantenuta sollevata mediante un semplice sistema di sostegni, i quali, urtati dal selvatico richiamato dalla presenza di mangime, lasciano cadere la cesta, intrappolando l'animale.
Lacci. - Sono tra i mezzi di cattura più semplici e antichi e certamente tra i più insidiosi e distruttivi per la fauna, in quanto non sono selettivi e vengono tesi per catturare indiscriminatamente varie specie di uccelli e mammiferi. Un tempo erano generalmente confezionati con crini di cavallo, mentre oggi si usano di preferenza fibre sintetiche; per la cattura di selvaggina di mole considerevole (lepri, tassi, cinghiali, ecc.) sono invece utilizzati, specialmente dai bracconieri, fili di acciaio intrecciati. Attualmente l'uso dei lacci non trova alcuna giustificazione tecnica sia per l'irrazionale prelievo di selvatici che esso comporta, sia per gli effetti distruttivi su un gran numero di specie. Per questi motivi il loro impiego è proibito dalla legge sulla c., sebbene l'art. 24 conceda espressamente ai Comitati provinciali della c. di Bari, Brindisi, Taranto e Lecce la facoltà di autorizzare l'impiego dei lacci per la cattura degli uccelli che arrecano ingenti danni ai frutti dell'olivo, ma esclusivamente nei boschi cedui la cui estensione non sia superiore ai 2 ettari e siano situati fra gli oliveti. Per gli stessi motivi questo mezzo di cattura è consentito anche in Sardegna.
La pania. - È una sostanza adesiva e vischiosa, che viene spalmata su rami e posatoi di vario genere allo scopo di catturare gli uccelli che sostano su di essi. L'animale che rimane invischiato risulta spesso danneggiato alle penne e non di rado alla pelle. Anche questo metodo di cattura è proibito dall'attuale legislazione venatoria, ma nel Friuli-Venezia Giulia una particolare disposizione, adottata in virtù dei poteri concessi alle regioni a statuto speciale, ne autorizza l'uso per catturare uccelli a scopo amatoriale e per attuare l'inanellamento.
Fucili da caccia. - Dopo l'ultimo conflitto mondiale sorsero in Italia, e specialmente in provincia di Brescia, moltissime fabbriche artigiane di armi da c., che producevano soprattutto fucili a canne giustapposte (doppiette). L'industria armiera però s'indirizzava verso la fabbricazione di fucili a canne sovrapposte e progettava nuovi tipi di semiautomatici diversi dai tradizionali Browning e Remington, difesi da brevetti che non permettevano di essere copiati. Alcune fabbriche d'armi italiane immettevano per prime sul mercato i nuovi modelli di semiautomatici a prezzi concorrenziali e sull'esempio di queste industrie si orientavano subito altri grossi complessi, mentre altri continuavano in un'accurata produzione artigianale. In un primo tempo i modesti prezzi favorivano l'interesse generale verso il fucile semiautomatico a 4, 5 e più colpi, ma attualmente molti cacciatori tendono a preferire l'uso dei tradizionali fucili a 2 colpi (doppiette e sovrapposti) e in genere ritengono anche opportuna la riduzione a tre colpi dei fucili semiautomatici. Non è da escludere che anche la prossima "legge quadro" sulla c., ora in fase di elaborazione, recepisca questa nuova tendenza e bandisca l'uso dei fucili a più di tre colpi, ritenendoli eccessivamente distruttivi. Anche i fucili a canna rigata hanno avuto dopo il 1950 uno sviluppo considerevole e ne sono stati posti in commercio molti modelli con meccaniche più o meno complesse e perfezionate. Queste armi possono sparare un sol colpo o più colpi a ripetizione, a caricamento manuale o semiautomatico; esse sono munite di cannocchiali a forte ingrandimento, costruiti in leghe superleggere per consentire un puntamento più agevole.
Cartucce. - Nel dopoguerra le cartucce a pallini per i fucili da caccia hanno subito diverse modifiche, sebbene non sostanziali, per permettere ai cacciatori e ai tiratori di avere una maggiore gamma di scelte sul tipo di bossolo, sul tipo di polvere e infine sul dosaggio dei pallini, che può variare dai 32 fino ai 42 grammi. In commercio si possono trovare cartucce con bossolo di cartone, di plastica e più raramente di alluminio; con fondello in lamierino di ottone basso e capsula normale o con fondello alto e capsula a doppia forza o con fondello ancor più alto, nelle cosiddette cartucce corazzate che posseggono inoltre nella parte interna un rinforzo in leggera lamiera di ferro per rendere più resistente la cartuccia stessa. I pallini fabbricati in lega di piombo e antimonio col metodo "Montevecchio" sono stati ulteriormente perfezionati in seguito a più precise tecniche di produzione applicate dopo il 1948. Essi vengono ricavati da fili a sezione triangolare, i quali durante il procedimento di stampaggio a freddo sono trasformati in sfere del calibro desiderato, che passano nella macchina rettificatrice allo scopo di eliminare le sbavature avvenute durante lo stampaggio. Nelle cartucce più sofisticate e in quelle di solito usate nel tiro al piccione i pallini subiscono anche un trattamento di nichelatura col sistema elettrogalvanico per renderli più duri e levigati. Oggi le industrie di polvere da sparo mettono in commercio delle confezioni di cartucce, nelle quali l'orlatura di chiusura è stata sostituita dalla chiusura stellare, effettuata a macchina direttamente sui pallini. Tale sistema di chiusura permette di eliminare quello tradizionale con dischetto di cartone, sughero o celluloide.
Animali ausiliari della caccia. - Il cane occupa indubbiamente il primo posto fra gli ausiliari dell'uomo che pratica l'esercizio venatorio. Per le sue doti olfattive viene addestrato a individuare la selvaggina e segnalarla (cane da ferma), a stanarla e braccarla nel tentativo di sospingerla verso il cacciatore (cani da seguito), e infine a ricercare quella uccisa o ferita, ricuperandola e riportandola (cani da riporto).
I cani da ferma possono dividersi in due gruppi: a cerca larga (pointer, setter inglese, setter gordon, setter irlandese) e a cerca ristretta (bracco, bracco tedesco, spinone, griffone kurtzal, spaniel). La ferma consiste in una classica posizione statuaria, che le indicate specie di cani assumono al momento in cui avvertono più precisa e abbastanza vicina l'emanazione del selvatico; ciò serve ad avvisare e a indicare al cacciatore la presenza e spesso la localizzazione precisa della selvaggina. Tra i cani da cerca che non fermano, ma che posseggono una spiccata tendenza al riporto, occorre ricordare lo spaniel, il cocker e lo springer. Esclusivamente da riporto sono i retrievers. I cani da seguito più comuni sono il segugio a pelo raso e a pelo forte e il cirneco dell'Etna, utilizzati principalmente per la c. a mammiferi di piccola e media mole, nonché il segugio di Sant'Uberto, impiegato per i mammiferi di mole superiore. Sempre tra i cani da seguito occupano un posto particolare i bassotti e i terriers, che per la loro aggressività vengono soprattutto usati per stanare i carnivori. Il loro impiego generalmente è limitato alla c. alle volpi e, eccezionalmente, ai tassi.
Bibl.: A. Toschi, La migrazione degli uccelli, in Suppl. Ric. zool. appl. caccia, I (1939); A. Ghigi, Fauna e caccia, Bologna 1947; G. M. Pistilli, La legge sulla caccia, Campobasso 1953; F. Cigolini, Il diritto di caccia nella legislazione statale e regionale, Milano 1959; A. Toschi, La quaglia, in Suppl. Ric. zool. appl. caccia, III (1959); M. Rotondi, Migratori alati, Roma 1962; A. Ghigi, La caccia, Torino 1963; A. Noghera, Fucili carabine e polveri da caccia, in Piccola enciclopedia della caccia, Milano 1963; F. Ceroni Giacometti, Storia della caccia, ibid., 1964; id., La selvaggina, ibid.; L. Ferriani, La selvaggina, ibid.; A. Ponce de Leon, La selvaggina, ibid.; C. A. Desbach, La selvaggina, in Piccola enciclopedia della caccia, 1966; A. Ponce de Leon, La selvaggina, ibid.; F. Cigolini, Commento della nuova legge sulla caccia, Milano 1967; A. Toschi, L. Leporati, Manuale di tecnica venatoria, Bologna 1968; S. Perosino, La caccia, Novara 1970; G. Lupi, Grandi fucili da caccia, Firenze 1972; H. L. Peterson, R. Elman, Armi da fuoco antiche e moderne, Milano 1973.
Fra i giornali e le riviste di caccia a carattere nazionale e locale che si pubblicano in Italia, ricordiamo: Diana, Firenze; Caccia e pesca, Milano; Notiziario di caccia e pesca, Bologna; Il cacciatore italiano, Roma; La riserva di caccia, ivi; Caccia sud, Salerno; Venatoria sicula, Palermo.